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Autore: cartoonkeeper8    07/10/2016    1 recensioni
Dopo un aperitivo fuori orario, io e la mia amica un po' brilla ci siamo imbattute, passeggiando per Brescia, in un vicoletto buio e minaccioso... cosa ci aspettava dietro quella porta?
Genere: Comico, Introspettivo, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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All’inizio, pensai che Serena fosse impazzita del tutto, quando m’indicò la porta del locale, quasi invisibile nel buio del vicoletto. La luce che proveniva dall’interno era fioca, ma bastava a illuminare l’inquietantissimo manichino nudo rosso sangue che troneggiava di fronte all’entrata. Un brivido gelido si fece strada lungo la mia schiena quando notai le macchie rosse sparse sopra e attorno al tappetino d’ingresso… vernice, certo, doveva essere vernice.

Cercai di dissuaderla, ma non ci fu niente da fare: mi trascinò dentro, curiosa di entrare ed esplorare quello strano bar.  

L’interno mi colpì quasi quanto l’entrata. Per un momento pensai di aver trovato la porta dell’Inferno, tanto il rosso delle pareti mi annebbiava la vista… poi ragionai che, se davvero l’Inferno esistesse e fosse come descritto dai savi, di certo le sue pareti non sarebbero state trapunte di foto in bianco e nero di bellissime donne nude. Esattamente: enormi poster, di carta finissima, costellavano tutto il locale.

Ovunque, da ogni angolo e pertugio, oggetti di piccola e media grandezza, di ogni tipo, invadevano lo spazio: sul bancone, appesi al soffitto, sui ripiani e sugli scaffaletti. Ero circondata.

-          Buonasera.

Sobbalzai, colta di sorpresa. Dietro il bancone, prima vuoto, era comparsa una donna. Non sono mai stata brava a cogliere l’età della gente, e quella sconosciuta non mi facilitava certo il lavoro: ovviamente non era una ragazzina, ma poteva avere trentacinque anni come sessanta! La pelle bianca era priva di rughe, ma quei due occhi verde scuro avevano la serena stanchezza di chi ha visto il mondo ed è contento della vita.

Annusai l’aria, sospettosa. Dal momento in cui quella donna era comparsa, nell’ambiente già angusto del bar aleggiava un odore forte e inebriante, simile all’incenso, che non riuscivo a riconoscere.

La mia amica si sedette su uno degli sgabelli senza porsi domande, sorridendo alla barista.

-          Salve! Bello il suo bar!

La donna sorrise, sistemando il gilet scuro sopra il suo succinto vestito verde. I capelli cadevano in dolci boccoli; castano chiaro, alcune ciocche di un grigio così chiaro da sembrare bianco, le davano un aspetto fresco e al tempo stesso quasi stanco.

-          Vi ringrazio, ma non è mio. Posso offrirvi qualcosa?

-          No grazie! – m’intrometto prontamente – io sono astemia, e la mia amica qui ha già bevuto un White Russian. Siamo entrate solo per dare un’occ-

-          Io dovrei andare in bagno! Le dispiace, signora…?

-          Oh cara, puoi chiamarmi Mo. Certo, vai pure, è quella porta a destra.

Serena si fiondò nella direzione indicata, chiudendosi la porta dietro. Così, mi ritrovai bloccata con questa signora strana, in un silenzio forzato e fastidioso. Non vedevo l’ora di uscire da quel posto inquietante.

-          Perché sei così a disagio, tesoro?

-          Sto benissimo grazie. È solo che… soffro lievemente di claustrofobia.

-          Capisco.

Silenzio. Ogni tanto dall’esterno giungeva il ciaffettìo frettoloso di passanti che tornavano a casa dopo una notte di baldorie. Fuori aveva smesso di piovere.

-          Lei prima ha detto che questo bar non è suo. Chi è il proprietario allora, se posso chiedere?

