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Autore: Io_amo_Freezer    01/10/2016    1 recensioni
Un incubo. Tutto è cominciato da lì, e sarà sempre in quel modo che finirà.
Raphael verrà coinvolto, controllato dalla sua rabbia, dal suo lato oscuro, mentre la sua famiglia lo vedrà crollare. Un incubo che finirà in una inquietante tragedia.
Sequel di Red Menace, ma non bisogna averlo letto per gustarvi questa, perché Red Blood è una storia a parte. Dedicata sempre alla mia amica Gwen. :33
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Terrorizzato.
Gettò uno sguardo al cielo immenso, così luminoso nella notte grazie alle stelle che lo ricoprivano e a quella immensa luna. Rimase lì in piedi, fermo ad osservarle, a studiare il paesaggio. Stranamente i suoi fratelli non erano con lui in quella pattuglia serale, ma non si lamentava. Era una serata abbastanza tranquilla, nessun Kraang o ninja del Foot Clan era in giro. Ma nonostante questo, un senso di ansia lo perseguitava, lasciandolo con un groppo in gola che lo agitava, impregnando il suo cuore di preoccupazione, facendolo rimanere, stranamente con la guardia alzata. Non era il tipo che si preoccupava in tal modo del pericolo, era sempre giocherellone e scherzoso, sicuro che ci fossero i suoi fratelli a difenderlo, come sempre. Però, quella volta non c'era nessuno, era uscito da solo? Non si ricordava nemmeno come fosse finito lì, in realtà. Si passò una mano sugli occhi, stanco, accarezzando il soffice tessuto arancione che attorniava i suoi occhi, con i piccoli lacci della bandana che svolazzava nel vento gelido e fresco. Un rumore di passi lo fece destare da i suoi pensieri, e si voltò di scatto verso la porta che era situata sul tetto di quel palazzo. Sussultò nel vedere una sagoma nella penombra, nascosta dietro ad un cunicolo e tremò per quello sguardo freddo che gli mostrò, senza alcun sentimento. Colto di sorpresa indietreggiò, fino all'estremità del tetto, rimanendo in bilico sul cornicione del palazzo. Si voltò indietro, guardando l'abisso che lo separava da morte certa e che si prospettava, purtroppo, l'unica via d'uscita. Solo un passo e sarebbe caduto in quel vuoto, quell'abisso oscuro che, molto probabilmente, lo avrebbe ucciso. Tornò velocemente alla figura che lo aveva terrorizzato, assottigliando lo sguardo. Desideroso di non arrendersi sguainò i suoi nunjaku, ma sobbalzò nel ritrovarselo ad un passo da lui, a fissarlo minacciosamente, con quegli occhi che brillavano, vogliosi di sangue, vogliosi di ucciderlo. Ma la cosa che lo spaventò di più, non furono le sue intenzioni, ma riconoscere, in quegli occhi verdi zaffiro, suo fratello maggiore.
