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Autore: Birdcage D Swan    06/10/2016    5 recensioni
Per il compleanno di Trafalgar Law.
«Non sono un peso inutile! Sono ferito, sì, ma guarirò! Oppure resterò ferito, se ci vuole troppo tempo, ma lavorerò! Lavorerò sodo! Farò tutto ciò che vorrai, anche con un braccio rotto! Non sarò un peso! Non sarò un rifiuto!»
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donquijote Doflamingo, Monkey D. Rufy, Trafalgar Law
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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· 6 ottobre ·
Rifiuto opaco

 
 
 




Respiri delicati, uniti a un russare crescente – rumori di chi ha combattuto e di chi è rimasto ferito; ma anche di chi ha vinto, di chi ha salvato un intero paese da un eterno presente.
Aveva lottato anche lui, anzi: il suo contributo era stato fondamentale per l’esito della battaglia, eppure, proprio non riusciva a dormire. Trafalgar Law poggiava la schiena contro la parete di quella piccola casa immersa tra i girasoli, anch’essi dormienti, senza che il sole indicasse loro dove protrarsi.
Non riusciva a dormire, nonostante il fisico spossato, e non erano poi così tanti i pensieri che lo tormentavano, bensì, uno solo; una sola frase, espressa proprio da lui medesimo, nelle ultime ore di quella giornata:
 
«Per tredici anni ho vissuto con l’obiettivo di uccidere Doflamingo. Ho fatto tutto ciò che dovevo, il resto è nelle mani di Mugiwara-ya. Se dovesse vincere questo scontro, vorrei poterlo vedere con i miei occhi. Se dovesse perdere…vorrei morire al suo fianco.»1
 
Trafalgar Law, bene o male, nel corso dei suoi ventisei anni, aveva incontrato la gente più svariata, sia intelligente che – ahilui! – stupida. Tuttavia, doveva ammettere che il comun denominatore stava nella cripticità. E lui non faceva testo, in merito a tale definizione.
Ma questa tesi, ormai, aveva trovato la sua antitesi per eccellenza: Monkey D. Luffy. Cappello di Paglia. Mugiwara-ya. Il ragazzino turbolento che russava accanto a lui, in preda a un sonno ininterrotto. Braccia, gambe e bocca spalancate, dormiva come un bambino.
“Perché in fondo, tu sei un bambino. Non è vero, Mugiwara-ya?”
Mai aveva conosciuto una persona tanto trasparente e spontanea, sicura del fatto suo e dalle idee ferme e incontenibili, che quasi sembrava non trovassero il tempo di sostare nella mente del pirata, dando così la possibilità a tutti di leggergli nel pensiero.
E fidarsi di lui fu la cosa più semplice del mondo.
Si era sempre definita una persona diffidente, Trafalgar Law, e di questo aveva fatto uno dei suoi punti forti. Troppe volte la sua fiducia era stata riposta in gente che celava sfumature del tutto diverse; tutti grandi attori.
Tutto quel riflettere e una fitta attraversò il braccio danneggiato. Tendini, muscoli e ossa che lentamente si congiungevano tra loro; ma non erano quelli i motivi del suo dolore.
E nuovi ricordi riaffiorarono.
 
 
 
