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Autore: Aqua_    26/09/2016    2 recensioni
Il 20 Settembre 1985 la vita di due ragazzi, estremamente diversi l'uno dall'altra, cambia radicalmente.
Nancy Hoggins, unica figlia di una coppia di artisti, si ritrova improvvisamente sola in una casa troppo grande e troppo silenziosa.
Roy Daniels, con un grande sogno e in una pessima situazione economica, abbandona una casa minuscola e invasa dalle grida.
Due realtà completamente diverse, che si incontrano ad Hollywood, dove ogni sogno può avverarsi, e ogni incubo può diventare realtà.
Dal testo:
«Cosa vuoi saperne tu dei miei problemi? Vuoi giocare a fare la ribelle, quando non sei altro che la solita ragazzina ricca e viziata!»
Le parole di Roy la colpirono violente come uno schiaffo in pieno viso. Odiava ammetterlo, ma una parte di lei sapeva che aveva ragione. Lei aveva avuto tutto dalla vita, e lo aveva perso; lui non lo aveva mai avuto.
«Roy, i-io...»
«Roy, i-io...» ripetè lui, facendole il verso. «Taci, Nancy. Risparmiami le tue storie strappalacrime, non mi interessano.»
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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Note dell'autrice:
Salve a tutti! 
Prima di lasciarvi al capitolo ci tenevo a ringraziare le persone che hanno recensito il capitolo precedente e che hanno inserito la storia nelle seguite, grazie davvero ^.^
Poi, visto che siamo in tema, vorrei far notare che in questo capitolo, e anche tutti quelli a venire, la regola del punto dentro il dialogo (sapete di cosa parlo) verrà rispettata, nonostante io continui a trovarla un pugno nell'occhio dal punto di vista estetico (davvero, lo trovo proprio brutto!).
Detto ciò, godetevi il capitolo :)




Hollywood Girl
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Capitolo 2

 

Hollywood, 20 Settembre 1985

 

«Nancy.»

La voce giunse ovattata alle orecchie della ragazza, che si mosse appena sul materasso.

«Nancy, tesoro, svegliati.»

Aprì appena gli occhi, quanto bastava per scorgere una figura seduta accanto a lei. Lasciò che le scostasse una ciocca di capelli dal viso, imponendosi di non sottrarsi a quel tocco.

«Mamma» rispose, con la voce ancora impastata. «Cosa ci fai qui?»

La donna sorrise, alzandosi e avvicinandosi alle finestre. Iniziò ad alzare le tapparelle, lasciando che la luce del sole penetrasse nella stanza.

«Ci vivo, sciocchina!» affermò, con un tono che Nancy trovò fin troppo allegro.

La ragazza, dopo essersi messa a sedere, si stropicciò gli occhi. Spostò lo sguardo sulla madre che, inconsapevole – o forse incurante – di ciò che era accaduto, continuava a trattarla come se nulla fosse. Una parte di lei sapeva che non lo faceva apposta e che, in fondo, cercava solamente di continuare a vivere felicemente, come quando si era sposata, ma un'altra parte di lei non poteva fare a meno di colpevolizzarla. D'altronde, si disse, era colpa di sua madre se il padre aveva deciso di abbandonarle. Era stata lei a dare inizio ai litigi, mesi prima, senza mai dare l'impressione di volervi porre la parola fine.

«Papà se n'è andato» disse, lapidaria.

La donna, intenta ad aprire le finestre in modo da arieggiare la stanza, si fermò, immobile.

«Sapevamo che sarebbe successo» affermò infine, scrollando le spalle, per poi riprendere quello che stava facendo.

Nonostante non la stesse guardando, Nancy le rivolse uno sguardo carico d'odio. Com'era possibile, si chiese, che quella donna potesse accettare così facilmente l'abbandono di suo marito? L'aveva vista – e sentita – piangere per il fallimento del suo matrimonio tante, troppe, volte. L'unica spiegazione plausibile era che, allora, fingesse, e che, in realtà, desiderava davvero porre fine al suo matrimonio.

