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Autore: lucalagraak    24/09/2016    0 recensioni
"È un demone,ma è incatenato"
Genere: Angst, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Demoni e Catene

1

Era solo una domenica di fine maggio, ma nella ampia tenuta del vecchio il caldo si era già fatto opprimente e l’aria afosa e irrespirabile. L’azzurro del cielo senza nuvole si perdeva nell’orizzonte e il sole, alto e splendente, emanava dei caldi raggi che si riflettevano sull’acqua della piscina e venivano poi rifratti in tutte le direzioni. Il corpulento uomo in abito grigio, seduto a cavalcioni su una sedia bianca, si asciugava freneticamente le gocce di sudore che scendevano dalla fronte. Avrebbe già da un pezzo riposto nell’armadio il costoso vestito grigio topo e la camicia bianca, cuciti su misura per lui da una vecchia sarta italiana, e indossato un ben più comodo e fresco costume a calzoncini, se non fosse stato per la presenza della giovane donna dagli ondulati capelli biondi che, in bikini, sorseggiava un mojito a bordo vasca. Non aveva più il fisico di un tempo; da quando aveva abbandonato la vita attiva per dedicarsi agli affari dietro alla scrivania la pancia era inesorabilmente lievitata e gli anni vissuti tra gli agi e le ricchezze, servito e riverito da stuoli di inservienti, non avevano migliorato di certo la situazione. Consapevole quindi del suo non proprio gradevole aspetto, l'unica cosa che gli restava da fare contro l'opprimente caldo marocchino era cercare riparo sotto all’ombrellone a strisce, sapientemente sistemato dal giovane domestico europeo in opposizione ai raggi solari. Mentre si faceva aria con un vecchio giornale trovato sul tavolo, il fido assistente, seduto accanto a lui, gli comunicava che l'ultimo affare era andato in porto e che il carico era arrivato in perfetto orario a destinazione, nella capitale dello stato indipendente nel nord Africa.  << Non hanno avuto problemi a superare la frontiera? >> chiese con stupore l'uomo in grigio 
<< Qualche piccola rogna con il nuovo ufficiale in comando, ma è bastato fare qualche telefonata al nostro contatto al ministero per avere il via libera. Nessuno ci disturberà più. E' stata una buona idea fare delle prove generali prima di dopodomani signore >> rispose battendo le dita sulla calcolatrice il braccio destro.
<< Io ho sempre della ottime idee Novak. Ad ogni modo, avvisa la squadra giù in cucina che oggi mi terrò sul leggero, fa troppo caldo in questo angolo del mondo per lo stufato di manzo. Ovviamente la mia gradita ospite può mangiare tutto ciò che desidera >> disse, sorridendo bonariamente alla donna in bikini. Quest'ultima si voltò brevemente verso il suo benefattore e, dopo aver ricambiato timidamente il sorriso, tornò a dedicarsi alla sua abbronzatura. 
<< Come va sull'altro fronte? >> chiese poi con una certa discrezione il vecchio. 
<< Signore, crede sia prudente parlarne qui? Ci sono molti occhi e orecchie indiscrete >> rispose il braccio destro, facendo un discreto cenno al domestico addetto al riposizionamento dell'ombrellone. 
<< Bah, quel poveraccio a stento sa pronunciare il suo nome, non c'è alcun pericolo. Parla pure >> 
<< Bene signore. Pare che il nostro contatto ci indicherà il luogo e l'ora dello scambio di dopodomani a tempo debito, su quella linea sicura del vostro ufficio >> aggiunse asetticamente l'assistente. Il grosso uomo in grigio sospirò rumorosamente e, con fare pensieroso, scrisse alcune parole sugli spazi vuoti del vecchio giornale. 
<< A cosa sta pensando Capo? >> chiese incuriosito Novak.  L'uomo scrollò le spalle, << a nulla vecchio mio, a nulla! Su, ora andiamo a mangiare, mi è venuto un certo languorino! E chiama anche la dolce Sherry, non vorrei che tutto quel sole le friggesse il cervello... più di quanto non abbia già fatto madre natura, si intende! >>.  Novak sorrise e, come da ordini, diede al maggiordomo istruzioni per il pranzo. 
Nonostante si fosse mostrato sereno al collaboratore, il vecchio Aguilar era seriamente preoccupato. Il destino della sua attività e della sua stessa vita dipendevano dall'operazione di Tripoli: se qualcosa fosse andato storto non si sarebbe mai più liberato della stretta dei servizi segreti del vecchio continente e avrebbe dovuto continuare a vivere in clandestinità in quel luogo dimenticato da Dio. Per quanto amasse le calde spiagge di Casablanca, voleva disperatamente ritornare a casa. Dopo essersi messo a tavola in compagnia della nuova giovane conquista, Aguilar prese a fare conversazione con la bella biondina, intenta a sistemarsi i capelli dopo la mattinata trascorsa in piscina. << Allora Sherry, ti sei divertita oggi in piscina? >> chiese con un grosso sorriso l'uomo. 
<< Sì, molto. Stare qui è davvero bello! >> fece entusiasta la ragazza, con un portoghese risicato. 
<< Hai bisogno di qualcosa? I camerieri ti trattano bene? >> 
<< Mi trovo benissimo qui con te, tesoro. Vorrei solo che stessi più tempo con me, mi sento sola in questa grande casa. Sei sempre al lavoro! >> disse la ragazza, avvicinandosi con fare seducente al vecchio. 
<< Anche a me piacerebbe trascorrere più tempo con te Sherry! Vedrai, dopo che avrò chiuso l'affare di dopodomani avremo i documenti necessari per tornare a Rio de Janeiro e staremo insieme tutto il giorno, tutti i giorni! >> aggiunse il vecchio, che le fece cenno di sedersi sulle sue gambe.  
La ragazza soddisfò la richiesta del suo interlocutore e gli diede un caloroso bacio sulle labbra. Dopodiché si alzò, tornò velocemente al suo posto e riprese a mangiare la sua dietetica insalata. Ogni volta che guardava gli occhioni verdi della ragazza, il vecchio Aguilar diventava sempre più tristemente consapevole di quanto si fosse rammollito nel corso degli anni: aveva trovato la piccola Sherry, sempre se quello era il suo vero nome, qualche mese prima in un vecchio bordello di Béjaia e da allora non se ne era più separato. La ragazza era rimasta orfana dopo la grande guerra e, come tante altre giovani di bell'aspetto prima di lei, aveva trovato vitto e alloggio in uno dei tanti bordelli dello stato indipendente. Sapeva che la bella lucciola non aveva accettato di coricarsi con lui per il suo bell'aspetto o il suo charme, ma ormai era diventato vecchio e tanti anni nel giro del traffico di armi lo avevano convinto che non c'è affetto più profondo di quello comprato col vile denaro. 
Conclusi il lauto pasto, il vecchio fu raggiunto da un accigliato Novak, che gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Aguilar si alzò con fare concitato dalla sedia e si diresse nel suo ufficio, piazzandosi davanti al grosso schermo del PC. Dopo aver letto più di una volta le poche righe della mail, il vecchio guardò il suo secondo con aria preoccupata: in tanti anni di attività non gli era mai arrivata una richiesta di armi di quella portata e cominciava seriamente a chiedersi se fosse possibile superare i controlli della frontiera con tutti quei camion al seguito. 
<< Hanno aggiunto all'ordine iniziale ben venti casse >> disse basito Novak << anche noi potremmo avere dei problemi con una tale quantità di roba, signore. Il carico che abbiamo inviato stamattina contava appena quindici casse divise in due rimorchi >>.  Il vecchio capo rimase a riflettere qualche minuto sulla situazione, con il mento poggiato sul palmo della mano destra. Dopo aver dato una rapida occhiata all'imponente dipinto del monte Corcovado col Cristo Redentore, appeso proprio dietro alla scrivania, disse al giovane braccio destro: << mi chiedo cosa abbia spinto questi signori a cambiare di punto in bianco le loro richieste. Trentacinque casse di fucili semi-automatici non sono uno scherzo >>. 
<< Cosa facciamo quindi? Rinunciamo? Non credo che in magazzino abbiamo scorte sufficienti >> 
<< Non dirlo neanche per scherzo Novak! Troveremo il modo di procurarci il resto dell'ordine entro dopodomani o giuro che non mi chiamo Ignacio Aguilar Ternera. E poi, se il nostro acquirente ha rialzato fino a questo punto le sue richieste, significa che ha abbastanza denaro e potere da soddisfare pienamente le nostre. Potrebbe essere davvero la volta buona che ce ne andiamo da questo buco! >> 
<< Sta seriamente pensando di tornare in Brasile, vero? >> 
<< Certo, è quello che sto tentando di fare da quando è finita quella maledetta guerra >> rispose con un'espressione triste il vecchio Aguilar, ripensando alla sua infanzia in sud America; poi riprese, facendo per uscire dall'ufficio: << bando alle ciance, adesso sappiamo l'ora e il luogo preciso della consegna. Prepara subito il mio jet, dobbiamo partire immediatamente per Béjaia! Quelli della fabbrica dovranno lavorare senza sosta per le prossime 48h o non vedranno un tozzo di pane per due settimane >>.  
<< Vado a parlare col pilota e ci mettiamo subito in marcia signore >> disse Novak, rinfrancato dalla sicurezza del capo. 
<< No, andrò solo io. Tu resterai qui ad organizzare turni di sicurezza extra intorno all'ufficio. Domani a causa di quel party avremo troppi estrani in giro. Non possiamo permetterci di far trapelare informazioni sul nostro affare >> disse Aguilar con tono imperioso. Il sottoposto fece umilmente cenno di sì col capo, dopodiché si avviò con fare concitato verso l'hangar, dove il lussuoso jet del vecchio attendeva di essere rimesso in moto. 
Ad attenderlo fuori all’ufficio, Aguilar trovò la bella Sherry a sistemarsi i capelli; poi, con aria preoccupata, gli chiese cosa stesse succedendo. 
<< Niente di cui ti debba preoccupare tesoro >> le rispose il vecchio dandole una poderosa stretta sul fondoschiena << dovrò rimanere fuori fino a domani sera per certi affari, ma non ti preoccupare, sarò sicuramente di ritorno per il party >>. 
<< Dove vai Ignacio? Posso venire con te? Mi annoio tremendamente quando non ci sei! >> fece con tono lamentoso la ragazza. 
<< Devo recarmi urgentemente a Béjaia per certi affari. Mi dispiace, ma non puoi venire con me stavolta; però ti prometto che ti porterò un bel vestito per domani sera, ok? Voglio che la mia principessa sia la più bella di tutte >> rispose con tono affettuoso il vecchio. Il viso della giovane si illuminò davanti alle parole del protettore e, dopo averlo salutato calorosamente, si diresse nuovamente verso la piscina. Aguilar diede un ultimo sguardo alla sua protetta e, preso lo stretto necessario per la notte, partì alla volta di Béjaia.  