-Raph..- non riuscì a dire nient'altro. Suo fratello lo aveva spinto, conficcando il Sai; l'arma che da sempre lo aveva caratterizzato, nel suo piastrone. Barcollò sconcertato, prima di abbandonarsi al vuoto, con il vento che si infrangeva contro il suo guscio ad una velocità sorprendente. Avvertì il cuore martellare forte nel petto, ed i polmoni stringersi quasi come se dovessero esplodergli. Annaspò, strizzando gli occhi non potendo più resistere nel vedere suo fratello ghignare trionfante per ciò che gli avesse fatto. Poteva ancora avvertire il dolore straziante al petto dove risiedeva ancora la lama, l'arma di suo fratello impregnata del suo stesso sangue, e faceva davvero male. Sia fisicamente che mentalmente, sapere che era stato suo fratello, il suo eroe ad ucciderlo, lo straziava fino a spezzarlo. Però non capiva. Cosa aveva fatto per meritarsi questo? Cosa era successo al suo fratellone? Piagnucolò, gemendo per il dolore, finché, con un botto non andò a schiantarsi contro il freddo e duro cemento. Sentì un assordante e terrificante crack che gli fece comprendere che il suo povero guscio si fosse rotto, spezzato quasi a metà sotto l'orrendo peso della gravità. Mordendosi forte il labbro inferiore, per non urlare, un pensiero gli passò per la testa. Non riusciva a capire come, ma, con le pupille contornate di un'azzurro cielo dei suoi occhi sgranati comprese di essere ancora cosciente; cosciente del suo dolore, di se stesso. Non sapeva come ma era ancora vivo. Le lacrime varcarono il suo volto, oltrepassando le guance coperte con una spruzzata di lentiggini, fino a raggiungere il mento e scivolare oltre il collo, gocciolando per terra. Singhiozzò, tremando di paura. Non riusciva a muoversi, non avvertiva il suo corpo, niente se non il dolore e la paura che incanalavano dentro di sé, lasciandolo senza respiro. Come voleva alzarsi e scappare, lasciare quel posto che di punto in bianco, per un motivo o per un'altro era diventato macabro e tenebroso, ma era immobile nel suo dolore, attorniato da una pozza di sangue vermiglia, con scosse di convulsioni; l'unico movimento che il corpo gli concedeva di fare e che non era nemmeno voluto da lui, che partivano e terminavano ad un ritmo disarmante. Perse un battito quando, una risata macabra e cupa lo circondò, ed una fitta nebbia avvolse tetramente il luogo attorno a lui, avvolgendolo come in una spire. Vide avvicinarglisi di nuovo quella figura, mentre la sagoma di Raphael che rideva sguaiatamente gli si inginocchiò, affiancandolo. 
Volgendo uno sguardo al cielo, ormai senza nemmeno una stella, coperte dalla nebbia e dalle nuvole, non poté che rimuginare su quanto volesse tornare al paesaggio tranquillo e sereno di prima, dove il silenzio e la pace erano regnavano incontrastati e di cui non era rimasto niente. Ma, in quel momento desiderava solo sapere perché del suo gesto, però il terrore vivo si insinuò nelle sue pupille che si dilatarono vedendo Raph che prese in mano il manico del suo Sai, quello che era ancora incastrato nel suo piastrone marroncino e che, con un duro scatto, ritrasse. Urlò, gemendo mentre ricominciò a muoversi, a dimenarsi, come se la causa della sua immobilità fosse stata quell'arma. Di nuovo in potere del suo corpo cercò di scappare, tralasciando le tremende fitte di dolore che percorrevano il suo corpo come delle scosse, ma, Raph lo intercettò, prendendolo per la gola e incatenandolo al suolo sotto il peso di quel possente arto. Come una tenaglia strinse forte, smorzandogli le ultime boccate di respiro, ed in quel momento, il buio si impossessò dei suoi occhi, avvolgendolo in un vortice di confusione con l'immagine impressa di suo fratello che rideva sadico, con un ghigno terrificante che non avrebbe mai potuto dimenticare.

Si mise seduto di scatto, cercando di recuperare il respiro. La prima cosa che fece fu premere le mani contro il suo petto, alla ricerca di una cicatrice, qualcosa, finché non si rese contro che quello che avesse vissuto fosse stato solo un sogno. O meglio: un'incubo indimenticabile. Si portò le gambe al petto, ancora scosso, osservando il letto della sua stanza dal basso da dove, forse per via del brusco risveglio era caduto. Iniziò a piagnucolare, con le lacrime che percorrevano copiose il suo volto fino ad infrangersi contro al terreno logoro, procurando una piccola pozza fatta di mille gocce salate. Quello che aveva provato, nonostante non fosse stato vero era come se, in parte lo fosse stato, e faceva davvero male. Una sensazione orribile, davvero orrenda che impregnava tutto il suo corpo di brividi e fremiti.
