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Autore: Nanas    11/10/2016    2 recensioni
“Non che poi a Kenma sia mai interessato più di tanto, l'essere un'eccezione. Anzi, si potrebbe dire che l'eccezionalità non abbia mai in generale occupato i suoi pensieri, troppo complicata, troppo singolare, troppo anomala per la sua rassicurante piccola quotidianità, impossibile da affrontare con i soliti modus operandi o da riproporre giorno dopo giorno senza quello sforzo continuo per renderla sempre diversa e sempre, in qualche modo, fedele a se stessa.”
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[KuroKen] [4784 Parole]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kenma non ha mai pensato di essere una persona chissà quanto diversa dalla norma, sinceramente parlando.


Pensa invece, e probabilmente chiunque con un paio di grafici e statistiche alla mano potrebbe dargli ragione nel crederlo, sia più che facile notare come generalmente non si discosti troppo dall'idea del giapponese medio, partendo dalla sua tipica famiglia asiatica o dalle caratteristiche aspettative verso quell’unico figlio che i genitori hanno preso l’impegno di mettere al mondo, passando magari al preciso e lineare percorso accademico atteso da lui o, ancora, alla sempre meno rara, almeno tra gli orientali del ventunesimo secolo, presenza assenza di tali figure genitoriali in casa: mancanza che Kenma ha letto − in qualche libro ormai abbandonato in chissà quale pila ordinata sulla libreria − stia portando una fetta sempre crescente di giovani giapponesi a chiudersi in se stessi e limitare le uscite di casa sviluppando altresì una forma latente di solitudine volontaria; una realtà piuttosto triste probabilmente, ma che dal punto di vista puramente statistico pone Kenma, anche in questo caso, in una percentuale di maggioranza tra la popolazione.


Tutto si potrebbe dire inoltre, tranne che si distingua tra la folla per alcun tratto fisico in particolare, che sia per altezza eccessiva o, ancora, per eccessiva bassezza, al contrario di molti suoi compagni di squadra che hanno reso la loro statura motivo di scelta per assumere ruoli ben precisi nello sport, ad esempio.
Non si discosta nemmeno troppo nei tratti somatici, soprattutto se si confronta quella davvero poco originale plica semilunare che nasconde l'angolo interno dell'occhio, proprio vicino al naso, restringendo il setto nasale di Kenma e di più o meno un terzo della popolazione mondiale; o ancora la bocca, piccola, stretta, le labbra rosate e leggermente asimmetriche, il labbro superiore di poco più sottile di quello inferiore, anche questa una tipologia di gran lunga più comune dell'averle magari più carnose o con la particolare forma dell'arcata superiore a cuore.
Certo, forse quel biondo ormai irrimediabilmente stinto − e quindi, di base, praticamente più vicino ad una pallida e spenta decolorazione priva di alcun trattamento − non lo renderebbe esattamente un giapponese tipo tra la folla, ma c'è da dire che se paragonato con persone all'interno della sua fascia di età, ovvero quel decennio che caratterizza la fase adolescenziale di un essere umano di qualsiasi nazionalità, risulta anche in questo caso non affatto difficile trovare validi modelli con cui confrontarlo, un numero più che maggioritario di giovani soliti tingersi ciocche o intere chiome di capelli dei colori più vari ed innaturali − dal verde oceano al rosso fiamma, dal giallo canarino al blu elettrico − molto spesso proprio per differenziarsi da quel conformismo giovanile tanto chimerico quanto ormai utopico ed attestare per mezzo di quelle differenzazioni di sfumature il rafforzamento della loro individualità.
E tutto questo discorso non può che valere maggiormente nel caso si considerino i suoi capelli naturali, poiché difficilmente potrebbe trovare nel nero pece delle sue radici un tratto caratteristico di qualche tipo che lo discosti dalla maggioranza della popolazione asiatica, sinceramente parlando.