La ragazza si allontanò immediatamente dalla piscina dopo aver udito il jet levarsi in cielo e, guardando preoccupata l'orologio da polso, si precipitò nella sua camera. Dopo essersi assicurata di aver chiuso la porta a chiave in doppia mandata e aver aperto tutti i rubinetti del bagno, tirò fuori da una scatola di scarpe un piccolo dispositivo rotondo della forma di un portacipria, lo avviò premendo un piccolo tasto sulla sommità e lo posizionò sul pavimento. Si tolse rapidamente la pruriginosa parrucca bionda, mostrando la testa rasata su un lato e il ciuffo di capelli castani sull'altro che, coprendole la fronte, cadeva sull'occhio destro. Dopo qualche minuto di attesa, dal dispositivo, che riempiva a stento il palmo della sua mano, spuntò un display, su cui comparve l'immagine di due uomini in divisa: uno più anziano con i capelli brizzolati e gli occhi azzurri e l'altro con i capelli ricci e neri.  << Ci ricevi bene Pifferaio? >> disse parlando ad un microfono il giovane.  
<< Forte e chiaro Ben >> rispose con aria sicura la donna. 
Il più anziano dei due prese il posto dell'altro davanti alla cam e disse: << Pifferaio che novità ci sono da Casablanca? >>. 
<< Ho una notizia buona e una cattiva, Capitano. La buona notizia è che finalmente il nostro uomo ha fornito al vecchio Aguilar le specifiche dell'ora e del luogo dello compravendita. La brutta notizia è che le ha mandate direttamente al PC del suo ufficio, su una linea sicura. Purtroppo da dietro alla blindata non sono riuscita a sentire una sola parola di quello che si sono detti il vecchio e Novak. L'unico modo che ho per scoprire ore e luogo dello scambio è entrare nello studio e leggere direttamente quell'e-mail >> disse con fermezza la donna. 
<< Non è un grosso problema Pifferaio. Dovrai solo collegare il trasmettitore a lunga distanza al PC dello studio e, una volta che avrò fatto breccia nell'account del vecchio, scaricare le informazione contenute nella mail su una penna USB >> disse con disinvoltura il ragazzo dai capelli ricci. 
<< Il problema non è hackerare l'account di Aguilar, ma è entrare nel suo ufficio. A causa del party che darà domani sera il vecchio ha deciso di triplicare la sicurezza; deve esserci qualcosa di grosso sotto. Tutte le informazioni che ho raccolto sugli orari dei turni delle guardie, i punti ciechi delle telecamere e il codice per aprire la blindata potrebbero essere totalmente inutili. Per farla breve: abbiamo bisogno di un nuovo piano >> rispose con cinica lucidità la donna.  
Il capitano Huber batté forte il pugno sul tavolo di metallo, facendo traballare la cam e l’immagine che la ragazza vedeva sullo schermo. La situazione si stava facendo davvero complicata: la missione da cui dipendeva l'esito del loro duro lavoro, durato ben due anni, poteva fallire miseramente a causa di una festa. Dopo qualche minuto di silenzio, il capitano si posizionò nuovamente davanti alla microcamera, si aggiustò la cravatta dell'elegante divisa blu e disse alla sottoposta: << Ora ascoltami bene Hadiya >>. 
Il capitano Huber era un uomo sulla cinquantina dai capelli brizzolati e il profilo importante, originario della Sassonia. Era ormai da anni a capo della sezione Affari esteri dei servizi segreti delle Confederazione ed era un profondo estimatore del rispetto delle regole e del protocollo. La posizione che occupava nel dipartimento del ministero della difesa richiedeva una ferrea disciplina e nervi saldi e Hadiya lo sapeva bene. Il loro rapporto, infatti, andava ben oltre una semplice relazione lavorativa. Da quando i suoi genitori erano rimasti uccisi in una missione durante la grande guerra, aveva potuto contare solo sul suo mentore, che le aveva fatto sia da madre che da padre. Per questo motivo, un brivido le corse lungo la schiena quando sentì l'uomo pronunciare il suo vero nome: le stava per chiedere di fare qualcosa di davvero pericoloso, più dell'infiltrarsi nella casa di uno dei più grossi trafficanti d'armi del nord-Africa. Quella notte Hadiya era stata chiamata a concludere una delle missioni più pericolose della sua carriera: senza alcuna informazione precisa sui turni delle guardie, le disposizioni delle telecamere a circuito chiuso e il codice d'accesso della blindata, avrebbe dovuto irrompere nell'ufficio di Aguilar e scoprire il contenuto dell’e-mail arrivata nel pomeriggio. L'operazione doveva necessariamente avere luogo quella notte. Non c'era tempo per studiare le nuove disposizioni di Novak; il giorno successivo, infatti, la casa sarebbe stata invasa da ministri ed esponenti di spicco del governo nord africano, una circostanza in cui sarebbe stato ancora più difficile avere successo. Ma alla donna non piaceva improvvisare: se c'era qualcosa che aveva imparato durante tutti gli anni di lavoro al fianco del capitano Huber, era che una missione poteva avere successo solo se preceduta da una adeguata raccolta di informazioni e da una maniacale cura dei dettagli; ma l'unica informazione su cui poteva contare quella afosa notte di settembre, era che aveva sette minuti. Esattamente sette minuti per percorrere il corridoio centrale, scoprire il nuovo codice della blindata, entrare nell'ufficio di Ignacio Aguilar, permettere al capo della squadra informatica Ben McIntyre di entrare nell'account protetto dell'uomo e trasferire le informazioni su una penna USB. Sette minuti, il tempo che il grassone della sicurezza avrebbe probabilmente impiegato per fumare la sua Chesterfield rossa di contrabbando, lasciando vuota la postazione di controllo degli schermi delle TVCC . Sette minuti, un lasso di tempo in cui molti non riescono nemmeno a vestirsi al mattino. 
Sistemata la parrucca bionda e il sexy completino da notte che le aveva regalato qualche settimana prima il vecchio Aguilar, la ragazza si recò in cucina per prendere un bicchiere d'acqua, portandosi dietro una piccola borsa da trucco. Dalla grossa vetrata della parete est della stanza, che immetteva direttamente nel cortile della piscina, Hadiya scorse l'uomo della sicurezza avviarsi verso il gazebo di legno a sud, con la sua Chesterfield tra le mani. Data una fugace occhiata all'orologio da polso che segnava 1:34 e fatto partire il conto alla rovescia, la donna si precipitò nel corridoio centrale della casa, raggiungendo in appena 24 secondi e 3 decimi la porta blindata dell'ufficio. Estrasse dalla pochette un pennellino da trucco nero, lo immerse all'interno di in un contenitore con una strana polverina bianca e la cosparse sui tasti della blindata. "I tasti più pigiati sono quello del 7, del 4, del 1 e del 3. In particolare quello del 3. Forse lo ripete due volte" pensò la donna, che nel frattempo aveva già attaccato uno dei marchingegni forniti da Ben sopra alla pulsantiera della serratura. "Ora prova tutte le combinazioni possibili di cinque numeri che contengono queste quattro cifre" pensò fra sé e sé, mentre settava il dispositivo. Dopo 2 minuti e 17 secondi, il dispositivo aveva trovato la combinazione esatta tra le migliaia possibili: 17343. La ragazza trattenne il fiato e, dopo aver esitato un istante, provò ad abbassare la maniglia della porta. "Luce verde, è fatta". Superata la soglia dell'ufficio di Aguilar, diede un ulteriore sguardo al cronometro: 4 minuti e 13 secondi rimanenti. Hadiya fece scivolare i pannelli dell’unità centrale del computer lungo i binari sottostanti, individuò la scheda madre e la collegò al trasmettitore a distanza. La donna sentì la voce di Ben attraverso la ricetrasmittente: << sono connesso al PC, ora cerco di entrare nell'account protetto del vecchio. Tu nel frattempo inserisci la penna USB >>. 
Appena Hadiya inserì la penna nella porta USB, sentì dei passi provenire dal fondo del corridoio. Quello era uno di quei momenti in cui le mani dovevano lavorare più velocemente del cervello: senza neanche pensarci un attimo, la ragazza rimise al proprio posto il pannello del computer, infilò la ricetrasmittente nel borsello e si fermò a guardare il dipinto del Cristo Redentore alle spalle della scrivania. Il respiro profondo e affannoso della donna veniva a malapena coperto dai sonori bip dei tasti pigiati sulla mascherina della blindata, quando la porta si aprì e la testa di Novak si fece spazio nella stanza. 
<< Che diavolo ci fai tu qui? E come hai fatto ad entrare? >> le chiese l'uomo, pallido come un cencio. 
<< Ho trovato la porta aperta e sono entrata per ammirare il dipinto del mio caro >> disse sorridendo Sherry. 
<< Com'è possibile che la porta fosse aperta? Nessuno conosce la combinazione eccetto me! >>. 
Novak le si avvicinò con delle ampie falcate e la prese per il polso, stringendola talmente forte da metterla in ginocchio e farla cadere a terra. 
<< Mi stai facendo male! Lasciami! >> urlò la giovane con le lacrime agli occhi, << c'era qualcosa incastrato tra lo stipite e la porta che la teneva aperta, credo fosse una mentina >>. 
La ragazza indicò il contenitore di vetro pieno fino all'orlo di mentine che si trovava sulla scrivania del vecchio. Novak, non convinto dalla assurda storia che la donna gli aveva raccontato, la osservò con aria truce per un tempo che le sembrò infinito. I lunghi capelli ondulati, lo sguardo innocente e gli occhi arrossati dal pianto, insieme alla figura esile e indifesa, lo convinsero della bontà delle sue intenzioni; del resto, quella donna aveva dato più volta prova della sua incorreggibile stupidità nel corso del tempo, non poteva essere una vera minaccia. Allentò la presa e la aiutò a rimettersi in piedi, non prima di aver pensato in quante lingue avrebbe minacciato il grassone della sicurezza di tagliargli lo stipendio se non avesse fatto più attenzione in futuro. 
<< Che ci fai sveglia a quest'ora? >> chiese poi con tono imperioso. 
<< Ero in cucina a prendere un bicchiere d'acqua. Ho ritrovato la mia pochette del trucco in salone, deve averla spostata una delle domestiche >> rispose prontamente Hadiya, mostrando sorridente il contenitore scuro. Novak roteò gli occhi verso l’alto, stanco di tutte le assurdità cui era stato testimone quella giornata, e la mandò via, ordinandole di non mettere mai più piede nell'ufficio di Aguilar in sua assenza. La donna si asciugò le lacrime e, messo a posto il suo completino, tornò velocemente nella sua stanza. 
<< Ci è mancato davvero poco stavolta >> disse tirando un grosso sospiro di sollievo ai colleghi dall'altra parte della trasmittente, << cosa facciamo ora? >>.

