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Autore: Voglioungufo    25/09/2016    2 recensioni
"Non andartene"
“Devo. Questo non è il mio posto”
“Può diventarlo. Resta, ti prego”
“Perché? Perché dovrei restare?”
“...perché ti amo”
[..]
“Tornerò a prenderti” le promise alzandosi anche lui “Tornerò indietro”
“Nessuno trova quest’isola due volte” replicò mestamente “Non ci rivedremo mai più”
|SasuSaku| What if?| Calypso!Sakura| Ulisse!Sasuke|
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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Piccola mappa per facilitare la lettura:
Questa storia non è propriamente un’AU, ma una What if? Ovvero, la storia è esattamente quella del manga dall’inizio alla fine ed è in quel mondo con la differenza che nel Team 7 non c’è mai stata Sakura.  
Secondo la mitologia greca Ogygia era l’isola della ninfa Calypso, lei era imprigionata lì e non poteva scappare. Quando Ulisse naufragò in quell’isola la dea se ne innamorò e lo trattenne per sette anni –se non sbaglio – finché non fu costretto a lasciarlo andare. In questa storia io ho visto un’analogia con Sakura. Nel senso, lei nella prima serie ha tentato di trattenere Sasuke con il suo solo amore, ma alla fine questi è andato lo stesso dalla sua Penelope (ovvero la vendetta).
In questa storia Sakura è Calypso, la ninfa di Ogygia, e non è mai comparsa nella storia canonica. In un momento imprecisato della seconda seria –probabilmente dopo che Sasuke ha ucciso Orochimaru – per qualche ragione naufraga anche lui ad Ogygia dove Sakura/Calypso lo soccorre e l’aiuta. Il resto, dovete leggerlo.
Spero che la spiegazione sia chiara.
 
   

OGYGIA
Nessuno trova quest’isola due volte
**
“She dreams for love
Bright lighst, big city
He lives to run”
(Thirty seconds to Mars – Bright Lights)
 
 
 
 
Il sole non c’è, e nemmeno la luna. I due astri sono stati rapiti o forse nascosti da pennellate pesanti di grigio. Questo è il colore del mondo attorno a lui: grigio.
Non si può capire se sia giorno o notte, non un misero indizio può fargli capire cosa sia quella landa desolata che davanti a lui si apre sconfinata, infinita in un modo che quasi mette paura. La sua immensità ti schiaccia perché lì ti rendi conto di essere piccolo, fragile, inutile all’universo.
Eppure, contro ogni logica, Sasuke non ha paura. Non sa dove sia, che giorno sia, quanti anni abbia, come ci sia finito lì, perché, quando, non sa nemmeno di che colore siano i suoi occhi; lui non sa niente. Non sa nulla e non ha paura, ha solo un brivido di aspettativa. Non sa cosa sta per accadere ma è pronto ad accoglierla.
La terra è fredda e bagnata e fangosa come se avesse piovuto a lungo, eppure non ricorda la sensazione della pioggia che picchietta sulla pelle. Forse, più semplicemente, quella terra ha sempre grondato acqua come un animale ferito e sanguinante. Forse, ancora più semplicemente, certe cose non hanno bisogno di una spiegazione. Oltre quella terra scura, bagnata, fredda, immensa non c’è altro.
C’è solo lui.
E quella consapevolezza lo svuota da ogni emozione: è solo. Sono andati via tutti, è rimasto solo lui. Ma tutti chi? E perché sono andati? Può ancora raggiungerli?
Inizia a correre, il fango che pesta fa un rumore bagnato e scivoloso, cambia direzione, corre più forte e grida ma in quella terra infinita non cambia nulla e sembra che stia correndo sempre nello stesso punto. Ovunque si volti vede lo stesso identico paesaggio nero di prima come se nulla possa cambiare per quanto affannosamente cerchi il contrario. È come se tra  la terra e il cielo vi fosse il nulla e lui è finito proprio in mezzo, nel luogo dove non scorre nemmeno il tempo.
Non c’è nemmeno il vento.
Cade a terra e si distende sporcandosi di terra umida  che gli bagna il volto, non ha corso molto ma si sente stanchissimo. E vuoto.
Poi nel profondo di quell’empietà inizia a ribollire uno strano sentimento, quello che sta alla base di ogni cosa e che cresce man mano che guarda quel non-cielo disteso sulla non-terra. È odio, un odio sconfinato tanto quanto quella valle e privo di limiti che scorre nelle sue vene come un veleno che consuma lentamente la sua vittima. È un lampo, una consapevolezza improvvisa che in realtà è sempre stata sopita dentro di lui per tutto il tempo. Una cosa primordiale che gli è stata trasmessa al sicuro nel ventre materno, un odio che ha succhiato dai seni della vita. Un odio particolare, vicinissimo all’amore e per questo ancor più distruttivo.
Odia Itachi.    
Chi sia Itachi e perché lo odi così tanto non riesce a ricordarlo. Sa solo che è giusto così, sa solo che deve ricominciare a correre in quella valle per raggiungerlo e serrare le sue dita sul collo cereo di colui che odia. Odia Itachi. Odia Itachi.
 