 
L’ammasso di rifiuti non accennava a diminuire; oggetti vecchi e nuovi, sporchi e puliti che fossero, si raggruppavano accanto alla costa, inutili e abbandonati. Dagli elettrodomestici ai mobili, dalle bottiglie alle bambole di bambini troppo cresciuti e, forse, non ancora pronti a disfarsi dei loro giocattoli.
Giorno dopo giorno, nuovi rifiuti si sommavano a quelli già presenti; mai nessuno era disposto a sottrarne una certa quantità, così da destinarla a un inceneritore. Al massimo, i pochi disperati di quella misera cittadina portuale, ormai soliti ad accontentarsi di poco, potevano trarne qualche mero beneficio.
L’interno del frigorifero ammuffito, dove era stato rinchiuso per tutto il pomeriggio; il barbecue arrugginito e il rischio di contrarre il tetano; lo spigolo della cassettiera di legno tarlato contro la quale, ben più di una volta, la tempia vi aveva cozzato fino a farlo sanguinare.
Ormai, Trafalgar Law conosceva i rifiuti di Spider Miles fin troppo bene, forse anche meglio dell’abitazione della ciurma. Non poteva di certo affermare che la cosa gli facesse piacere, peccato che, novellino qual era, non poteva far altro che adeguarsi a quel trattamento: essere scaraventato più e più volte in mezzo a quello schifo.
I rifiuti devono stare in mezzo agli altri rifiuti. Ed ecco che Corazòn si prendeva la libertà di trattarlo come tale.
Le poche volte che a Law veniva concesso di rimanere all’interno della casa, senza che quel bastardo impedito quasi minacciasse d’ucciderlo, prendeva posto accanto alla finestra, su un piccolo sgabello di fortuna dimenticato lì vicino; un libro di medicina, ed ecco pronto il suo angolino di pace.
Una pagina letta, un’occhiata oltre il vetro appannato. Uno scroscio continuo, quella sera, di pioggia grigia, fredda, che con suoni metallici creava echi sordi, ovattati grazie alla finestra appannata e imperlata dall’acqua piovana.
La fine di quei rifiuti non era molto diversa dalla sua: abbandonati a se stessi, sotto una pioggia continua, madre della ruggine che li avrebbe distrutti; una malattia incurabile e nessuno che se ne prendesse cura.
Law tentò di scacciare quel pensiero, avrebbe solo dato ragione a Corazòn e al suo maledetto biglietto. Sollevò il braccio, pronto a sfogliare la pagina ormai conclusa, quando una fitta di dolore nacque dal gomito. Gemette tra i denti, le palpebre serrate. La mano sinistra tastò il punto dolorante sul braccio opposto, avvertendo il gonfiore che circondava quell’area circoscritta.
Quasi con timore, osservò il risultato dell’ultimo incidente avvenuto tra lui e Corazòn. Una breve ma attenta analisi per capire con più chiarezza cosa fosse successo: una brutta caduta da dieci metri, il braccio teso in avanti per sostenere il suo peso, infine, il gomito slogato.
Una sfumatura di viola malsana, gonfia, a premere sotto la pelle. Il dolore insopportabile a ogni minimo movimento e le conseguenti urla che, una dopo l’altra, morivano all’interno della gola.
Il libro cadde dalle ginocchia e raggiunse il pavimento con un tonfo sordo.
Accenni di lacrime nacquero dagli angoli degli occhi grigi, offuscando la vista appena, ma non abbastanza da non notare quella combinazione di colori. Non era tanto il livido in sé, sempre più amplio e gonfio, a infastidirlo maggiormente, ma piuttosto il come questo appariva.
Il suo incarnato, dall’innaturale candore, sembrava canzonarlo, prenderlo in giro, marchiarlo molto più di qualsiasi altra cosa, come l’ombra circoscritta e violacea che, gonfiandosi, si espandeva sul gomito bisognoso di esser fasciato. Quel segno di violenza si vedeva chiaramente – troppo chiaramente – e tutto per colpa della sua malattia.
«Dannazione…!» bisbigliò.
«Davvero una brutta botta» commentò una voce proveniente dall’entrata della stanza e per Law fu semplice riconoscerne il proprietario. «Penso di sapere già chi sia la fonte, fufufu
In quel momento, parlare e incontrare qualcuno, per Law, equivaleva a gettarsi nuovamente in mezzo ai rifiuti; in particolar modo, quando l’uomo appostato sulla soglia si trattava del suo Capitano.