2

Quella sera la sontuosa villa di Ignacio Aguilar era popolata da illustrissimi ospiti. Tutte le più alte cariche dello stato nord-africano e della borghesia industriale erano state invitate al party in piscina del vecchio brasiliano, a godere della compagnia di belle e giovane donne provenienti dai bordelli di mezza Casablanca, di un’ampia scelta di champagne pregiato e di stupefacenti vari. Nonostante non fosse l’unica donna presente al party in veste di invitata e non di accompagnatrice, la bella Sherry spiccava per la sua eleganza e raffinatezza; a vederla quella sera, nessuno dei presenti avrebbe mai detto di trovarsi davanti ad una piccola orfana cresciuta in una casa di piaceri di Béjaia o meglio, in una super segreta base militare localizzata in un sottomarino in continuo movimento nel Mediterraneo. Il lungo vestito color smeraldo impreziosito da perline e cristalli sul petto, faceva risaltare la sua carnagione chiara e i profondi occhi verdi. Forse la parrucca bionda da pin-up stonava un po’ con il resto, ma non era certo lì quella sera per delle vanterie. Hadiya sapeva bene di avere ancor meno speranze della sera precedente di recuperare le informazioni dal computer di Aguilar, ma non aveva altra scelta. Dopo essersi intrattenuta con degli uomini del ministero delle finanze, presentatigli dal vecchio, e aver bevuto qualche sorso di champagne, la donna si diresse verso la dispensa, affollata dagli uomini e le donne del catering che stavano preparando i piatti per il buffet. << Qualcuno sa dove posso trovare una soda? >> chiese Hadiya a voce alta. 
Un bel biondino sorridente si girò verso di lei e le rispose: << Niente soda stasera, solo Martini per le belle donne >>. L’espressione gentile dell’agente speciale si fece improvvisamente scura; prese il tizio per un braccio e lo portò leggermente in disparte, accanto allo stanzino delle scope. 
<< Chi diavolo sei tu? Dov’è Eeki? >> gli chiese a voce bassa ma decisa la donna. 
<< Calmati Sherry! La tua solita partner era indisposta, sono stato inviato io al posto suo >> rispose con tono pacato e garbato l’altro. 
<< Non mi è stato detto nulla dal quartier generale, cosa mi dovrebbe fermare ora dal prenderti alle spalle e spezzarti il collo? >> disse l’agente digrignando i denti, mentre teneva l’uomo per la cravatta della divisa da cameriere. 
<< Non saprei, ma forse il fatto che ho il capitano Huber in linea che aspetta di fornirti spiegazioni potrebbe essere una buona motivazione >> fece il tizio con un sorriso beffardo, porgendole una mini ricetrasmittente. 
La donna prese bruscamente la trasmittente dalle sue mani e lo porse all’orecchio. La voce del capitano Huber, dall’inconfondibile raucedine e marcato accento tedesco, le confermarono la storia raccontata dal ragazzo: << è arrivato qualche giorno fa insieme al Generale Marchand, pare sia il suo protetto >>. 
<< Il generale Marchand? Il braccio destro del ministro della guerra? Perché si trova alla nostra base? >> bisbigliò Hadiya, dopo essersi allontanata dall’uomo biondo. 
<< L’affare che abbiamo tra le mani interessa a più di una persona dei piani alti a quanto pare. Ad ogni modo, non credo siano arrivati per darci rogne, ma è meglio tenere gli occhi aperti fino a che non sapremo di più su questa improvvisa ingerenza >> disse con circospezione il capitano, che poi riprese: << ora torna dal tuo contatto e mettetevi immediatamente al lavoro >>. 
Hadiya si girò di nuovo verso l’uomo e lo studiò da cima a fondo: aveva circa trent’anni ed era alto non più di 180 cm; i capelli erano biondi, gli occhi scuri e la barba non curata, di quattro o cinque giorni al massimo. Non sembrava particolarmente esperto, né tantomeno dotato di un’intelligenza fuori dal comune. Se avesse dovuto descriverlo in una sola parola, avrebbe detto “ordinario”.  
Dismessi i panni della vecchia spia e restituita la trasmittente al collega, Hadiya si calò nuovamente nella parte della giovane Sherry, si aggiustò rapidamente il vestito e si diresse verso la piscina, facendo cenno all’uomo di seguirla a debita distanza. In mezzo ai gozzovigli dei presenti, divisi tra alcol, donne e oppio, l’agente speciale prese un sigaro dal tavolo cubano e lo accese con fare da grande donna. Il cameriere biondino passò accanto a lei dopo qualche secondo, lanciando discretamente una piccola pallina grigia ai piedi del tavolo, sulla tovaglia bianca; l’accendino per il sigaro scivolò provvidenzialmente dalle dita della povera Sherry, persa tra i fumi dell’oppio, o almeno, questo era quello che i presenti dovevano credere, finendo proprio sulla pallina grigia. Un’enorme lingua di fuoco avvolse la tovaglia bianca e il tavolo, mettendo in agitazione tutti i presenti. Nel caos che si scatenò in seguito allo scoppio dell’incendio, le due spie si diressero discretamente verso la stanza della sorveglianza TVCC.  
<< E’ scoppiato un incendio, c’è bisogno di aiuto in piscina! >> urlò qualcuno dall’esterno della stanza <>. All’udire le grida provenienti dal corridoio, il grasso uomo della sorveglianza, tirandosi su i pantaloni consumati, si precipitò verso la piscina, lasciando la stanza incustodita. Il biondino rimase di guardia alla porta, mentre Hadiya, seguendo le istruzioni di Ben, manometteva il sistema delle telecamere a circuito chiuso. Dopo qualche minuto, il finto cameriere si avviò verso il corridoio dello studio e qui, gesticolando vistosamente nella direzione della telecamera, chiese alla collega dall’altra parte della trasmittente: << sono qui, riesci a vedermi? >>. 
<< No, non ti vedo >> rispose con un pizzico di gioia Hadiya, guardando lo schermo in alto a sinistra che continuava a mostrare in loop l’immagine del corridoio deserto. Risolto il problema delle telecamere a circuito chiuso, Pifferaio raggiunse velocemente e discretamente il collega alla porta dello studio di Aguilar, approfittando dello scompiglio creato dal fuoco al tavolo cubano per passare inosservata. 
<< Io sono Kieren, comunque. Kieren Cox >> le disse il tipo biondo tendendole la mano. Hadiya fece un breve cenno col capo e si mise immediatamente al lavoro, senza presentarsi a sua volta. L’uomo, imbarazzato, ritrasse la mano e la infilò nella tasca bucata della divisa, poi disse sottovoce, tra sé e sé: << un tipo socievole, eh? >>. 
La donna fece finta di non sentire, << tu resta di guardia all’angolo del corridoio, io entro e recupero i dati >>. L’agente speciale non poteva utilizzare di nuovo il trucco della sera precedente: il codice era stato sicuramente cambiato da Novak dopo aver trovato l’innocente Sherry nell’ufficio e non c’erano abbastanza residui organici sui tasti delle nuove cifre per poterle individuare con la polvere. Per questo motivo, la donna dovette aspettare più di qualche minuto prima che il decodificatore di Ben trovasse la nuova combinazione; una cosa era trovare tutte le combinazioni possibili di cinque numeri, un’altra era trovare quelle di nove numeri. Dal silenzio relativo che proveniva dalla piscina, Hadiya aveva capito che il fuoco era stato quasi domato e che lei e il novellino avevano ancora pochi minuti prima che qualcuno della sicurezza passasse per il corridoio centrale. Individuata la nuova combinazione e varcata la soglia dello studio, Pifferaio riprese il lavoro che aveva lasciato in sospeso la notte prima. Mentre Ben cercava di infiltrarsi nell’account di posta del vecchio, Hadiya diede un’occhiata agli altri file sul PC, notando che le attività losche di Aguilar, nonostante la sua veneranda età, fossero più floride che mai. Dopo qualche minuto, l’agente ebbe accesso alla mail del misterioso acquirente di armi: finalmente avrebbero potuto scoprire la data e il luogo dello scambio; ma la gioia della donna per il successo appena ottenuto, si dissolse come neve al sole appena ebbe modo di leggere attentamente il contenuto della mail. 
<< Passami immediatamente il capo >> disse con spietata lucidità all’informatico. 
<< Sono Huber, siamo tutti in collegamento dalla sala delle riunioni. Parla pure Pifferaio >>. 
<< Capitano, ho appena letto la mail che ha ricevuto Aguilar dal compratore. La faccenda è molto più grave di quanto credessimo >>. 
<< Che cosa intendi dire? Parla, per l’amor di Dio! >> disse Huber a voce alta.  
<< Chiunque sia il nostro uomo, ha abbastanza denaro e potere da comprare trentacinque casse di fucili semi-automatici, granate, mitra e varie altre armi di piccolo calibro. Potrebbe esserci un’ecatombe se questa consegna avesse luogo. Adesso ci spieghiamo anche l’agitazione di Novak dell’altro giorno >> rispose la donna, scorrendo l’infinita lista di richieste avanzate dall’uomo misterioso.  
Tutti i presenti nella asettica sala riunioni piombarono in un silenzio eloquente. Le informazioni che aveva fornito l’agente speciale erano quanto di peggio ci si potesse aspettare; mai come in quel momento, era diventato indispensabile per l’Agenzia risalire all’identità acquirente e assicurarlo alla giustizia. 
Dopo aver comunicato le informazioni principali su luogo e ora della compravendita, Hadiya si avviò a passo svelto verso l’uscita, intenta a lasciare per sempre quell’ufficio senza mai più rientrarvi. Cox la scavalcò prima che ella potesse chiudersi la porta alle spalle e, dopo aver armeggiato un po’ al PC, vi inserì una piccola penna usb.  
<< Che diavolo pensi di fare? >> gli chiese lei con aria stupita, << la missione è finita, dobbiamo andarcene da qui al più presto >>. 
<< Voglio scaricare anche le informazioni sugli altri clienti di Aguilar. Ci vorrà solo un attimo >> rispose lui pieno di soddisfazione. 
<< Sei impazzito? Non abbiamo tempo per questo, il nostro piano è già pieno di rischi così com’è. Una missione deve essere studiata in ogni minimo dettaglio, non possiamo improvvisare! >> tuonò lei, con le guance che diventavano rosse dalla rabbia. 
<< Riflettici! Con queste informazioni finalmente potremo far pagare a quell’uomo e ai suoi clienti tutti i loro crimini. Non possiamo lasciarci sfuggire quest’occasione! >>. 
<< Non è compito tuo decidere cosa fare o non fare! Io ti ammazzo bastardo, giuro che ti ammazzo! Sempre se non ci ammazzano prima loro! Smettila subito! >>. 
<< Senti Pifferaio, non so come tu sia stata abituata dai partner che hai avuto prima, ma con me non funziona. Non puoi darmi ordini, solo il Generale Marchand può, quindi smettila di dare in escandescenze perché so quello che faccio. Se non vuoi collaborare qui, almeno mettiti di guardia all’uscita e avvisami se passa qualcuno >> disse Kieren, chiudendo ogni possibilità di replica. 
Hadiya strinse forte i denti e sospirò rumorosamente, trattenendosi a malapena dal mollare un ceffone al collega; dopodiché, recuperate lucidità e fermezza, si diresse verso la porta, pregando fra sé e sé che tutto andasse per il meglio. 
Quando dal fondo del corridoio cominciò a venire fuori il rumore di lenti e pesanti passi, Hadiya mise immediatamente in allarme il collega. << Sta arrivando qualcuno. Sbrigati a finire quello che stai facendo, ché non saprei proprio come giustificare la presenza mia e di un cameriere nello studio di Aguilar >> gli disse a voce bassa, attraverso la trasmittente. Cox ignorò le sue parole e continuò a scaricare i dati sulla penna.  
<< Per l’amor di Dio, quanto tempo ti ci vuole ancora? >> riprese la donna con maggiore concitazione, sempre più preoccupata dai passi che si avvicinavano. 
<< Se la smettessi di parlare farei più in fretta >> rispose con tutta calma l’uomo. 
<< Non abbiamo più tempo ormai! >> tuonò Pifferaio. 
Il rumore di passi si fece sempre più chiaro e distinto, fino a quando qualcuno svoltò l’angolo e la trovò lì, immobile e col vestito sgualcito, a poca distanza dall’ufficio del Capo. Hadiya lo riconobbe subito: era il capo degli uomini della sicurezza di Aguilar.  
<< Che ci fa lei qui? >> chiese con aria interrogativa l’omone. 
<< Sono andata in bagno ad incipriarmi il naso >> rispose lei spostandosi dolcemente i capelli biondi dietro all’orecchio. 
<< Il suo bagno non è dall’altra parte della tenuta? >> chiese guardingo e sospettoso l’uomo. 
<< Questo in fondo al corridoio era più vicino, mi scappava troppo >> rispose l’agente, fingendo un leggero imbarazzo per aver parlato dei suoi bisogni. 
Proprio quando sembrava che il tipo della sicurezza si fosse lasciato convincere dagli occhioni dolci di Sherry e si fosse allontanato, facendo tirare per un attimo un sospiro di sollievo ad Hadiya, l’omone lanciò un’occhiata verso la porta dell’ufficio di Aguilar. Era semi aperta. 