“Sas’ke”
Una voce risuona in quella valle mortale e si alza di scatto sentendo un’altra presenza, un’altra persona incatenata come lui in quel luogo di violenza e silenzio. È lontano, lontanissimo, sembra nell’altra parte del mondo, completamente opposto a lui ma riesce comunque a vederne ogni dettagli come se fosse vicino a lui. Come se fosse il suo specchio. Eppure Sasuke è certo di non avere gli occhi così innaturalmente blu, i capelli biondi e un volto bambinesco e graffiato. Lo sta guardando e sorride sereno come se non gli importasse di trovarsi in una terra gelida che trasuda odio e oscurità. Il fatto di poter guardare Sasuke sembra bastargli e il suo sorriso gli dice che gli basterebbe anche se fossero all’inferno.
Non riesce a capire se odia anche lui, non riesce nemmeno a ricordare il suo nome e questo in qualche modo fa male perché sente che è importante. È importante davvero. E forse deve ucciderlo.
“Torna indietro, Sas’ke” dice invece il ragazzo biondo tenendo la mano verso di lui.
È lontanissimo, non dovrebbe sentire così chiaramente la sua voce e non dovrebbe nemmeno riuscire a distinguere ogni sfumatura di celeste in quegli occhi grandi e ingenui. E una persona con un sorriso del genere in un posto così orribile non dovrebbe nemmeno esistere. Non lo vede che c’è solo grigio, erba, infinito e nulla? Non vede che lì c’è solo odio?
“Noi due saremo amici per sempre” continua l’altro ragazzo e ha il tono delle promesse “Noi due siamo amici”
E Sasuke serra gli occhi ormai stanco, consumato dai dubbi e da quell’odio vorace che continua a infiammargli il petto e che non sembra intenzionato a placarsi. Continuerà a divampare finché nella sua distruzione non avrà portato anche sé stesso. E non sa perché, non sa nulla.
Sa soltanto che è solo.
Sa soltanto che odia Itachi.
Sa soltanto che quel ragazzo è il suo solo e unico amico.
Sa solo questo.
“C'è solo questo” ripete nell’oscurità dietro le palpebre serrate mentre sente la sua coscienza scivolare via come in un sogno.
*
Si svegliò con la sensazione di star bruciando vivo, la pelle scottava e la sua gola era secca come sabbia. Pensò: sono morto. La terra piena di odia e rancore era solo l’anticamera dell’Inferno. Poi scorse un lembo di cielo azzurro, così chiaro da ferire lo sguardo, e degli alberi. C’era profumo del ginepro, del cedro di altre piante, sentiva il gorgogliare delle fontane e il cinguettare degli uccelli. Udì anche il suono della risacca e delle onde che lambiscono gli scogli. Sbatté gli occhi più volte cercando di mettere a fuoco  dei particolari ma davanti a lui continuava vorticare quel caleidoscopio di colori. Cercò di mettersi a sedere, ma sentì i muscoli mancare la forza.
“Resta giù” ordinò la voce di una ragazza da qualche parte alle sue spalle “Sei ancora troppo debole”
Una pezza fresca gli fu posata sulla fronte, e qualcosa di umido sulle labbra secche. Era un liquido dolce che ricordava il miele e tante altre cose belle. Poi iniziò a cantare e il dolore scomparve, le sue palpebre si appesantirono, sembrava una magia.
“Chi..?” gracidò inclinando la testa.
“Shh, riposa”  rispose lei. E poi il buio tornò a inghiottirlo.
 