Non che poi a Kenma sia mai interessato più di tanto, l'essere un'eccezione. Anzi, si potrebbe dire che l'eccezionalità non abbia mai in generale occupato i suoi pensieri, troppo complicata, troppo singolare, troppo anomala per la sua rassicurante piccola quotidianità, impossibile da affrontare con i soliti modus operandi o da riproporre giorno dopo giorno senza quello sforzo continuo per renderla sempre diversa e sempre, in qualche modo, fedele a se stessa. Richiede davvero troppa, troppa attenzione e troppo, troppo lavoro per tenere viva quella sua assoluta, quanto assolutamente non necessaria, unicità.


Kenma, al contrario, pensa di essere una persona fondamentalmente normale.
 

Lontana da queste eccezioni, lontana dall'esserne una e, soprattutto, troppo incredibilmente pigro per disperdere energie nel tentare di averci anche solo passivamente a che fare.
 

Non ha ricordi di quando abbia iniziato ad essere quel genere di ragazzo che alcuni, forse, chiamerebbero 'svogliato'. Ed in effetti non é neppure sicuro abbia mai avuto un periodo della sua vita in cui non lo sia stato, soprattutto a sentire parlare i suoi genitori che, nelle loro giornate occupate quasi totalmente dal lavoro, hanno in passato beneficiato più che volentieri della tendenza del figlio di nemmeno cinque anni a passare intere giornate a giocare con le costruzioni dentro casa, piuttosto che farsi accompagnare al parco a scaricare le energie tra altalene e scivoli colorati con i compagni di asilo. Persino al nido era stato un bimbo solitario, lontano dagli altri neonati, silenziosamente seduto ad infilare le formine nelle giuste cavità delle varie scatole ed estraniato dalle urla e dai pianti chiassosi degli altri piccoli compagni di classe.
 

« ... Kenma? »
 

Insomma, fin da piccolo era sempre stata una persona fortemente solitaria. Ed era forse stato per questo che l'incontro avvenuto successivamente con quel bambino estraneo alla sua classe, all’alba dei suoi sei anni appena compiuti, era stato così inaspettato, così faticosamente eccezionale.

Era accaduto per caso, durante uno dei tanti pomeriggi passati ad attaccare figurine sulle panchine del giardino delle scuole elementari, una palla di spugna che era caduta improvvisamente sopra la sua piccola pila di figurine ancora da attaccare facendogliene cadere un paio a terra per fare spazio tra le sue braccia a quella grande e rotonda sfera di un giallo ed arancione spento. Era rimasto a fissarla, Kenma, l'apatia che aveva cullato quel visetto tondo fino a pochi istanti prima che aveva lasciato spazio per una manciata di secondi ad un impercettibile quanto comprensibile corrucciarsi di quelle sopracciglia fini, unica manifestazione del disaccordo provato per l'evento appena accaduto. La sua mente si era per qualche momento divisa tra il dubbio su come potessero delle figurine trasformarsi magicamente in un oggetto simile e l'assoluta, sconfinata sofferenza all'idea di doversi probabilmente abbassare a breve per andare alla ricerca di quel famoso paio caduto, e mentre ancora preso da quei pensieri aveva sentito una singola voce farsi strada in quell'oceano rumoroso di chiacchiere e urla in cui si era ritrovato involontariamente immerso, sovrapponendosi a tutte loro con l'eccessiva facilità di chi appartiene a quel mondo − così chiassoso, così numeroso − e separandolo istantaneamente da quell'inusuale serie di processi cognitivi nei quali aveva finito coll’impegolarsi.
"Ehi, ehi bambino!!"
Il visetto di Kenma si era alzato lentamente dall'oggetto che teneva fra le mani, indirizzando con non poca esitazione i grandi occhi mielati verso la possibile origine di quella fragorosa richiesta di attenzioni, non facendo fatica ad individuarla nel bimbo dai capelli pece tutti sparati in aria che si stava facendo largo tra la bassa folla di bambini – tutti di corsa o nascosti tra i vasi di piante ed i cespugli lasciati crescere incolti.
"Ehi, sì tu! Bambino!"
Kenma aveva abbassato velocemente lo sguardo, fissandosi nuovamente sulla grande palla di spugna un po' rovinata e con qualche pezzo mancante probabilmente morso via dal tempo, e per un secondo si era domandato quali fossero le possibilità che non si stesse davvero riferendo a lui, o in caso quanto ci sarebbe voluto affinché le sue ancora grezze capacità da camaleonte gli avessero permesso di uniformarsi con il colore della panchina e scomparire dalla vista di chiunque nelle vicinanze.
"Ehi! Grazie per aver preso la palla al volo! Aaahh, la maestra non mi avrebbe mai perdonato se ne avessi persa un'altra!"
"..."
Kenma non aveva risposto, anzi si era fatto se possibile ancora più piccolo nella sua già piccola figura, i piedini a ciondoloni dalla panchina che si erano avvicinati impercettibilmente sulle punte, come nella speranza di occupare meno spazio possibile persino alle estremità del corpo.
“Devi vedere come volava, ero sicuro che stavolta sarebbe finita al cento per cento sulla strada! Prima era tutta lenta e poi boom, super veloce nel cielo! È davvero strano non sia finita nella casa del signor bidello in effetti…”
Kenma aveva girato appena lo sguardo, guardando sott’occhio il cancelletto al lato che divideva la casa del custode − ed il suo giardinetto pieno di piante colorate − da quello della scuola, in quella parte parzialmente asfaltato o rivestito da un terriccio arido e compresso dalle scarpette dei bambini durante le ricreazioni.

