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Autore: Neverland98    07/10/2016    1 recensioni
Fayleen ha ventun'anni, è bella ed è uno dei soldati più forti dell'esercito delle terre dell'Est. Determinata, coraggiosa, leale: ha giurato di proteggere la sua Imperatrice fino alla morte.
-
Aleksis è govane. Bellissimo. Nessuno conosce esattamente la sua età né la sua storia. Ma è il temibile comandante che da due anni ha guidato le Terre dell'Ovest in rivolta contro quelle dell'Est.
Il suo popolo conta su di lui, gli è fedele ed è disposto a morire.
-
In un'epoca imprecisata, a seguito di nuove scosse di assestamento come quelle avvenute nella preistoria, il mondo assume un nuovo assetto. I continenti sono più piccoli, ma molto numerosi.
Ciascuno conosce solo il proprio: i viaggi sono pericolosi a causa dell'inquinamento che ha reso il mare e l'aria imprevedibili.
-
In uno di questi, diviso in Terre dell'Ovest e Terre del Sud, si consuma una guerra drammatica. Mentre tutto intorno la morte e l'odio imperversano, l'amore troverà il modo di imporsi, egoista e prepotente come suo solito, nei cuori di due sfortunati giovani.
-
[Dal testo]
- Dimmi, hai paura, soldatino?-
Mi gira intorno, con la grazia di un predatore. -Non ho paura di niente.-
Ride. - Dovresti, invece.-
Genere: Guerra, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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III


 
 
Avanzo lentamente. La nebbia fitta intorno a me ostacola la visuale. E' così densa che la si potrebbe tagliare con un coltello. Nera, grigia e, in alcuni punti, di un pallore bianco. E il suo odore fastidioso e penetrante mi fa girare la testa, pizzicandomi le narici e graffiandomi la gola. Tossisco un paio di volte. No, questa non è nebbia. E' fumo.
Un terrore sordo e implacabile si fa strada dentro di me. I battiti del mio cuore accellerano vertiginosamente. Li sento rimbombare nelle orecchie. Come se non bastasse, il fumo mi fa girare la testa. E' la prima volta che mi capita. Non l'ho mai trovato tanto denso. Una cappa plumbea e maleodorante che mi si incolla addosso, penetra attraverso i pori della mia pelle.
Il silenzio è improvvisamente rotto dal gracchiare dei corvi. Alzo lo sguardo al cielo, dove uno stormo nerastro e grottesco sta offuscando quel poco di luce che c'era.
D'un tratto, con la chiarezza di una rivelazione, una certezza si impossessa di me. So dove mi trovo. Come ho potuto non accorgermene subito? E' un campo di battaglia.
Non saprei dire quale (ne ho visti talmente tanti), ma l'odore e l'atmosfera è inconfondibile.
Con una certa ansia mi domando come accidenti sia arrivata qui. Tre giorni sono già passati? Okay che il tempo vola, ma così non ha nemmeno aperto le ali.
Istintivamente mi tocco i fianchi e rabbrividisco non trovando alcuna arma. Abbasso lo sguardo sul mio corpo e impallidisco. Non indosso neppure la divisa. Solo pantaloni attillati neri, una lunga sformata camicia bianca e stivali di cuoio consunto.
Decisamente non è da me.
Che accidenti ci faccio qui?
Si alza una brezza leggiera, trasportando con sè il cattivo odore di carne putrefatta e polvere da sparo. Già, a proposito. Dove sono le urla? E gli spari? E il clangore delle spade che cozzano l'una con l'altra?
Mi concedo un sospiro di sollievo. Non c'è nessuna battaglia. Almeno, non più. Deve essere terminata poco fa, a giudicare dalla quantità di fumo che persiste nell'aria. Però, se non altro, non c'è traccia di esseri umani. Neanche i gemiti o i rantoli agonizzanti dei feriti. Niente di niente. Che strano.
Intorno a me, gli alberi non sono mai sembrati così alti. Per un momento ho la netta sensazione, quasi la certezza, che si congiungano al cielo. Così come le sbarre di una prigione sono incollate al soffitto.
Non sono mai stata claustrofobica, credetemi. Eppure, in questo momento, mi sembra che il mondo che mi circonda mi si stia restringendo addosso. Potrei giurare che il terreno e gli alberi e tutto il resto si muovano verso il centro della terra, dove mi trovo io. Mi si chiudono gli occhi. Mi manca l'aria. Mi gira la testa.
Le mie ginocchia cedono. Sbattono con un tonfo sordo sul terriccio umido e le foglie secche.
Ad un tratto, uno scricchiolio, come un ramo che si spezza, mi fa voltare di scatto la testa di lato.
C'è qualcuno che si nasconde, dietro i cespugli. Ho paura. Sono disarmata e l'unica cosa intelligente da fare sarebbe andarmene in fretta, ma non posso. Mi sento inevitabilmente attratta da qualunque cosa si celi tra le foglie. Un'attrazione fatale, e al contempo perversamente irresistibile. I miei piedi hanno vita propria. Mi rialzo, cammino verso il cespuglio incriminato. Man mano che avanzo un terrore sordo si impossessa di me. Andarmene! Urla una voce nella mia testa. Devo andarmene! Andarmene!