Irritata, la ragazza uscì dalla stanza, assicurandosi di chiudersi la porta alle spalle con più forza del dovuto. Sentì sua madre urlare il suo nome, ma decise di ignorarla. Afferrò la borsa che aveva lasciato sul divano poche ore prima ed uscì di casa.

Fece pochi passi sul marciapiede, cercando di decidere dove andare. Sapeva di non avere abbastanza soldi per raggiungere il padre a San Francisco – ammesso che lui fosse effettivamente andato lì – né per andare in qualsiasi altro posto. E poi, si disse, non era davvero sicura di volersene andare. Era cresciuta ad Hollywood, e l'idea di allontanarsi da quel posto la spaventava. Allo stesso tempo, però, non voleva tornare da sua madre. Non poteva contare sulle amiche, perché era certa che, in un modo o nell'altro, l'avrebbero fatta tornare a casa. Per la prima volta in vita sua, era sola.

Alla fine, ancora incerta sul da farsi, decise di rifugiarsi presso la biblioteca. Nonostante la giornata soleggiata, l'aria era gelida e il vento le sferzava violentemente il volto. Aveva fame, ma nessuna voglia di mangiare. Il suo stomaco continuava ad emettere sonori gorgoglii, ma decise di ignorarli, sforzandosi di coprirli con un finto colpo di tosse.

La fermata degli autobus non era molto distante e impiegò una manciata di minuti per raggiungerla. Si sedette sulla panchina, dopo aver dato una veloce occhiata agli orari, appoggiando la schiena al freddo vetro della banchina. Sospirò, infilando le mani nelle tasche. Continuava a non sapere cosa fare, se cercare un modo qualsiasi per allontanarsi dalla madre il più velocemente possibile, oppure se sforzarsi di sopportare e tornare a casa. Un'infinità di scenari andarono a crearsi nella sua mente, ognuno con un finale diverso e, prima che potesse fermarsi, si ritrovò a camminare sul marciapiede, con passo sicuro. Si fermò solo quando scorse un vecchio palazzo, probabilmente costruito negli anni '30, e, facendosi coraggio, suonò il campanello.

«Nancy Hoggins» disse, quando una voce le chiese di identificarsi.

Passarono alcuni secondi, poi il portone d'ingresso si aprì.

Salì rapida due rampe di scale, fino a raggiungere l'appartamento in cui era sicura di trovare chi stava cercando. Sospirò nuovamente, mentre la sua mano andava a posarsi sulla maniglia di ottone. Poi, sicura di quello che stava facendo, aprì la porta.

Carlos Ramirez era un uomo spregevole, la persona più disgustosa che Nancy avesse mai incontrato, ma era ricco. Era stato lui ad aiutare la sua famiglia, quando si erano ritrovati sull'orlo del baratro, e la ragazza era sicura che avrebbe potuto aiutare anche lei.

Fece qualche passo nell'ingresso, diretta verso il soggiorno. Come si aspettava, l'uomo era lì, seduto su una poltrona, intento a fumare una sigaretta. Non appena si accorse della sua presenza, spostò lo sguardo su di lei.

«Nancy Hoggins» disse, guardandola fisso negli occhi. «Cosa posso fare per te, bambolina?»

Il tono con cui l'uomo le aveva parlato la fece rabbrividire, ma si costrinse ad ignorare l'istinto che le urlava di scappare da quel posto il più velocemente possibile.

«Ho bisogno di soldi, Carlos.»

L'uomo la squadrò per qualche istante, per poi distendersi sulla poltrona, allungando le gambe in avanti. Le fece cenno di avvicinarsi e lei, sebbene intimidita, obbedì. Fece una mezza giravolta, come l'uomo le aveva indicato di fare attraverso un veloce gesto della mano, per poi attendere una sua risposta.

«Dovrai guadagnarteli, bambolina» affermò l'uomo, con un viscido sorriso stampato sul volto.