<< Che cazzo sta succedendo qui? >> tuonò, tentando di prendere la sua trasmittente per ordinare al resto dei suoi uomini di raggiungerlo. Hadiya non poteva assolutamente permetterlo e messa alle strette, si sentì obbligata a fare ciò che detestava di più: agire d’istinto. Prese l’uomo di spalle e lo tramortì con forte colpo alla testa, trascinandolo poi lungo il corridoio fino all’interno dello studio.  
Alla vista dell’uomo semi-incosciente, gli si gelò il sangue nelle vene. Cox si passò agitatamente le mani fra i biondi capelli e le disse: << Che ci fa quello lì? >>.  
La donna lo prese per il collo e lo sbatté violentemente contro il muro, impedendogli di respirare. 
<< Brutto bastardo! Hai anche il coraggio di chiedere cosa ci fa quello lì? Ti avevo avvisato che stava arrivando qualcuno, ma tu mi hai deliberatamente ignorato >> disse l’altra con gli occhi iniettati di sangue. Un piccolo bip proveniente dalla penna avvisò i due che finalmente il download dei dati era completato. Cox, ancora stretto in faccia al muro, con i piedi sospesi per aria e il viso rosso, indicò il PC, strabuzzando gli occhi. La collega lo rimise lentamente a terra e lui, dopo aver ripreso aria, si avventò sulla penna, mettendosela in tasca; poi uscì dalla stanza come se nulla fosse. Hadiya lo tirò per il colletto della camicia e lo sbattè nuovamente in faccia al muro. 
<< Dove pensi di andare? Questo pacco regalo lo vuoi lasciare qui, per caso? >> disse sarcastica, indicando il tizio della sicurezza.  
<< Che problema c’è? Ormai abbiamo tutto quello ci serve! Al massimo nascondiamolo da qualche parte e andiamocene alla svelta. Abbiamo tutto il tempo di tornare alla base >> rispose scrollando le spalle il collega. 
Hadiya si massaggiò le tempie con le dita della mano socchiudendo gli occhi. Guardò l’omone della sicurezza con attenzione, rimuginò per un attimo, poi gli diede una forte botta in testa con il calcio della sua stessa pistola, lasciandogli uscire un rigagnolo di sangue dal sopracciglio; l’uomo perse conoscenza. 
<< Non possiamo lasciarlo qui e fuggire. Quest’uomo è il capo della sicurezza della casa, risponde direttamente a Novak. La sua assenza verrà immediatamente notata e quando lo ritroveranno mezzo tramortito e legato come un salame, non ci metteranno molto a fare due più due. Aguilar capirà che il suo sistema di sicurezza è stato violato e sposterà la data e il luogo dello scambio col nostro uomo per non essere beccato dall’Agenzia o, peggio ancora, rinuncerà definitivamente all’affare >> disse lei a voce bassa, scandendo bene ogni singola parola << a quel punto avremmo gettato alle ortiche una complicatissima operazione durata due anni >>. 
Il viso di Cox si rabbuiò. Per quanto odiasse ammetterlo, Pifferaio aveva ragione, non sarebbero usciti facilmente da quella situazione e se la missione fosse andata in fumo sarebbe stata solo colpa sua e della sua testardaggine. L’unica cosa che poteva fare ora, era fare ammenda per la sua scelleratezza. Chiese scusa sommessamente alla collega e le chiese le nuove disposizioni. 
Dopo essersi spremuta le meningi e aver girato per un po’ in tondo sul tappeto persiano color porpora dello studio di Aguilar, Hadiya pensò che la prima cosa da fare fosse uscire da quel’ufficio e trovare un luogo tranquillo in cui riflettere. L’unico posto che le venne in mente in cui non sarebbero stati visti e sentiti dagli ospiti, era l’hangar del vecchio, il cui accesso era a poca distanza dallo studio. Prese le dovute precauzioni e assicuratisi che nessuno fosse in giro, i due agenti si portarono all’interno dell’hangar, trascinando con sé, ancora privo di sensi, il capo della sicurezza, immobilizzato con mezzi di fortuna.  
<< Che facciamo ora? >> chiese annaspando Cox; non era stata esattamente una passeggiata trasportare a peso morto un uomo di 100 Kg sulle spalle.  
Hadiya gli fece segno di rimanere in silenzio e, dopo aver frugato tra le tasche dell’omone, gli prese il portafogli di pelle nero. La donna diede una rapida occhiata al suo contenuto: circa 50 euro in varie valute, qualche spicciolo nel porta monete, una targa di riconoscimento con nome e indirizzo di casa e la foto ingiallita di due bambine di circa sei e tre anni. Rimesso apposto il portafogli nella tasca della giacca, la donna si strappò un pezzo del costoso vestito portatole quel pomeriggio da Aguilar e lo usò come bavaglio per l’ostaggio, dopodiché gli diede un forte schiaffo nel tentativo di farlo risvegliare. Quando l’uomo riprese conoscenza, si ritrovò con una pistola con silenziatore puntata alla tempia e la donna del capo davanti agli occhi. 
<< Bentornato tra noi! >> gli disse Hadiya con voce fredda ed espressione spietata. L’uomo emise dei mugolii indistinti e cercò in qualche modo di slegarsi dalla sedia, invano. 
<< Dunque, caro Saleem, a causa di una serie di sfortunate e imbarazzanti circostanze, i nostri destini si sono incrociati. Vedi, io avrei evitato volentieri questa seccatura; avrei voluto semplicemente prendere ciò che mi serviva e sparire per sempre da questa casa senza lasciare tracce… ed è ancora quello che voglio, in realtà. Il fatto è che sarebbe piuttosto spiacevole lasciarmi qualche vittima alle spalle, mentre esco dalla porta di servizio. Mi stai ascoltando, Saleem? >>. L’uomo ancora frastornato fece un leggero cenno di assenso col capo. 
<< Bene, mi fa piacere. Ascoltami bene ora, Saleem al Zarkhawi. Tutto ciò che dovrai fare adesso per uscire da questa stanza sulle tue gambe, è fare finta di non averci mai visti. Mi hai capito? >> chiese con un’inquietante fermezza quella che all’apparenza sembrava una normale ragazzina sulla metà dei venti. L’uomo farfugliò ancora qualcosa attraverso il lembo di tessuto che aveva tra i denti.  
La donna fece cenno al compare di togliergli il bavaglio, così la guardia rispose: << appena metterete piede fuori da questo hangar vi lancerò contro tutti i miei uomini e la polizia, fosse l’ultima cosa che faccio >>. Hadiya era in piedi davanti all’uomo con una mano sul fianco destro e la gamba sinistra puntata in avanti; dopo aver udito la misera minaccia dell’uomo, roteò gli occhi verso l’alto, fece un profondo sbuffo e borbottò qualcosa di incomprensibile tra sé e sé.  
<< Lo sapevo che saremo arrivati a questo punto Saleem. Si arriva sempre a questo punto con quelli come te >> disse poi con un sorriso da far raggelare il sangue. D’improvviso, con un’espressione truce, diede all’uomo un pugno nello stomaco, << non volevo arrivare a tanto Saleem, ma mi ci stai costringendo. Sai perché dovresti proprio ascoltare le mie richieste? Lo sai? >>. L’uomo ignorò le sue parole e si beccò un calcio sugli stinchi. 
<< Va bene, dato che non lo sai te lo dico io. Sarebbe un vero peccato se quelle due belle bambine dovessero svegliarsi domattina senza un braccio o una gamba… o peggio ancora, se domani mattina non dovessero svegliarsi e basta >> disse la finta bionda, sventolando la foto delle figlie sotto al naso dell’uomo. Lo sguardo di Saleem si fece cupo. << Basterà una sola parola all’uomo che sta dall’altro capo di questa ricetrasmittente e le tue dolci figliolette potrebbero essere rapite, vendute a qualche bordello o, se mi gira così, ammazzate a sangue freddo. E non credo che tu abbia voglia di provare che quello che sto dicendo sia vero, giusto? >>. 
L’uomo abbassò gli occhi sconsolato, poi annuì. 
<< Lo sapevo che avremmo trovato un accordo! Adesso tu ti metti in contatto con Novak tramite la tua radiolina e gli comunichi che stai tornando a casa per un’urgenza, che so, che ti sei ustionato nel tentativo di domare l'incendio, dopodiché il mio amico ti porterà con sé e ti rilascerà al massimo domani notte, quando saremo già spariti. Vedi di non fare scherzi ed essere convincente o la testa delle tue figlie salterà in aria, parola mia >>. Avvicinata la radiolina alla bocca dell’uomo, Saleem ripeté a Novak esattamente ciò che la sua carceriera gli aveva detto. Il braccio destro di Aguilar rimase un attimo interdetto, ma credette alla storia dell’altro e gli raccomandò di tornare appena possibile. 
Conclusa la faccenda con la guardia, Hadiya prese Cox da parte, gli diede la chiavetta con le informazioni e disse a voce bassa: << adesso prendi quell’uomo e sparisci da questa casa prima che qualcuno ci scopra. Recupera la tua auto, dirigiti senza fermarti alla periferia della città, uccidi il nostro amico Saleem e torna subito alla base. Io devo restare qui per non far insospettire Aguilar >>. 
Kieren sudò freddo davanti alla spietata richiesta della collega e dopo aver deglutito rumorosamente, disse: << C-come uccidilo? Ha già detto che non parlerà no? Perché lo devo uccidere? >>.  
<< Sei un ingenuo se credi che quel tipo non avviserà la polizia appena tornato a casa e assicuratosi che le figlie sono al sicuro. Non possiamo correre questo rischio, devi eliminarlo >> rispose tagliente la donna. 
<< Ma… ma sono sicuro che c’è un’alternativa… deve esserci un’alternativa! >>. 
<< Non c’è alcuna alternativa. E’ triste da dire, ma certe cose devono essere fatte e basta, è il protocollo. Per stasera l’abbiamo già ignorato abbastanza >>.  
Kieren strinse forte i pugni, al punto da farsi male alle nocche, poi con fermezza disse: << non credo di poterlo fare, mi dispiace. Lo terrò rinchiuso da qualche parte fino a domani notte e, a scambio avvenuto, lo lascerò andare >>. 
<< Sei più stupido di quanto avessi pensato all’inizio >> disse con freddezza l’altra, che fece per uscire dall’Hangar.  
Tutt’ad un tratto, con la destrezza di una gazzella, si girò nuovamente verso il biondo, gli prese la pistola dalle mani e sparò un colpo netto alla tempia di Saleem. Cox rimase immobile per qualche secondo, con la bocca spalancata e lo sguardo fisso nel vuoto. 
<< Non posso permettere che vada di nuovo storto qualcosa a causa sua >> disse con durezza Hadiya. 
La collera dell’altro esplose come una bomba ad orologeria. << Tu! Sei un mostro! Come hai potuto? Potevamo risparmiarlo! Potevamo farlo tornare dalle sue figlie! Non ti dispiace neanche un po’ per quelle due creature innocenti? >> urlò con tutta l’aria che aveva nei polmoni Cox. 
Pifferaio gli corse incontro e gli premette forte la mano sulla bocca: << sei impazzito? Vuoi che ci scoprano tutti? Non ho vissuto tutto questo tempo con quel verme per veder bruciare tutti i miei sforzi a causa di una leggerezza simile >>. 
Kieren scosse la testa, in visibile stato di shock << la vita di un uomo innocente è una leggerezza per te? >>.
Hadiya sbuffò, gli si avvicinò lentamente e gli disse: << Sono due anni che lavoro in questo paese e sono quasi quattro mesi che sono sotto copertura in casa di Aguilar. Ne ho viste di cose, io; ne ho viste troppe, tante. L’ho visto passare bustarelle ai più alti esponenti della politica locale per ottenere appalti illeciti e sfruttare la manodopera dei poveracci nelle sue fabbriche di armi. L’ho visto torturare fino alla morte degli innocenti ragazzini solo per estorcere loro informazioni sui signori della droga rivali. Ho visto centinaia di ragazzine minorenni essere sfruttate per soddisfare gli appetiti sessuali dei suoi alleati. L’ho visto uccidere padri e madri di famiglia solo perché non gli avevano pagato gli interessi su somme irrisorie. A lui… che se volesse potrebbe fare il bagno nel denaro tutti i giorni. L’ho visto fornire armi agli estremisti del Qatar, che a loro volta hanno ucciso centinaia di persone innocenti semplicemente perché quella mattina avevano deciso di andare al mercato a fare la spesa. Tu forse non lo sai, ma è a causa di gente come Aguilar se questa parte di mondo fa schifo. Di Aguilar e di tutti coloro che lo difendono, coloro che vedono cosa succede in queste quattro mura e non si ribellano, di coloro che sanno e tacciono, di coloro che accettano i suoi soldi sporchi. Quindi sì, mi dispiace per le figlie di Saleem, ma non perché ho ucciso loro il padre corrotto, ma perché sono nate, vivono e probabilmente vivranno per sempre in questo paese di merda, a causa di gente che invece dovrebbe proteggerle. Quindi ora smettile di frignare, alzati e mettiti al lavoro >>.  
La donna si rimise a posto i capelli e tornò di nuovo alla festa, dove il vecchio Aguilar la stava aspettando a braccia aperte. Cox si occupò di ripulire il sangue dell’uomo, dopodiché, ancora un po’ scosso, caricò il cadavere di Saleem sull’auto con cui era arrivato e, come se niente fosse, si allontanò dalla faraonica villa del trafficante d’armi.










