*
Quando si risvegliò di nuovo scoprì di essere in una grotta e la stanchezza era sparita. Fissò il soffitto dove stavano incartonati cristalli dai colori candidi e violetti perplesso, poi ruotò la testa per fissare il resto dell’ambiente. Era disteso su un comodo letto fra cuscini di piume e stoffe morbide e cangianti e la grotta sembrava essere stata adibita ad abitazione. A ridosso di una parete frastagliata stavano un telaio e un’arpa, mentre lungo un’altra si stagliavano scaffali pieni di conserve e dal soffitto pendevano erbe aromatiche ad assicare che spandevano odori contrastanti nell’ambiente. Pensò che sua madre sarebbe stata in grado di distinguerle tutte, rosmarino, timo, basilico...
C’era anche un caminetto ricavato in una rientranza nella roccia dove scoppiettava un placido focolare.
Cercò di mettersi a sedere ignorando il pulsante mal di testa che gli stringeva le tempie in una morsa dolorosa e si guardò il corpo sicuro di vederlo arrossato a martoriato da orribili cicatrici di numerose battaglie. Invece la sua pelle era liscia come quella di un bambino e pallida, per nulla arrossata; indossava una maglietta di cotone a maniche corte  bianca e dei pantaloni del medesimo colore e materiale tenuti stretti alla vita con un nastro di corda. Non erano suoi e aveva i piedi nudi.
Pur con una certa difficoltà si alzò, il pavimento era gelido e la testa gli diede qualche capogiro, strizzò più volte gli occhi. Si voltò e notò uno specchio di bronzo levigato incastonato nella roccia; si avvicinò riconoscendo a malapena il riflesso del suo volto. Gli zigomi spigolosi e le guance incavate davano l’idea che avesse perso dieci chili, i capelli neri erano scompigliati sulla sua testa come piume di un corvo arruffato, delle occhiaie violacee gli coloravano la pelle sotto gli occhi neri e una leggera barba scura gli ombrava il mento. Ma la cosa più spaventosa era il suo sguardo, quello di un pazzo, di un naufrago che ha visto la morte in faccia.
Si allontanò dallo specchio incapace di sottostare alla propria vista e puntò verso la luce del giorno alla sua sinistra, verso l’uscita. La grotta si apriva su un prato verde alla cui sinistra si stagliava un boschetto di piccoli cedri e alla sua destra un coloratissimo giardino fiorito. Quattro fontane gorgogliavano sul prato verde con l’acqua che zampillava dai satiri in stile classico, per nulla orientale. Davanti a lui un sentiero scivolava fra l’erba tagliata corta verso una spiaggia rocciosa.
Una ragazza stava seduta sulla sabbia calda sotto il sole, doveva essere la persona che lo aveva salvato. La raggiunse lentamente con le gambe che ancora tremavano ad ogni passo, quando il sentiero compatto lasciò posto alla sabbia dovette fare attenzione a mantenere l’equilibrio. Quando rialzò gli occhi la ragazza si era voltata verso di lui. Aveva gli occhi a mandarla di un verde vivissimo, come lo smeraldo, incorniciati da lunghe ciglia chiare che le sfioravano le guance pulite quando sbatteva le palpebre; i capelli erano di un insolito rosa pastello tagliati corti, poco sopra le spalle, che le scivolavano sulla fronte larga come piccoli petali di ciliegio. Era difficile stabilire la sua età, quindici, sedici, vent’anni? Era uno di quei visi che sembrano essere immuni allo scorrere del tempo. Aveva un fisico snello e androgino che si intravedeva sotto la tunica bianca, nello stile greco, senza maniche e una cintura in cuoio a stringerle la vita sottilissima. Si asciugò gli occhi come se avesse appena pianto.
“Il dormiente si è svegliato” esordì con un sorriso sforzato, aveva una dolce e particolare incrinatura della voce, come se stesse cantilenando una ninna-nanna.
“Chi sei?” domandò con la voce roca dopo il lungo sonno.
“Sono Sakura”
“Per quanto tempo sono rimasto svenuto?”
Lo sguardo di Sakura si accigliò, una piccola ruga si formò fra le sopracciglia “Tempo” rifletté come se fosse una parola mai sentita “Il tempo scorre in modo strano in quest’isola. Onestamente, non lo so, Sasuke”
Il moro si fece vigile. “Come conosci il mio nome?”
Scrollò le spalle continuando a guardarlo con quella dolce malinconia negli occhi verdi. “Parli nel sonno. Chi sono Itachi e Naruto?” domandò invece.
Non sapeva dirlo con certezza, era sicurissimo di conoscerli e sapeva che erano anche importanti –in modi simili e diversi – ma mentre guardava quel viso senza tempo le parole gli sfuggivano dalla lingua e la mente gli si annebbiava come se ricordare non fosse importante. “Mio fratello e... il mio unico amico” rammentò a fatico come se stesse acciuffando brandelli di sogno “Come sono arrivato qui? Dove sono?”
Sakura lo guardò indecifrabile, poi allungò una mano verso il ragazzo sfiora dogli il viso e poi gli scostò i ciuffi neri che ricadevano sulla fronte. Si scostò, nervoso, e quello parve ferire la ragazza.
“Scusami” mormorò ritraendo la mano al petto “Mi sono abituata a prendermi cura di te” sospirò “Sei caduto dal cielo, ti hanno portato qui le onde del mare. Non so come tu sia sopravvissuto. Ti trovi ad Ogygia, adesso”
“Ogygia” ripeté cercando di collegare le informazioni “Dove si trova? È vicina alla Terra del Fuoco?”
Mentre lo chiedeva Sakura si era alzata, rise brevemente con lo sguardo puntato sul mare scintillante. “Ogygia è vicina a qualunque angolo della terra. È un isola fantasma, esiste ovunque ma allo stesso tempo non c’è in nessun luogo”
Aveva un bel sorriso, diventava molto carina ma anche tanto triste. Era uno strano controsenso.
“Devo andare” disse con decisione, quello lo sapeva molto bene. Doveva fare qualcosa, era importante. Doveva andarsene.
Sakura scosse la testa sconsolata e si incamminò verso il sentiero, cercò di starle dietro ma ogni passo era difficile e pesante.
“Devo andare” ripeté e lei ancora scosse la testa.
“Non ora, devi riposare” si voltò a guardarlo. Aveva gli occhi liquidi. “Sei stanco”
E appena lo disse sentì le ginocchia cedergli e sarebbe caduto a terra se Sakura prontamente non lo avesse stretto. Non capiva se dispetto alle apparenze era davvero molto forte o solo lui troppo provato.
“Riposa” gli ordinò con voce dolce, materna, accarezzandogli i capelli. E lui si addormentò aggrappandosi al suono ridente della risacca e al profumo fiorito dei capelli di Sakura.
 
