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Autore: gigliofucsia    26/09/2016    1 recensioni
Emma si trova dentro ad una cità deserta e labirintica, dove gli edifici si muovono e gli tagliano la strada mentre orde di ombre la inseguono. il suo obbiettivo è trovare l'uscita.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ritorno alla Realtà

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il cielo era bianco come la parete di un'aula di scuola. Camminavo su una strada così deserta che il fischiare del vento rimbombava tra le pareti dei palazzi anonimi che circondavano la via.

Ormai pensavo che solo un colpo di fortuna mi avrebbe fatto uscire da lì. Non avevo punti di riferimento, le vie erano tutte uguali, gli edifici erano identici e persino le piazza non erano diverse tra loro. Le stesse statue grigie, gli stessi alberi immobili negli stessi luoghi anonimi. Le stesse finestre, le mura dello stesso colore morto e la stessa asfalto nera e pulita con le solite auto parcheggiate vicino al marciapiede.

Ma non era quello il problema, quel posto era un labirinto e il mio senso dell'orientamento era pari a quello di una scala a pioli.

Avessi avuto una cartina.

Guardandomi intorno sbuffai. Se il labirinto rimanesse com'era, cambiava ogni secondo, mi ritrovavo con una via libera poi un edificio mi tagliava la strada ed ero in un vicolo cieco e se avevi un'Ombra alle calcagna era peggio.

 

Sentii un sussurro alle mie spalle. Sembrava un suono portato dal vento ma sembrava che dicesse:

...Non c'è speranza per te...

 

Era la voce di un'Ombra. Mi voltai indietro e i sussurri si moltiplicarono in un miscuglio di voci che sembravano fare di tutto per abbassare la mia autostima.

 

...Arrenditi... non uscirai mai... non 'é uscita... passerai tutta la tua vita qui dentro...

 

Un'orda di fantasmi neri sbucarono dalle vie lontane. Le loro maschere bianche mi fissavano imbronciate e le mani scheletriche spuntavano dalle strette maniche del mantello nero che stavano sospese nell'aria.

Quei giudizi mi rimbombavano nella testa. Pensando che mi avrebbero fatto impazzire, mi misi a correre lungo la strada con l'idea di svoltare il prima possibile. Mi guardai indietro e notai che non mi ero sbagliata, seguivano me. Volavano sull'asfalto a gran velocità seguendo i miei passi. Le mie gambe cominciarono a tremare e incespicai sulla strada senza cadere.

All'improvviso, il mio piede affondò in qualcosa di denso. La tirai ma non usciva. L'asfalto sembrava essersi sbriciolata, annacquata e trasformata in una sabbia mobile che mi stava risucchiando il piede.

– Accidenti! – Esclamai cercando di estrarre il piede per la seconda volta senza riuscirci.

Mi guardai indietro. Tra me e le ombre ci dividevano poco meno di trenta metri.

Anche il piede libero venne risucchiato dalla sabbia. Tirai le gambe ma non volevano saperne di muoversi.

Sudando mi guardai le spalle, tra me e le ombre c'erano poco meno di dieci metri.

Afferrai la gamba destra e la tirai con disperazione pregando perché uscisse. La estrassi e la misi sull'asfalto solida. Le ombre avevano accorciato le distanze a cinque metri.

Il cuore batteva sempre di più e giudizi negativi mi echeggiavano nelle orecchie diventando sempre più penetranti.

Con due forti strattoni trascinai fuori anche l'altra gamba e perdendo l'equilibrio caddi a terra. Cominciavo a sentire le loro voci sempre più corporee.

Mi alzai. Tremando da capo a piedi, cominciai a correre veloce verso una stradina laterale, cercando di allontanarmi.

Svoltai l'angolo e vidi davanti a me una piazza identica a tutte le altre, ma oltre la piazza... c'era un portone immenso. Era così alto che sfocava verso il cielo ed era sprangato.

Era l'uscita.

Non riuscivo a crederci. Per un attimo pensai che fosse una visione ma stavo per raggiungerla. Con il cuore leggero cominciai a correre più veloce del vento. Non vedevo l'ora. Mi pareva di volare, ma qualcosa distrusse tutte le mie speranze.

L'asfalto aveva preso una piega strana. Si era plasmato a forma di tetto con tanto di tegole. Quelle divennero rosse e un edificio si alzò dal terreno. Era uguale a tutti gli altri. I muri presero il tono beige, le finestre si incavarono e quando io raggiunsi l'edificio era alto.