3



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Il luogo in cui doveva avvenire lo scambio tra Aguilar e il misterioso acquirente era un vecchio magazzino in disuso alla periferia di Zagora, ai confini marocchini del deserto sabbioso di Ilkhikhn n Sahara. Le armi, costruite e progettate nella enorme fabbrica algerina del vecchio, erano state equamente distribuite in due camion e nascoste all’interno di robuste casse di legno, ricoperte da strati di lana pregiata. Nella fabbrica, infatti, ufficialmente venivano prodotte costose e raffinate stoffe per abiti tradizionali che rifornivano tutte le grandi sartorie dello stato nord-africano, comprese quelle che confezionavano le scintillanti Djellaba per i ricchi borghesi locali, arricchitisi durante la grande guerra. L’estesa fama del marchio, unita alla sapiente opera di infiltrazione di Aguilar ai piani più alti del corpo di polizia, avevano permesso all’uomo, negli anni, di trasportare tonnellate di armi tra i confini dell’Algeria e del Marocco, rendendolo di fatto il più potente e ricco trafficante d’armi del Mediterraneo. L’incontro doveva avere luogo alle 22, ma Aguilar aveva deciso di anticiparsi di qualche minuto per sincerarsi della genuinità delle intenzioni del cliente e, soprattutto, per evitare eventuali trappole dei servizi segreti continentali. 
<< Quanto manca ancora? >> chiese il vecchio all’autista della limousine, mentre si aggiustava la costosa cravatta viola. 
<< Non molto signore, cinque minuti al massimo >> rispose il giovane indigeno. 
<< Credo ancora che la situazione sia troppo pericolosa per lei, signore; avrebbe dovuto lasciare a me i dettagli e restare a casa a riposare >> gli disse ancora una volta Novak che, nonostante le rassicurazione del capo, era ancora convinto che presentarsi di persona allo scambio era un rischio troppo grande da correre, troppo grande persino per quell’enorme montagna di denaro. 
<< Non dire sciocchezze ragazzo, ci sono troppi soldi in ballo per lasciare a qualcun altro le redini del gioco. I miei camion sono a poca distanza da qui, tutti sorvegliati da uomini armati. Appena ci saremo accertati delle buone intenzioni del nostro amico, chiederemo alla flotta di raggiungerci, faremo controllare la nostra merce all’uomo del mistero, gli faremo trasferire il resto del denaro sul mio conto e infine, senza esserci sporcati le mani, ce ne andremo da questo lurido magazzino… e da questo paese >> rispose con disinvoltura il vecchio. 
Novak annuì con poca convinzione e riprese a guardare distrattamente fuori dal finestrino. 
<< A proposito, hai visto Sherry oggi? Volevo salutarla prima di partire, ma in casa non c’era >> gli domandò poi Aguilar. 
<< No Signore, l’ultima volta che l’ho vista è stata ieri sera alla festa; era ubriaca fradicia. Probabilmente si sarà svegliata tardi e poi uscita a fare shopping >> rispose annoiato il braccio destro, stanco e anche un po’ infastidito dall’interessamento morboso che il capo mostrava nei confronti della bionda ragazzina. 
<< Già, probabilmente hai ragione. Sto diventando vecchio amico mio >> aggiunse infine Aguilar, dandogli una pacca sulla spalla. Il brasiliano sapeva che il suo cuore si era intenerito nel corso degli ultimi anni e, proprio per questo, sentiva sempre di più la necessità di ritirarsi a vita propria, nel suo paese natale, lasciandosi alle spalle l’aura dello spietato e capace trafficante d’armi che era sempre stato. Questo Novak non lo riusciva a capire; ma il vecchio sperava che, un giorno, il fido braccio destro avrebbe compreso e forse anche perdonato la sua debolezza. 

La macchina arrivò al magazzino dello scambio appena due minuti dopo, come aveva predetto il giovane autista; il luogo era di quanto più desolato e discreto ci fosse al mondo, localizzato a pochi passi dall’inizio del gelido deserto del Sahara. Tutto intorno regnava il silenzio più assoluto e Novak e il vecchio Aguilar, tesi come corde di violino, non poterono fare altro che tirare un enorme sospiro di sollievo quando si resero conto che non c’erano trappole in giro: erano le uniche forme di vita presenti nel raggio di un miglio. I due non dovettero aspettare a lungo prima che un imponente fuoristrada nero si fermasse a pochi metri di distanza dalla limousine, in perfetto orario sulla tabella di marcia. Da esso uscì prima un elegante uomo in giacca e cravatta, con i capelli rossi e la barba incolta, poi un altro, vestito informalmente e dallo sguardo inquietante. Aguilar aprì lo sportello della limousine e scese dall’auto, facendo cenno al braccio destro di seguirlo; si impiantò a gambe divaricate davanti all’uomo con la cravatta e, dopo essersi presentato, gli porse con sicurezza la mano destra. L’altro gliela strinse con un timido sorriso, senza proferir parola. Dopo essersi fatti perquisire dai rispettivi secondi e aver discusso gli ultimi dettagli, Aguilar diede l’ordine ai rimorchi di avvicinarsi con cautela al magazzino; come da manuale, i due camion arrivarono sul posto qualche minuto dopo, pronti ad essere consegnati al facoltoso acquirente. 
<< C’è tutto quello che ha chiesto, signore >> disse il vecchio, allargando il braccio destro per mostrare la flotta ai due << siamo riusciti a farci stare tutto in appena due rimorchi. Roba da veri professionisti >>. L’uomo con la barba diede una rapida occhiata ai camion, dopodiché disse ad altri tre uomini di scendere dal fuoristrada e di cominciare a controllare la merce, sepolta sotto metri e metri di lana. 
<< Non possiamo fidarci di nessuno di questi tempi >> disse egli, rivolgendosi ad Aguilar. << Ma certo, lo capisco. Fate pure con comodo >> rispose l’altro. 
Intanto, dietro ad un piccola duna localizzata a poca distanza, una squadra speciale di agenti scelti, guidati da Cox, osservava attentamente la scena, pronta ad entrare in azione appena si fosse concluso lo scambio. << E’ riuscito a scattare qualche foto ai due uomini Cox? >> chiese il capitano Huber, che, attraverso le telecamere poste sui caschi di protezione degli agenti, osservava dalla sala riunioni tutta la scena; quella sera, insieme a tutta la sezione speciale, era presente anche il Generale Marchand. 
<< Appena qualche scatto Capitano, ma la qualità è pessima, siamo troppo distanti ed è buio. Cercherò di farne di migliori una volta che ci saremo avvicinati. Attendo il suo segnale >> rispose con fermezza Cox, che spiava la trattativa attraverso un binocolo termico. 
<< Attendiamo solo che il denaro finisca nelle mani di Aguilar: appena il vecchio aprirà la portiera dell’auto, entrerete in azione. La squadra dell’agente De Wit è a poche centinaia di metri, motorizzata, pronta ad agire in caso di emergenza. Si tenga pronto >> concluse seccamente l’uomo. 
Dopo circa venti minuti, i tre scagnozzi del rosso diedero l’ok al capo: il vecchio Aguilar aveva tenuto fede al patto. 
<< Stiamo inviando il denaro al suo conto. I documenti per l’espatrio le saranno recapitati tra un paio di giorni in una cassetta di sicurezza della Banca Centrale. L’operazione sarà conclusa tra pochi minuti >> disse il misterioso uomo barbuto al vecchio, che faticava a nascondere il suo sorriso compiaciuto. La transazione fu improvvisamente interrotta dal cellulare del rosso, che squillò insistentemente. L’uomo rispose con aria seccata, ma, dopo aver scambiato qualche parola con l’interlocutore in una lingua che Aguilar non riuscì ad identificare, il suo viso si fece pallido. Dopo essersi dato una rapida occhiata intorno, urlò ai suoi uomini: << Dobbiamo andare via da qui! E’ una trappola! >>. 
Il rosso e i suoi scagnozzi si precipitarono verso il fuoristrada nero, lasciando Aguilar e la sua truppa senza parole, ancora frastornati dalla piega che avevano preso i fatti. Non potendo più contare sull’effetto sorpresa, il capitano Huber diede l’ordine immediato alla squadra di Cox di intervenire; una ventina di uomini armati, vestiti di nero, accerchiò il magazzino nel giro di qualche secondo. Aguilar ormai era in trappola. Il fuoristrada nero riuscì abilmente a farsi strada tra la barriera umana creata dagli agenti speciali e imboccò un sentiero dissestato che portava nel centro del deserto, facendo lanciare non poche imprecazioni al giovane capo squadra, che tentò invano di bloccarli sparando sui pneumatici. 
Il capitano Huber ordinò a Cox di occuparsi dell’arresto di Aguilar, affidando alla squadra dell’agente De Wit l’incarico di catturare l’uomo rosso: la squadra, dotata di veloci mezzi di trasporto, si trovava a quasi un kilometro di distanza sulla statale che tagliava tangenzialmente la stradina sterrata del magazzino. Una manciata di uomini si infilò immediatamente nei grossi fuoristrada grigi dell’Agenzia e si lanciò all’inseguimento del misterioso acquirente, percorrendo la strada asfaltata. Hadiya, in sella ad una moto da cross, si allontanò dal gruppo principale e tagliò attraverso la gelida sabbia del deserto, riuscendo a staccare i suoi colleghi. L’impervio sentiero, delimitato malamente dai solchi lasciati da qualche vecchio fuoristrada, si snodava per chilometri lungo il deserto del Sahara, illuminato solo dal pallore della luna, che risplendeva solitaria in mezzo all’enorme distesa di sabbia blu scuro, i cui confini si confondevano con quelli del cielo notturno. 
Il buio e la polvere sollevata dal SUV dei malviventi non le permettevano di avere una buona visuale e, aggiunti ai frequenti scossoni causati dai massi nascosti sotto il pelo della sabbia, le avevano fatto perdere terreno. Decisa a non lasciarli fuggire, Hadiya spinse al massimo il motore del suo veicolo, cercando in qualche modo di mantenere stabilità e controllo. Con un pizzico di esperienza e molta fortuna, la donna prese il fucile con la mano sinistra e cominciò a sparare diversi colpi alle ruote del SUV; dopo qualche colpo andato a vuoto, riuscì a forare una delle gomme posteriori, facendolo sbandare vistosamente. L’agente approfittò della situazione per portarsi accanto al SUV, al lato guidatore. Sapeva che difficilmente sarebbe riuscita a catturare il rosso, ma sperava almeno di riuscire ad immortalare il suo volto per poterlo poi confrontare con il database dell’Agenzia. 
<< I finestrini sono oscurati, accidenti! >> disse, digrignando i denti. 
Le sue silenziose maledizioni furono interrotte da uno degli scagnozzi del rosso che, dal finestrino anteriore, cominciò a sparare dei colpi nella sua direzione, nel tentativo di farle perdere il controllo della moto. La donna riuscì miracolosamente ad evitare quella scarica di proiettili, procurandosi solo qualche graffio superficiale, ma uno di essi si conficcò nel serbatoio anteriore della benzina. 
La moto si fermò bruscamente dopo qualche metro, sputando con forza la donna in avanti. Hadiya si ritrovò distesa ai piedi di un albero, con lo sguardo rivolto verso l’alto, sentendo allontanarsi sempre di più il rumore delle gomme del SUV nero che slittavano sulla sabbia. 
“Cazzo, li ho persi!” pensò l’agente, che poi si accorse del sottile rigagnolo di sangue che fuoriusciva dal casco. La sua vista cominciò ad offuscarsi; la luna piena, che fino a qualche secondo prima brillava alta nel cielo, cominciava a farsi sempre più sottile, fino a che non scomparve completamente davanti ai suoi occhi, inghiottita dalla totale oscurità.












4

Quando l’agente De Wit si risvegliò, vide intorno a sé le fredde e asettiche pareti bianche dell’ infermeria della base. Aveva una grossa fasciatura bianca intorno al capo, una discutibile vestaglia a pois beige indosso e delle ventose attaccate al torace; la macchina futuristica posta accanto al letto, che monitorava i suoi parametri vitali e l’attività cerebrale, emetteva una fastidiosa serie di bip squillanti, che non facevano altro che peggiorare il suo atroce mal di testa. A giudicare dall’odore dello shampoo alla pesca che emanavano ancora i suoi capelli e dalla manicure quasi intatta di Sherry, non si trovava lì da più di quarantotto ore. Dopo aver battuto violentemente la testa nella notte dello scambio, la donna era stata ritrovata e recuperata dalla sua squadra, che l’aveva portata con urgenza in uno degli ospedali locali affiliati all’Agenzia. I medici del posto le avevano diagnosticato un moderato trauma cranico causato dall’impatto di quella notte, la cui gravità era stata sicuramente attenuata dal casco di protezione; dopo essere riusciti a stabilizzarla, era stata trasportata immediatamente alla medicheria della base, immersa a poche decine di chilometri dalla costa marocchina. Hadiya si alzò lentamente dal letto, cercando di staccare con cautela tutti gli elettrodi che le avevano applicato; la testa continuava a farle maledettamente male, ma doveva parlare subito con il Capitano Huber: doveva sapere cosa era successo al rosso e ad Aguilar quella notte. Appena aprì la porta scorrevole della stanza, vide una giovane infermiera correrle incontro agitata; la donna le ordinò di ritornare immediatamente a letto, ma Hadiya, troppo stanca e frastornata per mettersi a discutere, la spinse via violentemente.
Reggendosi al freddo muro di metallo con la mano destra, la donna percorse a piccoli passi il lungo corridoio che portava al ponte di comando, tentando in tutti i modi di non destare l’attenzione degli altri membri dell’equipaggio. 
Quando finalmente arrivò alla porta della sala riunioni, sentì distintamente la voce di Ben McIntyre che discuteva di qualcosa con il capitano, insieme ad un chiacchiericcio indistinto.