Ma non posso. La mente e il mio corpo non collaborano, hanno preso strade diverse.
Avanzo, e avanzo ancora.
I corvi gracchiano. Il cattivo odore è pungente e aspro.
Qualcosa si agita dietro l'alto cespuglio. Adesso ci sono, lo vedo.
Ho capito cos'è, ma...
Urlo.
Impossibile.



Apro gli occhi di scatto e mi sollevo sui gomiti, sollevandomi dal materasso come spinta da una molla.
E' buio pesto. Le tende impediscono al minimo raggio di sole di farsi strada.
Artiglio le coperte fino a sentire le unghia lacerare il sottile strato di seta.
Il cuore mi rimbomba nelle orecchie. Ho la fronte imperlata di sudore, ma non solo. Mi sembra di andare a fuoco, e allo stesso tempo sono completamente bagnata.
Annaspo per almeno cinque minuti, prima di regolarizzare gradualmente il respiro fino a riportarlo alla normalità. Ho davvero temuto di avere un infarto. Per una frazione di secondo, ho quasi percepito il cuore sbattere contro le ossa della gabbia toracica.
Mi passo una mano tra i capelli. Sono sporchi di sudore e appiccicosi. Alcune ciocche sono come incollate. Secche e incrostate di qualcosa. Di fango e sangue.
Ora ricordo. Ero talmente stanca che mi sono infilata sotto le coperte così com'ero: sporca e ferita.
A proposito.
Una fitta lancinante alla spalla destra mi ricorda che non avrei dovuto tirarmi su così all'improvviso.
Lentamente mi metto a sedere per bene, appoggiando la schiena all'alta e morbida testiera del letto.
Nel buio della stanza, cerco a tentoni sul comodino il telecomando per aprire le tende. Lo trovo e lo aziono. I numerosi strati di stoffa scarlatta si aprono con un ronzio metallico, offrendomi la visuale su un cielo nero e stellato.
Accidenti. Mi domando quanto abbia dormito.
Ricordo di aver affermato che mi sarei alzata dopo massimo un paio d'ore.
E invece.
Premendo un altro tasto del telecomando, le numerose lampade nella stanza si accendono, illuminando l'ambiente di luce forte e bianca.
Strizzo gli occhi un paio di volte. L'orologio appeso al muro segna le nove di sera. Devo aver dormito una giornata intera. Ammesso che questo sia lo stesso giorno in cui sono tornata a casa. Beh, deve essere così. Mia madre non mi avrebbe mai concesso una così lunga tranquillità. Piuttosto avrebbe sfondato a calci la porta del mio piano.
Una melodia squillante e ripetitiva, composta da tre note che si riproducono all'infinito, mi informa che qualcuno ha premuto il campanello di questo piano.
Il display incastonato nel muro, accanto alle porte dell'ascensore, mostra i contorni di un viso che conosco molto bene. Mia madre. Oh, accidenti a me. Vorrei spingere il pulsante rosso del telecomando, quello che fa comparire una bella X fosforescente sullo schermo del lato esterno. Giusto per essere chiari e precisare il mio scarsissimo desiderio di incontrarla.
Ho un mal di testa fortissimo, come se un serpente avesse avvolto le sue spire intorno al mio cranio e stringesse sempre di più. Quasi mi sembra che gli occhi stiano per schizzare fuori dalle orbite.
Per non parlare della spalla. Prude e lancia fitte dolorose a ripetizione.
Sì, sono proprio tentata di non rispondere.
Tuttavia, riflettendoci con quella poca lucidità di cui dispongo, realizzo che prima o poi dovrò confrontarmi con mia madre. A questo punto, meglio togliersi il pensiero. Sospiro e, dopo un'ultima esitazione, premo il tasto verde.
Il cuore mi martella in petto. Davvero, verrebbe da ridere. Mi sento come se stessi per andare in guerra.
Scatto giù dal letto, non voglio che mia madre mi trovi assonnata e stordita. Vedermi vulnerabile stimolerebbe la sua cattiveria.
Avverto un capogiro nel momento in cui i miei piedi scalzi toccano il marmo freddo, ma lo ignoro.
Le porte dell'ascensore si spalancano con uno sbuffo.
Già me la vedo, mezza ubriaca, che incespica verso di me, tutta sorridente, pregustando i suoi attimi di gloria. Mi maledico per essere sempre così impotente davanti a lei. E' una lotta impari, maledizione. Le regole della guerra sono semplici. Tu hai una spada. Il suo avversario alla sua. Lo attacchi. Lui attacca te. O vivi o muori. E' semplice. So sempre cosa fare, e lo faccio bene.
Ma quest'altro tipo di lotta? Non sono brava a parare attacchi verbali. Non so come comportarmi, accidenti. Sono una preda facile. Ringrazio che la guerra non si combatta in questo modo.
Mia madre entra trotterellando sui tacchi alti. Indossa un lungo abito cobalto, molto elegante. Stretto in vita, i bordi sfiorano il pavimento in delicati ricami di pizzo azzurro.
Per un attimo rimango a bocca aperta. Sta benissimo. Molto meglio di quanto l'abbia mai vista.
I capelli color miele sono raccolti in un delizioso chignon alto, da cui sfuggono riccioli e ciocche più chiare in studiato disordine.