“Sì, esatto!! Hai visto quanto era vicino?? Meno male che c’eri tu!”
Kenma riabbassa lo sguardo, non del tutto convinto di come dovrebbe rispondere a quel bimbo così terribilmente entusiasta per una cosa che, a dirla tutta, lui non ha nemmeno fatto.

“… Non l’ho presa io−”

Riesce infine a rispondere, la voce flebile ed insicura mentre i grandi occhi mielati vanno a fissarsi a lato della panchina, le lunghe ciocche nere che scivolano appena in avanti nascondendo all’altro parte del suo viso.

“Come no?? Ce l’hai in mano, non ti sei accorto di averla presa??”

Kenma arriccia appena il nasino, tornando a fissare la palla. Certo che sa di averla in mano, non era quello che intendeva lui, però..!
“Mi è caduta addosso−”

Ribatte infine, arrischiandosi persino a lanciare uno sguardo verso l’altro, fissando poi le iridi ovali su quelle più scure dello sconosciuto.

“E ha fatto cadere le mie figurine−”

Termina, non distogliendo gli occhi dal bambino più grande, nessuna traccia di emozione nello sguardo.

“Eeeeh? Davvero?! Sono proprio bravo allora!!!”
E la perplessità infantile del minore è stata davvero necessaria, a quel punto, insieme alla consapevolezza che no, non capisce molto di quel bimbo tutto chiacchiere.

“Cioè, io volevo mandarla da questa parte ma poi bang!, quindi pensavo fosse finita chissà dove!!!”

E fra l’altro, è abbastanza certo ‘bang’ non sia una parola che si possa usare in una frase simile.

“E comunque ehi, se non ci fossi stato tu chissà dove si sarebbe messa a rimbalzare−!”
“Non ha rimbalzato−“
“Quiiiindi puoi giocare con me, perché hai salvato la mia palla!”

… Almeno quanto è certo quel bambino non capisca lui, in tutta sincerità.

Come può l’incompatibilità tra due persone arrivare a livelli tanto alti?

 

« ... Kenma? »
 


Eppure, nonostante tutto, Kuroo Tetsurou era probabilmente stato la prima persona ad aver scelto di parlare con Kenma volontariamente, non sospinto da nessun genitore desideroso che il figlio facesse amicizia con i compagni di classe – anche perché come aveva scoperto poi, lo stesso Kuroo era più grande di lui di un anno, quindi che finissero nella stessa classe era decisamente improbabile – o da qualche obbligo morale di qualche tipo, didattico o di occorrenza che fosse.

