Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Elissa_    02/10/2016    5 recensioni
“Chi è stato?” riesci a dire, col respiro mozzato. Non ha l’intonazione di una domanda; non sei in grado di mostrare emozioni: in questo momento, ne saresti sopraffatto.
Sherlock sobbalza. Di più: si volta e la sua espressione è quella che hai visto negli occhi di ogni soldato nemico prima che gli sparassi, terrore puro e senza confini, un mare di petrolio da cui non si può uscire.

John scopre le cicatrici di Sherlock.
[what-if post-3x01, non segue l'andamento della s3]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note: queste milleseicentoequalcosa parole sono quello che succede quando qualcuno prova a chiedermi dell'angst. E' basato su un prompt che mi è stato dato su tumblr, che per chiunque fosse interessato può trovare qui. Menziona le torture che Sherlock ha vissuto durante il periodo fuori dall'Inghilterra: non abbastanza da dover mettere l'avvertimento, a mio parere, ma fatemi sapere se la vedete in modo differente ^^
Due note: il titolo della fic è un pezzo della canzone Hallelujah di Jeff Buckley perché è una canzone che mi ha sempre ricordato da morire John e Sherlock; e questa fic davvero non esisterebbe senza il sostegno morale di Francesca aka pabitel qui su efp, che mi ha presa per mano e guidata quando mi sentivo in difficoltà -nel caso non si fosse notato, l'angst
is not really my area, diciamo. 
Come sempre, nulla di tutto ciò mi appartiene e io mi diverto solo a giocare coi personaggi dei Mofftiss e di ACD. 




Sono... troppe. È l’unica parola che ti viene in mente per descriverle. Le conti, una dopo l’altra, le impronte circolari di una sigaretta e le linee irregolari della frusta che ha graffiato e consumato. Sono vecchie, ma non troppo: la pelle è ancora arrossata, in alcuni punti le ferite non sono completamente rimarginate. Ti senti tremare. Non ricordi più neppure chi sei, perché hai seguito Sherlock in bagno mentre si stava levando la camicia: tutto è spazzato via da questo momento, dalla pelle d’alabastro dell’uomo migliore che conosci macchiata dai segni di quella che è stata indubbiamente tortura.
“Chi è stato?” riesci a dire, col respiro mozzato. Non ha l’intonazione di una domanda; non sei in grado di mostrare emozioni: in questo momento, ne saresti sopraffatto.
Sherlock sobbalza. Di più: si volta e la sua espressione è quella che hai visto negli occhi di ogni soldato nemico prima che gli sparassi, terrore puro e senza confini, un mare di petrolio da cui non si può uscire. E’ bloccato in una posizione di difesa, le braccia a protezione del petto e i pugni chiusi, stretti, le nocche bianche. E’ un attimo, e poi il terrore si mitiga nel vederti, si trasforma in senso di colpa; abbassa gli occhi e scrolla le spalle, mentre senza una parola si piega per raccogliere la camicia che ha lasciato cadere nel momento di panico. E’ sporca di sangue, e ti ricordi del perché lo hai seguito, della ferita che si è rifiutato di far vedere ai paramedici, liquidandoli con un “Non è niente di che”.
Per lui, realizzi, non lo è, davvero.
“Sherlock...”
“Non è importante” dice lui, risollevandosi. “Non dovevi saperlo.” I suoi occhi sono offuscati. Fa una smorfia, toccandosi l’addome, dove il taglio sembra aver smesso di sanguinare. Chiaramente ancora gli fa male: va disinfettato e devi controllare se abbia bisogno di punti o meno. Questo, lo puoi fare.
(Non eri lì per ricucirlo quando più gli serviva, ma questo, questo lo puoi fare.)
