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Autore: imunfjxable    25/09/2016    1 recensioni
" I know when you're around cause I know the sound of your heart"
"So quando sei nei paraggi perché conosco il suono del tuo cuore"
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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11. you're gonna make me lonesome when you go


 

 

 

 

Le battaglie più ardue si combattono nell'intimità della nostra anima.
Edward era a casa e fissava il gesso che aveva attorno alla gamba, firmato dai suoi compagni di università, ma mancava la firma di Edith. Continuava a fissarsi il gesso bianco, ricoperto da scritte colorate tra le quali l'ironica frase di David che recitava "Ed sei un ragazzo in gamba" e pensò che forse aveva fatto più male lasciare Edith piuttosto che rompersela quella gamba, ma sapeva che l'aveva fatto per il suo bene, l'unica cosa a cui non aveva pensato era a quanto gli avrebbe fatto male dopo.

Lei era come essere presi a pugni dritti nella bocca. Continuavi a sentirla anche giorni dopo.
Ti faceva male a causa sua. La sentivi nei tuoi denti, sulle tue labbra tumefatte. Era di quella dolcezza che non si scorda. E ora, probabilmente, lei era in giro a ballare con qualcun altro. Il suo corpo dalla silhouette felina, tutte curve, tutte onde. Danzava come i raggi della luna.

Ma Edith aveva passato gli ultimi due giorni a piangere, asciugandosi contro il ruvido tessuto della felpa verde di Edward che ormai era diventata sua ora che lui non c'era più. Era rimasta seduta con il cellulare fra le mani, alternandolo prima nella destra e poi nella sinistra, in modo da poter martoriare le unghie dell'altra mentre attendeva una chiamata dalla scuola di danza in quanto Gabriella ne aveva ricevuta una, e si domandava se mai ne avrebbe ricevuta una lei, se ci sarebbe mai riuscita oppure avrebbe fallito così come aveva sempre pensato Edward. Forse avrebbe dovuto ascoltarlo fin da principio, andare all'università ed evitare di rendere così malsano il loro rapporto con i suoi capricci di bambina, con la sua eccessiva schiettezza e magari anche la troppa apprensione verso il suo (ex) ragazzo; chi sa cosa avrebbe fatto lui senza di lei.
Edith s'alzò dal letto per prepararsi un tè, e decise di uscire mentre osservava la strana danza della fiammella del gas.
Si muoveva a destra e sinistra slanciandosi in aria, un po' come lei, che cercava sempre di stare il meno possibile con i piedi per terra.
Prese una tazza e giocò con l'orlo di questa, facendo passare i suoi polpastrelli sulla ceramica mentre l'acqua bolliva lentamente.
Quando finalmente posò le labbra sulla tazza blu bevendo un sorso del suo tè, sospirò profondamente. Si sentiva più libera, e non capiva se fosse solo l'assenza di Edward o la solitudine in sé.
Il confine tra libertà e solitudine è così labile.
Ma Edward aveva ragione, anche se le mancava. Non erano semplicemente adatti l'uno a l'altra, lei che aveva sempre voglia di lottare, lui che aveva già perso troppe volte e si rifiutava di incassare l'ennesima misfatta. Eppure s'erano amati così tanto, ma non era bastato; anzi, era stata quella la loro vera e propria rovina, l'eccessivo guardarsi, il troppo contatto, non sapevano stare l'uno senza l'altro e la fiamma della loro passione aveva finito per bruciarli.

Matty iniziò a scuotere Adam per le spalle violentemente, in modo da farlo svegliare.
«Hann! Non puoi dormire sul posto di lavoro cazzo, non voglio che anche tu venga licenziato»
Adam aveva il capo reclinato all'indietro sulla scomoda sedia della biglietteria, fortunatamente ancora vuota a quell'ora (non sarebbe certo stato un bello spettacolo trovarsi un dipendente assonnato davanti), aprì gli occhi stropicciandoli e si giustificò con Matty spiegandogli che era rimasto con Devonne all'ospedale per fare compagnia a Roxanne, e che poi Edith gli aveva dato il cambio questa mattina.
«È ancora li?»
«Edith? Non credo, ormai è quasi ora di pranzo, sarà andata via»
«Voglio un biglietto, sai per la gallery»
«Ti arrenderai mai?» gliel'aveva spiegato all'ospedale del suo problema, di quella dannata voce, di come aveva creduto che fosse Océane e invece si era sbagliato.
Matty semplicemente alzò le spalle facendo ridere Adam che gli consegnò il biglietto, e lo seguì con lo sguardo fino a quando Matty non iniziò a salire le scale e non lo vide più.

