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Autore: Lavi Bookman    26/09/2016    0 recensioni
Sei un Diavolo, mi è facile constatarlo. Chissà se sto percorrendo proprio quel cammino verso l'Inferno di cui tutti parlano, e a giudicare dalla curva delle tue labbra posso quasi esserne certo.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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"Fa freddo", mi dici. Vorrei risponderti "siamo in inverno" e dare voce a tutta la mia retorica, ma sto cercando di essere migliore di quanto sia stato in tutte le mie vecchie storie -robe di poco conto, le giustifico tutte così quasi ci fosse una colpa ad aver amato qualcuno prima di te. Un po' mi sento in colpa, ma anche quella più importante è di poco conto-.

"Lo so, potevi indossare il maglione" e subito mi mordo la lingua e sento i tuoi occhi accusatori che piombano sul mio profilo, e sia mai che mi giro ad incrociarli. Sono troppo giovane per morire e penso che riuscire a dire la cosa giusta non sia ciò che mi riesce meglio.

Faccio per togliermi la giacca e posso avvertire i primi soffi di vento attraversare il tessuto della felpa, ma serro i denti.
Mi giro quel che basta per metterti quell'unica protezione di cui dispongo sulle spalle e posso notare che quasi sorridi soddisfatto. Sei un Diavolo, mi è facile constatarlo. Chissà se sto percorrendo proprio quel cammino verso l'Inferno di cui tutti parlano, e a giudicare dalla curva delle tue labbra posso quasi esserne certo.

"Tu avrai freddo ora."

"Avrò freddo ora."

Questa volta me lo concedo di non voltare il capo verso ciò che ho davanti, aspetto piuttosto che ti giri e di incontrare il tuo sguardo accigliato.

"Se io avessi ancora freddo, mi daresti anche la tua felpa?"

Ah, il caldo lo troverò all'Inferno.

"Se vuoi vedermi nudo devi solo chiedere."

"Non voglio vederti nudo."

Ripercorro in automatico la sera prima nella mia mente, ricordando i vestiti gettati negli angoli della stanza. Metto le mani nelle tasche e resto in silenzio qualche secondo, forse un minuto intero.

"Ti darei anche la mia felpa."

"Ci hai messo troppo a rispondere, non la voglio più."

"Non dovresti dirlo come se fosse una punizione."

Mi sono scordato di svoltare a destra ma non te lo dico, allungare un po' la strada non mi dispiace, e finché non ne sei a conoscenza non può dispiacere neanche a te.

Hai il passo spedito, di uno che sa dove sta andando e per fortuna almeno uno dei due ha chiara la propria meta, anche se non sa come arrivarci. Io vorrei rallentare, non raggiungerla la stazione, anche se so perfettamente dove si trova. Altri cento metri dritti, poi si gira a sinistra, avanti ancora, s'imbocca la seconda a destra e nuovamente sempre dritti fino a che non la si vede.
Le ruote della valigia che si trascinano a terra fanno più rumore di quanto dovrebbero.

"Tu pensi che l'Inferno sia freddo?"

"Il Cocito secondo Dante era ghiacciato a causa del vento generato dallo sbattere di ali di Lucifero."

"Basterà non avvicinarsi al Cocito, quindi."

Ti blocchi e lo capisco anche senza voltarmi: le ruote hanno smesso di masticare terreno.

"Di che stai parlando?"

Mi stringo nella felpa e indico la curva che dobbiamo fare attraversando la strada.

"Nulla, era una considerazione."

Dirti che sei il mio Diavolo è fuori discussione. Dio solo sa quanto sarebbe rischioso per le mie ossa venire frantumate tutte in una volta sola. Quello che per me è un complimento per te potrebbe risultare un'offesa. Ma se scelgo il Diavolo al posto di Dio, allora esso è veramente l'essere più bello del creato.

Passano altri minuti di silenzio, fa troppo freddo e personalmente comincio a pensare che tutto sommato non si stia male così.
La strada ora è giusta e manca poco. Manca poco anche alla tua partenza e vorrei chiederti di non andare ma resto zitto. Per l'ennesima volta mi giro a fissarti il profilo e sei sempre più bello.
Possibile? Pochi secondi fa eri così bello?
Mi fermo e tu fai altrettanto con lo sguardo di chi non capisce, e quanto amo quello sguardo, la curiosità nei tuoi occhi.
La strada è isolata, ma non lo è mai abbastanza, così ti trascino per un braccio nella rientranza di un palazzo. Tu, ancora, non capisci e probabilmente pensi che ci sia qualcuno con una pistola spianata che cerca di prendere la mira su di noi.

"Si può sapere che succede?"

"Voglio baciarti."

E poso le mie labbra sulle tue senza aspettare, perché darti il tempo di riflettere significa darti la possibilità di essere tu ad armarti di pistola e mirino.
Schiudi appena la bocca e lo prendo come invito, ma ci vuole poco perché interrompa il contatto.

"Ora possiamo andare."

"Sei veramente uno stronzo."

E chi sono io per darti torto?

Hai preso leggermente colore sulle guance e il tuo sguardo corruciato ti fa sembrare un bambino.

E' un bel ricordo, penso.

Quando sarai sul treno, avrò ancora questo.

 

  
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