Persino le maestre avevano provato per un po’ a farlo parlare durante le lezioni, al di fuori delle interrogazioni, a metterlo in gruppi più grandi per avere più persone con cui cercare sintonia; ma la cosa, più che aiutarlo, sembrava metterlo in una fase di mutismo ancora più elevata, così alla fine si erano decise fosse meglio per lui e per chiunque di lasciarlo nel suo piccolo e silenzioso mondo, facendogli domande solo di tipo prettamente scolastico, ascoltando diplomatiche e segretamente affascinate quel bimbo così particolarmente silenzioso eppure così assolutamente intelligente.

Kuroo, al contrario, non si era arreso. Lì dove molte persone ritiravano la mano allo scadere del tempo da loro considerato accettabile, Kuroo rimaneva con la sua tesa, paziente, fiduciosa di venire prima o poi riempita con quella dell’altro. Era stato un bambino che non si era dato per vinto, aveva continuato a chiedergli di giocare a pallone con lui anche dopo che Kenma aveva rifiutato la prima volta, scuotendo leggermente la testa e scivolando giù di tutta fretta dalla panchina, abbassandosi a prendere le sue due figurine cadute e allontanandosi con passetti veloci e l’album tra le piccole braccia verso le maestre. Non aveva mollato nemmeno il giorno dopo, e nemmeno quello dopo ancora, e questo perché, come aveva arbitrariamente deciso, doveva sdebitarsi in quel modo – e solamente quello – dell’assoluta bontà d’animo che aveva portato il minore a prendergli la palla e, come se non fosse abbastanza, persino a restituirgliela lasciandola sulla panchina.

Quando alla fine Kenma aveva accettato, chiedendogli in cambio di non arrivargli mai più da dietro di sorpresa né di appollaiarsi come un pulcino sulle sue spalle aspettando di venire ascoltato dall’altro, facendolo tra l’altro sentire ancora più basso di fronte alla sua altezza piuttosto fuori dalla media, aveva inconsapevolmente suggellato un patto con Kuroo che, allora ancora non lo sapeva, sarebbe durato ancora molto, moltissimo tempo.

 

Kuroo era diverso, particolare, l’eccezione.

Era la socialità, era l’amicizia della gente, la simpatia di tutti e, da quando erano entrati nell’adolescenza, l’infatuazione di molte. Usciva con gli amici, andava agli incontri al buio ai karaoke del quartiere ed aveva persino provato a proporre a Kenma di venire insieme a lui, di tanto in tanto. Ma non si era mai imposto, e questo il minore lo aveva sempre apprezzato, soprattutto perché consapevole che certe cose, per quanto vicini che fossero, non le avrebbero mai veramente condivise.

Kuroo era l’eccezione, eppure era stato fin da subito chiaro quanto fosse incredibilmente, assurdamente, impeccabilmente normale. Era il ragazzo che studiava e aveva voti alti in molte materie, ma anche un ragazzo profondamente carente in altre come la geografia o la letteratura giapponese. Era una persona costantemente in compagnia, eppure ammetteva di trovarsi incredibilmente a suo agio anche da solo e, soprattutto, con Kenma, che passassero il tempo in silenzio o parlando di cose di fondamentale o infima importanza.

Il mondo gli apparteneva, era il suo ambiente, le persone lo erano, persino il chiasso lo era. Eppure, lo era anche il silenzio della sua stanza, la tranquillità delle strade di notte o le serate passate a giocare ai videogiochi con Kenma.

Kuroo era stato con alcune ragazze, ma non aveva mai trascurato Kenma.

E mentre con Kenma, non aveva mai trascurato il mondo.