Non so spiegare perchè, ma anzichè sentirmi sollevata, la cosa mi preoccupa ulteriormente.
- Madre...- pronuncio, con un filo di voce.
Mia madre sorride.
Non ci posso credere. E' sicuramente un sogno.
Un sorriso puro, senza alcuna traccia di sarcasmo o di scherno. Luminoso, bello, bianco.
Le sue labbra carnose scoprono una linea di denti piccoli e regolari, disegnando due fossette agli angoli della bocca.
E' indubbiamente bellissima. Persino adesso, malgrado l'alchool e il passare degli anni, è riuscita a mantenere il proprio fascino. Posso capire il perchè mio padre se ne sia innamorato. Se è così adesso, non oso immaginare come doveva essere da giovane. Prima dei rimpianti e delle delusioni.
Non riesco a reprimere un moto d'orgoglio.
Mi ritrovo a ricambiare il sorriso.
- Cara.- mi si avvicina, fluttuante e posa delicatamente le sue labbra sulle mie guancie.
Devo sforzarmi per contrastare l'impulso che mi spinge a ritrarmi. Quand'è stata l'ultima volta che mi ha dato un bacio? Non riesco a ricordare.
Rabbrividisco. In maniera piacevole, però. Non mi ero resa conto di quanto mi fosse mancato questo contatto.
E la cosa che più mi rende felice, è che non c'è traccia di cattivo odore dovuto al vino. Solo un buon profumo di fiori freschi.
Sento le lacrime pungermi gli occhi. Ma da quando sono così emotiva? Maledizione. E' impressionante. A volte, nella vita, fai tanto per diventare forte, per costruirti una corazza dentro e fuori. Ti senti quasi invincibile. E poi basta un gesto, una parola, per mandare tutto in frantumi.
- Come sei accaldata, tesoro.- mi guarda, preoccupata. - Stai bene?-
Il suo tono è dolce. Vellutato, come una carezza. Eppure, con un brivido stavolta per nulla piacevole, mi rendo conto che c'è dell'altro. Qualcosa di studiato, quasi programmato, nella sua gentilezza.
- Sì, sto bene. Adesso faccio un bagno e-
- Sarà meglio che ti sbrighi.- mi interrompe, voltandomi le spalle.
Crash.
E' il suono che sento riecheggiare dentro di me.
Un vaso di porcellana che precipita sul pavimento. Il vetro infranto di una finestra.
Crash.
Se dovessi descrivere cosa provo in questo momento, direi che ho fatto crash.
Sospiro, ricacciando indietro le lacrime. Lacrime di rabbia e risentimento.
- Abbiamo ospiti.- mi informa, voltandosi verso di me. Il suo sorriso di scherno riappare trionfante sul suo volto.- Ospiti importanti.- le brillano gli occhi.
- E immagino che dovrai recitare la parte della madre amorevole, tanto per cambiare.- replico, a denti stretti.
Amplia il sorriso.- Come sei ingiusta. Io sono sempre amorevole. -
- Come un fucile.- sussurro.
- Cosa hai detto?- si volta di scatto, con la velocità di un predatore.
Reggo il suo sguardo.-Niente.-
- Meglio così. Vedi di darti una ripulita. Fai venire la nausea.-
Nonostante gli anni. Nonostante le atrocità cui ho assistito e preso parte. Nonostante l'abitudine e l'esperienza. Ogni parola cattiva che esce dalle sue labbra mi colpisce con rinnovato dolore.
- Sono stata in guerra.- faccio presente, stringendo i pugni.
Un lampo di rancore purissimo le balena negli occhi. -Lo so bene, cara.-
L'accento che pone sull'ultima parola quasi mi spaventa. Sciocca io che ho tirato in ballo la guerra. Non è proprio quest'ultima la ragione del suo astio nei miei confronti? Ho scelto di diventare un soldato e, ai suoi occhi, di voltarle le spalle.
Faccio un respiro profondo e mi mordo la lingua. Riecco affiorare nella mia mente tutte quelle considerazioni sul bene che deve avermi voluto un tempo, e su come io debba averla delusa.
- Mettiti un vestito elegante. E lavati, per carità. Puzzi come un uomo e hai un aspetto terribile. I tuoi capelli sono sempre stati così secchi? I miei, alla tua età, erano morbidi e lucenti come il miele.- afferma con aria sognante, accarezzandosi una ciocca di capelli che le ondeggia sulla fronte.
Preme il tasto sulla parete per richiamare l'ascensore. Dopo pochi secondi le porte si aprono.
- Quanto tempo ho?-
- Non più di un'ora. Mando Careen a darti una mano. E' evidente che da sola sei buona solo a tagliare gole.-
E sparisce dietro le porte dell'ascensore. Lasciandomi sola con l'immagine del soldato schiumante di sangue cui ho tagliato la gola pochi giorni fa.



 
***


 
Careen è la mia cameriera personale da quando avevo cinque anni. All'epoca, lei ne aveva appena quindici.
Ragazza molto carina. Minuta, magrolina, dalla carnagione ambrata e folti capelli corvini. I suoi occhi grandi da cerbiatta sprigionano bontà, così come il suo sorriso.
Mi aiuta a svestirmi e, con delicatezza, srotola la benda che mi fasciava la spalla. Noto con piacere che la ferita si è quasi completamente riemarginata.
