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Autore: Generale Capo di Urano    24/09/2016    3 recensioni
{RomaBel | Medieval!AU, I suppose - Scuola Poetica Siciliana | lievissimi accenni SpAus, SpUk e TurUkr | se non siete già fuggiti a gambe levate a "RomaBel", hope you enjoy it~!}
***
«Come può sbocciare l’amore senza mai aver ammirato la bellezza e la gentilezza della tua signora? Dimmi, Romano, dimmi come!»
Palermo, anno del Signore 1241. Tra i poeti della corte di Federico II regna l'ideale di una donna perfetta, angelica, a cui dedicare le proprie liriche e a cui sottomettersi in tutto e per tutto. La parola chiave è sempre la stessa, Amore.
Sul come Amore nasca, si è ancora divisi. Eppure, Romano capirà presto che, forse, quell'Amor così forte di cui tutti parlano può sbocciare solo alla vista di colei che sarà la sua dama.
Ben è alcuna fiata om amatore
senza vedere so ’namoramento,
ma quell’amor che stringe con furore
da la vista de li occhi à nascimento
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belgio, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Turchia/Sadiq Adnan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Amor è uno desio che ven da core
 

A Romano non piaceva l’espressione contrariata che l’amico stava rivolgendo alla pergamena stesa sul tavolo davanti a loro.
«Non mi dirai che anche questa ti pare superficiale!»
«Mi dispiace, ma io non sento l’emozione!»
Le parole che uscivano dalla bocca di Antonio non erano quelle del normale parlato, ma parevano troppo auliche, quasi forzate: da sempre l’iberico si era ostinato a parlare nello stesso modo in cui scriveva, come se il loro semplice volgare di strada non gli entrasse in testa. Certo, lo capiva – se lo poteva scordare che il siciliano gli parlasse elegantemente – ma parlarlo era tutta un’altra storia.
La pelle più scura del giovane ne tradiva un rinnegato sangue arabo, cresciuto tra i costumi delle corti francesi e sviluppato nelle parole e nelle canzoni dei trovatori in langue d’oc, ritrovatosi poi tra funzionari e poeti che Federico di Svevia aveva raccolto attorno a sé.
Romano si lasciò sfuggire uno sbuffo esasperato. «Perché il tuo amore è diverso; questo qui non lo puoi capire.»
«Ma io non sento nessun amore, amico mio.» Sorrise lievemente in risposta allo sguardo omicida dell’altro, per poi fissare lo sguardo nel vuoto, come se nel parlare rivedesse davanti a lui le parole latine contenute nel De Amore, facendole proprie mentre si rivolgeva al compagno: «Come si può credere di amare una donna per solo sentito dire? Come puoi sapere se le meravigliose parole con cui ella è descritta sono vere, senza mai aver posato gli occhi sul suo dolce viso, senza mai aver osservato i suoi gesti aggraziati? Come può sbocciare l’amore senza mai aver ammirato la bellezza e la gentilezza della tua signora? Dimmi, Romano, dimmi come!»
