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Autore: PanStitch    01/10/2016    4 recensioni
Questa storia, come avrete capito dal titolo, parla di un amore malato...quello fra Joker ed Harley Quinn. Trovo che la loro storia sia molto interessante dal punto di vista psicologico e mi piaceva l'idea di rispondere alle domande che il film ci ha lasciato in sospeso.
Per chi conosce la mia fanfiction "A Mad Love..." questa è la versione della "stessa" storia sotto il punto di vista di Joker (Ovviamente non sarà identica, sono due persone diverse...solo i momenti in cui sono insieme saranno gli stessi anche se vissuti in maniera differente).
Ho preso spunti sia dal film che dai fumetti...troverete le frasi originali, tratte direttamente dalle opere (e dunque di proprietà intellettuale degli autori) scritte in verde.
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn, Joker, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'A mad, mad love.'
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Era una fresca serata di metà settembre e qualche spiffero freddo entrava dagli infissi, portando con sè un lieve odore di vegetazione bagnata.
Era una giornata tranquilla in terapia intensiva: nessun decesso, niente urla, nessuna folle gara di corsa contro la morte per dottori e pazienti...ai suoi occhi era davvero tutto troppo noioso.
Gli piaceva gironzolare in quel piano, di solito, quando era particolarmente attivo...magari, a causa sua. Adorava ascoltare il dolce suono del caos,  percepire il dolore che aveva causato...lo trovava rilassante.
Era veramente stufo di starsene lì, costretto a rimanere immobile nel letto a sentire la puzza di malattie, ustioni, sudore ed escrementi mista a quella di vecchio, tipica dell'ospedale.
D'un tratto il suo medico varcò la porta, portando nella stanza una ventata di freschezza all'aroma di talco e lattice.
"Signor Napier..." borbottò sfogliando la cartella gialla che teneva in mano. "E' pronto per il trasferimento?" chiese con voce chiara e profonda.
L'uomo annuì, prima di essere ammanettato e preparato al trasloco nella sua nuova casa.







La camicia di forza gli prudeva da morire, costringendolo a contorcersi compulsivamente nel tentativo di provare sollievo.
Aveva lo stomaco sottosopra ed ogni volta che l'autofurgone faceva una curva rischiava di dare di stomaco e soffocare nel suo stesso vomito.
Non poteva girarsi a guardare la strada: anche se ci fossero stati i finestrini, la maschera che portava sul viso gli avrebbe impedito di voltarsi...così se ne stava lì, fermo a fissare l'interno scuro della vettura.
Dopo una lunga traversata con il traghetto e circa un chilometro di strada asfaltata, il furgone si fermò di colpo facendolo stolzare con violenza; gli sportelloni si aprirono lasciando entrare la luce del sole che lo accecò per un momento ed un'ombra nera salì rumorosamente sul mezzo.
"Benvenuto a casa..." disse con fierezza il Signor Arkham, un uomo semi-calvo sulla sessantina, che Joker aveva già avuto modo di conoscere qualche anno prima.
Due guardie lo fecero alzare, lo legarono ben stretto su una sedia a rotelle e lo aiutarono a scendere dal veicolo.
"Da oggi lei sarà il paziente numero 104." esclamò con un sorriso il medico, spillandogli un cartellino sul petto.
Attorno a lui si era radunata una piccola folla di medici e poliziotti, tutti intenti a scortarlo ed a cercare di capire quale sarebbe stato il suo passo successivo, per evitare che fuggisse...cosa che lui, in quel momento, non aveva la minima intenzione di fare.
Varcarono tutti insieme il grande portone di mogano intarsiato che teneva ben chiusi i peggiori criminali di Gotham City ormai da molto tempo, poi percorsero il corridoio grigio e spettrale, invaso dalle urla assordanti dei pazzi e dal sibilo leggero dell'elettricità.
Non era la prima volta che l'uomo prendeva dimora, per breve tempo, in quella struttura ed al contrario della sua scorta non provava alcun disagio a stare lì; quasi aveva pena dei poliziotti che si guardavano in giro con aria terrorizzata...uno di loro, un ragazzo che non sembrava neanche aver compiuto la maggior età, tremava così forte da far muovere la sua seduta e procurargli degli orribili segni sulla pelle coperta dalle cinghie.
Tanto erano tesi gli altri, fu l'unico ad accogersi che una splendida donna lo stava osservando nascosta dietro un angolo. Pensò che fosse molto bella: aveva una pelle di porcellana, un viso dai lineamenti così fini e delicati da sembrare un angelo, biondi capelli morbidi e lucenti legati in una stretta coda di cavallo e due grandi occhi sensuali, dello stesso colore del lago in cui la sua famiglia lo portava a campeggiare da bambino, nascosti sotto un paio di grandi occhiali da vista.
La sentì sussurrare il suo nome ed avvertì tutta l'ansia, il terrore e la preoccupazione che la attanagliava in quel momento...ma anche qualcosa di stranamente piacevole ed indefinibile.
Capì di poter sfruttare la situazione a suo vantaggio.
La guardò dritto negli occhi, perdendosi per un secondo in quel profondo lago di emozioni che poteva leggere nel suo sguardo... poi sparì, un po' dispiaciuto di non poter prolungare l'incontro, dentro la stanza numero 37.
  
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