Mi immergo nella vasca da bagno, sospirando di sollievo. Il profumo di buono, di fresco, mi inebria, cancellando, almeno per un po', il cattivo odore della guerra.
La schiuma bianca si tinge rapidamente di grigio. Careen mi strofina per bene la schiena e le spalle. Mi aiuta a districare i nodi dei miei capelli arruffati. Vorrei tanto poterli tagliare, come molte altre donne nell'esercito. Ma mia madre mi toglierebbe definitivamente il saluto. E' l'unica traccia di femminilità che mi rimane.
I miei lunghi capelli biondi, proprio come i suoi. Solo che lei, alla mia età, ce li aveva morbidi e lucenti come il miele.
Careen applica diversi balsami, prima di riuscire a far scorrere il pettine dalla radice alla punta delle ciocche.
Alla fine, dopo almeno mezz'ora, mi avvolge in un asciugamano morbido che profuma di Maddalene. Sorrido inconsapevolmente.
Careen mi asciuga i capelli con spazzola e fono finchè non ricadono lisci i e leggeri sulle spalle.
Persino la frangia ora sembra pesare molto meno.
Dopo aver applicato una lozione per il corpo e avermi cosparso di profumo, Careen mi aiuta anche nella toilette.
Da quando è arrivata, non ha detto una parola. Ha conservato un ossequioso silenzio, intervallato ogni tanto da sorrisi e occhiate significative. Non è mai stata una chiacchierona. Anzi, diciamo pure che non saprei riconoscere la sua voce se non la vedessi. Però, sapete, è proprio per questo che le sono affezionata. Non mi piacciono le persone rumorose, caotiche. Mi basta il rumore delle spade e delle pistole. Passo la maggior parte del tempo immersa tra urla e spari. Ogni volta che rientro a casa, sento la testa pesante, come un vaso troppo pieno d'acqua. L'unica cosa che desidero veramente è il silenzio. E con Careen è possibile. Ci intendiamo con uno sguardo, le parole che ci scambiamo sono calibrate e mai inopportune. So che mi vuole bene, e mi basta questa consapevolezza. Se ci prestassimo più attenzione, scopriremmo che il linguaggio dei gesti rivela molto più delle parole.
Nel modo in cui Careen si prende cura di me, mi massaggia il corpo, sceglie il vestito che dovrò indossare, in tutto questo è racchiuso il suo amore per me. E credo sia bellissimo.
Indosso un abito lungo, dal corpetto aderente, le lunghe maniche a sbuffi e la gonna che sfiora leggera il pavimento. Le scarpe, dello stesso rosa pallido, sono basse e raffinate.
Careen dispone i miei capelli in un'acconciatura elaborata, alta, dalla quale sfuggono ciocche di capelli ondulate in studiato disordine. Vi intreccia piccoli fiori dai perali chiari ed un pettine dai bordi perlati poco sotto la nuca.
Quando mi guardo allo specchio, stento a riconoscermi. Sono proprio io quella?
Potrei tranquillamente essere scambiata per la dama di corte, la figlia che mia madre ha sempre sognato. Se non fosse per il bendaggio sulla spalla che si intravede da quell'elegante apertura tra la manica e la spallina. Spezza l'armonia dell'insieme in maniera dolorosa.
Pazienza, però. Sono quello che sono. Faccio un respiro profondo. Mancano dieci minuti alle nove di sera. Sono stata puntualissima.
- Careen?- la chiamo. La mia cameriera, intenta a raccogliere gli asciugamani usati, si volta stupita. Sa che quando le parlo, è sempre questione di vita o di morte.
- Sì, signorina?-
- Chi sono i nostri ospiti di stasera?-
Si stringe nelle spalle.-Non so davvero, signorina. Sua madre non ha lasciato trapelare nulla. So solo che è da quasi una settimana che la signora ha informato i cuochi di procurarsi la migliore selvaggina in previsione di stasera. Ha preteso che fosse tutto impeccabile. Ha scelto le porcellane più pregiate e le tovaglie più belle. Mi creda, signorina, non so altro.-
Avverto un tuffo al cuore. Che cosa ha in mente mia madre? Quella donna è tanto imprevedibile quanto accanita nella sua avversione nei miei confronti. E' una settimana che organizza questa cena famosa. Ovviamente in previsione del mio arrivo, non sono così sciocca da credere in una coincidenza.
Improvvisamente, un'intuizione mi illumina la mente.
Mia madre sapeva eccome quando sarei arrivata. Non se l'era dimenticata. Peggio. Ha scelto deliberatamente di non mandare nessuna macchina all'areoporto.
Voleva abbandonarmi lì. Mettermi alla prova. Me la immagino, sghignazzante, a sorseggiare un calice di vino bianco. "Vediamo come se la cava, visto che è un soldato tanto speciale."
Fremo di rabbia. Ho le guance bollenti. Devo essere paonazza.
Careen se ne accorge immediatamente e avvampa, preoccupata.-Signorina, non volevo preoccuparla. Io...-
- Lascia stare.- la interrompo, dandole le spalle prima che sia troppo tardi. Prima che mi veda piangere di rabbia. - Ti ho fatto una domanda e tu hai risposto. Non c'entri niente. Mi sono solo ricordata di una cosa.-
Mi dirigo spedita verso l'ascensore.