L’unica risposta che ricevette fu un borbottio confuso e sommesso – in qualche modo riuscì ad intuire le lamentele sul suo assurdo modo di pensare, su strane e diverse concezioni di amore che lui, a suo dire, non poteva comprendere. Sospirò, rassegnato: il giovane siciliano era ancora confuso, immaturo, e lui sapeva che ancora non aveva conosciuto ciò che loro definivano “Amor”. Ma avrebbe imparato, avrebbe saputo e quel giorno le suo canzoni sarebbero state pregne di quel sentimento che muoveva tutti loro e che li spingeva a migliorarsi sempre di più.
Romano guardò con la coda dell’occhio il volto scuro dell’amico poggiare su una mano altrettanto scura, lo sguardo trasognato rivolto ad un punto indefinito della stanza. Poteva ben parlare di Amore, Antonio, lui che di sera, recitando il rosario, sfiorava i boccoli scuri della nobile moglie e che di giorno decantava le lodi di due occhi verdi come i prati in estate, circondati da ciocche brillanti colore del grano.
Scosse la testa, tornando a fissare i suoi scritti; passò da cima a fondo le parole vergate con ordine sulla pergamena, senza davvero leggerle, sfiorando con le dita le macchie d’inchiostro che le circondavano come un elegante decoro.
Non poteva essere del tutto vero ciò che aveva detto l’amico, in quel modo disgustosamente teatrale che doveva avergli inculcato qualche strambo francese – o forse credeva davvero in quello che sosteneva. Tutto ciò che Romano sapeva era che quella sensazione che aveva provato nel sentire i discorsi di nobili di passaggio, nel leggere quelle lettere in latino che si scambiava con una donna lontana, lui non aveva potuto far altro che chiamarlo Amore; è d’obbligo sottolineare però quell’aveva provato – perché quella fiammella che gli scaldava dolcemente il petto ora pareva quasi spenta, e a nulla serviva soffiarci sopra con parole delicate e versi melodiosi.
Aveva lodato, senza mai vederli, dei capelli tanto chiari da sembrare bianchi come le vesti degli angeli e un portamento fiero come quello di una tigre, ma ora tutto ciò gli pareva vuoto, insensato.
Era tutto troppo assurdo, troppo complicato, ma non l’avrebbe mai ammesso davanti ad Antonio, il quale in quel momento si era messo a canticchiare una melodia sconosciuta senza un apparente motivo.
«Io vado.» Allontanò dal tavolo la sedia di legno, prima di alzarsi e dirigersi verso la porta.
«Dove vai?» il compagno ruotò il busto e appoggiò il braccio sullo schienale. «Se ti do fastidio basta dirlo, eh!»
Romano però era già uscito, lasciando l’uscio socchiuso dietro di sé.