“Siediti” dici, indicando la tavolozza chiusa. Prendi il disinfettante dalla mensola dei medicinali, controlli se sia ancora utilizzabile. (E’ così tanto che nessuno viene curato a Baker Street. Non pensarci. Non. Devi. Pensarci.) Il cotone. Imbevi il cotone di disinfettante e ti avvicini lentamente. Ti inginocchi. Il respiro di Sherlock è accelerato, i suoi occhi sono spalancati, mentre ti insinui tra le sue gambe e cominci a passare il cotone disinfettato sulla ferita. Le tue mani non tremano, ma senti la gola secca e la bocca è arida come il deserto, la lingua una distesa ricoperta di sabbia. La ferita non è profonda, ma tu non puoi impedirti di pensare alle altre ferite, quelle che non hai potuto curare.
“Chi, Sherlock? Chi?” bisbigli, quasi contro la sua pelle. Vedi il suo addome sobbalzare al contatto col tuo respiro. Sospira, un sospiro che sembra servire a ricordargli che sa ancora respirare.
Ti odi perché non è la prima volta che fa questo gesto, ma è la prima volta che lo vedi.
Guardi ma non osservi, come al solito.
“I Serbi. E i russi. E’ il prezzo da pagare quando non si è abbastanza bravi nel gioco, suppongo.” Inspira bruscamente, probabilmente a causa del disinfettante contro la ferita, e non puoi impedirtelo: alzi lo sguardo sul suo volto. E’ vulnerabile, gli occhi arrossati e il volto esangue. Il solo ricordare gli fa male. Avresti voluto, avresti dovuto, saperlo. Avresti dovuto ricucire ognuna delle sue ferite e fare in modo che i segni sulla sua pelle si rimarginassero naturalmente, senza lasciare traccia del loro passaggio, come le mille altre ferite di una vita fa.
E invece eri a casa, nel tuo rifugio sicuro, a pensare a come andare avanti in una vita che non era altro che una pallida imitazione di ciò che è sempre stata.
“Sarei dovuto essere lì” dici, la nausea che arriva a ondate, perché nei tuoi occhi è ancora impressa l’immagine della sua schiena. Di quello che è stato costretto a vivere. Non sono le cicatrici di per loro a spaventarti: Dio solo sa quante ne hai viste, quante ferite hai ricucito. Ma il pensiero del dolore che ha provato, ti annienta come poco altro è stato capace di fare. E tu, tu non eri con lui per proteggerlo.
Sherlock scuote la testa freneticamente, ancora più spaventato di prima. “No. Se ci fossi stato anche tu, io-“ sembra soffocare nelle sue stesse parole, ma non distoglie gli occhi dai tuoi, e forse per la prima volta, lo vedi davvero, nella sua interezza, nella sua immensa umanità, e lo capisci. Ci sono tanti modi in cui quella frase potrebbe finire ( -non ce l’avrei fatta, non mi sarei mai perdonato se ti fosse successo qualcosa, mi sarei distratto pensando a proteggerti) e capisci ciascuno di questi. Pensi a come ti saresti sentito se in Afghanistan ci fosse stato anche Sherlock e sai, nel profondo, che avresti provato le stesse cose. Gli poggi la mano che non è impegnata nello stringere il cotone su una coscia, pericolosamente vicina alla sua. “Non avresti dovuto vivere tutto questo da solo” gli dici, e odi te stesso per non esserci stato e il mondo per avervi tenuto separati e Moriarty, Moriarty più di tutti, per la sua crudeltà.
“Nemmeno tu” mormora.
‘Ti ho sentito’, ti ha detto, solo qualche giorno fa, e ti sei chiesto cosa e quanto avesse sentito; se nel pacchetto fossero inclusi il dolore assoluto, come di un arto mancante, e la solitudine incandescente premuta sul cuore; se avesse sentito il vuoto che ha lasciato nella tua vita, incolmabile da nessuno se non da lui. Ora sei tu a sentire lui, e sai che ha udito tutto questo e forse di più, forse ha sentito anche tutte le notti insonni e i giorni passati come in una fotografia sfocata, color seppia, nulla di brillante o luminoso nella tua vita; ora sai che ti ha sentito perché forse sono le stesse cose che ha provato lui, e non puoi far altro che buttare il cotone sul pavimento per poggiare la mano sul suo collo, senza pressione, nient’altro che la più delicata delle carezze. Senti il pulsare impazzito del sangue nelle sue vene e vedi, per un millisecondo, i suoi occhi chiudersi, con un sospiro. Quando li riapre, l’espressione è incerta.