Careen rimane a fissarmi, i suoi occhioni preoccupati sono fissi su di me. L'ultima immagine che ho di lei, prima che le porte di legno si chiudano davanti ai miei occhi, è di una ragazzina muta e terrorizzata.
Buffo. Careen è più grande di me, ovviamente. Eppure, mi viene istintivo pensare a lei come ad una ragazzina. Forse per via del suo aspetto gracile. Assomiglia ad un'eterna dodicenne. O, più probabilmente, perchè le cose che ho visto e fatto nella mia vita, mi hanno resa donna prima del tempo.
Mentre l'ascensore prosegue nella discesa, mi esamino un'ultima volta al grande specchio appeso lateralmente. Faccio scorrere le mani sulla gonna  per allisciarla. Mi sembra di essere intrappolata in questa specie di baco da seta. E' strettissimo e ingombrante. Non sono più abituata. In effetti, non lo sono mai stata. E i capelli, per quanto l'effetto visivo sia notevole, tirano da morire.
Faccio un respiro profondo. Sono curiosa di sapere quale sopresa mi ha riservato mia madre.
Dopo venti interminabili secondi, sono finalmente al piano dei salotti. Atterro sul marmo pregiato dalle tinte delicate. Un profumo di fiori e ottimo cibo si dissonde nell'aria. Il mio stomaco protesta. Tra una cosa e l'altra, ho dimenticato di mangiare.
La servitù, vestita con i migliori completi, sfreccia da una parte all'altro trasportando vassoi d'argento e parlottando concitatamente, mentre sistemano gli ultimi preparativi.
Mi dirigo nella sala da pranzo principale. Un maestoso lampadario dai numerosi cristalli scintillanti, dai riflessi dorati, pende da un soffitto a volta affrescato in sfumature cremisi.
Il grande tavolo in noce, rotondo e ampio, è coperto da una tovaglia bianca dai ricami dorati. E' abbellita da composizioni artistiche di piccoli fiori profumati e tovaglioli, ed è apparecchiata per cinque.
La cosa mi sorprende non poco. Tanto trambusto per tre ospiti? Mi domando di chi si tratti. A questo punto la curiosità è bruciante.
-Ah, sei qui.- esclama mia madre, correndomi incontro. E' passata un'ora dall'ultima volta che l'ho vista, e, nonostante tutto, la sua eleganza è perfettamente intatta. Il trucco non è sbavato e non c'è una ciocca fuori posto. Alla luce del grande lampadario, un velo dorato offusca la ragnatela di rughe che le attraversa il viso. Sembra ringiovanita di dieci anni. Sorride. Un sorriso falso, ovviamente. Costruito. Da attrice esperta. Scopre una fila di denti perfetti, in contrasto con il suo sguardo glaciale.
- La tua servetta deve aver faticato parecchio.- osserva, prendendomi il mento tra indice e pollice e scrutandolo. Le sue dita incontrano una ciocca di capelli e si ritraggono come se scottasse. Una smorfia di disgusto affiora sul suo viso.-Ma cosa sono? Fieno?-
Istintivamente, mi ritraggo. Non ho voglia di discutere. Temo che mi stia tendendo una trappola. Devo scoprire chi sono i nostri famosi ospiti.
- Hai dei capelli orribili, cara.- commenta mia madre.- Per fortuna hai preso i miei lineamenti, il chè ti rende gradevole. Ma quei capelli... Nessun uomo vorrebbe accarezzarli.-
Ripenso a tutte le volte che i soldati nemici me li hanno tirati e strappati in mille modi. Non posso fare a meno di sorridere. Erano uomini anche loro, dopo tutto.
Vorrei domandare a mia madre chi stiamo aspettando. Sento la domanda bruciarmi nelle viscere, ma so bene che non risponderebbe. Non posso darle questa soddisfazione. Piuttosto, preferisco mostrarmi tranquilla e a mio agio, come se l'incognita della serata non mi turbasse affatto.
- Signorina.- la voce di Maddesse richiama me e mia madre. La nostra governante trotterella verso di noi. Indossa l'abito da ricevimento. Un vestito di seta cobalto, lungo fino al pavimento, stretto in vita da una cinta candida: simbolo del ruolo che ricopre in questa casa.
Mi sorride. Sebbene i suoi denti siano per lo più storti e irregolari, è un sorriso mille volte più bello di quello di mia madre. Quello di Maddesse è vero. Sincero. Trasmette un calore reale, quasi tangibile.
E' impossibile non ricambiare.
- E' un incanto.- aggiunge la mia buona governante.
Se non ci fosse mia madre, l'abbraccerei immediatamente.-Grazie mille.-
- Non hai altro da fare, tu?- si intromette mia madre, la cui voce suona come il gracchiarei dei corvi su un campo di battaglia. - Invece di perdere tempo a lusingare questa sciocchina, dovresti prima di tutto portare a termine le tue mansioni. Non sai che attendiamo visite? -
Maddesse si rabbuia e china ossequiosamente il capo.-Chiedo venia, signora.-
- Vai!-
Mia madre sbuffa, stizzita. Sta per dire qualcosa, ma, per mia grandissima fortuna, non ne ha il tempo.
