Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
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Autore: callingonsatellites    29/09/2016    2 recensioni
(trama iniziale leggermente modificata)
Un tranquillo soggiorno nella -per lei tristissima- città di Londra per Kenny, fotografa "nomade" con fisso in testa il pensiero di un paio di occhi che non riuscirà a dimenticare, ma forse nemmeno a rivedere. Meno male che un simpaticissimo hater cercherà di rovinare l'esistenza sia a lei che alla band più famosa del momento, i Tokio Hotel. Riuscirà, in compagnia del vampiro più melodrammatico e del cantante più stridulo del mondo a scovare il nemico misterioso? E soprattutto, rivedrà gli amati occhioni stratruccati che le hanno rubato il cuore?
-crossover-
Genere: Azione, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tamburellò sui tasti del computer, mangiucchiandosi un’unghia.
Ghignò, emozionata, e sfarfallò gli occhi da dietro gli spessi occhiali. Se fosse stata quel genere di persona che dubita di sé stessa, avrebbe faticato a credere che il suo piano stava davvero funzionando. Ma, appunto, non era quel tipo di persona: sapeva perfettamente che sarebbe arrivata ai suoi scopi, e non le servivano la fisica o l’algebra per capirlo. Le bastava la semplice conoscenza della fragilità e dell’ingenuità della mente umana.
 
-Muoviti, Cristo, ho fame- abbaiò una voce dall’altra parte dello stretto appartamento.
 
-Cucinati una pasta o vai in un fast food- rispose, abbassando lo schermo del portatile. –Sei adulto e vaccinato e non hai nessun bisogno di una mammina a farti la badante- strillò, per poi tornare a ciò che stava facendo.
 
Il ragazzo sbuffò, nervoso, e si avviò verso la porta d’uscita. Si fermò vicino al divano, e sbirciò lo schermo del pc.
-Che diamine fai, che sei sempre dietro a quel benedetto computer?- chiese, disinteressato.
 
-Nulla che ti riguardi- tagliò corto lei, senza spostare lo guardo.
 
Lui sbuffò ancora, poi uscì sbattendo la porta. Quando i suoi passi pesanti non si udirono più scendere le scale, lei si rilassò.
-Stupido bambinone- sibilò, tornando alle registrazioni delle telecamere.
 
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-Ma quindi … voi due avete una specie di trasmittente che dice ‘sono qui’, o un cartello luminoso invisibile agli altri esseri umani per localizzarvi a vicenda?- chiese Tom, da dietro il terzo panino unto.
 
-Semplice coincidenza- trillò Kenny, dal basso del suo metro e sessanta.
 
-Semplice deduzione- mormorò Bill, dall’alto del suo metro e novanta.
 
Tom li fissò entrambi, continuando a masticare, perplesso.
 
-Scusate, ma io non ho ancora capito … lei cosa faceva qui?- intervenne Gustav, da dietro il sesto panino unto.
 
-Allora, lei era venuta a trovare una zia … no, aspetta, doveva fare qualcosa!, per una zia … - ipotizzò Georg, da dietro la seconda birra. –No, forse mi sbaglio. Non c’entravano zie?- Kenny scosse la testa. –Non c’entravano zie. Oook, almeno abbiamo ristretto il cerchio. Lei era venuta peeeer … - si mise un dito sul mento, e volse lo sguardo al cielo, pensoso.
 
-Senti Ge, qui quello bravo a fare deduzioni sono io, ok? Meglio se non perdi altro tempo coni tuoi tentativi- gli disse Bill sporgendosi sopra il tavolino bisunto e semi coperto di foglie che avevano trovato in mezzo ad una siepe vicino alla panchina.
 
-Uffa, ma che palle! È tutto il giorno che parla di deduzioni, Cristo, che cazzo ha?- si lamentò Gustav.
 