Il labbro inferiore si frappose tra i denti, morsicato con forza da questi ultimi. Il mento s’incasso tra le clavicole: uno dei tanti gesti per nascondere agli occhi di Doflamingo la fonte del suo dolore.
Una settimana.
Una diavolo di settimana.
E già un braccio era andato.
Mai si era mostrato debole, neanche quando veniva scaraventato dalla finestra, o innanzi alle risate di scherno di Diamante e Trèbol. Mai. E non lo sarebbe stato neanche in quel momento.
Tentò di rilassare i lineamenti del viso, un piccolo salto per scendere dallo sgabello, infine, raccolse il tomo col braccio sano.
«Non è niente» affermò, lo sguardo basso e torvo, un passo dopo l’altro in direzione della porta. «Penso andrò a dormire. Buonanotte.»
La biblioteca improvvisata di Doflamingo: piccola, ma comunque ben fornita. Lì, a Law era concesso di prelevare un libro per volta, di restarvi fino al tramonto, prima dell’arrivo del Capitano. Ma, quella sera, il tempo sembrava aver perso la sua importanza.
Raggiunse Doflamingo con l’intenzione di andarsene, quando la presa salda di una mano grande quanto il suo viso si soffermò sulla spalla. Rabbrividì al solo pensare a quella mano, a quante vite avesse falciato, a quanti corpi impietriti dal terrore avesse manovrato – impietriti, proprio come si stava sentendo lui, nonostante dalle punte di quelle dita lunghe e affusolate non scaturisse alcun filo.
Rise, Doflamingo, e il piccolo Law si accontentò di quella risata, incapace di alzare lo sguardo, di incontrare quell’espressione spavalda che tanto connotava il viso del suo Capitano. Non voleva sentirsi preso in giro, di nuovo, da qualcosa che non fosse il suo stesso corpo ricoperto da chiazze candide e lividi gonfi.
I rifiuti devono stare in mezzo agli altri rifiuti. Non voleva sentire quelle parole – non dall’unica persona che continuava a credere in lui; non dal suo Capitano.
«Non prendermi in giro, Law.»
Trasalì, le pupille due capocchie di spillo.
«Cosa me ne faccio di un mio uomo ferito.»
Diverse, le parole, ma pur sempre lo stesso significato che Law tanto temeva. In un moto di orgoglio – e paura, tanta paura –, lo guardò, digrignò i denti, la fronte si raggrinzì.
«No!» urlò disperato. «Non sono un peso inutile! Sono ferito, sì, ma guarirò! Oppure resterò ferito, se ci vuole troppo tempo, ma lavorerò! Lavorerò sodo! Farò tutto ciò che vorrai, anche con un braccio rotto! Non sarò un peso! Non sarò un rifiuto!»
Le parole si susseguivano, un fiume di richieste, di preghiere, di speranze per quei pochi anni che gli restavano. E l’espressione sorridente di Donquijote Doflamingo che non variava.
«Fufufu! Credi che non l’abbia capito?» E il fiume si prosciugò.
«Cos…?»
“Cos’è che non ho capito?”
«Per chi mi hai preso, Law?» Dalla spalla al centro del petto, la mano del fenicottero spinse il bambino nella stanza. Trafalgar si voltò, lasciandosi dirigere dal suo Capitano.
«Oh, non fraintendermi, Law. Apprezzo molto la tua determinazione» Doflamingo, con un rapido gesto, rovistò nel cassetto della scrivania. Si ritrovò in mano un sacchetto, che colpì con un pugno secco, e il liquido contenuto al suo interno si cristallizzò all’istante. «Ma, vedi, non mi è mai piaciuto chi fa l’eroe.»
Doflamingo raggiunse la poltrona nell’angolo della stanza, vi si sedette. «Bisogna accettare i propri limiti.»
Infine, Law si ritrovò seduto sulla gamba destra del suo Capitano. Una sensazione di fresco avvolse il gomito danneggiato, mentre il biondo gli cingeva la schiena.
Il ghiaccio. Certo. Per diminuire il gonfiore di un arto gonfio oppure slogato, il freddo è quello che ci vuole, come prima cosa.
Perché non ci aveva pensato prima?
Mantenne lo sguardo basso, imbarazzato, debole. Stupido.
«Non devi sentirti in colpa. Non è mica colpa tua, in fondo. Fufufu
Trasalì, di nuovo. Gli occhi serrati, un lieve urlo di rabbia intrappolato nella trachea.
No, non era colpa sua. Non era colpa sua se era malato, se tutta la sua famiglia era morta. Non era colpa sua se era stato costretto ad allearsi con dei maledetti pirati, se il Capitano di quella ciurma sembrava adorarlo, ma incapace di farlo sentire veramente apprezzato, con quel maledetto atteggiamento di chi pensa di sapere tutto.
E soprattutto, non era colpa sua se era diventato un rifiuto.
 