La voce del signor Arden, il maggiordomo, riecheggia imponente nel soggiorno.-Il signor padrone, il generale Christianus Joseph Strausse.-
Qualcosa dentro di me esplode. - Padre- pronuncio, in un soffio.
Mi volto istintivamente verso le scale. Mia madre è una figura lontana, sfocata. Anzi, diciamo pure che non esiste più. Sollevandomi gli orli della gonna mi precipito di sotto senza pensarci due volte.
- Come sei sgraziata.- sento mia madre commentare, ma non mi importa. Non mi importa nulla.
Percorro in pochi secondi la scalinata a chiocciola. Quando, finalmente, raggiungo il pian terreno, lacrime di gioia mi pungono gli occhi.
Credetemi, non sono un tipo particolarmente emotivo. Sebbene sembri il contrario, lo capisco. Però, vedete, alla fine io non piango mai. Letteralmente. Mi sembra di esserci vicina moltissime volte, nel corso della mia vita, ma poi nulla. Le lacrime non arrivano. Come quando vi prende una voglia bruciante di starnutire e non ci riuscite. Le narici vi bruciano e vi assale un vago senso di stordimento. Una sensazione passeggera ma sgradevole.
E poi, mio padre non lo vedevo da mesi. Per due come noi, due soldati, ogni volta che ci salutiamo potrebbe essere un addio. Io, in effetti, ci sono andata molto vicina ultimamente. Forse anche per questo sono così felice di essere qui, in questo momento. Su questa terra. A godere di ogni emozione che le giornate possono regalarmi. E' una possibilità che ho tolto a molti, con le mie mani.
Mi domando cosa stiano facendo in questo momento le loro famiglie. Io sono qui a festeggiare. Loro? Mogli, figli... Staranno piangendo? Si staranno disperando? Mi staranno maledicendo? Probabilmente.
Pensieri di questo tipo sono una nube scura che offusca la mia felicità.
- Faelyn!- il tono di mio padre esprime mille emozioni. Gioia. Sollievo. Incredulità.
Sono sicura che sta provando quello che provo io. Lo sappiamo entrambi. E' un legame dal quale mia madre sarà sempre esclusa.
Già, a proposito. Che sia questa la sorpresa che mi aveva organizzato? Non riesco a crederci. Mi si stringe il cuore. Ho passato la giornata nel tentativo di evitarla e, dopo averla vista, terrorizzata all'idea di quale diabolico scherzetto avesse escogitato. E invece.
Aspettava mio padre da tanto. Quanto aveva detto Careen? Due settimane, forse. Aveva fatto di tutto perchè coincidesse con il mio ritorno.
- Padre.- sorrido, avvicinandomi.
Indossa ancora l'alta uniforme. Appuntate sul petto svettano le numerose medaglie che si è guadagnato. Come lo ammiro.
Tra i corti capelli scuri compaiono sempre più evidenti chiazze bianchissime. Noto che gli è cresciuta la barba: ormai gli copre completamente le guance e il mento.
Eppure, malgrado la stanchezza dipinta sul suo viso e le cicatrici che gli sfigurano la pelle, è ancora bellissimo. Nei suoi occhi splende una luce inafferrabile. Indomabile. Ha lo sguardo di un guerriero. Di un uomo coraggioso e inarrestabile. Leale e temibile. L'affetto che provo per lui è indescrivibile.
Le sue labbra pallide dipingono un sorriso all'ombra della barba. - Sei davvero bellissima.-
- Grazie!- rispondo, al culmine della gioia. Qualunque complimento provenga da mio padre, di ogni natura, mi riempie di orgoglio.
- Generale Strausse, bentornato.- Maddesse si avvicina a fare gli onori di casa. - Sua moglie la aspetta di sopra.- sorride.
- Certo, grazie.- replica lui, poi si rivolge a me.-Quando sei tornata?-
- Ieri. Cioè, oggi.- l'aver dormito tanto ha sfasato la mia concezione del tempo.
Mio padre sorride comprensivo.-Sei stanca?-
Mi stringo nelle spalle.-Non particolarmente.-
Ma nel muovere le braccia, per un istante lascio intravedere le bende sotto le maniche sottili del vestito.
-Sei ferita?-
A mio padre, ovviamente, non sfugge.
- Niente di grave.- lo rassicuro.
Improvvisamente, si rabbuia. - C'eri anche tu a Therin, non è così?-
Il cuore mi martella in petto. Temo che voglia rimproverarmi.
Annuisco.
- E' stata davvero così terribile come dicono?- mormora.
Faccio nuovamente segno di sì con la testa.
Sembra riflettere, ma non aggiunge altro.
- Bene, andiamo a salutare tua madre.-
Ritorniamo al piano dei salotti. La grande tavola è ormai completamente imbastita.
Eppure.
Ci sono due posti vuoti. Qualcosa non torna.
- Forza, sedetevi.- ci corre incontro mia madre.
Non è strano che non abbia rivolto la parola al marito. I rapporti tra loro sono congelati da molto tempo.
Ci affrettiamo a prendere posto. Io al fianco destro di mio padre.
Osservo perplessa i due misteriosi posti vuoti. Non sto più nella pelle per la curiosità.