La ragazza lo guardò, confusa.

«Come?» domandò.

L'uomo, in tutta risposta, scoppiò a ridere.

«Molto divertente, davvero. Adesso, senza farmi perdere altro tempo, spogliati.»

Quell'ordine giunse alle orecchie di Nancy come il peggiore insulto che avesse mai ricevuto. Fece qualche passo indietro, mentre Carlos si avvicinava velocemente a lei. Prima che potesse fermarlo, si ritrovò appoggiata ad una parete, con in corpo dell'uomo pericolosamente vicino al suo.

«Ho sempre voluto scoparti» disse, con voce roca, scostandole una ciocca di capelli dal viso. «Ma tuo padre, quell'ipocrita bastardo, non me lo ha mai permesso.»

La ragazza sentì tutto il suo corpo tremare e si maledì per aver deciso di recarsi in quel luogo. Carlos la stava terrorizzando, e le sue parole non facevano altro che metterle ancora più paura.

«Lasciami andare, per favore» lo pregò, con voce tremante.

«Non vedo perché dovrei» rispose lui, avvicinandosi maggiormente a lei.

«Mio padre è qua sotto, mi sta aspettando» mentì lei, cercando di sembrare convincente.

L'uomo sbuffò, allontanandosi dalla ragazza.

«Ovviamente» disse. «Ovviamente

Tirando un sospiro di sollievo, Nancy uscì velocemente dall'appartamento. Senza che se ne rendesse conto, si ritrovò a correre come non aveva mai fatto, con l'unica intenzione di tornare a casa.


 

Denver, 21 Settembre 1985

 

L'uomo continuava a parlare, ma Roy non gli prestava attenzione. Il paesaggio scorreva veloce sotto i suoi occhi, un continuo susseguirsi di alberi e rocce illuminato appena dalla luce del sole. Avevano lasciato Georgetown all'alba ed erano in viaggio da un paio d'ore. Avrebbero proseguito insieme fino ad Elsinore, nello Utah, dove si sarebbero divisi. Da lì, Roy avrebbe proseguito per Las Vegas, mentre l'uomo si sarebbe diretto verso Portland. Sarebbero dovuti arrivare a destinazione verso l'ora di pranzo, se non ci fossero stati intoppi. Stiracchiandosi sul sedile, il ragazzo rivolse la sua attenzione all'uomo che, imperterrito, continuava a raccontargli di come avesse conosciuto sua moglie.

«E allora io le dico “Tu è meravigliosa!” e lei ride, perché io parlava male inglese.»

Roy annuì, reprimendo l'istinto di correggere l'uomo. Il suo compagno di viaggio si chiamava Igor ed era russo; si era trasferito in America una ventina di anni prima, poco dopo la nomina di Brežnev a Segretario generale del PCUS. Aveva sposato una ragazza americana, una certa Liza, e, a quanto diceva, si era trattato di amore a prima vista – o almeno da parte sua, avrebbe aggiunto il ragazzo.

«Ehi, mi stai ascoltando?»

Il ragazzo fece un cenno di assenso, fingendosi interessato.

«Tu parlavi male inglese, e poi?» disse, invitando l'uomo a continuare.

«E poi» riprese Igor, spostando nuovamente lo sguardo sulla strada. «E poi le offro da bere e la invito a ballare, e balliamo, balliamo e balliamo e poi-»

«E poi la baci!» esclamò Roy, anticipandolo.

L'uomo gli rivolse un'occhiata offesa, sbuffando.

«No» lo corresse. «Poi l'accompagno fino a casa, e lì la bacio.»

Il ragazzo sorrise, ripensando a sua madre, chiedendosi se anche suo padre, all'inizio, si fosse comportato in modo simile.

«Hai figli, Igor?» domandò, distogliendo lo sguardo dalla strada per rivolgerlo all'uomo.

«Da, ragazzo. Una figlia, Elena» risponse l'uomo, avvicinando la mano destra al parasole, per tirarne fuori una foto in bianco e nero.