 

« Ehi, Kenma? »

 

Kenma sbatte le ciglia lentamente, con pigrizia, mettendo nuovamente a fuoco i contorni della sua camera e lasciando che le serrande appena abbassate tornino a filtrare nel suo campo visivo ombre di oggetti appoggiati sulla cornice della grande finestra a vetri. Nota con una certa fiacchezza come il color panna delle pareti abbia assunto sfumature ocra nella parte più alta della stanza, lontane dalla luce del giorno e dalle attenzioni della domestica, e pensa distrattamente alla faccia che la donna farà quando la madre, dopo essersi accorta della cosa – probabilmente dopo essere entrata casualmente nella sua stanza –, le chiederà di prendere scala e detersivi e lavare la vernice scurita dal tempo. In compenso il resto è invece liscio, pulito, giusto alcuni suoi diplomi − elementare e media, ma c’è già spazio per quello che i genitori vogliono affiggere una volta che avrà completato le superiori – e qualche foto di lui da molto piccolo con la madre ed il padre, composti, in abiti eleganti e con in braccio un bambino addormentato, a decorare le pareti altrimenti minimali. Gli occhi di Kenma slittano in avanti dove sa esserci la scrivania, proprio al di sotto della finestra, ma la vista gli è preclusa dalla console che ricorda solo in quel momento di avere fra le mani, messa verticalmente per rendergli possibile il gioco nonostante sia sdraiato da praticamente dopo pranzo in quel basso letto giapponese, fermo nella medesima posizione da chissà quanto, stanco dopo una mattina passata a camminare per il quartiere.

Cosa che, c’è da aggiungere, non avrebbe mai fatto volontariamente, se non fortemente spinto da qualcuno.


« ... »

 

Si sistema meglio su quel materasso da una piazza e mezza, che sta scoprendo essere davvero troppo piccolo se condiviso con un’altra persona, ed ad un tratto è davvero impossibile non notare la presenza del compagno alle sue spalle, grande, confortante, piacevolmente calda in un pomeriggio come quello, nei primi di Aprile.


« Kenma, tutto a posto? Ti chiamo da un po' ma− sembrava fossi completamente assente. »

 

Il sospiro di Kenma è silenzioso, segreto, mentre il più giovane si lascia cullare per qualche istante dalla voce del compagno, chiudendo gli occhi per qualche secondo mentre la console che tiene tra le mani viene posata sul materasso, le mani lasciate libere di posarsi sulle pieghe morbide delle lenzuola chiare.

 

« − … Pensavo. »

 

Kuroo sbuffa una risata, la mano sinistra del braccio passante sotto il corpo di Kenma che accarezza distrattamente il palmo del più giovane, ritrovandola inaspettatamente vicina successivamente l’abbandono della PSP da parte del compagno.


« Anche mentre giochi? Non lo si fa per spegnere il cervello, di solito? Uno prezioso come il tuo, poi− »

 

No, non c’è niente da fare. Seppure ormai Kuroo abbia lasciato la scuola da parecchi mesi, diplomandosi e di conseguenza trasferendosi ai dormitori dell’università al fine di continuare i suoi piani di studi, Kenma ha dovuto accettare col tempo che la sua particolare fissazione per quella metonimia tra lui ed il suo encefalo non gli sia mai veramente passata. E questo, c’è da dire, nonostante le prime volte il più giovane abbia fatto più o meno intendere come davvero, non fosse assolutamente necessario mandare avanti quella cosa, già assolutamente non necessaria ed anche abbastanza imbarazzante durante gli anni passati a giocare insieme a pallavolo, quando Kuroo aveva cercato di vedere in quello slogan un significato che Kenma aveva seri dubbi fosse poi effettivamente riuscito a passare.

Per questo motivo, il più giovane decide che non c’è decisamente bisogno che risponda ad una frase simile, e preferisce anzi rimanere semplicemente in silenzio, cercando di pensare al motivo per cui Kuroo sia ancora lì e non cacciato senza remore dal suo letto.

Forse è vero che la Domenica riesce a rendere anche le persone naturalmente pigre ancora più fiacche.

… Ah−. A proposito della Domenica.

 

« Kuroo− »

 

Kenma si muove appena, portando il viso dai tratti ancora leggermente infantili verso l’altro e lasciando che la spalla assecondi appena il movimento andando verso Kuroo, sentendo il materasso muoversi leggermente mentre anche il maggiore indietreggia appena con il mento nel tentativo di non ricevere involontariamente una capocciata dal minore.