*
La terza volta che si risvegliò era ancora nella grotta ed era notte, una tiepida arietta estiva spirava da fuori. Non sapeva dire se fosse la stessa notte o se ne fossero passate molte mentre dormiva una dopo l’altra.
Lentamente si alzò abbandonando la pancia della grotta, il cielo blu era privo di nuvole e pieno di stelle. Riusciva a riconoscere tutte le costellazioni che suo fratello gli aveva insegnato; in quel momento tutti i ricordi si erano incastrati al loro posto e capiva tutto chiaramente. Doveva uccidere Itachi, era quella la sua ambizione. Doveva assolutamente abbandonare quell’isola per eliminare Itachi esattamente come lui aveva distrutto la loro famiglia. E poi? Poi non lo sapeva, tornare da Naruto, alla Foglia, pareva una buona idea ma ormai era un ninja macchiato di tradimento e non sarebbe mai stato accolto a braccia aperte. Una volta ucciso Itachi, si sarebbe lasciato morire divorato dal proprio odio.
Ricordò il sogno e Naruto che gli tendeva la mano. Saremo amici per sempre. Era una bella bugia alla quale gli sarebbe piaciuto credere.
Devo uccidere Itachi, mi dispiace.
Mosse qualche passo per il sentiero deciso a trovare un modo per abbandonare quell’isola.
“Cosa stai facendo?”
Sussultò quando sentì la voce di Sakura alle sue spalle. Aveva i capelli rosa tirati all’indietro da un cerchietto argentato e le mani sporche di terra umida.
“Stavo...” sbatté le palpebre mentre vedeva quel volto pulito avvicinarsi a lui. Nella sua giovane vita aveva visto molte donne bellissime, ma Sakura le superava tutte. Era bella in una semplicità disarmante e innocente. “Non me lo ricordo” si accorse. Anche il dover andare via non sembrava più importante, la sua mente si era ancora una volta riempita di nebbia.
La ragazza fece un sorriso gentile. “Aiutami” chiese solo. Lo superò andando in mezzo al giardino pieno di fiori, si accucciò su un quadrato di terra nera iniziando a piantare le radici di un piccolo fiore blu.  “Questo fiore lo si può piantare solo di notte”
La studiò curioso. “Che cosa fa?”
“Come?” non capì “Vive, cresce e mi regala bellezza. C’è qualcosa di più importante?”
Sasuke pensò che a Konoha i fiori venivano usati dai ninja solo per le particolarità curative, importava solo se fossero utili o no alle missioni. “Suppongo di no” rispose invece non trovando come altro ribattere.
“Amo il mio giardino” gli sussurrò fissando con adorazione i piccoli petali dei fiori che sbocciavano stagione dopo stagione attorno a lei. Sembrava una regina delle fate.
Il moro ricordò che quando era piccolo sua madre gli trasmetteva la stessa sensazione quando curava il giardino, ne avevano uno piccolo e lei se ne prendeva cura. Non li coltivava perché fossero belli, ma perché servivano in cucina o ai ninja, ma era comunque amorevole quando lo faceva. Adesso quel giardino era insecchito e privo di colori, morto come il resto del suo clan e privo dell’amore di sua madre come lui.
“A Oka-san piacerebbero molto” costatò senza rendersene conto. Era strano, in quell’isola riusciva a ricordarsi della sua famiglia, ma non riusciva a ricordare quello che c’era dopo.
“Puoi portargliene uno, se vuoi” gli promise.
“Non posso”
“Perché?”
“E’ morta”.
Silenzio. Sakura sfiorò un petalo del fiore.
“Potresti piantarlo tu, per lei. Nel vostro giardino”
“Non posso” ripeté chiudendo gli occhi, ricordò la terra morta e bruciata del quartiere Uchiha gronda di sangue “Non ho più un giardino. Non posso più averlo” aggiunse rendendosi conto che non aveva nemmeno una casa dove tornare.
“Che cosa triste” costatò girandosi verso di lui, sembrava che la cosa le dispiacesse davvero “Sapevo che il mondo fuori fosse cambiato dall’ultima volta che ci sono stata, ma non immaginavo che la gente non potesse più avere un giardino”
“Da quanto tempo non lasci quest’isola”
“Tempo” ripeté indecifrabile. “Te l’ho detto, il tempo è strano qui. Ma da molto, troppo tempo non posso abbandonare questo luogo” si pulì le mani sulla stoffa bianca della tunica ellenica e si alzò, una ciocca rosa le scivolò davanti al volto.
Baciata dai raggi delle stelle sembrava uno di quei fiori, era bella e luminosa e candida. Così innocente, il contrario di lui.
“Perché non puoi?” le domandò avido di risposte.
Il suo sguardo si perse lontano. “Tanto tempo fa, quando ancora non esistevano i ninja e una sola Dea, la Dea Coniglio, governava questa terra ci fu una ribellione: i suoi figli tentarono di ucciderla perché era malvagia. Mio padre si schierò dalla parte della Dea, ma vennero sconfitti e io, come punizione, venni esiliata in questa terra senza possibilità di scappare”
Sasuke la guardò meravigliato mentre Sakura riprendeva la parola. “Ogygia è la mia casa, la mia terra natia. Ma è anche la mia prigione, sono costretta in questo luogo. Non potrò mai più vedere il mondo esterno. È la mia punizione”
“Questo è ingiusto!” sbottò Sasuke indignato “Tu non sei tuo padre, non hai la sua colpa. Solo perché siete parenti non significa che tu sia stata dalla sua parte”