La porse a Roy, che la avvicinò al viso in modo da vederla più nitidamente. Ritraeva una ragazza sulla ventina, forse leggermente più vecchia, con i capelli ricci tagliati corti e enormi occhi chiari – se fossero azzurri o verdi, questo non lo sapeva. Aveva dei fiori intrecciati nei capelli, probabilmente margherite, e sorrideva.

«Bella, vero?» chiese Igor, qualche istante dopo.

«Molto» rispose il ragazzo, riconsegnando la foto al proprietario. «Potresti presentarmela!» scherzò, accennando una risata.

«Non offenderti, non le piaci.»

«Non puoi saperlo.»

«A lei piacciono le ragazze» concluse Igor, ridacchiando.

Il ragazzo lo guardò, sorpreso per la semplicità con cui l'uomo aveva fatto quella affermazione. Non si sarebbe mai aspettato che riuscisse a farlo con una tale leggerezza.

«Vive a Los Angeles» riprese poi l'uomo, dopo qualche minuto di silenzio. «Potresti farmi un favore?»

Roy annuì, chiedendosi che genere di favore avrebbe mai potuto chiedergli.

«Apri il cruscotto, c'è un pacchettino azzurro. Cerca Elena Volkov e daglielo» spiegò, mentre con una mano gli indicava il cassettino del cruscotto. «Grazie» aggiunse poi, una volta che il ragazzo ebbe preso il pacchetto.

Prima di metterlo nel borsone, il ragazzo cercò una penna e scrisse velocemente il nome della ragazza sul pacchetto, poi lo infilò in una delle tasche esterne, assicurandosi di chiuderne la cerniera.

Trascorsero il resto del viaggio in silenzio, senza soste, finché non giunsero ad Elsinore. L'uomo si fermò per fare benzina e Roy ne approfittò per sgranchirsi le gambe. Prese il borsone, salutò l'uomo, dopo avergli nuovamente promesso che avrebbe consegnato il pacchetto alla figlia, e si avviò verso quello che sembrava essere un ristorante. L'interno del locale era deserto, fatta eccezione per una coppia di anziani e un cameriere. Il ragazzo si avvicinò al bancone e ordinò un piatto di mac and cheese, una poltiglia di pasta e formaggio che trovava disgustosa, ma economica.

«Puoi dirmi dove posso trovare un motel?» domandò, non appena il cameriere fece ritorno con il suo piatto.

Il cameriere, un ragazzino che non poteva avere più di sedici anni, scoppiò a ridere.

«Mi dispiace deluderti, ma non ci sono motel a Elsinore. Dio mio, non ci sono nemmeno gli abitanti!» esclamò, tra una risata e l'altra.

Roy arrossì, consapevole di aver appena fatto la figura dell'idiota.

«Però posso trovarti un posto in cui stare, se vuoi» continuò il cameriere, con il tono di chi sapeva esattamente ciò che stava dicendo.

«Sì, per favore.»

Il cameriere si allontanò velocemente, mentre il ragazzo si costringeva a mandare giù quello che veniva spacciato per un delizioso piatto della tradizione americana. Quando il cameriere – si chiamava Joel, stando alla sua targhetta – fece ritorno, Roy non era ancora riuscito a mangiare metà del contenuto del suo piatto.

«Si vede che ti piace» osservò il ragazzino, sarcastico. «Ad ogni modo, puoi stare da me, per stasera.»

Roy lo ringraziò, prendendo l'ennesima forchettata di pasta, e osservò il ragazzino tornare dietro il bancone. Si chiede cosa lo avesse spinto a offrirgli un posto nella propria casa, se avesse l'aria davvero così disperata, ma, non riuscendo – o non volendo – a trovare una risposta, decise di tornare a concentrarsi sul suo piatto di pasta. Contò distrattamente i maccheroni rimasti, stupendosi quando si accorse che erano ventisette.

Per la seconda volta nel giro di un paio di giorni, quel numero tornava.

   
 
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