La sala riunioni era un’enorme e spoglia stanza rettangolare localizzata immediatamente sotto al ponte principale di sinistra. Le pareti, così come tutte quelle della base, erano costituite da delle spesse lastre d’acciaio verdastro consumato dalla salsedine, appena illuminate da una lampadina al tungsteno posta al centro della stanza. Al di sotto di essa, v’era un lungo tavolo rettangolare di legno, i cui piedi erano fissati al pavimento con dei bulloni allentati. Di fronte al tavolo si trovava uno schermo ultrapiatto a coprire quasi tutta la parete, permettendo agli ufficiali e al resto della sezione di seguire in diretta le operazioni degli agenti operativi. 
Il capitano Huber in genere sedeva al capo destro del tavolo, nella posizione che dava la migliore visuale sullo schermo, mentre tutti gli altri si disponevano ai suoi lati, seguendo un ordine gerarchico ben preciso. Quella sera, invece, a capo tavola era seduto un uomo di mezza età dai capelli bianchi, che sorseggiava quello che sembrava dello scotch da un bicchiere di vetro decorato; alle sue spalle, in piedi, si trovava il giovane agente Kieren Cox, che indossava l’uniforme della squadra: un pantalone nero militare con delle ampie tasche anteriori, degli anfibi dello stesso colore che arrivavano alla caviglia e una canottiera bianca su cui cadeva una sottile medaglietta d’alluminio. Hadiya si aprì con un po’ di difficoltà la massiccia porta scorrevole e si ritrovò gli occhi di mezza squadra puntati addosso. 
Il capitano Huber, seduto accanto all’uomo con lo scotch, guardò con disappunto la sua subordinata in vestaglia e le chiese: << Che ci fa qui, agente De Wit? >>. 
<< Buonasera a tutti, chiedo scusa per il ritardo, ma quelli della medicheria non mi lasciavano andare. Il rosso… siamo riusciti a catturarlo? >> chiese la donna, accennando un saluto ai presenti. 
Dal lato sinistro del tavolo si levò una minuta ragazza dai capelli biondo scuro e gli occhi azzurri, che lanciò uno sguardo preoccupato al Capitano; dopodiché si avvicino ad Hadiya e sussurrò, stringendole il braccio: << Credo che dovresti riposarti ora. C’è tutto il tempo per avere dettagli sull’esito della missione >>. 
Hadiya si liberò dalla stretta della ragazza e replicò cortesemente: << Sto benissimo Eeki, non c’è bisogno che ti preoccupi per me. Ditemi cosa è successo, piuttosto >>. 
<< Il signor McIntyre ci stava giusto dicendo che è riuscito ad identificare l’uomo rosso >> disse intromettendosi nella conversazione il vecchio dai capelli bianchi, che indossava una divisa verde militare con parecchie stellette appuntate sulle spalle. 
Hadiya lo guardò con aria perplessa, dopodiché l’uomo si presentò porgendole la mano: << sono il generale Marchand. Ho sentito molto parlare di lei, De Wit >>. 
L’uomo le stava mostrando un sorriso compiaciuto e apparentemente benevolo, ma i suoi occhi, glaciali e impenetrabili, tradivano tutt’altra inclinazione. Hadiya rimase interdetta per qualche secondo, dopodiché gli tese a sua volta la mano e si presentò educatamente, scusandosi per l’abbigliamento inadeguato. L’altro le disse di non preoccuparsi troppo delle formalità e di prendere una sedia e accomodarsi: Ben aveva delle importanti notizie da fornire alla squadra. 
L’informatico si alzò in piedi e, schiaritosi la voce, disse: << Dunque, dopo aver sudato sette camicie e aver perso almeno dieci anni di vita, sono riuscito a migliorare la qualità della foto che ha scattato Cox la sera dello scambio; un vero lavoraccio. Ho poi incrociato la foto con i database della polizia, dell’Interpol e delle telecamere di mezzo mondo per vedere se c’era un riscontro. Un vero lavoraccio anche quello, sono stato tutta la notte in piedi per controllare che nessuno interrompesse il flusso di informazioni e… >>, Ben si interruppe quando vide lo sguardo di disappunto del Capitano Huber, il quale mal tollerava i flussi di coscienza del logorroico informatico, << …e a voi non interessa sapere tutte queste cose, quindi arrivo al punto. L’uomo con la barba rossa è una nostra vecchia conoscenza. Certo, nel corso degli ultimi anni ha perso qualche kg, diciamo anche molti kg, si è fatto crescere barba e capelli e probabilmente ha fatto una rinoplastica, ma il mio programma di riconoscimento facciale ultra avanzato non mente: è Karl Huseynov >>. 
La maggior parte dei presenti alla riunione rimase totalmente impassibile davanti a quel nome dal sapore nordico, mentre gli sguardi preoccupati del Capitano Huber e dell’agente Eeki Soren si rivolsero spontaneamente verso l’agente De Wit, che fissava il vuoto con gli occhi sbarrati. Il viso del generale fu di nuovo segnato dal sorriso compiaciuto che tanto aveva infastidito Hadiya poco prima, mentre Kieren Cox, resosi conto che quel nome aveva portato un certo scompiglio tra i suoi nuovi colleghi, chiese lumi al capitano. 
<< Karl Huseynov era un membro di spicco di un’organizzazione terroristica di nome Renaskigo, rinascita in esperanto, che abbiamo smantellato cinque anni fa dopo una lunga e complessa operazione internazionale di spionaggio. Dato il silenzio degli ultimi anni avevamo supposto, o per meglio dire, sperato, che tutti i suoi membri fossero morti o caduti in rovina, ma a quanto pare c’è ancora qualcuno di essi in giro >> rispose mordendosi le labbra il Capitano Huber, << ma non posso fornire ulteriori dettagli sull’operazione, le informazioni sono altamente confidenziali >>. 
<< Come ha intenzione di procedere ora, Capitano? Tutte quelle armi nelle mani delle persone sbagliate potrebbero rappresentare un serissimo problema >> chiese con tono pacato il Generale Marchand. 
<< Nulla, purtroppo. Quel SUV sembra si sia volatilizzato nel deserto e a nulla è valsa la diffusione capillare delle foto dei fuggitivi: ancora non abbiamo idea di dove possano essere. L’unica nota positiva è che siamo riusciti ad impedire loro di prendere possesso delle armi; ovunque siano, non hanno gli strumenti per fare grossi danni. Per ora, possiamo solo tenere gli occhi aperti e tenerci pronti ad un nuovo attacco >> rispose grattandosi il mento Huber, che continuava a guardare di sottecchi la sua sottoposta, seduta in silenzio religioso al lato opposto del tavolo. 
<< Tornando al secondo motivo per cui siamo qui stasera, uno dei nostri contatti dell’intelligence nord-africana ci ha dato una soffiata su un colpo di stato imminente. Pare che la vita del presidente Nadym sia a rischio >> continuò il capitano. 
<< Crede ci sia una connessione tra il colpo di stato in Nord-Africa e la faccenda di Huseynov? >> chiese Eeki Soren, mentre sfogliava il fascicolo con le informazioni sul presidente Nadym, fornito precedentemente da Ben. 
<< Fare ipotesi di questo tipo è prematuro e controproducente, anche se non mi sento di escludere categoricamente questa possibilità. Ad ogni modo, secondo la nostra fonte i ribelli reazionari della zona sud-est del paese, ormai completamente in balia di Amal Akarfi e dei suoi uomini, stanno pianificando da tempo un colpo di stato militare. Dopo le agitazioni popolari degli ultimi mesi dovute al nuovo crollo dei prezzi del petrolio e all’aumento dell’inflazione, la situazione nel nord Africa è quanto mai instabile. Un vuoto di potere in questo periodo potrebbe avere delle conseguenze economiche e politiche catastrofiche, non solo per il nord-Africa, ma anche per la nostra confederazione. Dal ministero abbiamo ricevuto l’ordine di proteggere il neo eletto presidente e tutta la sua famiglia, almeno fino a che l’intelligence e l’esercito africani non saranno riusciti a catturare il capo dei ribelli e a riprendere il controllo del sud-est >> disse con voce ferma e determinata il capitano. 
<< La squadra capitanata da Cox è la più indicata per portare a termine questa missione >> aggiunse il generale Marchand, dando una pacca sulla spalla al suo pupillo in segno di incoraggiamento. 
Hadiya fece una risatina sarcastica, non facendo nulla per nascondere il suo dissenso per le parole del generale: ciò che era stata costretta a fare a causa dell’inettitudine del novellino biondo nella tenuta del vecchio le pesava ancora sul cuore come un macigno. << Voglio partecipare anche io >> aggiunse poi, evitando di fare ulteriore polemiche. 
<< E’ fuori discussione, agente De Wit >> rispose immediatamente il generale Marchand, il cui sguardo severo incrociò quello determinato della donna << il ministro della guerra si è personalmente raccomandato affinché il risultato delle prime elezioni democratiche del Nord-Africa venga preservato dalle azioni dei terroristi e, alla luce delle nuove rivelazioni su Huseynov, credo che lei sia la persona meno adatta al compimento di questo scopo >>. 
<< Oh, andiamo Marchand, non sappiamo neanche se Huseynov sia effettivamente coinvolto in questa storia! Le sue sono tutte speculazioni >> replicò immediatamente il Capitano. 
<< Mi spiace dover fare l’uccello del malaugurio capitano, ma non credo davvero che sia una coincidenza il fatto che quest’uomo sia ricomparso dal nulla, dopo anni di oblio, in una compravendita di tonnellate di armi da fuoco, proprio mentre i ribelli del sud-est pianificano un colpo di stato. Se vuole la mia opinione, De Wit deve restarne fuori >>. 
Hadiya si alzò in piedi e sbatté vigorosamente il pugno sul tavolo, facendo tremare il bicchiere di scotch del generale, che le rivolse uno sguardo infuocato. Prima che la donna potesse proferir parola e peggiorare ancora di più la propria situazione, fu messa a sedere da Eeki, che le intimò di non immischiarsi ulteriormente. 
<< Non si metta così apertamente contro di me signorina, potrebbe finire davvero male stavolta >> disse Marchand con tono provocatorio, ponendo un accento ironico sulla parola signorina. 
<< Adesso basta! >> tuonò infine Huber, che mal sopportava chi metteva il naso tra gli affari suoi e dei suoi agenti, << la Renaskigo è stata smantellata ufficialmente molti anni fa, non c’è nulla che ci induca a credere il contrario. Huseynov potrebbe lavorare da solo o per qualunque altra organizzazione o governo di questo complicato mondo. Se il medico lo riterrà opportuno, l’agente De Wit partirà immediatamente per Tripoli insieme a Cox e agli altri. Non c’è altro da aggiungere >>. 
Il Generale Marchand si alzò compostamente dal tavolo della sala riunioni, prese il suo bastone di legno appoggiato alla sedia e si avviò verso l’uscita, facendo cenno al pupillo di seguirlo. 
<< Stavolta faremo a modo suo Huber, ma sta commettendo un grosso errore. Se ne accorgerà presto >>, poi, rivolgendosi ad Hadiya, disse severamente: << forse questo governo è stato abbastanza clemente da averle evitato il carcere a vita e la forca, forse il suo capo ha la memoria abbastanza corta da averle permesso nuovamente di lavorare nella sua squadra, ma si ricordi De Wit, che al mondo ci sono persone che non sono né clementi, né di memoria corta e io sono una di quelle. La terrò d’occhio >>. 

Uscito di scena il generale, il Capitano Huber cominciò a distribuire gli ordini al resto della squadra, ancora scossa dalle terribili parole dell’uomo. L’agente De Wit sarebbe stata a capo delle operazioni insieme a Cox, come raccomandato da Marchand, mentre l’agente Eeki Soren e l’esperto di armi Misha Nikolaidis, uomo di origini greche sulla quarantina dai capelli ricci e il naso aquilino, avrebbero fatto da supporto. A loro si sarebbero uniti anche Ben McIntyre e un altro paio di agenti speciali dell’Agenzia. 
Prima che Hadiya potesse ritornare in infermeria a riposare, il Capitano Huber le si avvicinò con cautela e le mise una mano sulla spalla: quello era da sempre il massimo contatto che le concedeva quando smetteva le vesti di superiore e entrava in quelle di padre. La ragazza spostò cortesemente la mano dell’uomo e si girò verso di lui con uno sguardo impassibile: non aveva bisogno di certe accortezze, non più almeno. << Va tutto bene capo, ormai ho imparato a convivere con quella storia. Non mi crea più problemi >> disse con decisione la ragazza, forse con troppa decisione per risultare credibile agli occhi di un uomo che la conosceva sin da quando era bambina. 
Il capitano annuì, le diede due pacche sulla spalla sorridendo amaramente e infine si avviò verso la porta. Un attimo prima di uscire si girò di nuovo verso di lei e le disse con tono sincero: << Ti conosco meglio di chiunque altro al mondo e posso solo lontanamente immaginare cosa ti stia passando per la testa in questo momento. So che ormai sei forte abbastanza da superare tutti gli ostacoli che ti si presenteranno, Huseynov o non Huseynov, ma non sopravvalutarti troppo, non fingere che vada tutto bene. Qui ti abbiamo perdonato tutti da un pezzo Hadiya, forse è arrivato il momento che lo faccia anche tu >>.


