La sua risatina fu accompagnata da un tintinnio sordo. Mi accorsi che portava moltissimi anelli sulle dita affusolate, addirittura tre sull’indice sinistro, tutti palesemente finti.

-          Intendevo, tutto ciò che vedi intorno a te, non è mio. Tutto questo, - spiegò lei, facendo danzare le mani nell’indicare le quattro mura – sono ricordi. Ricordi di tutti coloro che ho incontrato, e che hanno deciso di regalarmi qualcosa di loro. Un pezzo della loro vita, che io ho raccolto e custodito in questo posto. - Un modo poetico per descrivere un caso di accumulazione compulsiva. – In fondo è mio dovere, ricordare ciò che gli altri dimenticano. Non sono Mnemòsine per niente!

-          ... Come la dea greca?

-          Oh sciocchina! Io sono la dea Mnemòsine!

-          Ovvio.

-          Ovvio, sì! Non era chiaro?

-          Chiarissimo.

Se solo Serena si fosse data una mossa. Ecco cos'era quell’odore, cannabis. Quella donna era andata davvero fuori di testa!

Eppure… darle corda sarebbe stato divertente.

-          Sono felice di sapere che c’è chi ancora ricorda il mio nome!

-          Ho frequentato il liceo classico, e sono sempre stata affezionata alla mitologia greca. Domanda: com’è che la figlia del Cielo e della Terra è finita in un baretto, italiano, a San Faustino?!?

Lei mi guardò, come presa in castagna. Strano che non avesse pensato una risposta a una domanda così bas-

-          Che domanda! Da quando il Pantheon greco è stato sciolto definitivamente mi sono trovata disoccupata! Siamo stati tutti smistati, ed io sono finita qui al Nord, e questo è stato il primo impiego che ho trovato. C’è crisi, sai.

Non faceva una piega.

-          Devo proprio dire che ti sei data un bel da fare per creare un ambiente…. Particolare in questo bar.

-          Te l’ho detto, cara, io ho solo messo insieme i ricordi delle persone. Quelle foto, ad esempio, sono gli ultimi pensieri degli amanti in fin di vita. Delle frasi che mi dici?

-          Frasi?

Mo mi sorrise sorniona.

-          Vai, avvicinati pure ai muri.

Ormai presa dalla curiosità feci come detto e sgranai gli occhi. Sul muro, minuscoli metri e metri di frasi scritte a matita correvano per tutto il perimetro della parete. “Lasciami!” “Non ho voglia di uscire oggi.” “Che cosa dire della luna?”… frasi di tutti i tipi, senza senso, sagge, divertenti, tristi, lunghe, brevi… un mondo di caratteri, vite scorrevano davanti ai miei occhi! E non solo i muri, ora che prestavo più attenzione, ma anche sul bancone c’erano delle frasi, scritte col pennarello nero e bianco per risaltare sul rosso fuoco del legno… Cielo, anche sugli sgabelli dove ero stata seduta fino a quel momento! Mi voltai senza parole, incontrando il sorriso di quella donna folle.

-          Quelle sono tutte le frasi che ho sentito, che mi hanno detto, che tutti hanno dimenticato… tutti tranne me. – sospirò. Non sembrava esattamente felice di questo. – Da quel fatale giorno in cui scoprii il potere della memoria… non sono più riuscita a dimenticare niente. Sai cosa vuol dire sapere tutto ciò che è successo, da milioni di miliardi di anni?

-          Parla con la persona sbagliata, io non mi ricordo cosa ho mangiato a colazione. - dissi io, cercando di tirarle su il morale. Anche se, in effetti, forse non era proprio la cosa più confortante da dire. – Senza offesa, eh.

-          Figurati, piccola.

-          … sono d’accordo con lei, comunque. A volte è bello poter non pensare a ciò che ci fa soffrire. La mia amica per esempio, che probabilmente a quest’ora è caduta nel bagno, stasera ha bevuto un po’ di più proprio perché voleva dimenticare l’uomo che sta usando il suo cuore come un fazzoletto.