 

« Sì, sono proprio io. Mica te ne sarai accorto adesso? Conta che potrei offendermi. »


Lo sguardo che Kenma gli lancia – tra l’altro in maniera scomodissima, vista la posizione piuttosto sacrificata − è più che sufficiente a mostrare al compagno quanto quella risposta sia stata tutto fuorché necessaria, ma nonostante sia abbastanza sicuro di aver fatto capire al maggiore l’effettiva reazione che gli ha suscitato quel cabaret improvvisato, l’unico risultato che ottiene di fronte a quella sua espressione stizzita è una semplicissima quanto leggera risata roca di Kuroo, una delle gambe del maggiore che si insinua maggiormente tra cosce di Kenma mentre questo le schiude istintivamente, così da lasciare all’immeritevole ragazzo lo spazio sufficiente affinché le parti laterali inferiori della coscia del compagno possano strusciarsi leggermente nella parte interna delle sue.

Rimane in attesa che l'altro finisca di ridere, ma la cosa risulta essere inconcludente dal momento che presto si ritrova ancora una volta impossibilitato a guardarlo, il viso di Kuroo che si riavvicina alla nuca di Kenma per lasciargli, tra ancora una risata soffocata e l’altra, una piccola scia di leggeri baci che si posano sulle ciocche di capelli e sulle radici scure, intervallati di tanto in tanto da un leggero strofinio della punta del naso fra quei lunghi fili dorati che ornano la testa del più giovane.

 

« Scusa, scusa− Dicevi? »

 

Ma Kenma non è davvero sicuro di voler ancora continuare a parlare, ed anzi ci mette il suo dovuto tempo prima di tornare sul discorso, nel probabile tentativo di eliminare il ricordo di quegli ultimi secondi decisamente troppo da Kuroo attraverso una impeccabile impassibilità vocale.

 

« Domenica prossima−… »
 

« Mhm? »
 

Sente Kuroo mugugnare distrattamente dietro le sue spalle, il naso freddo che nel frattempo scende obliquamente dalla parte parietale della testa passando su quella temporale, poco dietro l’orecchio, alternando qualche bacio ad altre sufficientemente imbarazzanti sospiri direttamente tra i capelli, abbassandosi piano sino ad infossarsi maggiormente nell'incavo del collo di Kenma. Inspira profondamente, appena più debolmente di poco prima e con appena meno coscienza di quella avuta ad inizio della conversazione, e il minore può quasi sentire la soglia d’attenzione di Kuroo abbassarsi inesorabilmente ogni minuto che passa, il sopore della dormiveglia che si fa strada tra il cuscino e le lenzuola stropicciate sotto i loro corpi.

 

« … C’è il festival della birra− »

 

Il silenzio che accoglie la sua domanda è quasi più esplicito di una risposta verbale, e Kenma intuisce subito come l’altro lo stia velocemente abbandonando per fare spazio a quel rassicurante stato di incoscienza pomeridiana, quando la pancia è piena e le lancette segnano un orario solitamente dedicato ad una digestione affrontata piuttosto passivamente. Kenma ci riprova, muovendosi appena per fare in modo che le sue scapole scivolino con delicatezza contro il busto del compagno, sballottandolo leggermente.
 

« … Kuroo−? »

 

« Nhm−? »

 

Kuroo si riprende appena il necessario per andare ad accarezzare morbidamente il fianco di Kenma, le dita che scivolano sulla stoffa andando a fasciargli l’anca e tentando debolmente di avvicinarlo maggiormente a sé. Kenma lo lascia fare, e nell’attesa l’altro si riprenda completamente si avvicina impercettibilmente anche lui, facendosi ancora più piccolo di quanto non sia e quasi immergendosi in quel corpo così grande e caldo alle sue spalle.

 

« … … Hai sentito−? »

 

Un istante di silenzio, il respiro regolare che lentamente torna vigile, in qualche modo più consapevole.

 

« Mhm? Il− festival della birra? Sì−»

 

Kenma rimane in silenzio, lasciando al compagno il giusto tempo per rimettere in ordine la sua mente ovattata dal sonno e fare ammenda di quello che ha inconsapevolmente registrato in quegli ultimi minuti di incerta coscienza.

