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Autore: Archangel Reliel    07/05/2009    6 recensioni
Sangue blu...sangue maledetto...
Ho avuto il coraggio di guidare con forza le redini della mia vita, e cosa ne ho ottenuto?
Polvere, sangue e niente più...
Genere: Drammatico, Avventura, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Per quanto tempo ancora giacerai come un morto, mio capitano?
Per quanto tempo ancora dovrò augurarmi di non aver perso la mia guida nel mondo?
Per quanto tempo ancora dovrò piangerlo da solo?
Per quanto tempo ancora…



Era una settimana che Uruha non abbandonava la cabina di un Aoi privo di conoscenza, sette giorni che cambiava bende di lino fradice di sudore febbrile, sette giorni che attendeva una parola di conforto, sette giorni che sperava di non rimanere solo al mondo…
Da quella terribile notte erano ancorati con la Crimsom in un’insenatura nascosta: Uruha aveva radunato gli uomini appena smontato da cavallo. Con voce resa roca dalla rinascita e dal dolore aveva urlato ordini con una fermezza che non sospettava avere, e con il capitano nel buio della sottocoperta avevano preso il largo, destinazione ignota.
Mentre il suo capitano delirava Uruha si chiedeva perché il fato si era accanito contro di loro. Non gli importava di sapere se Dio era in collera per le loro malefatte o se avesse deciso di punirli in un modo troppo crudele, gli interessava sapere perché la malvagità di un uomo gli aveva strappato il suo più caro amico. Non poteva domandarlo ad altri se non a sé stesso poiché chi custodiva una risposta aveva gli occhi chiusi e non sapeva di quanto dolore aleggiasse intorno a loro.
Uruha, indebolito nel fisico e nell’anima, decise di salire sul ponte dopo giorni che non vedeva altra luce che quella delle candele.
«Non mi giocare brutti scherzi mentre non ci sono, intesi?».
Parlava Uruha ore ed ore. Parlava al suo capitano dormiente e a sé stesso non sopportando di chiudersi nel mutismo del pensiero, non ora che aveva riacquistato la parola. La sua voce gli piaceva e sperava di poter parlare presto con Aoi, anche se essa sarebbe servita a discorrere di morte.
Chissà, forse Reita l’avrebbe preso in giro per la sua nuova abilità: il timbro vocale di Uruha era molto profondo e degno di un vero uomo, in aperto stridore col suo aspetto delicato. Sorrise immaginando l’amico additarlo come un fenomeno da baraccone e scoppiò irrefrenabilmente a ridere pensando ad una possibile reazione violenta di Aoi, sempre pronto a difenderlo. Uruha rise e rise, così fragorosamente da doversi reggere al parapetto del ponte, e vi si accasciò su scosso dai singhiozzi. Non dovette attendere molto che quegli schiamazzi allegri si trasformassero in un pianto disperato; come un bambino piccolo si sedette sul duro legno della tolda, tirò le gambe a sé e appoggiò la cascata di cappelli biondi sulle ginocchia, abbracciandole strettamente. Rimase in quella posizione per un tempo interminabile, sferzato dalla brezza e riscaldato da un sole oscenamente caldo e luminoso per quell’istante di sofferenza.
Il ragazzo biondo si riscosse solo quando un mozzo gli strattonò la manica della camicia, alzò gli occhi e si ritrovò davanti a un bambino con la pelle bruciata dal sole e il sorriso sdentato.
«Signore state bene?»
Uruha accennò un sorriso, si alzò e scompigliò i capelli del piccolo:«Ora meglio, ti ringrazio».
«Allora venite con me, di sotto c’è un macello». Il bambino lo trascinò sottocoperta fino alla cabina del capitano dalla quale provenivano dei forti schiamazzi. Uno dei marinai uscì fuori imprecando e tenendosi il braccio destro.
«Armand si può sapere che sta succedendo lì dentro?»
«Meglio che andiate a dare un’occhiata voi signore, con le bestie non ci parlo io!»
Uruha aprì la porta e trovò la sedia dove aveva passato le sue veglie distrutta ai piedi di una parete e Aoi, i capelli scarmigliati, con il busto faticosamente sollevato, paonazzo e sudato, che a denti stretti provava ad alzarsi dal letto. Appena lo vide gli inveì contro:«Immagino che tu sappia chi mi ha legato dalla vita in giù a questo maledetto letto!»
Uruha gli si avvicinò e con forza lo spinse nuovamente sul giaciglio:«Si, visto che sono stato io!»
Aoi sbarrò gli occhi sbigottito e dimenticò di opporre resistenza al compagno:«Devo essere morto o qualcosa del genere se sento Uruha parlare!»
Il biondino scoppiò a ridere e riuscì finalmente a far distendere il capitano:«No, non sei ancora morto sei solo un po’ più ammaccato e isterico del solito!»
«Io non sono isterico, ho solo espresso il mio male di vivere con il comportamento adeguato!»
«Se Armand ti avvelena la cena poi non ti lamentare!»
«E’ più facile che la rifili a quella testa vuota di Reita!»
Uruha strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche, chiuse gli occhi e gli sfuggì un gemito addolorato ed Aoi allora ricordò. E pianse.