Sakura si fermò, poi replicò: “Io sono stata dalla sua parte. È mio padre”
“Cosa?! Ma hai detto che sosteneva una Dea malvagia”
Lo sguardo verde era pieno di un dolore semplice. “Ma era la mia famiglia” lo disse come se bastasse quello a spiegare ogni cosa, come se fosse la soluzione.
Pensare a Itachi era difficile vicino a lei, ma questo non gli impediva di ricordare cosa aveva fatto lui alla loro famiglia. Voleva appunto ribattere ma la rosa lo precedette.
“Il Bene e il Male sono il nulla davanti alla volontà dei sentimenti umani” si girò a guardarlo, aveva gli occhi più tristi e belli che avesse visto.
“Che c’è?” sbottò a disagio.
Ma scosse la testa, poi sparì in mezzo ai fiori lasciandolo lì sotto la luce delle stelle.
*
Sasuke non sapeva dire con certezza quanto tempo fosse passato, quello che Sakura gli aveva ripetuto era vero: il tempo lì scorreva in modo strano. Potevano essere passati anni come pochi giorni e lui non avrebbe saputo rendersi conto della differenza. In quell’isola tutto sembrava immutabile.  Era un paradiso meraviglioso ma sapeva di doversene andare, la pressione del suo odio per Itachi cresce ogni secondo e sapeva che non avesse soddisfatto il suo bisogno di uccidere sarebbe esploso. Ne sarebbe stato succube per sempre. Ma era ancora tanto debole e non riusciva a stare sveglio per molto tempo prima che la debolezza gli prendesse gli arti facendolo dormire per molte ore. Sakura si prendeva cura di lui con pazienza e dolcezza senza chiedergli mai nulla in cambio. Si sentiva a disagio con quella ragazza, la sua timida forza gentile lo facevano sentire nervoso e quando spariva il suo odio per il fratello aumentava sempre di più. Vicino alla rosa si placcava ma tornava sempre, ad ondate, insieme ai ricordi e alla consapevolezza che doveva andarsene da lì.
Quando stava meglio usciva sempre nel giardino, si metteva sempre all’ombra di qualche albero mangiando una mela e sfogliava le figure di certi libri. Nella grotta ne aveva trovati tanti ma erano scritti in uno strano alfabeto elegante e rotondo che non conosceva e non poteva fare altro che fissare le immagini colorate che si alternavano con quelle parole straniere. Altre volte guardava Sakura lavorare nel suo giardino, piantando e strappando fiori, non sembrava spaventata all’idea di sporcarsi e questo era una cosa che apprezzava molto. Ogni volta che con lei iniziava l’argomento “devo andare” sulle sue labbra compariva un sorriso triste e gli ripeteva “non ora, sei ancora troppo debole”.
Sasuke aveva la sensazione che in quell’isola sarebbe rimasto incatenato per sempre.
Iniziò a costruire una zattera sulla spiaggia con i tronchi degli alberi morti, Sakura lo guardava sempre in silenzio con gli occhi un po’ umidi.
“Non puoi andartene” gli disse, quel giorno sembrava una ragazzina, una piccola bambina con gli occhi tristi di una donna.
“Devo. Questo non è il mio posto”
“Può diventarlo. Resta, ti prego”
“Perché? Perché dovrei restare?”
“...perché ti amo”
Sasuke smise di lavorare, si fissò le mani nervoso poi si girò verso la figura vestita di bianco. Quella mattina un leggero vento soffiava scompigliando la chioma chiara di Sakura e le asciugava le lacrime dal viso. “Sei ridicola” borbottò riprendendo a lavorare deciso a ignorarla.
“Se restassi potrei renderti felice” balbettò lei.
“Non ho bisogno di questo”
“Allora di cosa? Di cosa hai bisogno?”
Sasuke si alzò di scatto lasciando il lavoro che stava compiendo e si girò a fronteggiarla, era più alto di lei e i suoi occhi erano spaventose, ribollivano di rancore.
“Di odio”
Sakura si tirò indietro, tirando su con il naso. Aveva le ciglia umide. “Questa è l’unica cosa che non posso donarti”
*
La prima volta che provò ad andarsene con la zattera un’onda enorme l’abbatté e lui fu rigettato sulla sabbia di quell’isola. Non si scoraggiò e creò un’altra imbarcazione. Il risultato fu il medesimo.
Sakura non ne sembrava sorpresa e ogni volta la trovava ad aspettarlo con la richiesta di restare ma lui non poteva e riprendeva a costruire zattere quante il mare le distruggeva. Finché un giorno non esplose e si diresse all’interno dell’isola dove trovò Sakura tra i fiori, appena lei lo vide si adombrò.
“Smettila!” sputò il ragazzo contro di lei “Smettila, strega! Lasciami andar via”
“Non posso” ribatté debolmente “Io ti amo!”
“Ma io no!” replicò duro, gli occhi neri che lanciavano saetta “Lasciami andare”
“Non posso” rispose ancora, poi aggiunse. “Perché non puoi lasciarti amare?”
“Io devo uccidere Itachi!”
Scosse la testa “No, tu vuoi lasciarti consumare dall’odio”
Sasuke digrignò i denti e furioso distrusse una pianta di rose, delle spinse si ficcarono sulla sua pelle facendolo sanguinare; negli occhi della ragazza si accese subito una luce di preoccupazione.
“Io non voglio stare qui” sospirò ancora Sasuke guardando i rivoletti di sangue rosso scivolare lungo il suo polso “Lasciami andare”.
*
 