- Immagino che tua madre non ti abbia detto nulla.- sospira mio madre, evidentemente incrociando il mio sguardo. Non c'è da stupirsi, dopo tutto. Per un generale famoso come lui un'ottima capacità di osservazione è il minimo.
Mi stringo nelle spalle.-No, infatti.- il cuore mi martella in petto.-Tu lo sai?-
Annuisce.-Sì, certo.- sorride bonariamente.-Stai tranquilla. Ti assicuro che si tratta di una bella sorpresa.-
Mi sento notevolmente sollevata. Se è mio padre a rassicurarmi, allora va bene. Mi fido di lui più che di me stessa.
Il suono delle corde di un'arpa suonata alla perfezione si diffonde per il piano. E' il segnale d'ingresso. I fantomatici ospiti sono arrivati.
Mia madre ci compare davanti, trafelata. Si guarda intorno con fare frenetico. Controlla che ogni dettaglio sia sistemato. E' animata da quell'ansia bruciante tipica di ogni volta che riceve ospiti di un certo ceto.
La voce del maggiordomo risuona chiara e forte dal piano di sotto.- Il signor ministro Laurus Maxime e l'onorevole  Fabius Calliste. -
Il sangue mi si gela nelle vene. Non provavo tanto freddo dalla spedizione invernale dell'anno passato.
Ho incontrato molte persone importanti. Ho fatto la loro conoscenza, ci ho addirittura scambiato qualche parola. Ma nessuna di queste, vi giuro, era al pari di un ministro o di un onorevole. Cosa ci faranno a casa mia? Persino mio padre non ha mai ricevuto amici tanto altolocati.
Finalmente capisco l'ansia di mia madre. E non solo. La avverto anche io. Se fino a pochi secondi fa il mio vestito e lo stato dei miei capelli mi interessavano parecchio relativamente, adesso sono fondamentali. Mi pento di non aver prestato più cura nella scelta del vestito e mi maledico mentalmente per non essermi specchiata quando ne ho avuto l'occasione. Insomma, siamo praticamente pieni di specchi. Accidenti a me.
Mio padre coglie il mio nervosismo. -Sta' tranquilla.- mi rassicura. - Andrà tutto bene. Tu sei Faelyn Strausse. Non solo mia figlia, anche un'eccellente soldato. Coraggioso e capace. Ricordatelo.- e poi aggiunge, quasi in un soffio.- Hai affrontato cose peggiori.-
E' vero. Però, ribadisco, una battaglia mi terrorizzerà sempre meno di una cena nell'alta società. Mi sento un pesce fuor d'acqua, come se appartenessimo a speci diverse. I soldati e i civili. I predatori e gli esseri umani.
Io, quelli come loro, li uccido per mestiere.
- Mi raccomando.- mi intima mia madre tra i denti, un secondo prima che le porte dell'ascensore si aprano e ne emergano i nostri nobili ospiti, guidati da un cameriere in divisa impeccabile.
- Prego.- china il capo con reverenza, indicando loro la strada.
Mio padre fa un respiro profondo. Malgrado tutto, immagino che anche a lui non piacciano questi eventi. Solo che ci ha fatto l'abitudine. Si alza e sfoggia un sorriso che definirei di plastica. Preconfezionato. Di circostanza, ecco.
Si dirige da loro ostentando sicurezza e disinvoltura. Mentalmente registro ogni sua mossa e me la appunto. E' così che devo  comportarmi. Se è vero che gli esseri umani imparano per imitazione, allora sarò la migliore copiona.
- Buonasera. Grazie mille per aver accolto il nostro invito.- porge loro la mano.
I due uomini, uno molto alto, secco e rugoso come la corteccia di un albero, e l'altro nella media, ma poco più robusto, ricambiano a turno la stretta di mio padre.
Mia madre si avvicina per i convenevoli. Sorride e li accoglie con una grazia che nè l'alcol nè il tempo sono riusciti a portarle via.
- Questa è nostra figlia Falyn.- mi indica, sorridendo a trentadue denti. Fa male, sapete. Perchè è dannatamente brava a fingere e per un istante mi illudo che sia davvero fiera di me e che mi voglia bene tanto quanto splende il suo sorriso.
Mi alzo per salutare i due uomini. Quello che sembra un tronco d'albero è segnato da una calvizie incipiente che delimita un cerchio sul capo, mentre ciocche di capelli bianchissimi e folti continuano a crescere lungo il collo. Li porta tirati all'indietro, talmente impregnati di gel che sembrano brillare. Giudicando dal tipo di completo che indossa (nero ed elegante) e dalla spilla appuntata al petto, deve essere il ministro. Mi allunga una mano rugosa e sorride. -Molto piacere.- mi dice, ma c'è qualcosa di profondamente disturbante nella sua bocca spaventosamente tirata. Non mi piace per niente, anzi. Devo reprimere l'istinto di fare un balzo indietro. Inoltre, quando mi prende la mano, noto che la sua stretta è quasi inconsistente. Per natura, diffido delle persone che non sanno stringere la mano. Non so bene perchè, ma non mi sono mai sbagliata.
-Faelyn- mi spiega mio padre.- Quest'uomo è il dottor Maxime, Ministro della Difesa. Questi, invece, è l'onorevole Calliste.-
- Onoratissimo.- afferma, con voce incredibilmente nasale. Sul serio, sembra che parli con le narici. Anche lui è quasi calvo, ma, al contrario del suo amico, ha un volto colorito e pieno, simile a quello di un porcellino.
