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Autore: Artemys22    06/10/2016    1 recensioni
One-shoot what if? che vede colme protagonisti un Guren impossessato della sua amata e uno Yuu che vuole salvarlo. Ho immaginato un possibile risvolto diverso dalla storia originale.
Yuu corre da colui che lo salvò in quella notte di neve e sangue e, come si vede anche nell'amine/manga, tenta di risvegliarlo. Guren (che evidentemente, in fondo, è ancora in sé) piange e, pur di non nuocere alla famiglia che ama preferisce andarsene, e rivive un lontano ricordo che visse con uno Yuu dodicenne che stava ancora cercando di nascondere tutte le ombre del suo passato.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Guren Ichinose
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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"Guren!!!" gridò Yuichiro correndo incontro al suo comandante. Guren era ridotto male, il volto e l'uniforme scalfiti da profonde ferite, fendenti di lame affilate e rovinose cadute. Il demone ormai lo possedeva in tutto e per tutto. E pensare che lo stesso demone che ora governava il suo corpo una volta lo amava. Guren ricordava i momenti passati con lei, quella Hiragi, a scherzare, a sorridersi, ad abbracciarsi, a baciarsi. Non avrebbe mai voluto separasene. Per questo era diventata il suo armamento maledetto. Ma nonostante il passato lei ora lo possedeva, e lui ormai non poteva fare niente. 

Non sentiva. Non vedeva niente. Percepiva presenze attorno a se. 
Cos'è stato? Un sibilo improvviso gli aveva sfiorato l'orecchio. 
Cos'era ancora? Un flash: un ragazzino dai capelli corvini e gli occhi verde smeraldo. Cos'era quel viso? Dove l'aveva già visto?

Neve. Ora vedeva neve. E alberi rinsecchiti. Il cielo bianco sembrava incupirsi al limitare con le mura di una città a lui conosciuta. Un bambino. Lo vide da dietro. Vide subito i suoi capelli neri risaltare sul bianco della neve e dell'uniforme come una goccia d'inchiostro su un foglio di carta. Piangeva. Lo chiamò. Il bambino si girò: i suoi occhi verdi fissavano, oltre a lui, altre persone dietro il generale. Percepì due presenze dietro le sue spalle, s'era completamente dimenticato delle sue compagne di squadra. Poi parlò al bambino. Non capiva cosa gli stesse dicendo. Vide i suoi occhi bagnati dalle mille lacrime illuminarsi e guardarlo con ammirazione. Il bambino mosse dei passi incerti verso l'adulto. Guren non si mosse. Il giovane lo abbracciò facendolo cadere. Singhiozzava parole che non ricordava stringendolo a se, cercando conforto. Guren si ritrovò impreparato al gesto emotivo del bambino, nell'Esercito Demoniaco Imperiale Giapponese non aveva ricevuto una benché minima preparazione a situazioni simili.

Yuichiro Hyakuya. Ecco, ora ricordava. Il ragazzo lo chiamava, sentiva gridare il suo nome, il suono era come trattenuto da una spugna. Un altro flash. Yu combatteva. Contro chi combatteva? Contro il generale. Impossibile, pensò Guren, non può combattere contro di me quando siamo sul campo di battaglia. Eppure era proprio la spada di Guren quella che vedeva tenere testa all'Armamento Maledetto del giovane. O per meglio dire il ragazzo stava tentando di parare i potenti fendenti che lo stesso comandante stava lanciandogli contro.

Faceva male. Oh, quanto faceva male. Era evidente il suo dolore. Pianse. Vide gli occhi del ragazzo fermarsi straniti sui suoi violacei e rossi. 
Non c'era modo di fare retromarcia, Guren lo sapeva. Ma non avrebbe mai rischiato di perdere la sua... famiglia. Non avrebbe rischiato di uccidere con le sue stesse mani Shinoa, Kimizuki, Shinya e quello scemo di uno Yuu.
"Non puoi riprendere il controllo del tuo corpo, Guren" intervenne ferma la voce del demone. "Ormai ce l'ho io". Guren rise, dentro di se. Fece risuonare una risata malsana, che giunse forte e chiara alle orecchie appuntite del demone in gonnella. "Che hai da ridere? Ormai non puoi più fare niente. Te l'ho detto: ho il pieno controllo del tuo corpo" ripetè lei in tono dolce e comprensivo, com'era solita rivolgerglisi. Lui rise ancora. "A me basta controllare un braccio" disse con un sorriso sul volto, un sorriso sadico, consapevole e sollevato. Il demone strabuzzò gli occhi. 
Il braccio destro si sollevò lentamente volgendo la punta della lama verso il petto del comandante. La mano sinistra sprigionò il bavero del ragazzo che cadde a terra. Per qualche secondo Yuichiro potè vedere negli occhi del suo superiore il suo sguardo duro e severo all'esterno, ma dolce comprensivo e paterno nel profondo. Guren distese il braccio, caricò con tutta la forza che trovò e, con un movimento secco, si trapassò il petto.
"GUREEEEN!!!"

