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Autore: emo_baby    09/05/2009    0 recensioni
Tutto ciò che avevo sempre sognato mi era stato concesso, in un certo censo, ma forse dentro di me avrei dovuto sapere che tutto prima o poi giunge al termine. Ogni cosa, pur bella che sia, finisce, lasciando un inesorabile delusione.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1° chapter You know I love you, I really do but I can’t fight anymore for you and I don’t know, maybe we’ll be together again… sometime, in another life. Tutto ciò che avevo sempre sognato mi era stato concesso, in un certo censo, ma forse dentro di me avrei dovuto sapere che tutto prima o poi giunge al termine. Ogni cosa, pur bella che sia, finisce, lasciando un inesorabile delusione. Sinceramente non capivo le persone che si lasciavano sfuggire soldi maledettamente utili con la lotteria o con altri tipi di giochi simili, non capivo come facessero a farsi abbindolare dai sogni o dal caso, anzi dalla fortuna. Tutto era programmato, il destino sceglieva accuratamente per ogni essere vivente, gli eventi che avrebbero cambiato la loro vita, o in alcuni casi gli eventi che avrebbero messo fine alla loro esistenza. Ogni cosa seguiva un suo percorso, ogni cosa nasceva, si sviluppava, e poi inesorabilmente finiva. Anche l’amore seguiva quel percorso, anche l’amicizia, ed io invece, ero talmente stupida da credere nelle cose infinte, da credere che sarei stata la fortunata che avrebbe avuto un’amicizia interminabile e un amore da favola, forse sul primo concetto avevo qualche possibilità, ma di certo non con il secondo. E così mi ritrovai a casa della mia migliore amica, la mia situazione familiare non era delle migliori, anzi, i miei genitori sono divorziati, mio padre ha 32 anni e lavora in diversi filiali bancarie in tutto il mondo, si è risposato con Michelle, una francesina di 25 anni molto simpatica e cordiale, se non fossi scappata di casa sarei dovuta partire con lui e girare il mondo e anche se l’idea per molti poteva sembrare un idea allettante per me non lo era affatto, avrei dovuto lasciare la mia fantastica Venezia e i miei amici, anche se però avrei potuto cominciare a rifarmi una vita cercando di dimenticare lui. Ancora mi riusciva complicato dire il suo nome, anche mentalmente, avevo posato un velo pietoso su tutta la situazione autoconvincendomi che se non ci avrei pensato tutto sarebbe passato, come quando si ha un forte mal di testa e la medicina migliore è proprio il non pensarci. Ritornando alla mia situazione familiare, mia madre ha 31 anni e non ha mai accettato la gravidanza che ha avuto a 16 anni, così vive cercando di ricostruirsi quel periodo della sua vita che non si è mai potuta godere, lavora come ballerina in un locale “vietato ai minori” presso Milano. In un caso o nell’altro avrei dovuto prendere la mia scelta e partire, lasciarmi tutto alle spalle e non tornare mai più, la persona di cui più avrei sentito la mancanza sarebbe stata di Katy, la mia best, quel involucro di pura pazzia e testardaggine che ha riempito le mie giornate, «mmm… Julia sei sveglia?» sorrisi, eravamo diventate telepatiche? «si… Katy io me ne vado, parto con mio padre» la mora si alzò di scatto e, nonostante fosse buio, notai che i suoi occhi erano ridotti a due fessure «ma cosa stai blaterando?» si stropicciò gli occhietti e si mise seduta, nel frattempo io mi alzai e preparai il borsone «bhè mi staranno cercando e non sono ancora maggiorenne, mi mancano ben tre anni, non voglio causare problemi alla tua famiglia… penso sia la cosa migliore» mi guardò per qualche secondo e poi fece una risata amara, per nulla divertitita «io lo so perché te ne stai andando… per scappare da John, non vuoi affrontare la situazione, vuoi scappare da ciò che ti tormenta, non è così?» non aveva capito nulla, io la stavo affrontando la situazione, ma non quella di lui, io stavo affrontando la mia vita «tre anni e torno… promesso» mi avvicinai per darle un bacio sulla guancia ma si scostò «non tornare, restatene lì a fare la bella vita con le tue future ochette, ma non tornare da me» sapevo bene che non lo pensava, si sentiva offesa e tradita, ma dovevo cominciare a crescere e a prendere le mie decisioni, mi avviai verso la porta silenziosamente e diedi un occhiata al grande orologio in corridoio, le 4.05, decisamente un orario fuori dal normale per far ritorno a casa. Misi le mani sul pomello della porta, ma era come se non avessi la forza di uscire da quella casa «Ju aspetta!» disse Katy dietro di me, mi girai