«No» bisbigliò Law. «Non è colpa mia.»
 
«Così mi piaci!» affermò Doflamingo, insinuando la mano libera tra le pagine del libro che Law – quasi se n’era scordato – teneva ancora sotto l’arto sano. «Stavi leggendo questo, no? Continua pure! Ci vogliono almeno venti minuti prima che il braccio venga fasciato.»
Aprì il libro nel punto in cui si era interrotto, peccato che mente e concentrazione fossero altrove.
Inutile dire che Doflamingo se ne accorse, ma Law lo interruppe prima di qualsiasi fastidioso commento.
«Cosa diavolo vuole Corazòn da me?»
«E chi lo sa» Doflamingo fece spallucce. «Non so dove sia stato, per tutto questo tempo. Forse in un asilo nido con bambini problematici che l’hanno fatto impazzire. Comunque, non m’interessa. L’importante è che svolga al meglio il suo ruolo nella Famiglia e senza mettersi nei guai, cosa che sta facendo.»
Finì per darsi dello stupido.
Cosa si doveva aspettare? Che Doflamingo lo obbligasse a smetterla? Come il suo papà che riprendeva i bambini dispettosi che lo spintonavano nel parco?
«Già… Forse è così…»
Lo sguardo scorreva sulle lettere stampate. Leggeva senza capire o concentrarsi.
Non sapeva cosa dire, incapace di lamentarsi per il trattamento che subiva ogni giorno e tentò di contenere l’ennesimo moto di rabbia stringendo con forza l’oggetto che reggeva nella mano sinistra.
Poi, i nervi si rilassarono e per un primo momento quasi s’illuse che quel piccolo sfogo l’avesse aiutato, ma poi sentì un calore sulla nuca, unito a una lieve pressione che, in seguito, si arrampicava tra i capelli neri, per poi tornare al punto d’origine.
Doflamingo gli lasciava dolci carezze sul collo, talmente mirate da rilassarlo come non mai.
Diede una rapida occhiata al gomito dolorante: un fascio di fili che legavano il ghiaccio al suo arto.
«Va meglio, Law?»
E non seppe resistere. Alzò lo sguardo. Doflamingo lo guardava oltre le lenti, un sorriso a labbra chiuse, le nocche della mano sinistra a sorreggere la testa.
Abbassò rapidamente il capo e deglutì con imbarazzo.
«Sì…» balbettò. «Va… Va un po’ meglio…»
Era la prima volta che, tra lui e Doflamingo, vi fosse tanta confidenza e non ne capiva il motivo.
Diceva di comprenderlo, di aver vissuto le sue stesse disgrazie, insieme al fratello. Che i suoi occhi grigi rispecchiavano il dolore che aveva vissuto, come quelli del suo Capitano. Tuttavia, come poteva comprendere i pensieri di quell’uomo? Era del tutto incapace di conoscerlo a fondo.
Sapeva che gli occhi fossero lo specchio dell’anima, ma lui gli occhi di Doflamingo non li aveva mai visti. Quindi, che Doflamingo non avesse un’anima?
“Ma cosa mi salta in mente?”
Certo che aveva un’anima! Law sapeva che il suo Capitano era un bastardo, un pirata senza scrupoli, ma l’aveva salvato, l’aveva accolto ed era pronto a farlo diventare il suo braccio destro. Inoltre, proprio in quel momento, lo stava curando dalle violenze di Corazòn. Semmai, era quest’ultimo a non avere un’anima.
“Corazòn… Maledetto!”
E quello fu l’ultimo pensiero che attanagliò la mente del piccolo Trafalgar D. Water Law, prima che il sonno s’impadronisse di lui e il dolore al braccio cessasse.
Il mattino seguente, si svegliò nel suo letto, una matassa di fili lucenti ad avvolgergli il braccio destro.
 