Giunto sopra, si sedette per terra. Restò li ad aspettare e basta, restò li fino alle quattro e mezza di pomeriggio a chiedersi cosa avrebbe dovuto dire ad Edith quando l'avrebbe sentita, se mai l'avrebbe sentita ancora una volta.
E a quanto pare non doveva sentirla, perché non c'era nessuna persona che recitasse Ginsberg o Burroughs o altro, solo mormorii confusi, parole sconnesse e due innamorati che erano stati circa più di trenta minuti a bisbigliarsi "ti amo".
Si alzò, deluso e stanco, e decise di andare direttamente da lei.
Iniziò a camminare quando vide Océane, con il suo solito jeans blu chiaro sbiadito e consumato, che trascinava una valigia, tenuta per il manico dalle sue dita sottili che spuntavano discretamente dalle maniche del maglioncino grigio. Nell'altra mano aveva una bustina di plastica, con un pesciolino dentro. Era Mia.
Matty si avvicinò a lei che gli sorrise, abbracciandolo.
«Che ci fai qui?» le chiese tenendole ancora le mani.
«Sono venuta a salutare Xavier. Torno in Francia. E gli lascio Mia» spiegò indicandola mentre nuotava nella sua bustina.
«Non ti piace l'Inghilterra?» scherzò Matty, e lei arrossì un po', gli sarebbe mancato.
«Mi piace, ma mi manca la mia Parigi. Mi manca il mio sole parigino, soprattutto con questo tempo» e alzò gli occhi indicando la trifora della gallery, dalla quale il cielo plumbeo sbucava timidamente, quasi come fosse un intruso; un cielo eccessivamente arzigogolato nell'austerità rinascimentale della cattedrale.
«E mi manca il mio cibo» concluse facendo ridere Matty nuovamente.
«Anche a me piacerebbe andare a Parigi» si fermò «di nuovo»
«Non mi avevi detto di esserci stato» aggiunse lei sgranando gli occhi con aria quasi sognante.
Matty si morse il labbro, stringendo il pacchetto di sigarette nella stanca del suo pantalone nero.
«In realtà non ci sono mai stato. Eppure quando stavo con una delle mie vecchie fidanzate, avevamo progettato questo viaggio, e ci siamo stati così tante volte nelle nostre menti, che è quasi come se ci fossimo stati veramente»
«Forse non vuoi andare a Parigi, vuoi solo tornare da lei»
«No, credo che ci sia un motivo se le cose finiscono»
«Già. Prima o poi finisce tutto»

Annuì.
«e Edith? Finirà anche con lei?»
«Ma con Edith non è ancora iniziata, e dubito che lo farà»
«Perché dici così?»
«Vedi Océane io non riesco a resistere in una relazione, ho bisogno della mia libertà, l'etichetta di fidanzato mi sta stretta. Se fossi stato normale, tra me e te ci sarebbe stata una bellissima relazione, ma non è stato così: ed è stato a causa mia. Ho solo bisogno di preservare la mia solitudine»
Océane si guardò le scarpe nere per una manciata da secondi per pensare a cosa rispondere, sapeva sempre usare le parole giuste, e ora ne era il momento.
«La capacità di essere solo coincide con la capacità di amare. Potrebbe sembrarti un paradosso, ma non lo è. È una verità esistenziale: solo coloro che sono capaci di essere soli sono capaci di amare, di condividere, di penetrare nelle parti più profonde dell'altro- senza possederlo, senza diventare dipendenti, senza ridurlo ad un oggetto, e senza diventarne ossessionati»
Matty si guardò le scarpe nere per una manciata da secondi per pensare a cosa rispondere, non sapeva sempre usare le parole giuste se non quando si riducevano a un pezzo di carta e a una penna.
Océane lo abbracciò e lo salutò un'ultima volta, prima di andare verso Xavier che era appena arrivato.
«Ci vediamo a Parigi, Matty»

Dopo la lezione di danza, Matty aspettò Edith fuori allo spogliatoio, rollando un drummino.
Uscirono in silenzio e poi Matty le chiese come stesse, e se le mancasse Edward. Edith rispose con calma, sorridendo come sempre.
«ora sto bene. I primi due giorni stavo male, ma ci ho riflettuto, e so che quello che ha fatto l'ha fatto per me. Hai visto quanto eravamo diversi, io con il mio spirito selvaggio, nomade. Ho solo fatto di lui la mia stella polare, nel cielo in cui mi ero persa. È servito a nutrire il mio ego, non la mia anima»