e corse ad abbracciarmi «torna presto scema» una lacrima scese dai miei occhi, e anche quella fece il suo percorso, finendo sotto il mio mento. «Ti voglio bene» le dissi a bassa voce «anch’io». L’aria era fredda e pungente, e il tragitto verso casa fu tutt’altro che facile. Quando finalmente mi trovai davanti la mia villetta a due piani, soffocai i singhiozzi e scrutai la zona, il giardino era occupato da due volanti della polizia e dalle diverse auto di mio padre, avanzai cautamente e diedi un leggero tocco alla porta, le voci che stavano all’interno si fermarono all’istante. La porta si aprì e dietro di essa mio padre corse a stringermi forte, «come stai?» mi disse silenziosamente nell’orecchio «tutto bene» l’odore al muschio del suo profumo aveva sempre avuto un effetto calmante su di me, anche in quel momento. La polizia fu presto congedata ed io salii di sopra a fare le valigie, «ehila» feci un piccolo balzo all’indietro spaventata «scusa non volevo farti spaventare» era Michelle, le sorrisi «tranquilla pensavo» si sedette sul letto «non hai sonno?» mi chiese premurosa «oh no, dormirò sull’areo» «sono convinta che Cracovia ti piacerà, ci sono stata diverse volte e devo dire che è molto interessante» era una brava donna, molto affettuosa e meritevole di mio padre, stava cercando di farmi accettare l’idea di dover partire «lo spero» mi scrutò per qualche istante e riprese a parlare «c’è qualcosa che non va vero?» mi sedetti accanto a lei e appoggiai la testa sulla sua spalla destra «forse avrei dovuto accettare le scuse di John» mi accarezzò i capelli con fare materno «se voi due siete destinati a stare insieme, prima o poi ritornerete insieme» forse aveva ragione, avrei dovuto lasciarmi abbandonare nelle mani del destino, se io e John dovevamo far pace sarebbe successo. «Piccola star ti dovresti svegliare» aprii lentamente gli occhi e mi accorsi di essermi addormentata, il sole riscaldava un po’ l’aria attorno con i suoi deboli raggi di febbraio, misi a fuoco la figura cha avevo attorno… mio padre. «Che ore sono?» gli chiesi alzandomi lentamente e mettendomi seduta «le nove e tra due ore abbiamo l’aereo quindi preparati» mi sorrise e mi diede un bacio sulla fronte «ok papà». La casa era assolutamente vuota e priva di ogni cosa, andai in bagno e mi feci una doccia veloce, ritornai in camera e misi in custodia la mia amatissima chitarra JILU, un nome buffo ma dai tanti ricordi, era il nome della band di John, non mi ha mai voluto spiegare che significasse e io non lo avevo mai forzato nonostante la mia curiosità fremeva. Non ero una ragazza particolarmente fissata per un determinato genere musicale, mi piaceva ascoltare un po’ di tutto, specialmente canzoni dal significato profondo e originale, mi piaceva ascoltare le melodie che suonavo in base all’umore, nel mio I-pod c’erano una sfilza di canzoni ma tutte diverse tra loro. Mi avvicinai allo specchio e pettinai i lunghi capelli mossi e rossi legandoli in due pratiche trecce e contornai gli occhi con abbondante matita nera, sembravo la versione “bad” di “Anna dai capelli rossi”. Mi misi le mie adorate convers e scesi le scale per avvisare che ora pronta, ma mi accorsi che Michelle era sull’arco della porta d’ingresso a parlare con qualcuno di familiare, forse fin troppo, John. «Posso fare la prova a chiamartela» il cuore perse un battito «Julia c’è John che vuole parlarti» le feci cenno di no con la testa ma fece gli occhietti dolci, come se volesse incoraggiarmi, sbuffai «e va bene Michelle» lo vidi entrare con quei due curiosi occhi da tigre color dello smeraldo «ciao…» disse a bassa voce guardando terra «ciao» gli risposi più convinta io «sono venuto per salutarti» un sorriso amaro si dipinse sulle mie labbra «no, sei venuto per dirmi addio» mi guardò e fu un duro colpo sostenere il suo sguardo «non voglio dirti addio» non volevo piangere davanti a lui, dovevo mostrarmi forte, avrei voluto correre ad abbracciarlo e a sentire di nuovo le sue labbra sulle mie, ma non potevo «devi…» si avvicinò e mi prese il polso, la distanza tra noi era minima, «mi dispiace… lo vuoi capire? Perché non sei disposta a perdonarmi?» lo guardai «ti perdono, ma devo andare… ti voglio bene e tu lo sai, ho lottato tanto per te, forse staremo insieme un giorno… in un'altra vita» mi fissò per un breve istante e poi uscì da quella porta, e non sarebbe mai tornato indietro. I could save you from the hurt but things will never go back to how we were. I’m sorry, I can’t be your world.
  
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