-La nuova stagione di Sherlock Holmes- disse Tom, unendosi a Georg nel ‘duetto dei martiri che guardano le nuvole’. –Ha ritirato fuori tutti i librozzi arcaici che gli aveva regalato la prof di letteratura delle medie. Non ci crederesti se ti dico che durante il viaggio in aereo blaterava su vita morte e miracoli di ogni singola hostess che passava, dicendo che ‘dalla pettinatura sfatta si capisce che’, e ‘dai muscoli pompati delle gambe è chiaro che’, eccetera eccetera eccetera … quando io volevo solo godermi un po’ di sane panoramiche sui davanzali imperiosi delle assistenti di volo- si lagnò, perdendosi in chissà quale visione molto poco martirica di camicette scollate e cose del genere.
 
-Insomma, io non ho ancora capito perché lei era qui- bofonchiò il bassista, scolando anche l’ultimo rimasuglio di birra.
 
-Lavoro. Dovevamo occuparci del servizio fotografico per conto di una rivista tedesca … - iniziò a spiegare Kenny.
 
-Intervistavano Nena- aggiunse Bill, guardandosi le unghie.
 
-AH- fecero i tre musicisti in coro. –Non era difficile da spiegare.
 
Rimasero in silenzio per un po’, intenti ognuno dei suoi pensieri … o panini unti, dipende dal punto di vista.
 
-Ma voi due perché avete lasciato Los Angeles?- venne fuori Gustav ad un certo punto.
 
-Avevo bisogno di una vacanza- ammise noncurante Bill, stravaccandosi sulla sedia.
 
-Io invece ho bisogno di un altro hot d… - iniziò Tom, alzandosi.
 
-Tu non hai bisogno di niente, anzi se continuerai così ingrasserai e diventerai un grosso barilotto con le treccine e non ti farò più entrare in casa- ribatté Bill afferrandolo per una treccina.
 
-Non è vero! Io faccio un sacco di esercizio!- protestò il chitarrista.
 
-Sì, che non va oltre lo scopare pesantemente ragazze che non conosci nel mio bellissimo letto!
 
-Il tuo letto è più grande e comodo del mio, ok? Te la sei cercata!
 
 
-Il mio letto è più grande del tuo perché tu ti lamentavi del fatto che in inverno ti ci voleva un sacco di tempo a scaldarlo tutto, e la coperta in più non la volevi! Così mi sono preso io la piazza e mezza- lo ammonì mamma-Bill, senza smettere di tirarlo per la treccina.
 
-Ma …
 
-Niente ma. E adesso fai tre giri di tutto il quartiere, o stai buono e seduto.
 
-Uffa! Mi sono rotto le palle di stare seduto.
 
-Che ne direste di dirigerci tutti verso l’accogliente salotto dell’attico di Georg?- propose il batterista ad un certo punto.
 
-COSA?! No no no no, nel mio attico non ci venite- saltò su il diretto interessato. –Insomma, voglio dire … la signorina può anche entrare … ma voi tre proprio no- si corresse subito dopo.
 
-Senti Ge- latrò Bill in risposta. –Se mi dici che Gus non è mai venuto da te non ci credo, primo; che Tom non è proprio pulito concordo, secondo; io al contrario sono più educato e ordinato di te, terzo; e quarto, cosa più importante, la “signorina” è la mia ragazza e quindi non viene entra da sola da nessuna parte. Non con te, almeno.
 
-Incredibile ragazzi, spero che qualcuno abbia registrato questo momento- disse Gustav. –Bill Kaulitz che dice “è la mia ragazza”, signori, è una cosa per cui i giornali pagherebbero, eh!
 
-Anche il solo fatto che Bill Kaulitz abbia una ragazza fa già scalpore di suo … io stesso non ci avrei scommesso- concordò Georg, ricevendo in risposta una bella manata con tanto di anelli, che dopo essere passata dalla sua faccia terminò sulla guancia paffuta e budinosa del batterista con un sonoro ‘ciac’.
 
-AH!- si lamentarono in coro i due.
 
-Così imparate a dubitare del vostro cantante!- si giustificò il moro.
 