Mettendosi di nuovo in piedi, ignorando le gambe che tremavano per ancora la troppa paura si sorresse con una mano sul comodino dove aveva adagiato la sua bandana. Facendosi forza, prendendo un profondo respiro e con una lieve spinta si diresse verso la cucina, cercando di non inciampare in tutto quel disordine, tra cartoni di pizza e altro che non riusciva a definire in tutta quell'oscurità. Aprendo lentamente la porta della sua camera attraversò l'immensa sala, per poco non si andò a scontrare contro il divano, ma riuscì a deviarlo appena in tempo, e, facendo slalom a destra e a manca giunse in cucina. Sospirando pesantemente si andò a sedere sulla sedia, appoggiando le braccia incrociate al tavolo, mugugnando con il volto nascosto nell'incavo delle braccia cercò di soffocare i singhiozzi. Era così stanco e voglioso di dormire ma, con la paura costante di quel sogno nella mente e nel cuore non poteva. Temeva che, se avrebbe chiuso anche per un'attimo le palpebre l'immagine di due occhi verdi che scintillavano nel buio ed il volto ghignante di suo fratello l'avrebbero tormentato di nuovo. Appena la luce si acese di scatto, sobbalzò, non aspettandoselo. Voltandosi incuriosito rimase di sasso nel ritrovarsi l'oggetto dei suoi pensieri, il suo big bro.
-Ehi, pulce.. Cosa ci fai qui?- gli chiese sorpreso, mentre si avviava al frigorifero, chinandosi e aprendolo per afferrare una bibita fresca. Lui non rispose, limitandosi ad osservare ogni sua mossa, restando rigido. Sapeva che tutto quello era stato solo un sogno, ma la paura lo aveva soggiogato del tutto, ed ora era lei ad avere il comando.
-Come mai non rispondi? Per caso Kitty ti ha mangiato la lingua?- ironizzò, riferendosi a gatta gelato, la sua micia che risiedeva nel congelatore, divenuta un gelato mille gusti per colpa di una pozione chimica di suo fratello Donatello; un errore che era stato lui a commettere. 
Raphael a quel punto; iniziando a preoccuparsi per il silenzio che avvolgeva la cucina e che era strano essendoci, lì accanto la tartaruga più chiacchierona e scherzosa che ci sia, si voltò nella sua direzione, studiandolo serio, ma rimase incredulo, sgranando gli occhi nel notare il rossore e il luccichio proveniente dai suoi occhi e delle lacrime che scivolavano lentamente dal suo viso. Ciò che lo colpì di più, però, fu lo sguardo impaurito, totalmente terrorizzato che gli dimostrava contro. Sbatté un paio di volte le palpebre incredulo, risvegliandosi di colpo dagli ultimi residui di sonno che lo annebbiavano, mentre gli corse incontro nell'esatto momento in cui, lui chinò il capo, per non mostrarsi così debole.
-Ehi, Mikey.. Tutto okay? Che hai?- domandò piano, tendendo la mano verso la sua spalla, ma, prima che questa potesse adagiarsi, con uno scatto, il più piccolo, si ritrasse, portando indietro la sedia fino a farla cadere, e Mikey con lui. Rimase sorpreso, osservandolo gattonare all'indietro, facendosi forza sulle mani, strusciando il guscio contro il pavimento con l'intento di allontanarsi il più possibile, come a volersi proteggere da qualcosa, e quel qualcosa era lui. 
-Lasciami in pace! Non mi toccare!- gli urlò contro. Così, shockato da quel comportamento iniziò a fare mente locale, alla ricerca di un motivo che lo spingesse a tanto, cercando di ricordarsi se avesse esagerato nell'allenamento, o se lo avesse ferito in qualche modo, offendendolo pesantemente, più del solito. Ma niente, non ricordava di essere stato troppo duro o altro, così cercò di avvicinarsi a lui lentamente, senza farlo scappare, cercando di tranquillizzarlo con le parole, portando in alto le mani per fargli capire che non avesse cattive intenzioni.