Lo guardai con il fiato corto, strinsi i pugni e li schiaffai contro quell'edificio gridando:

– NO!Non puoi farmi questo! –

Ma al momento avevo altri problemi a cui pensare. Le ombre avevano girato l'angolo e io ero con le spalle muro. Mi appiattii contro la parete guardandomi intorno. Di lato c'era un'altra stradina.

Senza esitare mi gettai al suo interno. Dovevo trovare il modo di seminare quelle ombre e poi cercare un'altra strada per l'uscita che avevo visto prima.

Girai ogni angolo che vidi, correndo sempre più veloce finché non mi accorsi di essere tornata al silenzio. Quando mi accorsi che l'unico suono che sentivo era del mio cuore che bussava contro la gabbia toracica e il mio respiro affannoso mi sedetti e ripresi fiato.

Dopo qualche minuto mi rialzai, adesso dovevo trovare l'uscita. Una bella impresa, mi dissi.

Correndo con calma lungo le vie mi ritrovai più volte con la strada sbarrata, Sembrava che arrivare a quell'uscita fosse impossibile. All'improvviso sentì di nuovo i sussurri delle ombre echeggiarmi nelle orecchie.

Mi misi a correre pensando di seminarlo ma un'altra ombra mi sbarrò la strada, era a tre metri da me. L'ombra aprì le braccia e le schiaffò in una specie di applauso. Dalle mani sparò una palla nera che sembrava trascinarsi dietro il fumo di cui era composta.

Mi colpì senza che io avessi il tempo di evitarla e un'ondata di ghiaccio mi attraverso il petto espandendosi negli arti come un'onda. Sentì le dita delle mani e dei piedi ghiacciarsi come se fossero state nelle neve.

Non avevo pensato che le Ombre potessero attaccarmi. Cercando di rimettermi in piedi percorsi un'altra strada.

Mi accorsi però di non avere molte vie di fuga. Ogni volta che percorrevo una strada ombre me la tagliavano. Ad un tratto svoltai cercando di correre via dallo stormo di ombre che avevo alle calcagna e mi accorsi di essere davanti a un vicolo cieco. Ma ormai era tardi.

Mi appoggiai al muro guardando le ombre avvicinarsi sempre di più. Le voci che rimbombavano nelle orecchie facendomi girare la testa. Il cuore mi pulsava. Tutte le ombre si fermarono quando ormai erano abbastanza vicini da lanciarmi un attacco. Distolsi lo sguardo ma più mi guardavo intorno e più mi sentivo in trappola. Ci saranno stati più di una trentina di ombre davanti a me e sembravano moltiplicarsi. Era finita.

Le loro mani si fecero nere e migliaia di sfere mi colpirono. Sulle spalle, alla bocca dello stomaco e ogni volta un' ondata di gelo mi investiva debilitandomi. Le gambe, le mani tutto sembrava aver perso di sensibilità. Sembrava che nelle vene scorresse sangue ghiacciato. Tutto tremava. La mia testa sembrava immersa in una densa nebbia di negatività. Mi sentivo come se il mondo si fosse messo a dondolare. Quando anche l'ultimo proiettile mi ebbe trapassato, io caddi di pancia sull'asfalto.

I miei occhi riuscivano a mala pena a stare aperti.

All'improvviso un'ombra sola si avvicinò a me. Sentì qualcosa costringermi sotto la gola e mi sentì tirare verso l'alto. Sembrava che qualcuno mi avesse messo qualcosa sotto la pelle e la usasse per tirarmi verso l'alto. Faceva male.

Io, stringendo i denti, sentii il respiro mio fermarsi. L'ombra alzò una mano che si colorò di nero.

Lo guardai aspettando che mi finisse ma qualcosa accadde. Dalla distanza dei miei occhi annebbiati vidi l'ombra che mi teneva dileguarsi nell'aria, senza lasciare traccia.

Caddi a terra con un tonfo. Aprì gli occhi e vidi una lama sfrecciare da una parte all'altra. Ad ogni fendente un'ombra si dileguava in un fischio di vento.

La figura che brandiva la spada mi pareva familiare. Indossava un paio di Jeans neri, Una camicia bianca a maniche corte e delle scarpe da ginnastica. Capelli a caschetto, carnagione abbronzata, occhiali sul naso... ero io.