-A dubitare del fatto che tu sia etero?- intervenne Kenny a quel punto.
 
-ARGH! Non rivolgermi mai più quella parolaccia!
 
I quattro si scambiarono uno sguardo sconsolato, scuotendo la testa e alzandosi per andare in questo benedetto attico.
 
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-Allora? Come procede il tuo ‘fantomatico piano’?- la canzonò il ragazzo, rientrato da poco dalla solita nottata passata in giro.
 
-Và a scopare la tua puttana in camera e non mi dare fastidio- ringhiò lei in risposta, sempre nascosta nel semibuio del salotto, solo la montatura degli occhiali e la punta aguzza del naso erano visibili alla luce del computer.
 
Il ragazzo ridacchiò, e si chiuse nella sua stanza, sbattendo la porta.
 
-Stupido bambino- sibilò, volgendo lo sguardo alla porta, solo quando fu sicura che non l’avrebbe vista. Erano passati solo una trentina di secondi da quando la porta si era chiusa, ma lei conosceva abbastanza suo fratello da sapere che a quel punto era già crollato scompostamente in qualche posa da ubriaco, e passeggiava nel mondo dei sogni da cui non si sarebbe scollato per un bel po’.
Erano rimasti soli, nella loro grande casa di periferia, dopo la morte della mamma. Lei, la ragazzina con l’espressione corrucciata e gli occhialoni che portava sempre bei voti dalla scuola, l’orgoglio di mamma e papà; e lui, il fratellone scanzonato, che non faceva altro che farsi espellere da questo e quell’istituto, fumare in camera, bighellonare in città con i suoi amici e pitturare i muri con le bombolette.
Max era bravissimo a disegnare, e lei non l’avrebbe mai ammesso. Era invidiosa di suo fratello. Non perché avesse carisma, un bel fisico e un arsenale vastissimo di modi per farsi piacere alle ragazze; perché la sua vita fosse infinitamente più interessante e vera della sua; o perché, al contrario di lei che sapeva solo parafrasare poemi e fare velocemente i calcoli; avesse quel talento innato di rendere bello qualsiasi rudere su cui avesse fatto scorrere la sua bomboletta.  Max era un ragazzo d’arte, un genio innato e incompreso dalla società, stampava i suoi pensieri sui muri e se li portava dietro in prigione, quando lo pescavano con le mani nella marmellata. Lo rimandavano fuori dopo un po’, credendo che fosse solo un  giovanotto pazzo e chiacchierone.
Insomma, erano rimasti da soli, nella grande casa di campagna. Max aveva già diciotto anni, quindi aveva tutti i diritti legali di restare solo con sua sorella, ma graffitare i muri in città non portava soldi a casa, e lei aveva le rette della scuola da pagare; così i giorni di solitudine della grande casa durarono ben poco: certo il compenso che ne ricavarono vendendola fu ben elevato, e ci avrebbero campato per anni, ci stavano ancora vivendo. Un amico di Max aveva rimediato loro un appartamentino minuscolo in centro, proprio sopra il pub dove il più grande si incontrava con gli amici per pianificare altri “colpi” in giro per la città. So cosa pensate, no, non era un ladro. Colpo era il loro modo figo di dire che avrebbero pastrocchiato qualche muro. La luce non serviva quasi mai, l’acqua tantomeno, l’affitto non lo pagavano ed entrambi mangiavano poco. Così i due ragazzi della grande casa di campagna vivevano da soli nell’appartamentino del centro città, e lei, sedicenne, si faceva tutta la città in motorino per andare a scuola.
Da quando erano arrivati lì non avevano fatto altro che dedicarsi a due differenti attività: Max era sempre fuori, a dipingere. Lei era sempre dentro, a criptare codici, ingaggiare matti assetati di sangue e guardare registrazioni di telecamere: era riuscita a diventare ben più di una semplice hacker, qualsiasi cosa dotato di indirizzo IP non aveva un singolo segreto per lei. Ma non le interessavano le offerte allettanti dei criminali in giro per la città e oltre, lei aveva un obbiettivo preciso e non sarebbe stata soddisfatta finché non l’avrebbe portato a termine. Non sapeva cosa avrebbe fatto dopo, forse sarebbe entrata in qualche industria informatica o cose del genere, per il momento non la riguardava.
Dalla camera a fianco si sentì un colpo. Lei posò il portatile sul posto vuoto di fianco al suo, e si alzò, facendo scricchiolare tutte le ossa delle gambe. L’attività fisica non era il suo must. Si diresse a passi lenti verso la stanza, e aprì la porta. Il corpo di Max si estendeva in tutti i suoi centonovanta centimetri fra il letto e il pavimento, ancora completamente vestito e abbondantemente ronfante. Sospirò, e lo spostò sopra il materasso, poi gli tolse le scarpe e lo coprì con una coperta. Non gli avrebbe fatto né caldo né freddo la mattina dopo, quando sarebbe tornato a sputarle addosso parole acide prima di uscire, delle sue attenzioni, ma non poteva farci niente. In fondo, anche dopo che il suo fantomatico piano si fosse portato a termine, oltre ad un grosso vuoto dentro, non le sarebbe altro rimasto altro che Max.
 