-Mikey sono io, va tutto bene. Ci sono io..- sussurrò e, ormai vicino riuscì, con uno scatto ad avvolgere le sue braccia attorno alla sua vita. E mentre lui si dimenava, gridando aiuto lui cercava di rassicurarlo, voglioso di chiarire al più presto. In un'attimo tutta la famiglia giunse in cucina, preoccupata per quelle urla, rimanendo basiti ad un Michelangelo che cercava di liberarsi dalla morsa del focoso, mentre quest'ultimo pregava i fratelli ad aiutarlo. Di corsa lo raggiunsero, e Leo appoggiò le mani sulle spalle di Mikey, costringendolo a guardarlo negli occhi.
-Michelangelo, cosa ti succede figliolo?- domandò piano, Splinter, avvicinandosi piano e sorreggendosi con il suo bastone, mentre si toccava il muso da rato, lisciandosi la barba lunga e bianca, tracciando le dita fino alle punte, osservando serio la situazione.
Il più piccolo sembrava calmo, adesso, perso negli occhi blu mare del maggiore che era riuscito a calmarlo con parole dolci. Vedendo che la situazione era, più o meno tranquilla, il leader distolse lo sguardo dal minore, mandando un'occhiataccia a Raph, credendo avesse fatto un'altra delle sue e che, questa volta avesse esagerato particolarmente.
-Taci, fearless! Io non ho fatto niente. L'ho trovato già qui, e quando mi sono avvicinato ha iniziato a gridare.- protestò il focoso, avendo già il dito contro, nonostante non avesse avuto nemmeno il tempo per spiegarsi. Leonardo si passò una mano sugli occhi, sentendosi leggermente stranito nel constatare che non avesse la sua caratteristica bandana azzurra, lasciata, per la fretta in camera. Sospirò, mentre volse uno sguardo apprensivo al più piccolo che, anche se lo guardava, sembrava essere perso nel suo mondo, con gli occhi persi nel vuoto.
-E cosa ci facevi tu in cucina?- domandò scorbutico, Leo, osservando il fratello con astio. Non è che non gli credeva, ma tutto era a suo svantaggio, contro di lui.
-Non riuscivo a dormire, problemi?- sbottò lui, innervosito da come gli si stesse accanendo contro per una colpa che non gli appartenesse. Perché non gli credeva? Era pur sempre suo fratello, esattamente come Mikey e Donnie. Cosa cambiava? Davvero lo credeva capace di ferire Mikey a tal punto? A quel pensiero rimase indignato, voglioso di controbattere ancora, ma Donnie lo bloccò, facendolo destare dalla sua mente, e dalla sua rabbia.
-Mikey?- domandò, a quel punto Donatello, spalancandogli, con due dita, la palpebra dell'occhio sinistro, con l'intenzione di capire se stesse male, cercando dei sintomi mentre si piegò su un ginocchio. Mugugnò, portandosi una mano sotto al mento, riflessivo, mentre la mano libera si andò ad adagiare sulla fronte del fratello, alla ricerca di qualche grammo di febbre.
-Cos'ha?- chiese allora, Raph, osservando il genio preoccupato che gli rivolse uno sguardo dispiaciuto, scuotendo il capo, non sapendo nemmeno lui la risposta.
-E' in stato di shock. Non può né sentirci e né vederci, al momento. Non possiamo fare niente, però adesso è meglio riportarlo a letto.- spiegò con calma, alzandosi in piedi e osservando il padre con rammarico. Non sapeva come intervenire, cosa fare per capire come farlo riprendere.
I maggiori, ancora inginocchiati a terra, sospirarono. Quando Leonardo si alzò, il focoso seguì il suo esempio, prendendo imbraccio anche il minore per condurlo in camera, ma appena lo fece, quest'ultimo spalancò gli occhi di scatto, riprendendosi e, nel riconoscere il suo assassino iniziò a dimenarsi dalla paura, scalciando e contorcendosi, voglioso di essere messo giù, di essere lasciato stare, soprattutto da lui.