***

Amor è uno desio che ven da core
per abondanza di gran piacimento,
e li occhi imprima generan l’amore
e lo core li dà nutricamento.

 
***

«E questo» il ragazzo si spostò sulla sinistra, per mostrargli un morbido tessuto rosso, sfiorandolo con le mani e invitandolo a toccare lui stesso «è fatto con la migliore porpora che si possa trovare! Venga, venga, provi a toccarlo…»
Romano dovette far fronte a tutta la sua forza di volontà per non rispondergli male, complice anche l’uomo alto e dallo sguardo duro che osservava la scena ormai da qualche minuto. Non sembrava la persona ideale con cui iniziare una discussione.
«Senti, ragazzo…» Il siciliano tornò a cercare con lo sguardo il giovanotto, che nel frattempo si era messo a decantare le lodi di una pentola di rame al pari di un giullare che canta le imprese e le virtù di un valoroso cavaliere. «Sì, , è tutto bellissimo, ma… , lo vedo, ma io ero qui solo per comprare le verdure…»
Quello lo fissò con un occhietto verde – l’altro era coperto da un ciuffo di capelli ricci che pareva essersi dimenticato di spostare – che esprimeva un’amara delusione mentre riponeva l’utensile.
«Ne è sicuro?»
Non si poteva certo dire che fosse un tipetto che mollava facilmente.
«Perché sono sicuro che questa giara potrebbe tornarle molto utile, sa, per contenere–»
«Ora basta, Michel, su.» L’uomo che prima li stava guardando si era avvicinato al ragazzo e gli aveva appoggiato una mano sulla spalla. «Non tratteniamo ulteriormente il signore, era qui per le verdure, giusto?» puntò gli occhi gelidi su Romano, facendolo rabbrividire. Sarà stata una sua impressione, ma quel biondone pareva davvero minaccioso!
«Ehm, ah, sì.» lo sguardo del siciliano si spostò sui cavoli appoggiati su di un carro lì accanto. «E dell’olio d’oliva, se possibile.»
Olio d’oliva. Non era qualcosa che chiunque si poteva permettere, e un mercante certe occasioni non se le lascia sfuggire.
Finalmente, pensava invece dal canto suo il siciliano, poteva sbrigarsela il più in fretta possibile e tornare a corte per prendersela con Antonio che l’aveva mandato lì al posto suo. Oh, povero illuso.
Non si capacitava di come fosse possibile l’essersi ritrovato, dopo circa un quarto d’ora, con tra le braccia almeno il doppio di ciò che doveva comprare – compreso quel tessuto rosso di cui non avrebbe mai saputo che farsene.
Fu così che tutti i suoi buoni propositi andarono a farsi benedire, mentre discuteva animatamente con il venditore sul prezzo da pagare; il tutto sotto l’attenta osservazione del ragazzino che fissava ammirato colui che probabilmente era suo fratello maggiore e le sue non indifferenti capacità di negoziazione.
Forse per puro caso, forse attratta dalle voci, da poco lontano una ragazza si avvicinò ai tre, probabilmente per assicurarsi che tutto andasse bene. «Abel, che succede?»
Il minore agitò una mano e con l’altra appoggiò l’indice davanti alla bocca, come ad invitarla ad assistere in silenzio alla scena. Questa però si rivolse al più grande dei tre, con un tono quasi preoccupato: «Ancora con questi prezzi troppo alti?»
«Ah, lasciamo stare.» Romano era un tipo facilmente irritabile, ma era anche un signore e non avrebbe mai dato inizio a una lite davanti a una donna. Adocchiò di sbieco la figura della giovane, salvo poi trovarsi costretto a girarsi del tutto, attratto dal riflesso del sole sui suoi capelli, che da un castano molto chiaro li aveva resi di un biondo luminoso e sorprendente.
“Bella” fu la prima cosa che pensò. La seconda fu che non aveva mai visto nulla di bello prima di quell’immagine.
Per sua fortuna non poteva vedere il suo volto tingersi appena di rosso nel momento in cui la ragazza gli rivolse un sorriso rassicurato. «Meno male! Temevo che mio fratello avesse di nuovo esagerato con questa storia degli affari.»
«N-no, no… figuriamoci.» Si riprese a fatica, affrettandosi a pagare all’uomo tutto ciò che gli doveva.