Stringendo i denti mi sforzai di alzarmi. Più la guardavo e più mi convincevo di avere ragione. Quegli occhi verdi, quel viso, il viso era diverso.

Cioè era il mio, ma aveva un espressione diversa. I suoi occhi erano concentrati e guardinghi. Non era l'espressione spaventata che mi vedevo allo specchio da sempre.

Quando l'ultimo fantasma fu evaporato, la ragazza si volto verso di me.

Mi allungo la mano e disse:

– Su alzati! –

Io la afferrai e mi alzai in piedi barcollando con lo sguardo basso. Poi la guardai e chiesi:

– C-chi sei? –

Lei mi guardò sorridente come se ci conoscessimo da tempo e io mi fossi dimenticata di lei:

– Mi chiamo Emma – rispose.

Io spalancai lo sguardo. Io mi chiamavo Emma.

– Quello è il mio nome – risposi tradendo un certo sgomento.

Lei annuì decisa:

– Lo so, questo perché io sono te e sono qui per aiutarmi –

Io scossi la testa e la guardai alzando un sopracciglio:

– Non è possibile, no questo non ha senso, non mi assomigli per niente, io non sono così... forte –

Lei scoppiò a ridere, come se gli avessi detto una cosa assurda:

– Certo che lo sei! Se lo sono io lo sei anche tu –

Io scossi la testa:

– Sul serio chi sei? – chiesi

Lei fece un passo indietro.

– Io sono il tuo vero io, la tua essenza, o la tua essenza positiva, sono la persona che vorresti essere e sono qui per aiutarti a raggiungere l'uscita –

Si riferiva al portone che aveva visto prima, sembrava che lo scopo per cui ero li fosse varcare quel portone.

– Questa è la tua mente, il labirinto rappresenta i tuoi dilemmi e le ombre le tue paure, mentre le trappole... le sabbie mobili, gli edifici che ti tagliano la strada... rappresentano i tuoi problemi. Tu hai creato tutto questo, perché volevi migliorarti, volevi superare le tue paure, trovare una soluzione ai tuoi problemi.

Io scossi la testa di nuovo:

– Non mi ricordo di averlo fatto – risposi

Lei mi diede un colpo affettuoso sulla spalla:

– Certo che non te lo ricordi sciocchina! Lo hai fatto inconsciamente –

Ora tutto cominciava ad avere un senso. Forse se ero stata io a farlo io potevo farlo scomparire, ma così facendo non avrei ottenuto nulla e la faccenda non mi sembrava così facile da risolvere.

– E non pensare di poter smontare tutto questo lavoro, ormai quello che è fatto è fatto. Approfittane per uscire – mi disse Emma.

Io sbuffando risposi:

– La fai facile tu, passeranno mesi prima che per puro caso trovi una via libera per uscire – mormorai abbassando lo sguardo.

Lei ridendo mi diede dei colpi sulla spalla e disse:

– dai non disperare, sono qui appunto per questo! –

E così dicendo tirò fuori dalla tasca dei jeans foglio di carta piegato in quattro. Lo spiegò e me lo fece vedere. In quel momento mi salì una ventata di ottimismo:

– Non immaginavo che il labirinto fosse così piccolo –

Nel foglio c'era una mappa fata a penna, il suo disegno non occupava più di due terzi del foglio.

– Già, è solo che noi abbiamo un senso dell'orientamento pari a quello di una patata e non facevamo altro che girare in tondo –

E detto questo, il viso di Emma si colorò di rosso e cominciò a ridere. Io mi afferrai la fronte e dopo un po' sghignazzai anche io.

– Ho trovato questo foglio di carta in un edificio aperto, dentro un appartamento, e con una penna ho cominciato a tracciare questa mappa –

Io spalancando gli occhi risposi:

– Si può entrare dentro gli edifici? Tutte le porte che ho provato erano chiuse – dissi.

Lei agitando la mano disse:

– Conoscendo il tuo senso dell'orientamento avrai provato ad aprire le stesse tre porte per quarantacinque volte senza accorgertene. Invece io ho cominciato a segnare le porte che avevo già controllato e le ho provate tutte. Quando ho trovato il foglio di carta tutto mi è parso più chiaro, così cercando in giro ho trovato anche questa spada. –

E detto questo sollevò la lama con cui aveva ucciso le Ombre. Io la guardai ad occhi aperti, mentre io ero in mezzo al labirinto a girare in tondo lei aveva creato una mappa e trovato un'arma. Cominciò a sentirsi inutile.