 
 
 
Trafalgar Law non poté fare altro che mettersi a ridere.
Aveva sbagliato tutto, sia con Doflamingo, che con Corazòn. Certo, poteva dare la colpa alla sua ingenuità di bambino, agli occhi velati dalla paura del futuro troppo breve che si protraeva innanzi a lui. Tuttavia, si trattava anche di stupidità.
“Pensa te, che idiota” concluse. Perché solo un idiota poteva pensare che Cora-san non avesse un’anima.
Smise poi d’incolparsi quando un braccio magro e rilassato gli cinse il bacino. Il sonno di Luffy non accennava a terminare, la solita espressione ebete impressa sul volto del giovane pirata.
Senza neanche pensarci, ma con una certa fatica, la mano destra di Law andò a posarsi sul capo di Cappello di Paglia e un lieve sorriso increspò le labbra del chirurgo.
 
«Tu non sei in grado di mentire, vero, Mugiwara-ya
 

 
 
 
 

 
Nella gabbia…
 
[1] Tratto dal capitolo 783 – “Intralciare la mia strada”
~ Col termine “violenza”, ovviamente, intendo il gesto di lanciare il povero Law tra i rifiuti, o di picchiarlo, così da spingerlo a lasciare la Family, come tutti ben sapete.
 
Una fic per il compleanno di Trafalgar Law ci voleva!
Quindi, buon compleanno, Law! :D
E anche a Tashigi e a tutti quelli che compiono gli anni questo giorno, ^^

Dunque, come potete notare – incredibile ma vero –,
ho omesso quasi totalmente una trattazione in merito al legame tra Law e Corazòn, avendolo proposto fin troppo spesso nella raccolta dedicata a Rocinante e temevo di ripetere cose già dette.
La scena pseudo-fluff tra Doffy e Law vuole essere l’anticipazione di una OS (più lunga) a cui sto lavorando e che, spero, potrete leggere presto (EDIT: e ora finalmente è online!!! :DDD – "Nostalgia").
 
Parlando del rapporto tra Law e Luffy: vederci dello yaoi o qualsivoglia riferimento amoroso è a vostra discrezione,
ma non era mia intenzione inserire niente di simile, nonostante come coppia mi piacciano molto.
Avrete capito che questa fic parla di primi impatti: Doffy che sembra una brava persona ma in realtà è un bastardo, viceversa per Rocinante, e infine Luffy che è sempre il solito – trasparente come il cristallo più puro; lo adoro, :DDD
 
In conclusione, sono soddisfatta del risultato?
No. Non più di tanto, almeno.
Temo di non esser riuscita a trattare le varie tematiche come desideravo.


Vi lascio (per l'ultima volta, lo giuro!) tutti i miei contatti di Tumblr, nel caso siate interessati ai miei deliri:
~ Birdcage: dove rebloggo roba random (anche di One Piece, soprattutto di One Piece).
~ Heart: dove rebloggo tutto ciò che ha a che fare con Law, Doffy e Cora-san.
~ Rhymes Of Nature: dove rebloggo paesaggi bellissimi.


Grazie per esser arrivati fino a qui!
A presto!

 
Swan
 
 
 

 
  
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