***

Ben è alcuna fiata om amatore
senza vedere so ’namoramento,
ma quell’amor che stringe con furore
da la vista de li occhi à nascimento
***
 
Nel vederselo tornare indietro carico di roba, Antonio non seppe se ridere o disperarsi.
«Vedi di chiudere il becco.» Romano troncò sul nascere qualsiasi commento si stesse preparando ad uscire dalla bocca dell’amico, mollando la stoffa rossa che teneva sul braccio su di uno dei tavoli e sbuffando sonoramente.
L’iberico però non se ne stette in silenzio per molto e sospirò. «Ah, e io che speravo che almeno tu fossi riuscito a resistere, testardo come sei!»
«Zitto e lavora» ringhiò quello in risposta, indicando con un cenno del capo la pila di documenti che si trovava sul tavolo, facendo sospirare nuovamente il povero giovane, che li sfogliò sconsolato. «Già… burocrazia, burocrazia e… oh! guarda, burocrazia!»
«È il tuo lavoro, idiota, non ti lamentare.» Il siciliano gliene prese alcuni dalle mani, leggendo velocemente le scritte in latino per farsi un’idea. «Se non ti andava potevi restartene da quei francesi… o dai saraceni, ti pare?»
L’espressione del compagno si fece cupa e indecifrabile. Ad Antonio non piaceva il fatto che gli si ricordasse quel ramo del suo albero genealogico che tanto odiava – perché, poi? Probabilmente derivava ancora tutto da quelle storie e canzoni francesi che tanto l’avevano condizionato – e Romano, accorgendosi del suo cambio improvviso, si affrettò a cambiare discorso: «Piuttosto, maledetto opportunista, non mi avevi detto che quel mercante era così–»
«Abile?» concluse l’iberico. «Quel tipo è davvero terribile! Pensavo che tu potessi resistere, e invece ha sconfitto persino la tua testa dura.»
Il ragazzo finse di non aver sentito l’ultimo commento sulla sua testardaggine. «Quel tizio non ha sconfitto proprio niente, alla fine ho ceduto solo perché…»
Si bloccò, accorgendosi solo in quel momento di non sapere cosa dire. Il brusco silenzio stupì il maggiore, che osservò con fare perplesso il volto dell’altro che in quel momento pareva trovarsi in difficoltà. «Perché…?» lo incalzò, curioso.
Quello però non seppe rispondere; in quel momento riusciva solo a ricordarsi il lieve sorriso che aveva increspato le labbra di quel viso così angelico, e quei boccoli dorati che l’avevano incantato – scosse la testa, cercando di tornare in sé, ma l’immagine della ragazza pareva non volerlo abbandonare.
«Antonio? Antonio, dannato poetastro della malora, dove diavolo sei?»
La voce di Sadik riuscì a distogliere quasi completamente il siciliano dai suoi pensieri, mentre si girava verso la porta e osservava l’uomo entrare con ben poca delicatezza e un’espressione piuttosto seccata dipinta sul volto scuro.
«Allora, queste erbe? Mi avevi detto che saresti andato tu a prendermele!»
«Erbe, quali erbe?» Romano cercò una spiegazione rivolgendosi all’amico, che non si era per nulla scomposto e li fissava con un sorriso infame e innocente allo stesso tempo. «Oh, mi dispiace, amico mio, mi ero scordato di dirti che al caro signor Sadik ne servivano alcune per quei suoi strani intrugli, sai com’è…»
Con la coda dell’occhio l’italiano tenne d’occhio il turco, giusto per assicurarsi che non saltasse da un momento all’altro addosso all’altro per strangolarlo –insomma, non aveva nessuna intenzione di fare da testimone in caso di omicidio, aveva altro da fare!- mentre Antonio fingeva bellamente di ignorarlo e di concentrarsi sui suoi fogli, tranquillo e beato come se a gridargli contro non fosse un saraceno dalle braccia nerborute ma sua moglie dopo esserselo ritrovato a casa ubriaco.
«Te lo do io il “dimenticato”, maledetto!» Il medico pareva pronto a commettere un omicidio da un momento all’altro. «E se mi fossero servite per qualcosa di importante? Non so, sai com’è, curare le persone è una cosa abbastanza importante, non è che passo le mie giornate a scrivere quattro versi in croce che la mia presunta amata non leggerà mai!»
Il più giovane dei presenti rabbrividì, presagendo qualcosa di brutto. L’ispanico aveva smesso di sghignazzare e si era alzato in piedi, quasi in un gesto di sfida nei confronti del turco.
«Almeno io non me ne rimango tutto il giorno chiuso in una stanzetta a mescolare strani intrugli come una sottospecie di stregone!»
«Alchimista, razza di villico!»
«È la stessa cosa!»
«Per un ignorante come te, forse!»
Gli occhi verdi e calmi di Antonio parevano aver preso fuoco, similmente alle iridi scure del moro.
«Tutto il giorno a rimestare pozioni e ingredienti strani! Non so come faccia la gente a fidarsi di te!»
«Almeno io cerco la perfezione in qualcosa di utile, non tra le sottane di una donna!»
«La nostra è arte, la tua è stregoneria!»
«La mia è ricerca, la vostra è una mera illusione!»
«Illusione sarà la baldracca che ti inculi la notte con quella verga miscredente, strega!»* Poi abbassò il tono di voce. «Romano, tu non hai sentito niente… Romano?»
Quello però se n’era già andato, lasciando i due litiganti a sbrigarsela da soli nella stanza deserta.

***

ché li occhi rapresentan a lo core
d’onni cosa che veden bono e rio,
com’è formata naturalemente;