 

« … Cioè sì, credo di sì, ne ho sentito parlare a lezione da un paio di miei colleghi d’Università... »

 

Ancora altri istanti di attesa, ma questa volta Kuroo non sembra stia pensando a niente in particolare. Kenma schiude le labbra, per poi richiuderle nuovamente, stringendole appena, abbassando il viso e piegando il collo in avanti, provocando un mugugno sofferente al compagno, privato tutto ad un tratto dello schermo caldo offerto dalla testa del minore.

 

« … Vuoi−? »

 

Non riesce a dire molto tutto insieme, ma spera sinceramente che il maggiore abbia intuito dove stia cercando di portarsi con la conversazione. Peccato che− nulla, alla fine Kenma debba accettare che Kuroo non stia capendo, come è evidente dall’immobilità assoluta di quella mano ancora posta sul fianco snello del biondo, segno che il compagno stia pensando così tanto ad un qualsiasi tipo di collegamento con quell’unico verbo appena emesso dall’altro da essersi completamente estraniato dalla realtà. Corruccia leggermente le sopracciglia, le mani che vanno a tastare avanti a lui quei pochi centimetri di spazio coperti da panneggi di lenzuola di un celeste tenue, tirandone fuori una console ancora messa in pausa dal gioco precedentemente avviato, girandola in verticale e schiacciando qualche tasto a caso.

 

« Queste cose ti piacciono, giusto− »

 

Non può davvero essere più esplicito di così, da come la vede lui.

 

« … Sì, ma non – Aspetta, mi stai chiedendo se ci vado? »

 

Ora sente chiaramente la sorpresa del compagno, mentre le dita si muovono veloci sui tasti della PSP, cercando il salvataggio più vicino per poter chiudere la partita senza perdere alcun progresso. Alla fine lo trova, con un po’ di difficoltà visto che non è esattamente al massimo della concentrazione al momento, e solo quando vedere l’accomodante scritta ‘saving…’ finire di lampeggiare lascia uscire l’aria dai polmoni, facendo slittare verso l’alto il pulsante dell’accensione e spegnendo la console.

 

« ... Dipende, vuoi andarci? »

 

« Non saprei, di solito la domenica la passiamo insieme− »
 

Kenma rimane in silenzio, lasciando a Kuroo il giusto tempo per arrivare alle sue conclusioni.

 

« Insomma non lo so Kenma, possiamo vederci solo il weekend, mi spiacer− aspetta, in che senso ‘vuoi andarci’? Intendi insieme…? »

 

Kenma non risponde, cercando di pensare bene a cosa dire e consapevole che no, non è assolutamente sicuro fosse quello che intendeva, in effetti. O meglio, sì.

In effetti intendeva proprio quello, o almeno quella era la soluzione a cui era arrivato quando, qualche giorno prima, aveva notato le insegne pubblicitarie all’uscita della stazione di Okachimachi, mentre in viaggio per raggiungere l’università in tempo per l’open day in vista dell’anno successivo, come gli aveva caldamente – e piuttosto insistentemente – consigliato di fare la neo matricola Kuroo. Appena aveva letto di sfuggita il cartellone, che ad onor del vero aveva più che altro quasi investito mentre camminava − troppo preso a giocare a ‘Tactics Ogre’ per notarlo − , e dopo aver visto le date in cui si sarebbe svolto il festival, non era riuscito ad evitare di pensare di sfuggita come Kuroo sarebbe stato entusiasta all’idea di andarci.

L’unico problema, per l’appunto, era stato proprio il calendario annesso alle altre informazioni di servizio.

Sabato, domenica, lunedì e martedì; e contando che lunedì e martedì Kuroo aveva lezione tutto il giorno, le variabili a disposizione in verità erano davvero poche.