5


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La piccola matita a strisce gialle e nere con cui aveva fatto almeno un migliaio di crocette stava cominciando a scivolarle dalle mani a causa del sudore. In quella piccola stanza piena di banchetti e sedie faceva un caldo insopportabile, difficile da gestire anche per chi, come lei, era abituato a sfide ben peggiori. 
Riarrangiando a mo’ di elastico il braccialetto nero di pelle, si alzò i lunghi capelli castani in una alta coda, che terminava qualche centimetro sotto alle spalle, mentre dei ciuffi di capelli più corti le cadevano ai lati della fronte. L’orologio analogico appeso alla parete continuava incessante il suo ticchettio, quando mancavano appena cinque minuti alla fine del test scritto. Sapeva perfettamente di dover totalizzare un punteggio superiore a quello del 80% dei contendenti se voleva avere qualche possibilità di entrare a far parte del gruppo scelto e, successivamente, di diventarne il capo. Il suo intero futuro dipendeva da questo. Ricontrollò con attenzione le centinaia di domande del test psicoattitudinale, compiacendosi delle risposte risolute che aveva dato, mentre si sentiva meno certa su quelle di nozionistica generale; del resto, nonostante gli enormi sforzi compiuti per coniugare il lavoro ai suoi studi all’università alla confederazione, non aveva mai avuto occasione di mettere in pratica le sue conoscenze di fisica nucleare e scienza dei materiali: era sempre stata una da azione sul campo, lei. Ed era proprio nelle prove di resistenza fisica che sperava di accumulare i punti necessari per entrare a far parte della nuova squadra di Ricognizione e Bonifica del dipartimento di Recupero dei beni culturali, architettonici e naturali, ramo del Ministero dell’Interno. 
Il segnale acustico, proveniente dagli altoparlanti installati in tutto l’edificio, segnò ufficialmente la fine della prova. I candidati consegnarono uno ad uno la busta con il proprio foglio delle risposte al buffo incaricato ministeriale, che li riordinava con precisione in ordine alfabetico, impilandole una sopra all’altra in una fila che sembrava arrivare al soffitto. 
<< Allora Sofyane, com’è andata la prova? >> le chiese stiracchiandosi le braccia un ragazzo dai capelli neri, mentre aspettavano pazientemente il loro turno di consegna del test. Erano gli ultimi. 
<< Non ne sono certa Mark, ma credo di essere passata >> rispose lei sorridendo, << a te invece? Ci rincontreremo anche all’addestramento? >> 
<< Ah, spero proprio di sì sorella! Mio padre mi ha già avvisato che se non passo neanche quest’anno mi taglierà i viveri. A quel punto sarei costretto ad andare a lavorare in qualche cooperativa su, al nord, rinunciando per sempre al mio sogno >> disse con un velo di sconforto il giovane. 
Sofyane gli diede un piccolo colpetto sulla spalla e, abbozzando un sorriso sincero, gli disse che sarebbe andato tutto bene, che sarebbero passati entrambi. In realtà con quelle parole stava cercando di convincere sé stessa, più che l’amico.
La fila si mosse più velocemente del previsto e i due ragazzi, dopo aver firmato anche l’uscita sul foglio delle presenze, consegnarono le proprie buste all’omino con gli occhiali, che rivolse loro un sorriso cordiale; mentre si affrettavano a recuperare le borse dall’appendiabiti in fondo alla stanza, per poi andare a mettere qualcosa sotto ai denti alla mensa dell’edificio, un uomo brizzolato sulla quarantina, con uno sguardo freddo e impassibile, entrò a passi ampi nell’auletta, si avvicinò al funzionario ministeriale e si fece consegnare le buste con i compiti. Dallo sguardo intimorito e dall’inchino riverente che gli porse l’omino buffo, Sofyane intuì che doveva essere un pezzo grosso del ministero. 
Fece un cenno ai due uomini che erano con lui, uno biondo con gli occhi scuri e l’altro dai tratti orientali, di controllare attentamente che ogni cosa fosse al suo posto e si mise seduto su un banchetto, accendendosi un sigaro. L’odore acre emanato dal tabacco in combustione si diffuse in pochi secondi in tutta la stanza. Sofyane e Mark continuarono ad osservare i movimenti di quei tre uomini come magnetizzati, incapaci di staccare loro gli occhi di dosso. Uno dei due scagnozzi, il biondino, fece inavvertitamente cadere a terra uno scatolone, spargendo a destra e a manca i fogli pieni di crocette. Il capo gli lanciò uno sguardo truce e gli ordinò di raccogliere tutti i fogli svolazzanti prima che uno di essi andasse perso. L’altro tirapiedi, vestito con un elegante abito nero e una cravatta scura, abbozzò un leggero sorriso e continuò a controllare la sua pila. Il biondino iniziò mestamente a raccogliere i test, incluso quello che era finito, trascinato via dagli spifferi, davanti ai piedi di Sofyane. La ragazza si abbassò nell’intento di raccogliere il foglio e porgerglielo, ma quello glielo strappò di mano con fare brusco e le lanciò un’occhiataccia. La ragazza corrugò la fronte e ricambiò lo sguardo piccato. 
<< Non si azzardi mai più a toccare questi fogli!>> gridò il tipo, forse preoccupato che la ragazza potesse in qualche modo manomettere la busta. 
<< Mi scusi, cercavo solo di essere gentile>> replicò l’altra, non riuscendo a capire cosa avesse fatto di così grave. 
Il biondo le rivolse un altro sguardo indignato e si rimise al lavoro, senza dirle una parola. 
Dopo qualche minuto, i due giovani terminarono il proprio lavoro e si ritirarono portandosi via gli scatoloni; il capo, invece, si intrattenne ancora un attimo a parlare con l’omino buffo, da cui poi si congedò educatamente. Uscì anche lui, sbattendo la porta dietro di sé. 
<< Wow! Chi diavolo erano quelli?>> chiese inarcando le sopracciglia Sofyane, sconcertata dalla fredda efficienza del trio. 
<< Come fai a non sapere chi è quello più anziano?>> chiese scuotendo il capo Mark, << è Erlend Dahl, il coordinatore delle squadre di Ricognizione e Bonifica del dipartimento. Sarà lui il nostro diretto superiore… se passeremo il test, ovviamente!>> 
<< Sì, mi pare di averne sentito parlare… ma pensavo fosse un vecchio matusalemme ibernato nella naftalina!>> rispose con aria di sorpresa lei, riuscendo a strappare un sorriso all’amico. 
<< E’ uno dei pezzi grossi del dipartimento, un vero mastino, anche se non è molto ben visto da Martines. Pare che si trovino spesso in disaccordo su come portare avanti le operazioni di bonifica; inoltre, è uno che si è fatto da solo, partito facendo la gavetta e arrivato lì dov’è senza l’aiuto di nessuno. Martines, rampollo di una nobile famiglia che ha sempre avuto la strada spianata, non lo sopporta e fa di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote. In modo neanche troppo velato, in realtà >>. 
<< Cavolo, sembra davvero un osso duro!>> replicò pensierosa Sofyane; poi, con un ottimistico sorriso, disse: << beh, ci preoccuperemo di lui quando sarà il momento! Andiamo a pranzo ora, sto morendo di fame!>>. 

I risultati del test psico-attitudinale furono resi noti la settimana successiva. Sofyane aveva ampiamente superato l’80% degli altri candidati, passando il test, così come Mark, seppur con un punteggio inferiore. I vincitori furono convocati qualche giorno dopo nella sede centrale del dipartimento, un edificio in mattoni di modeste dimensioni, situato nella periferia della capitale della Confederazione. 
Erlend Dahl, l’uomo che avevano visto i due ragazzi in aula, prese la parola e, con la sua tipica impassibilità e voce piatta, fece: << Non ci saranno discorsi di benvenuto o di congratulazioni qui oggi. Prima imparate che in questo dipartimento si lavora in maniera precisa, efficace e puntuale e che non amiamo i giri di parole, prima riuscirete a fare qualcosa di buono per il vostro paese. Trovare nuove sorgenti di acqua potabile non contaminate dalle radiazioni sta diventando ogni giorno più difficile e tuttavia urgente per questa confederazione democratica. Voi quindici siete i vincitori del concorso ministeriale, il meglio che le scuole di fisica e ingegneria di questo paese abbiano da offrire; pertanto, entrerete a far parte della nuova squadra di Ricognizione e Bonifica del dipartimento, a supporto delle altre due già esistenti. Prima di cominciare il lavoro sul campo però, dovrete portare a termine un addestramento fisico e tecnico altamente specializzato della durata di sei settimane, al termine del quale sosterrete una nuova prova psico-attitudinale e una di forza fisica che decideranno definitivamente se meritate di lavorare per noi. O meglio, per i vostri concittadini>>. Un lieve brusio si alzò nella sala in seguito alla notizia diffusa dal capo dipartimento. L’uomo si schiarì la voce, intimando ai nuovi arrivati di fare silenzio. 
<< Gli addestratori che vi seguiranno in queste sei settimane sono i due uomini alle mie spalle>> disse poi, indicando i due scagnozzi che Mark e Sofyane avevano incontrato la settimana precedente << tutto quello che diranno sarà la vostra Bibbia ed eseguirete in silenzio e senza fiatare ogni ordine che uscirà dalla loro bocca>>.
Dopo aver intercettato dei vaghi cenni di assenso sui volti delle nuove reclute, l’uomo si congedò frettolosamente e si chiuse nel suo enorme studio, il cui ingresso dava direttamente sull’androne centrale. 
<< Accidenti, ci mancava solo questa! Il biondino già mi detesta>> disse indispettita Sofyane all’amico. 
<< Non disperare Sof, se la fortuna ci assiste -e una volta tanto dovrebbe pur farlo- quello non si ricorda neanche chi siamo!>> replicò con un velo di speranza più che di reale convinzione l’altro. 

I ragazzi furono accompagnati in un loft che sarebbe diventato la loro casa nelle settimane successive. Delle quindici persone che avevano superato il test, tredici erano uomini, mentre, a rappresentare il gentil sesso, c’erano solo Sofyane e un’altra ragazza dal fisico imponente e i capelli rasati, tale Natasha Rilubova. Queste ultime furono sistemate in una stanza sul fondo del corridoio a cui si accedeva attraverso un’ampia anticamera, ben separate dagli alloggi degli uomini. 
Sistemate le proprie cose negli spartani armadietti di legno, le matricole furono radunate nella palestra della struttura per cominciare la preparazione fisica. 
L’uomo biondo, già indicato in precedenza da Dahl, fece disporre i cadetti in una rigida riga al centro della palestra. Camminando avanti e indietro a passi ampi e lenti, il tizio cominciò a spiegare ai presenti il programma delle successive sei settimane: << come ha già ampiamente chiarito il coordinatore capo qualche ora fa, in questo dipartimento non ci si perde in chiacchiere. Seguirete un addestramento fisico e tecnico-cognitivo altamente specializzato della durata di quarantacinque giorni, al termine del quale sosterrete una prova omni-comprensiva che ci permetterà di capire se avete o meno la stoffa per entrare a far parte della nuova squadra. Io sono Leeroy Shaw e quel tipo taciturno lì in fondo è il mio collega, Lee Tae Jun. Dovrete eseguire senza discutere ogni nostro ordine e suggerimento, non solo per riuscire a passare il test finale, ma soprattutto per portare a casa la pelle. Vi ricordo che il nostro obiettivo principale è quello di analizzare e, eventualmente, bonificare territori contaminati dalle radiazioni dell’ultima guerra, quindi state attenti a dove mettete i piedi. Detto questo, disponetevi uno dietro all’altro e cominciate subito a fare quaranta giri di campo a velocità sostenuta>>. 
Davanti agli sguardi perplessi dei colleghi, Sofyane prese coraggio e, cercando di essere cordiale, disse ad alta voce al biondino: << mi scusi signore, ma non abbiamo ancora le nostre tenute sportive. E’ un po’ complicato correre in jeans e camicia>>. 
Shaw le si avvicinò con uno sguardo accusatorio e dopo averla osservata attentamente, le disse: << eppure pensavo che uno dei requisiti fondamentali per essere ammessi al test psico-attitudinale fosse il non avere problemi d’udito. Non mi ha sentito un secondo fa? Se ordino qualcosa, quella cosa va fatta, in un modo o nell’altro. Cominciate a correre, anche nudi se volete, ma fatelo>>. 
L’uomo fece un sorrisetto compiaciuto e Sofyane non poté fare altro che restare in silenzio, sforzandosi di non dargli un pugno in faccia. 
Dopo essersi guardati per un attimo con aria spaesata, i candidati si disposero in fila indiana e cominciarono a correre a velocità media intorno al campo, tenendosi tutti, prevedibilmente, i propri vestiti addosso. 
Superati i primi dieci giri, alcuni cadetti cominciarono a decelerare vistosamente, mentre altri mantennero un ritmo costante. Il biondo, dal centro della stanza, li esortava a correre utilizzando espressioni ed epiteti poco gentili, mentre il suo compare se ne stava sempre immobile sul fondo della palestra, appoggiato con la spalla ad una colonna, apparentemente disinteressato a ciò che gli succedeva intorno. 
Sofyane, ancora ben salda nel gruppo di testa e annoiata dalla corsetta, si spostò più indietro in direzione di Mark, ponendosi accanto a lui per fare due chiacchiere. Lo spostamento non passò inosservato al mastino al centro della stanza, che le si avvicinò con aria infastidita e le intimò di tornare immediatamente in fila indiana. 
<< E’ già la terza volta in pochi giorni che mi irrita, signorina. Le consiglio di cambiare atteggiamento se vuole avere vita facile qui dentro>> ringhiò lui, tornandosene poi al proprio posto. 
Sofyane sbuffò vistosamente e riprese controvoglia la sua posizione iniziale, alle spalle di un muscoloso moro nel gruppo di testa. “Tre volte in pochi giorni ha detto… questo significa che si ricorda di me e dell’incontro avvenuto la settimana scorsa” pensò fra sé e sé, “devo stare attenta, questi qui hanno la memoria lunga”. 