– E cos'è quella faccia? Non dirmi che te la sei presa a male perché io ho questa roba e tu no, dai non fare così... andremo insieme verso l'uscita, non posso andarmene senza di te e tu non puoi andartene senza di me, ok? –

Io rimasi in silenzio per un po' ma alla fine accettai. Lei mi mise in mano la mappa e la spada poi mi poso una mano sul cuore. Io la guardai interrogativa. Poi lei si illuminò. Si trasformò in una polvere che seguì il punto indicato nella mano. Io mi sentì riempire un vuoto dentro di me che mi sembrava di aver sempre avuto senza accorgermene.

Una nuova ondata di ottimismo mi colse, ma un ottimismo che veniva dall'interno, non dall'esterno. Molto più potente di qualsia si altro. Mi sentivo capace di fare qualsiasi cosa. Pensavo di non avere niente da perdere sicché fare un tentativo non guastava.

Diedi un'occhiata alla mappa cercando la via senza intoppi per l'uscita. Mi accorsi che non ci sarebbe voluto poco tempo. Sentendomi come se fossi già fuori, mi diressi verso l'uscita.

 

Mezz'ora dopo, ero lì. Con la strada libera, la piazza e, in lontananza, il portone spalancato. Sentendo tesi tutti i nervi che avevo in corpo camminavo lungo la via cerando di guardarmi intorno. Temevo che un altro ostacolo mi sarebbe parso davanti da un momento all'altro.

La piazza pareva un quadro senza sfondo, con quella luce bianca gli alberi, le panchine, tutto appariva piatto come in un disegno. I colori si ingrigivano e nulla si agitava se non una massa nera davanti al portone spalancato.

Come la vidi mi fermai. Erano ombre quelle, e sembravano migliaia. Mi chiesi come fare a superarli.

Intanto estrassi la spada e cominciai ad avanzare camminando verso di loro. Le gambe mi tremavano e il cuore correva veloce pulsandomi nelle orecchie.

Le Ombre voltarono le loro maschere imbronciate su di me. Io non mi fermai neanche quando si voltarono e cominciarono a volarmi in contro. Le mani in avanti e i sussurri che si alzavano.

Mi misi a correre verso il primo tenendo la spada in mano. Più mi avvicinavo e più sentivo quei sussurri riempirmi le orecchie.

Quando fui ad un metro da lui, alzai la lama e lo trapassai. Lui scomparve in una nuvola di fumo. Non mi fermai al primo.

La lama era pesante ma sapevo che mi avrebbe aperto la strada verso la libertà. Nonostante le voci che mi echeggiavano in testa, agitai la lama finché c'erano ombre da trapassare.

Una cosa che mi sconcertò, era la facilità con cui le affrontavo, per mesi ero scappata da loro pensando che mi avrebbero fatto del male in modo serio. In quel momento erano i nemici più facili con cui io potessi combattere. Non erano razionali, i primi nemici non tentavano nemmeno di attaccarmi.

Ne avevo fatti fuori la metà quando sentì il terreno tremare. Feci un passo indietro e mi fermai ansante.

Gli immensi portoni si stavano chiudendo e io non ero che a metà piazza. Mordendomi il labbro pensai che dovevo per forza passare in mezzo alle Ombre, probabilmente il mio cervello sarebbe scoppiato per i troppi messaggi negativi che mi avrebbero buttato contro ma non avevo scelta.

Tappandomi le orecchie cominciai a correre in mezzo a loro. Urtai mantelli come se stessi passando attraverso ad una coltre di tende.

Come avevo immaginato i messaggi negativi penetravano nella mia testa e nonostante io facessi del mio meglio per combatterli sapevo che non sarei resistita a lungo. La testa cominciava a girarmi.

Io correvo mentre il portone si chiudeva sempre di più. Quando arrivai c'era solo uno spiraglio. Mi ci infilai dentro e le porte si chiusero dietro di me con un suono fragoroso.

 

Una luce bianca mi accecava. Il mio corpo avvertì di essere sdraiata su qualcosa di comodo. Sentì delle mani che mi scuotevano . Una stanza mi stava apparendo davanti mentre la voce di mia sorella mi chiamava dicendo:

– Svegliati è ora di andare a scuola! –

  
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