Allen scodinzolava felice mentre guardava Matty versare nella sua ciotola i croccantini, eppure notava che il suo padrone era più nervoso del solito, probabilmente a causa dell'estranea figura femminile al suo fianco, ma non se ne preoccupò più di tanto quando finalmente riuscì ad impossessarsi del suo cibo.
«Vuoi cenare qui?» e Edith annuì.
«Ti manca lavorare alla gallery?»
«Tanto. Ma suonare non mi dispiace, anzi»
Silenzio.
«però mi è dispiaciuto andarmene da li prima di poterla sentire ancora»
«Chi?»
«una ragazza. Parlava nella gallery e recitava le poesie della Beat, ho pensato fosse Océane, per questo sono stato con lei qualche giorno. Ma invece mi ero sbagliato. Però poi ho capito, perché nascondi l'accento cockney?»
«Eri tu che mi hai risposto quando recitai Poesia di Kerouac» Edith sbandò, spaventata, con gli occhi bassi, ricoperti di vergogna, come se lui avesse scoperto il suo segreto più intimo, come se lei gli avesse messo allo scoperto la sua anima, e non avrebbe dovuto.
Matty le prese la mano, e intrecciò le sue dita con quelle della ragazza che non aveva ancora detto nulla.
«Hai sentito tutto, fino a quando non sei stato licenziato»
«Già. E pensare che sei stata tutto questo tempo vicina a me. Quando ti ho sentita avevo capito che volevo conoscere quella ragazza, dovevo»
«Ora mi hai qui davanti. Cosa pensavi di fare dopo che mi avresti trovata?»
«Non ne ho idea»
Edith alzò gli occhi al cielo.
«Come hai fatto a riconoscermi solo dalla voce?»
«Faccio caso ai dettagli» fece spallucce «dalla voce, e dal tatuaggio»
«quale tatuaggio?»
«quello che hai sotto al guanto. Deve essere per forza li, quello che hai con Roxanne»
«Noti proprio tutto eh? Per un giorno che non ho indossato questo dannato coso»
«puoi anche toglierlo ora»
Edith scosse il capo, e Matty non ci diede troppo peso.
Prese una sigaretta e la mise in bocca accendendola.
Edith lo guardò, e pensò che se fosse stato Edward, la sigaretta l'avrebbe offerta prima a lei, ma li c'era Matty, con il suo volto scavato, dal fascino quasi tenebroso, bello, anticonformista e triste come le poesie di Ginsberg, e forse non le sarebbe nemmeno dispiaciuto vederlo accanto a lei.
Si alzò e si poggiò sul bordo del lavello accanto a lui, rubandogli la sigaretta, sporcandola di proposito con il rossetto rosso, proprio come la prima sera che si erano incontrati.
Matty rise scuotendo il capo, dicendole che odiava così tanto il rossetto rosso sulle ragazze.
Edith gli diede di proposito un bacio a stampo, per lasciarlo su di lui.
«Che schifo!» urlò cercando di pulirsi, sorpreso dal gesto di Edith. Anche lei era sorpresa e si leccò un po' le labbra, si sentì quasi tremare quando capì che il sapore di Edward sarebbe andato via, e un altro avrebbe preso il suo posto; forse quello di Matty. E che poi anche quello di Matty sarebbe andato via, continuando così all'infinito, perché tutto finisce prima o poi.
Matty la fissò dritto nei suoi bellissimi occhi marroni che raccoglievano qualsiasi sfumatura- proprio come le aveva detto quella volta- e capì esattamente a cosa stava pensando.
«Edith lo so che tu ed Edward siete stati tanto assieme. Prenditi il tuo tempo»

 

AYEEE.
Ritardo.
Scuola.
Ritardo.
Zero ispirazione.
Come facevo a ripartire con un capitolo come quello precedente? (Grazie a Federica che ci ha trovato un barlume di speranza dentro)
Spero che questo sia più o meno decente. Ah, probabilmente è il penultimo capitolo. Sicuramente dopo questo ce ne sarà un altro (o altri due)
Intanto volevo avvisarvi che sarò costretta ad aggiornare davvero molto più in ritardo per quanto riguarda il prossimo capitolo poiché martedì dovrò sottopormi ad un intervento (è una cretinata don't worry) ma non potrò fare movimenti con le braccia/mani e non ho idea di come farò a scrivere piango.
Un ringraziamento speciale a pi8f come al solito e a tutte voi, al prossimo capitolo. Qualcuna va a vedere i ragazzi l'8 a Milano?💙

   
 
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