“Promettimi solo che- che non succederà mai più” dici. “Non posso sopportare l’idea che ti succeda- questo un’altra volta.”
“John-“
“Ti prego.”
Sherlock annuisce piano. I vostri respiri sono rumorosi, come schiaffi che vi ricordano che siete vivi, vivi e insieme, e null’altro conta davvero. “Non importa cosa succeda,” mormori “non andare via senza di me.”
Annuisce di nuovo, come in trance. Ti rendi conto solo ora di quanto siate vicini: forse è lui che si è abbassato, forse sei tu che ti sei sollevato verso di lui, e non è forse questo il riassunto di tutto il vostro percorso insieme? La meraviglia dell’incontrarsi a metà strada, in perfetto sincrono.
Senti la sua mano muoversi lungo la sua coscia, verso la tua. “John, non capisco” ammette, con un filo di voce. A volte è così semplice dimenticarsi che Sherlock non è una creatura di puro istinto come te: le sue decisioni sono sempre soggette a mille e mille filtri, e forse questo spiega il perché ci siano voluti anni e un finto suicidio perché vi trovaste finalmente così. Gli hai lasciato la guida perché eri troppo spaventato per fare la mossa che il tuo istinto ti ha sempre suggerito di fare, e lui si è chiesto troppe volte se valesse la pena farla.
“Con il tuo permesso, vorrei rettificare un errore fatto molto tempo fa” dici, prima di sollevarti completamente e premere la fronte contro la sua. Sei più alto, così, e lui solleva il capo con gli occhi chiusi, alla tua mercé. Dopo tutto questo tempo, è questa l’immagine che ti fa crollare: chiudi gli occhi pesanti di lacrime e poggi le labbra sulle sue. È un primo bacio che sa di disperazione e di sollievo e di un miliardo di cose che non vi siete detti, e quando una delle mani di Sherlock si poggia sulla tua vita, una delle tante lacrime che hai conservato in questi due anni sfugge al tuo controllo, e poi un’altra e un’altra ancora, e le guance di Sherlock, quando le sfiori, sono bagnate delle lacrime di entrambi.
Le vostre labbra si separano con riluttanza, quando l’ossigeno nella stanza sembra sparire; continuate a sfiorarvi, con frenesia, per rassicurarvi in modo quasi infantile che i pezzi ci siano tutti: braccia collo spalle schiena capelli avambracci e mani; oh, le mani: si sfiorano e si aggrappano le une alle altre come dotate di vita propria, chiuse tra i vostri corpi, mentre voi continuate a guardarvi negli occhi.
Avevi il terrore che un giorno li avresti dimenticati, i suoi occhi, e invece eccoli qui, nel loro colore inspiegabile, miracoloso come l’esistenza dell’uomo davanti a te.
Non state sorridendo: i vostri occhi sono ancora lucidi e i respiri accelerati non solo dal bacio, eppure è il momento più intenso che tu abbia mai vissuto, gioia e dolore mescolati insieme al punto da sorpassare ogni definizione.
Non c’è bisogno di parlare: i vostri nasi si sfiorano languidamente e le vostre mani si stringono fino a star male e gli occhi di Sherlock ti fanno una domanda, l’unica domanda che abbia senso, l’unica domanda a cui sapresti dare una risposta con certezza inossidabile. E ora?, ti chiedono gli occhi di Sherlock. E ora?, significa pensa a Mary, pensa alla clinica, pensa a ciò che è successo in questi anni, pensa a questo momento. E ora?
L’unica risposta che puoi dargli, l’unica risposta che abbia senso, è baciarlo di nuovo, gli occhi aperti fissi nei suoi.
L’unica risposta che puoi dargli è E ora, siamo di nuovo noi due, contro il resto del mondo.
Sherlock sorride, ed è tutto ciò che ti serve.
 
  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Elissa_