Neppure questo qui mi convince, ma, se non altro, dà la mano come si deve.
- Prego, accomodiamoci.- mio padre indica la tavola, intorno alla quale si è schierata una fila di camerieri e cameriere impettiti.
Prendiamo posto, e dopo pochi secondi una serie di cibi squisiti e ricercati riempiono la tavola.
I nostri ospiti mostrano una fame davvero notevole per essere due ricchissimi funzionari di stato.
In un primo momento parliamo poco, per lo più tramite frasi circostanziali. La guerra. Corte. Le mie rinomate abilità di soldato, eccetera eccetera.
Per tutto il tempo, mi sento agitata. Non ho ancora capito in cosa consista questa sorpresa. E' impossibile che i miei abbiano pensato di farmi cosa gradita invitando a cena un ministro e un onorevole. Se si fosse trattato di una sorpresa da parte di mia madre, allora avrei potuto capirlo. Mio padre, però. Non mi farebbe una cosa del genere, ci deve essere qualcosa sotto.
Finalmente, dopo ormai quasi due ore dall'inizio della cena, il ministro Corteccia (per me il suo nome è questo) decide di arrivare al dunque.
- Signorina Strausse- inizia, squadrandomi attentamente. Con la coda dell'occhio mi rendo conto che gli sguardi dei miei sono fissi su di me.
- Mi dica.-
- Come sa, la sua fama di soldato è arrivata fino a corte.- sorseggia un po' di vino. - E' così giovane, e già i migliori generali fanno a gara per averla nella propria legione. Ha combattuto numerosissime battaglie ed eccola ancora qui, bellissima, a cenare nel mondo dei vivi.-
Il cuore mi martella in petto. Ma perchè non arriva al punto? Abbozzo un sorriso.
- Ultimamente una grave preoccupazione affligge il cuore di Sua Maestà. Una preoccupazione di sedici anni, di nome Ann Karin.- mi guarda, eloquente. - La sua dolce figlioletta, infatti, rappresenta un bottino troppo prezioso per il nemico. E' l'unica erede al trono e se dovesse capitarle qualcosa, la mancanza di un successore getterebbe il regno nel caos, darebbe inizio a lotte interne tra i nobili, creerebbe enormi sconvolgimenti e per il nemico sarebbe l'occasione propizia per attaccare e distruggerci.-
Io, però, ancora non capisco il punto.-Certo, è evidente.-
- Per farla breve- si intromette il porcellino, con il suo sorrisetto mellifluo e le guance imperlate di sudore. Non credo sia normale una sudorazione tanto eccessiva.- Sua maestà sta riunendo una squadra speciale di guardie del corpo per la sua amata figliola. Sceglie i soldati personalmente, li seleziona tra centinaia con cura certosina. Infatti, sebbene il progetto sia stato iniziato lo scorso autunno, i fortunati sono ancora soltanto sei. E, insomma, lei è uno di questi.-
Cala il silenzio. I presenti puntano i loro occhi su di me, implacabili. Attendono una mia reazione, il più piccolo gesto, ma io sono senza fiato.
L'emozione mi annebbia la vista. Non mi aspettavo una cosa del genere. E' un onore troppo grande. Lavorare strettamente in contatto con sua maestà l'Imperatrice. La nostra grande sovrana. La dea. La donna cui ho dedicato la mia vita, per la quale ho passato la vita ad allenarmi, per la quale sarei disposta a morire senza batter ciglio. Lei ha scelto me. Proprio me. Mi ha selezionato tra tanti.
Sto per urlare al mondo la mia felicità. Per dire che non vedo l'ora di partire, di conoscere l'erede al trono e che sono onoratissima, ma un'ombra offusca la mia gioia.
Il volto del mio comandante.
Il volto di Andreija. Di tutti i miei compagni.
Loro contano su di me. Sono la mia legione, la mia famiglia. Tutti loro fanno affidamento sulle mie capacità. Il pensiero di abbandonarli mi atterrisce. Non credo di sopportarlo.
- Faelyn - mi richiama mia madre, melliflua.- Sei rimasta senza parole dall'emozione? E' assolutamente comprensibile, non credete?-
Io la ignoro, e con lo sguardo chiedo consiglio a mio padre.
Lui annuisce impercettibilmente.
E' deciso, non ho più dubbi.
- Sì, proprio così.- confermo, sorridendo. - Sono onoratissima, davvero.-
Mia madre appare notevolmente sollevata. Temeva che le avrei rifilato l'ennesima delusione.
Invece no. Non questa volta.
- Quando comincio?-




 
 
 
Angolo autrice:
Ma salvee! Scusate il ritardo tremendo, ma, come potete constatare, mi piace che i capitoli siano belli corposi lol e, considerati i miei tanti impegni, finisco per scrivere di notte o negli orari più disparati.
Insomma, finalmente entriamo nel nocciolo della questione. Spero vi piaccia! Un bacione e un grazie di cuore ai miei lettori e a chi ha la storia tra i preferiti/ricordati/seguiti. Vi abbraccio! Bacioni!
 
 
   
 
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