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Autore: Jultine    07/10/2016    0 recensioni
Un'epidemia ha cancellato il vecchio mondo che ora si regge a stento sulle schiene dei pochi sopravvissuti. In un giorno come tanti - morto e grigio come gli altri - un padre perde la propria figlia. E se stesso.
«Ipocrita o meno, le ha dedicato una smorfia di circostanza e una manciata di parole.
Mi va bene così.»
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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I NOSTRI UNDICI CIELI





Oggi pomeriggio ho perso mia figlia. È rimasta intrappolata dentro al supermercato sulla strada principale. Duecento metri dalla ventitreesima, oltre il muro di cinta del rifugio. Mi sono distratto un attimo e si è infilata tra le lamiere e i vetri scheggiati. Le ho detto di uscire, lei mi ha risposto aspetta, forse è rimasto qualcosa. E poi è crollato il tetto. Mi sono ficcato dentro e ho cominciato a scavare a mani nude, poi dai calcinacci è sbucata fuori una gamba. Era ricoperta di detriti e mancava la scarpa. Mentre cercavo di liberarla, Bi è arrivato e mi ha trascinato fuori per un braccio. Gli ho spaccato il muso, a quel figlio di un cane.
        «Vuoi rimanerci secco anche tu?» ha gridato, e sputava sangue per terra mentre si reggeva il naso «Vieni a disinfettarti quella merda!»
        Lui non ha figli, ha sempre fatto quello che gli pare. Non gli importa di nessun altro che non sia se stesso. Mi ha scrutato per un po', convinto che gli andassi dietro, e appena mi ha visto rientrare è tornato da Jake e Belladonna.
        Era un amore, mia figlia. Ci tenevo a darle un'ultima occhiata. Appena ho ammassato in un angolo gli ultimi brandelli di intonaco sono rimasto a fissarmi i palmi delle mani. Dio, sembrava cibo per cani, bocconcini in lattina.  Me ne sono andato.
 

*

 
       Accendere il fuoco, stasera, tocca ad Emily. Dopo un anno e nove mesi di bivacco non ha ancora imparato, brutta cretina. Traffica con un acciarino mezzo consumato, ignara di alcuni fili d'erba ancora freschi tra gli sterpi dell'esca. Ad un certo punto, Belladonna si alza da terra e, con le mani sui fianchi un tempo floridi, le dice fai fare a me. Emily scarta di lato, ribatte ce la faccio. Non ce la fa. Allora Belladonna le strappa l'acciarino dalle dita sudice.
       «Sei una stronza prepotente.» sibila Em.
Qualcuno si arrischia pure a soffocare una risatina.
Spettava a lei, non a mia figlia.
       Mentre Bi distribuisce la solita brodaglia, la luce tremula della brace ci fa sembrare fantasmi o matti cultisti di qualche setta. Nessuno emette fiato. Appena tutti hanno da mangiare però, si mettono ad ingurgitare famelici come se oggi non fosse successo niente. Non una parola, non uno sguardo particolare. Solo le solite occhiate fumose e il risucchio assordante delle labbra contro le gamelle. Che schifo.
       Osservo i fagioli anemici e mollicci che galleggiano sulla superficie della ciotola. Le bucce si sono separate dalla parte più tenera e fluttuano come coriandoli.
       «Dai, mandane giù almeno un po'.» mormora Belladonna. La sua mano è calda sotto ai guanti. Mi preme la spalla con compassione quasi materna.
       «Non ho appetito.» taglio corto, ma non riesco a scrollarmi di dosso il suo tocco.
       «Non è stata colpa tua.»
       «Non è stata colpa mia.» faccio eco.
       Bella mi dà un'altra pacca e va a sedersi accanto al fuoco. Ipocrita o meno, le ha dedicato una smorfia di circostanza e una manciata di parole. Mi va bene così.
 

*

 
Jake mi sveglia che l'alba non è ancora sorta.        
       Stai zitto, mi ordina.
       Sono ancora intontito dal sonno e preso a cazzotti dai ricordi e tu mi butti fuori dal sacco a pelo? Lo guardo di sbieco. Magari lui e Bi si sono messi d'accordo per farmela pagare per la storia del pugno.
         «Che c'è?» grugnisco.
       «Andiamo a seppellire tua figlia.»
Non riesco a ribattere nulla. Mi carico lo zaino in spalla e ci mettiamo in marcia verso la ventitreesima.
        I pochi uccelli rimasti hanno cominciato a cinguettare. Oltre una sottile coltre di nebbia si intravede il sole, pallido e smorto. Anche lui sembra essersi beccato il virus, proprio come ce lo beccheremo noi due per seppellire un fantoccio.
Mia figlia era un amore.
       Per essere aprile si gela, butta Jake. Non dico nulla, anche perché non c'è un cazzo da dire, allora lui riattacca e mi chiede come stanno le mani.
       Loro stanno alla grande, sussurro. Spero si tappi la bocca.
Ci piazziamo di fronte all'entrata del supermarket. Un ratto schizza fuori dalle macerie e va a rintanarsi in mezzo ai cespugli. Immagino che lì dentro avesse trovato da mangiare e immagino anche che cosa, e non riesco a trattenere le lacrime, i singhiozzi, i conati di vomito.
       Jake mi tira su, dice non sei solo, ti aiuto io. Mi indica la pala e mi propone di fare tutto lui se non me la sentissi. Vaffanculo, era mia figlia.
       «Quando ieri siamo andati in perlustrazione ho trovato queste cose.» Esclama ad un tratto. Fa scorrere la zip dello zaino e ne tira fuori un pacco di guanti.
       «Ah.»
       «Ho pensato che con questi e le bandane sulla faccia rischiamo di meno.»
       «Sì,» mormoro «rischiamo di meno.»
       Entriamo dentro. Appena Jake nota il cranio maciullato di Holly fa finta di niente e le avvolge un sacchetto di plastica attorno a quello che rimane del collo e del resto.
Lui l'afferra per le braccia e io per le mani, poi la tiriamo fuori. Dopo aver scavato abbastanza in profondità, Jake mi chiede se prima di metterla dentro volessi pregare.
       Non c'è nessun Dio, rispondo.
 

*

 
Mi ricordo che Holly contava gli anni in base al cielo. Era convinta che, ogni volta che si festeggiava il suo compleanno, il cielo mutasse in qualche modo. Quando la gente le chiedeva quanti anni avesse, lei rispondeva (per esempio) cinque cieli, sei cieli, sette cieli.
       Rimango accovacciato accanto alla sua lapide di calcinacci e aspetto che sorga il sole come si deve.
       Noi altri ci raggiungi dopo, mi ha detto Jake prima di allontanarsi.
Non pensavo fosse un così bravo ragazzo.
       Tiro fuori dalla tasca un pennarello nero. Scrivere sulle carcasse di intonaco non è facile, ma il risultato sembra leggibile. Niente di eccezionale.

 
"Holly, ai nostri undici cieli".
   
 
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