«Non è stato un incubo…».
«No…»
Aoi, disteso tra i guanciali, fissava il soffitto con occhi vacui, le mani strette intorno al lenzuolo e il cuore rivolto al suo compagno d’avventure. Sperava che dopo averlo spinto Rei fosse saltato con lui in mezzo ai cespugli, sperava che il ventre dell’amico squarciato da una lama impietosa fosse solo un’immagine e non la realtà.
«Perché non sei andato a salvarlo?». Aoi non osava guardare Uruha.
«Mi ha gridato di portarti via…non potevo non esaudire il suo ultimo desiderio…».
La stretta sul lenzuolo divenne una morsa e dagli occhi di Aoi calde lacrime scesero a solcargli le guancie. Era troppo crudele il Destino, mai generoso. La stessa vita del moro ne era una testimonianza.
«Quel fendente era per me! Perché quello sciocco si è messo di mezzo?!», gridò.
Uruha gli si accostò e provò a dire qualcosa ma subito richiuse le labbra: la verità è che non c’è mai nulla da dire quando una vita si spegne. Però c’è qualcosa da fare, e lui la fece: abbracciò il suo capitano scoppiando assieme a lui in un pianto dirotto, perché chi se ne va non concepisce il dolore che infligge a chi rimane. E non restano altro che lacrime.

Uruha richiuse delicatamente la porta alle sue spalle lasciando Aoi, debole per il dolore e per la coscienza ritrovata, dormiente. Si diresse pensieroso verso la cambusa in cerca di Armand, che ritrovò intento a giocare a carte con un marinaio. L’uomo fece cenno di averlo visto e Uruha si accomodò su uno sgabello, attendendo pazientemente la fine della partita.
«Si è calmata la fiera?», domandò l’uomo qualche minuto dopo; aveva perso ed ora erano rimasti soli nella piccola stanza.
Uruha annuì:«Sei riuscito a visitarlo?». Armand oltre ad essere il cuoco era anche il fidato medico di bordo.
«Sì, prima che si svegliasse, ed ho delle buone notizie».
Uruha sorrise:«Avanti, non tenermi sulle spine!»
Quando Uruha riportò Aoi alla nave quella orribile notte Armand rimase chiuso nella cabina con il capitano per più di un’ora. Diagnosticò che la caduta non aveva danneggiato la testa in quanto Aoi delirava e riusciva a muovere la parte superiore del corpo. Ciò che preoccupava il medico erano le gambe innaturalmente immobili, cianotiche, che non rispondevano a nessuno stimolo.
«Oggi ho colpito nuovamente il ginocchio con un martelletto e c’è stata una modesta reazione».
«Si è mosso?».
«Non precisamente. Ha fatto un lieve movimento e poco dopo si è risvegliato –fece una pausa –gliel’avete detto in che condizioni versa? E perché l’avete legato?».
«Gli ho spiegato che era per non farlo cadere giù dal letto col mare grosso, visto che era incosciente, ma non di più. Aspettavo di conoscere un tuo responso».
«Dovete dirgli al più presto che cos’ha, quello di oggi potrebbe essere stato un episodio sporadico…»
Uruha lo interruppe con un gesto secco della mano:«Dobbiamo essere ottimisti, se dovesse succedere ciò che temiamo per Aoi sarebbe peggio che morire. Mi occuperò io di spiegargli la situazione ma tu fa il possibile!».
«Non posso fare miracoli, signore, ma mi impegnerò al massimo delle mie possibilità».
Era un congedo ed Uruha ne approfittò per ritornare al capezzale di Aoi.
«Signore, a nome di tutto l’equipaggio, volevo dirvi che siamo tutti addolorati per la perdita di Reita, e abbiamo giurato che faremo il possibile per vendicarlo».

Vendetta. L’intero intimo di Uruha era attanagliato dalla sua sete e non aveva ancora avuto il coraggio di manifestarla, ma ora che Aoi era di nuovo cosciente avrebbe potuto parlarne con lui.
Il biondo si bloccò nel mezzo del corridoio: e se Aoi avesse rifiutato? E se Aoi avesse ripugnato l’idea di macchiarsi con il suo stesso sangue per onorare quello di un altro?
Uruha aveva paura, temeva un rifiuto ma, più di tutto, la possibilità che il voler rispettare la memoria dell’amico avrebbe significato perdere l’ultimo membro dell’unica famiglia che avesse mai avuto.
“Non sarò un codardo!”, pensò.
No, non lo sarebbe stato. Avrebbe affrontato la questione con il suo capitano e, se inevitabile, avrebbe perseguito il suo scopo anche da solo. Glielo doveva.
E Uruha rivide sé stesso: tanti anni fa un bambino giurò in fondo al suo cuore che avrebbe difeso a costo della vita colui che gliel’aveva ridata una notte di pioggia. Allora egli non sapeva che le sue spalle si erano fatte carico di un fardello che anche l’uomo più forte spesso non riesce a sostenere…






*si inchina* scusate per il ritardo ma sono rimasta bloccata su questo capitolo per settimane, non sapevo davvero come fare >_< Mi scuso anche per il finale perché era scritto in maniera completamente diversa, solo che mi si è spento il pc e non avevo salvato. E ovviamente non me lo ricordo bene çOç
Il prossimo capitolo conterrà un flashback ma ancora non ho deciso se lo sarà per intero. La storia non ne risentirà ma anzi servirà a catapultare l'azione al punto cruciale.
Rileggendo le recensioni ho notato che nessuno si è stupito del legame di parentela di Aoi e Ruki: era così prevedibile?*scoppia a piangere*
Mi dispiace per il povero Rei ma se vi dico che non era voluta la sua morte dite che peggioro le cose?*fa faccina angelica*
Saprò farmi perdonare non temete u.u
Siccome stanno per arrivare gli esami non vi garantisco un aggiornamento rapido, però di solito mi viene ispirazione sotto pressione, magari rifò una capatina con il nuovo capitolo.
*Il titolo è la traduzione in inglese di una strofa di "Okuribi".
  
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