 Sasuke si rifiutava di tornare a dormire nella grotta e una sera fu Sakura a scendere alla spiaggia davanti al focolare che il moro avere acceso. Le fiamme danzavano sul suo volto illuminando gli occhi di un calore rossastro.
“Vattene” le intimò ma lei non lo ascoltò.
“Perché ti importa così tanto tornare? Ti aspettano solo dolori e sofferenze, qui potresti essere al sicuro”
“Perché è quello il mio posto” replicò.
“Se scegli di restare, diventeresti immortale” lo informò “Diverresti insieme a me il re di quest’isola”
“Un’isola prigione?” domandò sarcastico “No, preferisco essere libero in un modo di dolore che prigioniero nel mio regno”
Sakura davanti a quell’affermazione rimase in silenzio. “Ti prego, resta” lo supplicò “Non lasciarmi sola”
Sasuke fissò quella magra figura che per tutto quel tempo si era presa cura di lui e, nonostante tutto, non riuscì ad odiarla. Lo riempì solamente di tristezza.
“Potrei provare a renderti felice” singhiozzò ancora lei “Ti prego, resta” lo diceva come una cantilena.
Il moro allungò il braccio verso le sue spalle e la strinse contro di sé in un goffo abbraccio e la ragazza finalmente scoppiò a piangere; le baciò i capelli perché era piccola e fragile e stava piangendo per colpa sua. Ma lui non poteva consolarla, non sapeva come si faceva.
“Potresti venire con me” sussurrò aspirando il suo profumo di fiori. “Potresti abbandonare questo luogo”
Lei scosse la testa contro il suo petto. “Non posso” singhiozzò “La zattera ci riporterebbe in quest’isola perché io non posso scappare. Questa è la maledizione”
“Troveremo un modo” le promise “Ti porterò nel mondo fuori e potrai piantare tu il mio giardino”
Sakura negava sconsolata. “Perché non puoi restare, qui?” domandò ancora.
Sasuke pensò a Itachi e a Naruto. C’erano tante cose importanti che doveva fare, che l’aspettavano. Non poteva semplicemente scappare e nascondersi lì.
“Perché devo andare” ripeté.
Sakura si staccò dal suo petto passando il palmo della mano sul volto per asciugarsi le ciglia, le lacrime scivolavano sulle sue guance come piccole stelle cadenti. “Sei sicuro?” gli domandò “Ti aspettano ancora molte sofferenze e molte amarezze. E alla fine potresti essere consumato dall’oscurità che porti dentro, potresti trovarti ad uccidere la tua unica luce”
Sasuke pensò a Naruto e alla sua promessa e alla fine si rese conto che era una cosa che aveva sempre saputo. Alle spalle di Sakura l’alba stava sorgendo illuminando il cielo dello stesso colore dei suoi capelli, la sua pelle sembrava risplendere di luce come se fosse una dea. Poteva restare davvero lì per sempre, sparire dalla faccia della terra, vivere con Sakura, imparare ad amarla e dimenticare la sua vendetta. Potevano coltivare fiore insieme, ascoltare il suono degli uccelli e passeggiare sulla spiaggia. Niente più ninja. Niente più solitudine. Niente più dolore e guerre.
“Lo so, ma non importa. Devo andare” ripeté e sentì che quella decisione gli riempiva il cuore di amarezza.
Sakura abbassò lo sguardo ma annuì, le lacrime avevano ricominciato a sgorgare dai suoi occhi. Dalle pieghe della tunica tirò fuori un sacchetto di stoffa rosso.
“Sono dei semi. Dei fiori. Promettimi che pianterai un giardino per me, va bene?”
Lo prose facendolo scivolare in tasca. “Te lo prometto”
“Allora prendi la tua zattera e vai, mio amore” si alzò rizzando la schiena nel tentativo di mostrarsi sicura nonostante le lacrime rotolassero sulla sua pelle fin oltre il mento, dietro di lei le luci delle stelle si spegnevano.
“Tornerò a prenderti” le promise alzandosi anche lui “Tornerò indietro”
“Nessuno trova quest’isola due volte” replicò mestamente “Non ci rivedremo mai più”
La cosa lo rese triste, pensò ai semi nella sua tasca. “Diventerà il giardino più bello del Paese del Fuoco”
Sakura abbozzò un sorriso, poi iniziò a camminare verso la sua casa. “Addio” pianse. La guardò finché non sparì fra gli alberi.
Mentre prendeva il largo pensò a quanto il destino fosse crudele, di come quella piccola ragazza immortale dovesse vivere in quell’isola in una solitudine eterna. Quella che lui e Naruto avevano provato da sempre. Il destino le aveva mandato qualcuno però, lui che non poteva restare, e lei se ne era innamorata. Che destino crudele. Ma la cosa aveva funzionato anche in senso inverso, per Sasuke Sakura sarebbe restata per sempre il sua grande ‘e se?’, avrebbe pensato a lei per tutta la vita chiedendosi se avesse fatto la scelta giusta.
Nel giro di pochi minuti Ogygia fu lontana all’orizzonte e ogni emozione scomparve nella nebbia.
“Grazie, Sakura” sussurrò.
*