Mancavano ormai dieci giri alla fine dell’esercitazione, la maggior parte delle nuove reclute era stremata e senza fiato e anche il tipo suscettibile al centro aveva smesso da un po’ di urlare improperi, mentre la ragazza e un altro paio di persone continuavano a correre a passo svelto. Sofyane sapeva di non potersi svelare troppo e troppo in fretta, così si diede una netta decelerata e prese a camminare lentamente in circolo come gli altri. Percorrendo il lato est della palestra, si rese conto che l’uomo orientale, che si trovava esattamente dal lato opposto, non si era mosso di un millimetro dalla sua posizione. Continuava a scrutare impassibile il gruppo di corridori, allentandosi solo di tanto in tanto la stretta cravatta blu scuro che cadeva lunga sulla camicia bianca. Avvicinandosi un po’, Sofyane cercò di studiarlo senza essere scoperta: era alto e magro, vestito con un elegante completo nero; aveva dei grandi occhi scuri allungati, labbra carnose rosate e denti bianchi perfettamente allineati; le sopracciglia, sottili ai lati del naso, aumentavano di spessore via via che si portavano verso l’alto, ai lati del viso, donandogli uno sguardo penetrante. I loro occhi si incrociarono per un attimo, portando la donna a voltarsi leggermente dall’altra parte e poi a fermarsi completamente, a due giri dalla fine. Quando finalmente Shaw dichiarò la fine della prova, si congratulò senza troppe moine con coloro che avevano resistito fino all’ultimo giro e lanciò invece improperi a tutti coloro che si erano arresi prima del raggiungimento del traguardo. 
<< Se gettate così facilmente la spugna è meglio che ve ne torniate subito a casa dalle vostre mamme. Parlo soprattutto con lei, Miss ho-un-nome-maschile-e-non-faccio-altro-che-polemizzare. Ha ceduto al penultimo giro: non c’è niente di peggio>> disse rivolgendosi a Sofyane, << adesso andatevi a fare una doccia, puzzate come delle capre>>. 
Sofyane si diresse subito verso Mark, seduto sullo sporco pavimento blu della palestra, camminando lentamente, con i pugni stretti intorno alla vita per attenuare un po’ le fitte all’addome. 
<< Ti sei già fatta un nemico a quanto pare!>> le disse con un mezzo sorriso Mark. 
La ragazza gli porse la mano per aiutarlo a rialzarsi e annuì sommessamente. 
<< Sapevo che sarebbe stato difficile, ma speravo almeno che i problemi cominciassero dopo qualche giorno dal mio arrivo, non ancor prima di aver messo piede qui dentro!>> rispose lei con aria divertita, consapevole che in passato aveva avuto grane ben peggiori delle stupide provocazioni di quel ragazzino viziato. 
Mark, col poco fiato che gli rimaneva, corse in avanti uscendo dalla porta principale della palestra, congedandosi dall’amica. 
Sofyane si apprestò a fare lo stesso, desiderosa di farsi una lunga doccia calda, ma appena prima che potesse varcare la soglia, sentì il suo braccio stretto da una morsa: ora lo sguardo impenetrabile dell’uomo in nero era puntato fisso su di lei. 
<< Lei ci sta nascondendo qualcosa>> disse quello, monocorde. 
Sofyane, per tutta risposta, inarcò le sopracciglia, perplessa. << Ad un certo punto, ad una decina di giri dalla fine, ha semplicemente smesso correre e si accodata a quelli dell’ultimo gruppo. Perché? Ho l’impressione che se avesse voluto avrebbe potuto continuare a correre fino a stanotte senza sosta>> incalzò l’altro, sempre con un tono piatto e apatico. 
<< Non so di cosa stia parlando. Ero solo stanca>> rispose lei, abbozzando un sorriso, <>.
L’altro continuava a fissarla con severità, senza proferir parola. 
<< Posso andare ora?>> disse imbarazzata lei, davanti allo strano silenzio dell’uomo. 
Quello annuì e le lasciò lentamente il polso. Fece un leggero inchino di congedo e poi, con il suo portamento signorile, uscì dalla palestra . 
La ragazza lo guardò allontanarsi con aria preoccupata. Si massaggiò delicatamente il polso con la mano, lì dove l’uomo l’aveva stretta più forte, e sospirò rumorosamente. Forse i guai, quelli veri, erano cominciati per davvero.
























6


Il rosso si diede un’ultima sistemata ai capelli prima di bussare alla massiccia porta di metallo dello studio al centro del corridoio. Quando finalmente ricevette il permesso di entrare, la richiuse dietro di sé delicatamente e si diresse a passi ampi verso la scrivania di legno, posta sul fondo della sala, di fronte alla porta d’ingresso. La stanza era completamente al buio; l’unico tenue barlume di luce proveniva dal fuoco della vecchia stufa nell’angolo, che sarebbe riuscita a malapena a riscaldare uno sgabuzzino. La luce e il calore venivano filtrate dall’imponente figura dell’uomo che vi si trovava davanti, creando uno strano gioco di ombre sul pavimento. 
<< Sono appena rientrato dall’Africa signore, sono venuto appena ho potuto. Porto solo brutte notizie, purtroppo. L’operazione con Aguilar è saltata all’ultimo minuto e non siamo riusciti a prendere le armi>> disse Huseynov con leggero disappunto. 
<< Sei riuscito a capire chi fossero gli uomini che hanno mandato all’aria la nostra transazione?>> chiese con un tono gelido l’altro, continuando a dare le spalle al rosso per godere del calore del fuoco. 
Huseynov rimase in silenzio. Se avesse potuto, avrebbe evitato in tutti i modi di dare al Capo quell’ulteriore gatta da pelare, ma allo stesso tempo sapeva che non era possibile nascondergli qualcosa per più di qualche minuto. Se le sentiva lui, le cose. Era una specie di dono viscerale. 
<< Pensiamo che siano dell’Agenzia signore>> disse poi, con un velo di malinconia. 
L’altro rimase immobile in silenzio a fissare il fuoco. 
<< Ad ogni modo, non credo che ci abbiano presi di mira. Probabilmente erano sulle tracce di Aguilar già da molto tempo e abbiamo avuto la sfortuna di trovarci sulla sua strada proprio nel momento meno adatto. Lo hanno catturato quella stessa notte insieme al suo braccio destro. La buona notizia è che hanno avuto ciò che volevano, non credo ci daranno altri fastidi>> sentenziò trionfale il rosso, cercando di evidenziare i lati positivi della faccenda. Avrebbe fatto di tutto pur di uscire da quella stanza e andarsi a fare una bella dormita al caldo, anche leccare il culo al capo fino a farsi cadere la lingua, se fosse stato necessario. 
<< Non sono la Confederazione e il suo patetico servizio di intelligence che mi preoccupano aI momento. Senza il rifornimento di armi del vecchio, i ribelli di Akarfi dureranno ben poco sotto l’assedio dell’esercito regolare, sono allo stremo da giorni. Dobbiamo dare inizio al piano B>> comandò serrando la mascella il capo. 
<< Lo immaginavo signore, per questo ho già dato disposizione agli altri: partiremo per Sebha alle prime luci dell’alba>> rispose Huseynov con un filo di soddisfazione per aver anticipato le mosse dell’uomo. << Bene, se non c’è altro io andrei…>> aggiunse poi, sperando che quell’interrogatorio fosse finito. Diede le spalle al suo interlocutore e si avviò a passi ampi verso la porta. 
<< Chi ti ha fatto quel graffio sulla guancia?>> bisbigliò tutto ad un tratto l’altro, impedendogli di lasciare l’ufficio. 
Il rosso si toccò con la punta delle dita l’impercettibile ferita ancora bruciante e sospirò affranto: eccolo lì, il famoso sesto senso, il dono viscerale. Si era manifestato di nuovo. E stavolta, per leggergli nella mente, non aveva dovuto neanche guardarlo negli occhi. 
<< Non ne sono del tutto sicuro, capo. Ma sì, è altamente probabile che sia stata lei>> rispose lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. Non aveva senso continuare a mentire, lo avrebbe scoperto in ogni caso. 
L’uomo si voltò verso di lui, lo guardò per un attimo con un’espressione asettica e poi si versò un dito di scotch in un bicchiere dal carrellino degli alcolici. Probabilmente era l’unico oggetto semi-ornamentale che si trovava in tutto l’edificio. 
<< Pensavo fosse morta>> disse, dopo aver buttato giù in un unico sorso il pregiato scotch regalatogli da suo zio. 
<< Lo pensavamo tutti, capo. Nessuno può sopravvivere ad un colpo del genere, ma a quanto pare la ragazzina ha più vite di un gatto>>. 
<< Poco male, vorrà dire che sapremo esattamente dove mirare la prossima volta>> ribatté con un vago sadismo l’uomo, descrivendo con le dita la forma di una pistola puntata alla tempia e con le labbra il suono della parola “boom”. Era abituato da un pezzo alle uscite inquietanti del capo, ma davanti allo sguardo e a alla determinazione di quella sera, Huseynov non poté fare a meno di avvertire un brivido lungo la schiena. 
<< Forse non ce ne sarà bisogno, capo. Come ho già detto, non credo che ci daranno altre rogne, almeno per il momento, è chiaro>> disse il rosso con poca convinzione, << adesso andrei davvero, ho ancora degli affari urgenti di cui occuparmi prima di ripartire. Con permesso>>. 
L’uomo gli fece un silenzioso cenno di congedo e riprese a scaldarsi davanti alla stufa. Huseynov abbozzò un inchino e uscì velocemente dalla stanza, sollevato per la reazione pacata che aveva avuto l’altro davanti alle pessime notizie che gli aveva portato. Tutto sommato, l’interrogatorio non era andato poi così male. 
Rimasto da solo nel grande ufficio buio, l’uomo si sedette compostamente sulla sedia a rotelle nera e aprì con cautela il cassetto chiuso a chiave accanto alla scrivania. Vi tirò fuori uno scatolino rosso, contenente una sottile medaglietta di metallo scolorato, con sopra impressa la torre Eiffel; lo osservò attentamente per qualche minuto con aria disinteressata, dopodiché si versò un altro dito di scotch nel bicchiere; poi se ne versò altri due. Prese l’oggettino e lo lanciò all’interno della caldaia della stufa, lasciandolo annerire e poi liquefare. Ripose lo scatolino rosso e chiuse delicatamente il cassetto. Un ghigno beffardo gli solcò le labbra.






















   
 
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