-Mikey! Mikey!- disse Leonardo, cercando di calmarlo di nuovo, ma, mentre cercarono di fermare la sua furia, finì per cadere a terra, disteso di guscio. E, sentendo il suono sordo che provocò quella caduta, in un'attimo il ricordo del sogno gli tornò più impresso che mai, e, di scatto, con gli occhi sgranati, decise di richiudersi lì dentro, troppo terrorizzato. 
-Figliolo, sembra tu abbia paura di Raphael. Come mai?- disse calmo e paziente, il Sensei, dando voce ai pensieri di tutti, mentre si chinò per poggiare una mano sul piastrone di Mikey, accarezzandolo dolcemente che mugugnò indifeso, mentre il focoso sussultò a quella rivelazione detta dal padre ma che aveva iniziato a tormentarlo già dal principio, e che lasciò increduli tutti i fratelli.
-Mikey, davvero?- chiese sconcertato il focoso -E' per qualcosa che ho detto o fatto? Se sì, mi dispiace davvero molto.- affermò Raphael. Teneva troppo ai suoi fratelli, e non voleva che loro lo temessero. Lui era uno che perdeva le staffe molto facilmente, ma loro lo conoscevano, e sapevano che era fatto così. Era così confuso, non riusciva a comprendere il motivo di tale terrore nei suoi confronti.
-Ho fatto un incubo.- sussurrò piano. Aveva trovato la forza di parlare, ma rimaneva ancora lì dentro. Troppa paura, e gli dispiaceva affermare quello che stava per dire, non voleva ferire suo fratello, ma aveva bisogno di confidarsi con qualcuno, e chi meglio della sua famiglia? -Raph che mi uccideva.- disse rauco, temendo con tutto il cuore la reazione del fratello che non si fece attendere. Lo sentì ringhiare, ruggendo come un leone, mentre prese a calci qualcosa, forse una sedia visto che sentì la caduta ed il tonfo che ne provocò.
-Davvero Mikey? Mi credi davvero capace di ciò?- ruggì furioso, stringendo i pugni mentre osservava i piastroni marroncini del più piccolo, ancora rinchiuso dentro al suo guscio, mentre sentì il padre sospirare, che abbassò le sue lunghe orecchie nere da topo, temendo quello scatto, sapendo che ciò non avrebbe mai aiutato a diminuire i timori di Michelangelo.
-No.. Però mi ha fatto così paura..- piagnucolò. Donnie gli si chinò dinanzi, facendogli segno di poter uscire tranquillamente, visto che, a Raph ci stava pensando Leo, sotto lo sguardo stanco di Splinter per via di quella scena che, ormai era monotona in quella famiglia.
-Su, vieni. Questa sera dormi con me, okay?- disse piano, prendendo il suo braccio e avvolgendolo attorno al suo collo, sorreggendolo per condurlo nella sua camera, mentre lui gettò uno sguardo dispiaciuto a Raph che litigava ferocemente contro il leader, ma la lite finì grazie ad un tocco speciale di Splinter che premette le dita su un punto delicato del collo facendoli smettere all'istante. Il focoso sbuffò, massaggiandosi il punto dolorante prima di mollarli lì entrambi e dirigersi in camera sua. Aprì di scatto la porta, rischiando di farla andare a sbattere contro il muro accanto. Ma d'istinto gettò un fugace sguardo alla stanza di Donnie, osservando serio Michelangelo che ricambiò lo sguardo con occhi luccicanti, ancora lacrimevoli e carichi di dispiacere e risentimento. Era chiaro che non volesse quello, ma, ormai era troppo tardi. Il danno era fatto. Così, sbattendo forte la porta, facendo sussultare tutti, e sospirare tristemente il Sensei e Leonardo, si recò a dormire.
  
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