 
***
 
Il chiacchiericcio della gente riempiva le strade della città in un miscuglio di suoni e colori che, per qualcuno che non c’era abituato, sarebbe parso spaventosamente caotico e rumoroso. Solo la mente annebbiata di un poeta poteva vedere lo splendore e l’ordine nascosto in quell’apparente mescolanza di gente – i bambini che si rincorrevano tra di loro, le donne sposate e vissute che spettegolavano sulle belle fanciulle che vedevano passare a comprare verdure e venivano interrotte dalla comparsa improvvisa di qualche baldo giovanotto in vena di cianciare.
Quel giorno però Romano non ebbe tempo né voglia di soffermarsi sull’armonico trambusto di Palermo, sulle grida degli uomini che lo invitavano a fare quattro chiacchiere; gli occhi verde oliva saettavano nel parapiglia del mercato, alla ricerca di un riflesso biondo, di quel sorriso che l’aveva incantato.
Vederlo camminare avanti e indietro nella stessa zona, circospetto come un monello che non vuole farsi scoprire, sarebbe potuta essere una scena addirittura comica. Ringraziò che Antonio non fosse lì a vederlo – e a prenderlo scherzosamente in giro, come solo un amico di vecchia data poteva fare.
Poi una risata cristallina si alzò da poco lontano, e gli parve di riconoscere una voce carezzevole e dolce; in un angolo in parte alla strada, un crocchio di giovincelle si era riunito a conversare distrattamente, forse di quelle ciarle sciocce e futili delle donne; in mezzo alle ciocche brune, brillò un ciuffo di capelli dorati e l’italiano trattenne il respiro – tutto a un tratto si chiese se quei discorsi non parlassero di quelle realtà elevate che solo gli angeli sanno e di cui gli uomini devono stare all’oscuro: perché nulla di così bello avrebbe mai potuto parlare di cose sempliciotte e superflue.
Qualsiasi persona comune l’avrebbe dato ormai per perso – accecato dall’amore come solo i giovani sanno essere –  ma lui era poeta e ciò che vedeva era la sua unica realtà e convinzione. Vedeva dei boccoli biondi e il volto sottile; quella si girò, e scoprì che aveva gli occhi verdi come l’erba al mattino, i riflessi di luce come gocce di rugiada. La sdolcinatezza tipica dei trovatori che già gli sussurrava versi d’amore all’orecchio, e che neanche la rudezza con cui si mascherava poteva fermare.
Non le avrebbe parlato, no, non poteva: avrebbe scritto sonetti e canzoni ispirate che forse non avrebbe mai letto, in una vana speranza e illusione che avrebbe portato con sé per la vita. Perché tutto ciò non lo irritava, non lo disgustava?
Era questo ciò di cui parlavano i poeti – questo l’Amor che guidava le loro mani sulla carta?
Non si accorse di aver continuato ad osservarla per lunghi minuti, incantato; quella che per lui era la donna perfetta e uno spirito celeste senza alcun difetto. La vide indietreggiare e rischiare di inciampare sui suoi stessi passi e quei movimenti sgraziati furono per lui una danza, inebetito com’era, e un pizzico del suo orgoglio riprese per un secondo a pungergli il petto: “Svegliati, balordo!”
Non era necessario sapere il suo nome, ma un’egoistica vocina gli domandava insistentemente come si chiamasse la donna che l’aveva così ammaliato; e quando la voce acuta di un ragazzino chiamò a gran voce la sorella –«Manon! Manon!» – qualcosa nella sua testa si calmò e si sentì stranamente appagato.
«Serve qualcosa?»
Per poco non fece un salto alto due metri quando un tizio alto e spaventoso – ancora lui? – gli spuntò improvvisamente alle spalle, con uno sguardo tutt’altro che amichevole. Si disse che era meglio sparire, prima di ritrovarsi, ancora, con le braccia colme di merce inutile.