“O-i! Teme” si sentì chiamare a gran voce. Si girò leggermente infastidito. Naruto lo guardava con la manica destra della felpa arrotolata fino alla spalla mostrando il braccio mancante.
“Dobe” lo insultò bonariamente continuando al suo lavoro. Era accucciato tra la terra del vecchio giardino di Mikoto.
“Che fai? Giardinaggio?” continuò la fastidiosa presenza alle sue spalle. Alla fine Sakura aveva avuto ragione su tutto, una volta tornato nella terra dei Ninja lo avevano aspettato molte sofferenze a rancori che lo avevano quasi soffocato. Su una cosa sola si era sbagliata: non aveva ucciso Naruto, anzi lo aveva salvato.
“Mantengo una promessa” rispose vago.
Il biondo fece un infantile broncio perplesso mentre si piegava in avanti e studiava curioso il piccolo fiore rosa che stava crescendo su quel fazzoletto di terra.
“Che fiore è?” domandò spiccio.
“Sakura”
“Tch’.... non dire baggianate, teme. Mica è un ciliegio quello, mi prendi per stupido ‘tebayo?” sbottò offeso.
Un piccolo sorriso ironico si distese sulle labbra del moro. “Hai ragione, ma non credo sia importante”
“Senti a me, tu sei proprio strano” assicurò l’amico. Sasuke lo ignorò continuando a guardare il piccolo fiore.
Nel giro di qualche anno il giardino di Villa Uchiha divenne il più bello della Terra del Fuoco, ma l’isola, per quanto Sasuke viaggiasse, non la ritrovò mai più.
 