-          Povera cara… gli esseri umani sanno essere tremendi alle volte.

-          Non che gli dei fossero da meno, eh. Conosco un certo qualcuno disposto a fare di tutto, anche vestirsi da pastore, per andare appresso ad altre gonne diverse da quelle della moglie...

Sospirò di nuovo. Avevo toccato un nervo scoperto.

-          Anche questo è vero.

Nel silenzio quieto che seguì, continuai a guardarmi attorno, ormai quasi a mio agio in quella bolla di follia che si era creata.

-          E questi oggetti? Anche questi sono tutti ricordi?

-          Sì… e no. Alcuni sono regali delle mie figlie.

Man mano che li indicava, elencava il nome dell’autrice del presente.

Una pergamena appesa alla parete – “Clio, la studiosa” -, uno strano flauto in osso dietro le bottiglie di tequila – “Euterpe” -, le due maschere simbolo moderno del teatro che mi fissavano con le loro orbite vuote da dietro il bancone – “Talia e Melpomene” -, un nastro rosa scolorito da danza classica che piroettava dal soffitto – “Tersicore” -, una statuetta in pietra nera di stampo primitivo, di due demoni in atteggiamenti sodomiti – “Erato, quella mascalzona” ridacchiò Mo – una collana di perle al collo di una bottiglia di Passito di Pantelleria – “Polimnia” -, una mappa delle costellazioni macchiata di caffè attaccata con lo scotch su una colonna di legno – “Urania, ha preso molto da suo nonno” – e una bellissima stilografica dorata, usata come ferma carte sul bancone – “Calliope, la maggiore”.

-          Wow… nove figlie! Belli i tempi della Grecia, quando non c’erano problemi economici e di sovrappopolazione, vero?

-          Già, bei tempi…

Fischiettai, chiedendomi se non fosse davvero il caso di andare a controllare la mia amica, quando la porta del bagno si aprì e Serena ne uscì, schiarendosi la gola. Che avesse pianto, era evidente dal mascara leggermente sbavato e dal rossore degli occhi.

-          Eccomi! Scusatemi se ho perso tanto tempo…

-          Oh tesoro, non preoccuparti! Guarda, ho qui qualcosa adatto a te.

La “dea” si abbassò, scomparendo dietro il bancone, per poi riapparire con una bottiglia verde in mano, piena di un liquido trasparente. Ne versò un po’ in un bicchiere e lo porse a Serena, sorridendo comprensiva.

-          E’ un po’ invecchiata, e potrebbe non essere totalmente efficiente… ma ti aiuterà un pochino.

Prima che potessi fermarla, il bicchiere era già vuoto, e la mia coetanea faceva schioccare la lingua, soddisfatta e curiosa.

-          Che sapore particolare! Cos’era?

-          Acqua cara. Acqua di fiume.

Aggiustai i capelli scompigliati della mia amica, guardandola negli occhi alla ricerca di qualche effetto della bevanda sconosciuta.

-          Come ti senti?

-          … meglio, grazie.

-          Non dirmi che sei rimasta nel bagno a piangere ancora per quello!

-          Quello cosa?

-          … come quello cosa. Per Stefano!

-          Stefano chi?

… forse era più ubriaca di quanto pensassi. O forse…

L’altra possibilità da considerare era così folle, impossibile, inimmaginabile…

Che doveva per forza essere vera.

-          Ora andate, giovani fanciulle, si è fatto davvero tardi!

-          Buonanotte, signora Mo!

Prima di seguire Serena fuori dal bar mi voltai, guardando la donna.

-          Arrivederci cara! Torna presto a trovarmi, mi fa piacere chiacchierare con te.

Non sapevo proprio cosa pensare. Ero confusa, senza parole… e sapete cosa? Ero e sono troppo pigra per pormi di questi problemi. Più facile fidarsi della prima cosa che viene in mente, per sconclusionata che sia.

 

 

 

-          Ghiàine… Mnemòsine.

 

 

  
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