***
 
«Tu hai qualcosa che non va.»
Non era una domanda, era un’affermazione; Romano alzò gli occhi dal foglio su cui stava elencando nomi in latino di piante ed erbe di cui neppure sapeva l’esistenza, per incontrare lo sguardo attento e perforante di Sadik che sembrava deciso a leggergli nel profondo – per qualche secondo si domandò se non fosse davvero uno stregone. Evidentemente le idee folli di Antonio sapevano in qualche modo condizionare davvero.
In assenza di altra gente disponibile, aveva accettato di aiutare il turco nel catalogare tutto ciò che teneva, per fini medici e non (da tempo ormai aveva capito che domandargli che diavolo cercasse di fare era completamente inutile).
«Perché? Sto benissimo.»
Tornò a osservare la pergamena che presentava, tra nomi sparsi di piante e ingredienti, stralci di endecasillabi in rima baciata che non ricordava neppure di aver formulato; la penna si era mossa da sola inchiostrando la pagina di versi sognanti ed illusi.
Sadik spostò fasci di erbe e contenitori di vetro pieni e vuoti, ghignando in direzione dell’italiano mentre le sue mani facevano tutt’altro. «Una donna?»
«È così evidente?» Quello non provò nemmeno a negare.
«Voi poeti siete così prevedibili.» Il saraceno scrollò le spalle e aprì una boccetta, annusandone il contenuto. «E v’incantate per cose tanto sciocche e terrene, come le donne. Sembrate imbambolati, nel pensare a quell’essere che vi ha stregato il cuore. È stupido.»
Sadik, che era sposato con la splendida figlia di un artigiano dell’est, dalla pelle bianca e i fianchi morbidi, passava le giornate chiuso in una stanza a lavorare Dio solo sapeva su cosa e non lasciava mai i suoi studi se non costretto da altri. Romano si chiese se avesse mai amato.
Punto nell’orgoglio, stava per ribattere quando il medico continuò con il suo discorso. «Eppure, anche se in maniera diversa, cerchiamo la stessa cosa.»
Gli occhi verdi del siciliano incontrarono quelli scuri e penetranti del turco.
«Quelli come me cercano la perfezione nei materiali della Terra e nel cielo, sono alla ricerca del modo di trasformare ciò che è negativo in ciò che è positivo. Voi volete la stessa cosa, ma la ricercate negli occhi languidi di una donna in cui vedete qualcosa di celeste – e i tentativi di conquistarla diventano il vostro modo di perfezionarvi. Ma c’è una sostanziale differenza» e l’alchimista assottigliò lo sguardo. «Mentre noi siamo convinti di poter un giorno raggiungere ciò a cui puntiamo… voi non ci arriverete mai.»
Per qualche secondo, Romano rimase bloccato nella posizione in cui era, con la bocca semiaperta e incapace di controbattere. Si domandò se quello fosse un modo per farlo desistere da ciò che da anni stava facendo – per un attimo capì perché l’amico faticava a sopportare quell’uomo.
In qualche modo, però, non sentì il bisogno di ribattere con quella solita scontrosità con cui si rivolgeva alla gente; segnò sulla pergamena il nome latino della pianta di cui il turco teneva in mano le radici, umettandosi le labbra improvvisamente seccate.
«Non c’è un limite al perfezionamento» borbottò, dopo pochi secondi. «Tutto ciò che dobbiamo fare, è migliorare sempre di più.»

***

e lo cor, che di zo è concepitore,
imagina, e li piace quel desio:

***
 
Antonio ridacchiò, il capo appoggiato sulla mano sinistra e le proprie poesie abbandonate sul tavolo, dolci e incomplete; Romano sbuffò, infastidito, cercando di ignorarlo.
In quegli ultimi giorni aveva scritto più di quanto non avesse mai fatto. Soprattutto, ciò che aveva scritto era… vero. Ciò che provava, le emozioni che sentiva, erano la cosa più vera che avesse mai provato.
Ridicolo, considerando che lui, con quella giovine, non ci aveva mai parlato.
«Come procede?»
L’iberico era curioso, invadente. Quella sua mania di sapere tutto ciò che riguardava l’amico – quel suo sentirsi quasi un mentore per lui – non lo abbandonava proprio mai, e l’italiano rischiò più volte di prenderlo a male parole (non che non lo avesse spesso fatto, s’intende).
«Perché non ti fai mai i benedettissimi affaracci tuoi?»
«Oh, andiamo! Non vuoi dire nulla al tuo vecchio amico?»
Romano sospirò, spazientito, e alzandosi dal tavolo prese a raccattare le proprie pergamene – se c’era una cosa che lo innervosiva di più dell’essere interrotto, era l’essere interrotto per rispondere a domande fastidiose. «Io vado» sentenziò senza tanti complimenti, dirigendosi verso la porta.
«Vai al mercato?» ghignò il compagno, ricevendo in risposta solo un ringhio seccato che non fece altro che allargare il sorrisetto sulla sua faccia.
Il siciliano lasciò la porta socchiusa dietro di sé, un “buona fortuna!” riso dall’interno della stanza che lo accompagnò tra i larghi corridoi del palazzo.
 