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-Come sarebbe a dire che non possiamo salire?!
 
Erano bloccati alla hall del palazzo dove si trovava casa di Georg: perché in fondo, anche se l’appartamento che dovevano raggiungere era il più alto e fighetto di tutto il complesso, dovevano raggiungerlo con l’ascensore, come tutti i comuni mortali (non era ancora stato approvato l’elicottero che portava i residenti al loro attico supercostoso ogni giorno); ma quel giorno sembrava essere contro di loro.
 
-L’ascensore è bloccato! Né io né voi possiamo farci niente, purtroppo- tentava di giustificarsi il povero portiere, facendosi sempre più piccolo sotto l’imponente figura di Lady Bill che strillava come se l’attico che non potevano raggiungere fosse casa sua.
 
-Bill, possiamo usare le scale … - propose Kenny, tentando di farlo ragionare.
 
-Io? Sulle scale? Ma cosa hai bevuto questa mattina?! Spari troppe cazzate oggi, tesoro!- sospirò preoccupato, per poi tornare ad accanirsi sul portiere.
 
-Però è strano. Sono quattro anni che vivo qui e non ci sono mai stati problemi- rimuginò il padrone di casa.
 
-Gli ascensori si bloccano, Geo, non è “strano”. Sono cose che capitano- mugugnò Tom, che era palesemente stufo di tutti quei detective.
 
-Giuro che è la prima volta che capita da quando abbiamo inaugurato il palazzo, signore, nessuno ha idea di cosa possa essere successo!- strillò il portiere, che era corso a nascondersi dietro al bancone per paura del cantante. –Domani arriveranno quelli della manutenzione che cercheranno di capire cos’è successo, ok?! …
 
Bill si arrese, sbuffando. –Non mi chiami mai più “signore”. Signori sono i sessantenni sovrappeso con la giacca e la camicia inamidata, e io non faccio parte di questa categoria- sibilò, prima di mollare definitivamente la sua posizione.
 
-Come dovrei rivolgermi a lui, allora? … - sussurrò terrorizzato il portiere a Tom, cercando di non farsi sentire da Bill.
 
-Di solito vuole essere chiamato “Altezza”, “Lady”, “Senpai” e cose del genere. Lei faccia semplicemente a meno di chiamarlo- borbottò il chitarrista in risposta, per poi tirargli una solidale pacca sulla spalla.
 
-Che vi avevo detto? Questo non è il posto da “problemi di manutenzione”.
 
-Georg, smetti di farti paranoie- lo zittì Tom iniziando a salire le scale.
 
-Spero tu abbia il frigo pieno, piuttosto, perché quando avremo finito questa rampa di scale avrò fame.
 
-Tu hai fame in ogni caso, Gus.
 