 
 
 
Ok, ora che ho finito la storia devo dire tre cose:
La prima: questa storia la scrissi secoli fa un sabato sera notte dopo aver...ehm, bevuto un pochino. Non era ubriaca, reggo troppo bene, ma ero un po’ brilla e la mia mente idiota ha partorito questa cosa. Ovviamente, non era così, era una cosa molto più confusa e... insomma, scritta da una che aveva parecchio alcool in corpo xD quindi, sì. Ci tengo a precisare questa cosa. Ieri notte ne ho parlato con delle amiche e ho pensato “Perché non riesumarla? Magari si può fare ancora qualcosa
 
Due: e per questa mi lancerete pomodori, il SasuSaku è la NOTP (corre ai ripari)
No, a parte gli scherzi, come coppia non mi piacciono e trovo che Sakura non se lo meriti nemmeno un po’. Sono canon ma non mi piace il modo in cui lo sono stati resi. Ma questo non mi vieta di scriverci zozzerie sopra (anche se qui di zozzerie non ci sono, ehm). Diciamo che il SS lo vedo in un contesto molto angst come questo. Non vogliatemene male. Questo ve lo dico perché una volta sobria cercare di rendere la coppia è stato difficilissimo –anche perché da ubriaca avevo mandato letteralmente al diavolo l’IC dei personaggi – ma nonostante questo a me Sasuke sembra un OOC gigantesco.
 
Giunti all’ultima: sempre da brilla non mi ero molto preoccupata dell’ambientazione (diciamo che non l’ho proprio fatto) ed ero partita tutta felice dal punto in cui Sasuke se ne andava senza dare un senso di chi, cosa, quando e perché. Allora oggi mi sono data da fare e mi sono aiutata tantissimo con Percy Jackson. Nel senso: non avevo la più pallida idea di come fosse Ogygia allora ho usato le descrizioni di zio Rick approfittando per l’incontro e la questione del giardino –che personalmente trovo dolcissimo – quindi i crediti di quelle cosette vanno a Rick Riordan (va bene se lo dico così, vero?)
 
Infine, la canzone all’inizio è questa qui

Una vostra recensione mi farebbe un sacco piacere ^^ le recensioni che siano critiche o negative potrebbero aiutarmi molto a migliorare.
Spero che questa non sia l’ultima Sasusaku che scriverò.
A presto!
 
Hatta
   
 
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