Andò al mercato, sì. Come faceva ormai da più di due settimane, si mise a camminare attorno alla zona dove, lo sapeva, avrebbe potuto vederla.
Con i suoi capelli dorati e il sorriso con cui si rivolgeva a chiunque, dai suoi fratelli alla gente che veniva a comprare le loro merci. L’avrebbe osservata di sottecchi e in lei avrebbe visto un angelo – uno di quelli più belli e più vicini al Signore. L’avrebbe amata, anche se lei non l’avrebbe mai saputo.
E la sera avrebbe scritto decine di poesie, alla luce soffusa di una candela e con l’immagine di un viso luminoso davanti agli occhi stanchi.
La vide che si rivolgeva a una donna di forse trent’anni, indicandole con il braccio sollevato un punto poco lontano. Si torturò le vesti con le mani, lo sguardo perso e la testa da tutt’altra parte – poi, in un lampo, vide un paio di occhi verdi trafiggerlo di colpo e una mano pallida alzarsi in un saluto timido, come di chi non è sicuro di ciò che sta facendo. Rispose alzando titubante un braccio e accennando un sorriso, incapace di comprendere se ciò lo rendesse la persona più felice del mondo o quella più confusa.
 
Manon abbassò incerta la mano, tornando a dirigersi verso il fratello impegnato a parlare con un cliente – vecchio amico, ormai. Lanciò un’ultima occhiata, di sottecchi, al ragazzo ben vestito che negli ultimi giorni vedeva così spesso gironzolare lì attorno.
Si domandò se mai un giorno le avrebbe parlato; scosse la testa, ridendo per le sue sciocche idee.
Non vide mai il rosso del fuoco divampare sulle guance del giovane poeta.

 
***

e questo amore regna fra la gente.



 



*vi supplico, passatemela. Stavo leggendo Il nome della rosa in quella fase e - lo so, non è il massimo - questa frase mi è rimasta troppo impressa XD (opportunamente modificata per questioni di coerenza(?), ovviamente)


Angolino del SÌ CAAAAVOLINI DI BRUXELLES (si parla di Belgio-), SIIIIÌ
Chiedo venia. Ma è da MAGGIO che ho iniziato a scrivere questa fanfiction, ed è rimasta in blocco per un saaacco di tempo e tipo sono finalmente riuscita a finirla piango di gioia e anche se alla fine dovesse rivelarsi una cagata ce l'ho fatta a scriverla tutta çwç *prende fiato*
E se credevo che lo scriverla fosse stato un parto il pubblicarla è stato sempre un parto, ma gemellare(?) Grazie stupido computer che non si collega ad Internet.
MA PASSIAMO ALLE COSE SERIE. Idea nata grazie a un sonetto di Jacopo da Lentini ("Amor è uno desio che ven da core", appunto) facente parte di una tenzone (discussione) sull'origine dell'amore; Jacopo (mi amor <3) sostiene che esso possa nascere solo dalla vista della persona amata, riprendendo le idee contenute nel trattato di Andrea Cappellano, il De Amore. Anche perché come fai a innamorarti di chi non hai mai visto scusa ceh. Comunque, lascio una sorta di parafrasi del testo fatta un po' alla mentula canis.
L'Amore è un desiderio che viene dal cuore, per il grande piacere [causato dalla vista della persona amata]; ed è innanzitutto dagli occhi che nasce l'amore, che viene poi alimentato dal cuore. È talvolta possibile che qualcuno s'innamori senza vedere la persona amata, ma quell'amore che stringe con passione impetuosa nasce dalla vista degli occhi: perché gli occhi mostrano al cuore il buono e il cattivo di tutto ciò che vedono, così com'è in natura; e il cuore, che accoglie ciò dentro di sé, crea dentro di sé un'immagine della persona amata, e questo desiderio gli procura piacere: e questo è l'amore che vive nel mondo.
A parte questo, sì, ROMABEL. Una delle coppie più bistrattate di questo fandom ma che la sottoscritta adora, perché non c'è niente di più bello del veder Romano interagire (in questo caso si fa per dire lol) con le signorine. Ho messo l'avvertimento OOC perché non sono sicura di come l'ho trattato c.c personalmente ce lo vedo davvero così un Roma innamorato ahah <3 
E poi, dai, si sa che Italia è un poeta dentro...da qualche parte(?) Ma ha un animo profondo, su. Ah, sì, quelli all'inizio sono accenni Prumano jaja.
Ringrazio la moglie che mi ha sopportato per gli scleri contro il computer e che dall'inizio di questa fanfiction mi ha sostenuto nel corazon <3 Un giorno invaderò il fandom con le RomaBel, sappiatelo e odiatemi.
Moi moi!

 
   
 
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