 

La porta cigolò. Dei passi riempirono la stanza vuota. Anzi, non era del tutto vuota, la tristezza e le lacrime di un bambino si stringevano in un angolo ombroso della stanza, cercando di nascondersi alla vista di quei passi che erano entrati, prepotenti. Yuichiro stava rannicchiato sul pavimento, accanto al letto, ancora dormiente. Sognava. O per meglio dire stava avendo un incubo, e nemmeno l'impatto ch'ebbe dopo essere caduto dal letto lo risvegliò. I passi di un uomo alto con una camicia bianca e una cravatta si fermarono davanti al bambino. Guren appoggiò il suo blocco degli appunti su una sedia insieme alla penna e si chinò davanti al bambino. "Ehi" lo chiamò. "Ehi, tu, svegliati" tentò ancora, ma Yuu non sembrava essere in grado di risvegliarsi dal suo incubo. Tremava, respirava pesantemente in gesti convulsi come in una corsa, mugolava pezzi di parole disconnesse fra di loro, piangeva. Guren sbuffò. 'Ma tu guarda cosa mi tocca fare...' pensò. Lo prese in braccio stringendolo per non farlo cadere mentre questo continuava la sua corsa attraverso il brutto incubo che provocava caos nella sua testa. A Guren parve quasi di riconoscersi in quel bambino. Lo guardò per un attimo: vederlo in quello stato, anche se gli costava parecchio ammetterlo e non l'avrebbe comunque mai detto a nessuno, gli recava dispiacere, lo faceva quasi stare male. Scosse velocemente la testa per distogliere la sua attenzione da quei pensieri ed appoggiò il bambino sul letto, coprendolo. Si sedette sul bordo del morbido materasso aspettando che si calmasse, ma anche dopo una decina di minuti il bambino continuava a scappare dalle ombre del suo passato, e il suo respiro si faceva sempre più veloce, sempre più disperato. Guren si guardò attorno per un attimo nel tentativo di farsi venire in mente qualcosa. "Ah... Non sono tagliato per fare il padre" disse fra sé e sé. Appoggiò la sua mano grande e calda sul piccolo corpo di Yuu cercando di calmarlo. Finì senza accorgersene per accarezzargli lentamente la chioma, facendo passare le sue dita tra i capelli corvini del dodicenne. Si perse nella morbidezza di quei fili sottili. Lo guardò ancora: sembrava stesse funzionando. Yuichiro smise, piano piano, di agitarsi nel sonno. Era voltato dalla parte del comandante. Quest'ultimo, capito di aver terminato il suo dovere li, lasciò il capo del bambino abbandonando la mano sul cuscino, accanto al suo volto. Si fermò qualche secondo a riflettere su qualcosa a cui nemmeno lui stesso riusciva a stare dietro. Percepiva il fiato leggero del bambino sulla pelle della sua mano. 'Già' si disse 'Questo mondo non risparmia proprio nessuno'. Si voltò, pronto per uscire, quando sentì delle piccole dita leggermente infreddolite toccargli la mano. Si voltò sorpreso notando il piccolo Yuu spostatosi nel sonno più vicino a lui, verso il bordo del letto, e le sue dita affusolate che risalivano lentamente le sue fino ad afferrargli debolmente il polso. Guren non riuscì a fare niente. Poi il bambino disse una parola. Fu una semplice parola elementare, di quelle che i neonati imparano per prime: "P-papà...". Guren rimase stupito da quella parola come non lo era mai stato. "Ehi, no, ma che dici...?" ma si rese conto di star parlando invano: Yuichiro ancora dormiva. Non riuscì a trattenere un sorriso sincero, rivolto al bambino che ancora gli teneva la mano stringendola tra le dita, la fronte a contatto con il suo polso. L'uomo si piegò lentamente sulla testa del bambino e gli regalò un gesto paterno che riservò a lui soltanto. Gli lasciò un bacio sulla tempia per poi alzarsi ed uscire dalla stanza, dimenticando la luce della lampadina accesa.

   
 
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