Bill e Kenny si accodarono agli altri.
-Solo io ho la sensazione di avere un po’ il mondo contro ultimamente?- gli chiese Kenny.
 
-Ah, fidati, no- rispose lui, guardandosi intorno seccato.
 
-Ho come il presentimento che accadrà qualcosa di … non troppo piacevole, sai?
 
-Davvero? Io ne ho la conferma.
 
-Cosa intendi?
 
Svoltarono la prima rampa, e Gustav iniziò a lamentarsi per la fame.
 
-Intendo che sono scampato ad una rapina e ad un incidente più o meno lo stesso giorno- spiegò Bill con indifferenza. –Per non parlare della maniaca che mi stava inseguendo fuori dal bagno in aeroporto …
 
-Sicuro che non sia stata una tua fan?- chiese Kenny ancora, senza essere apparentemente preoccupata per la sorte del suo fidanzato scampato alla morte un paio di volte.
 
-Nah, le fan hanno un modo tutto loro di inseguirti. Questa era proprio psicopatica. Non ne ho parlato a Tom, le ho semplicemente spaccato un ombrello in testa … e non uno qualsiasi! Il mio bellissimo ombrello di Gucci- piagnucolò.
 
-Tranquillo, compreremo un altro ombrello. Ma … credi che qualcuno stia cercando di farti fuori?
 
-E perché qualcuno dovrebbe volermi far fuori? Insomma, guarda!- e si indicò dalla testa ai piedi, scandalizzato, facendo una piroetta. –Sono troppo splendido per diventare un cadavere.
 
-Questo non lo metto in dubbio ma … - venne interrotto dal sospiro di Tom, che si abbatteva più morto che vivo sul portoncino d’ingresso, finalmente raggiunto dopo tanta fatica.
 
-Spostati, coglione, che devo aprire la porta- grugnì Georg, armeggiando con le chiavi. Quando finalmente ebbe infilato quella giusta, fece scattare la serratura e aprì la porta. E sarebbe anche entrato, se dall’altra parte non si fosse trovato un uomo di età indefinita, vestito con una tutina bianca scintillante in stile ‘80, con un paio di occhiali da sole giganteschi e un cappello a cilindro che gli nascondeva la faccia; che sarebbe stato anche carino in una sfilata a tema disco se non avesse puntato un revolver brillantinato dritto in mezzo alla fronte del bassista.
 
-Non una parola- mormorò lapidario, in un tono che era in forte contrasto con i brillantini verde acido della giacca. –E portate il culo dentro, tutti e cinque.
 
 
 
BLBLBLBLBLBLBLBL CIAOOOO, innanzitutto mi inchino infinite volte per chiedervi perdono del secolo e mezzo che è passato dall’ultimo aggiornamento di questa storiaaaaaa, spero che almeno vi stia piacendo. D: chiedo particolarmente venia alla Marty, che nell'ultima recenisione che mi ha lasciato qui non le ho nemmeno risposto. L' Alien-sistah era un'animatrice del mio grest, baby. Eh, sì, evidentemente nel mio paesino inculato al mondo siamo in due-pseudo quattro *esulta*
Ebbene sì, vi ho dato una panoramica un po’ più meglio (italiano correggiato 4 life) sulla maniaca killer, così almeno sappiamo con chi avremo a che fare! Mi piace inventare storie tristi di famiglie tristi.
L’abbigliamento del mio infiltrato! Non lo trovate stupendo?!?!?! È il frutto di una prolungata esposizione a Dani California dei Red Hot Chili Peppers, se vi interessa saperlo.
E niente, baci e caldi e rossi peperoncini a tutti! :D  Al prossimo capitolo :** che spero uscirà prima del quarto millennio :*
Ps. Avete fatto un giro nella nuova storia che ho pubblicato in collaborazione con la Charlie? (Un Punk Perso A Hollywood) NO? Bene, andate. Ci sarà da divertirsi, parecchio molto. : ))))))                        Lisa^^
   
 
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