 

Il vero problema, a questo punto, era stato palese. Perché come è certo che Kenma sia una persona che non ami stare in mezzo alle persone, tanto meno quando eccessivamente entusiaste ed inibite, seppure in minima parte, da una bevanda parzialmente alcolica come la birra, è anche vero che Kuroo difficilmente lascerebbe Kenma da solo in casa durante il weekend, non dopo aver deciso all’inizio dell’anno di compensare i cinque giorni di lontananza con i due giorni di weekend passati in compagnia l’uno dell’altro, dal sabato dopo pranzo alla domenica pomeriggio, dal treno delle quindici e quarantacinque a quello delle diciassette e venti. Kuroo non è mai stato davvero capace di dirgli di no, e questo Kenma lo sa bene, e a volte lo spaventa. Perché sa che le loro differenze sono grandi, e che per ogni momento che Kuroo passa cambiando piani per adattarsi alla personalità pigra e solitaria del compagno, ve ne segue un altro speso dal minore per sentirsi irrimediabilmente inadatto ad un tale affetto, consapevole dei suoi limiti che Kuroo non gli fa mai pesare, ma che Kenma a volte non riesce ad evitare di sentire gravare sulla loro relazione.

 

Kenma sta qualche secondo in silenzio, poi,

nello splendido squilibrio di un istante di incertezza,

annuisce.

 

Sente Kuroo dietro irrigidirsi appena, le mani che premono leggermente sul tessuto che fascia il suo corpo, la voce che pare una tavolozza di prudenza, concretezza, ma anche qualche linea appena colorata di speranza ed una leggerissima macchia, in fondo a tutto, di entusiasmo.

 

« Sei− sicuro? »

 

Perché sì, Kuroo sa cosa significhi per il compagno partecipare ad un simile evento, e Kenma stesso si deve ricordare di respirare e non lasciarsi prendere dalla codardia, perché a volte è difficile, perché a volte pensa che basterebbe poco per rimettere la testa sotto i cuscini, dimenticare la conversazione e godersi la solitudine del suo piccolo mondo, ridimensionato a lui e compattato proprio come lui.

Ma in un mondo così piccolo, Kuroo non c’entrerebbe.

E lui desidera Kuroo più di quanto non desideri far rimanere piccolo quel suo fragile, esile universo.

 

« Lo sono »

 

Dice semplicemente, allontanandosi appena con le gambe dal compagno solo per far scivolare via quella intrecciata con le sue, rigirandosi poi con qualche difficoltà all’interno dell’abbraccio di Kuroo e arrivando infine a posare gli occhi mielati sulla maglietta dallo scollo rotondo che indossa l’altro.

Alza lentamente lo sguardo, fermandosi alle labbra del compagno e scendendo subito dopo, la voce bassa ma appena sufficiente per farsi sentire dal maggiore: perché vuole che lo sappia, che quelle parole sono per lui; per lui, e nessun’altro.

 

« Se lo vuoi, lo sono. »

 

E per quanto lui non sia altrettanto bravo a mostrare le sue, di tavolozze di colori verbali, non c’è bisogno di altro per capire come quello che ha detto, in fin dei conti, lo pensi.

Per Kuroo, lo pensi veramente.

 

 

Kenma, spesse volte, pensa di essere una persona probabilmente normale.
Lontana dalle eccezioni, lontana dall'esserne una e, soprattutto, troppo incredibilmente pigro per disperdere energie nel tentare di averci anche solo passivamente a che fare.

Kuroo tuttavia È un’eccezione, e, per quanto non ricordi quando abbia iniziato ad essere quel genere di ragazzo che alcuni chiamerebbero 'svogliato', in qualche modo ha un vago ricordo di quando ha deciso che, almeno per una persona – e solo per quella − , forse sarebbe stato disposto a fare un po’ più del suo solito per evitare di esserlo.

Come ha letto in alcuni libri – stessa pila, stessa libreria −, le persone, quando tengono a qualcuno, sono disposte a fare cose che prima non avrebbero mai immaginato di fare.

Questo perché la gente normale, in qualche modo, si innamora.

Gli esseri umani normali, quando meno se lo aspettano, amano.

 

E Kenma?

 

Kenma non ha mai pensato di essere una persona chissà quanto diversa dalla norma, sinceramente parlando.

  
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