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Autore: SandFrost    14/10/2016    1 recensioni
“Se ti impegni, possiamo comprarcelo questo posto e nessuno potrà romperci più le palle”. Ci riflette davvero su e l’idea lo fa sorridere. Un posto dove poter scappare da tutti, cosi isolato e solo suo. Potrebbe persino portare sua sorella. Sì, gli piace come idea.
Ma infondo è solo un ragazzetto senza genitori in un quartiere dimenticato anche da chi ci vive, niente di buono può capitagli, almeno su questo Big Jim ha sempre avuto ragione.
Nel giro di pochi secondi il suo sogno muore e il suo cadavere puzza di bruciato.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è mia abitudine scrivere dei Ziall senza uno scopo.
Non ho mai scritto una Ziall se non per la mia Lee.
Non mi sono mai fermata a creare una trama per una Ziall, dato che di solito l’idea arriva e basta.

Quindi fingerò che questa Ziall sia un esperimento e la dedico a Sonia, che ha tanto insistito per una Ziall tutta per sé
(spero migliori davvero la tua giornata).
Sperando che questa storia abbia un minimo di senso o che sia minimante interessante.






Del sangue scivola dal suo naso sporcando le sue labbra e subito il sapore metallico invade la sua bocca, prima ancora di avere il tempo mandare via il rosso con un gesto frettoloso della mano. Tutto quello che riesce a sentire sono brusì e urla di gente eccitata, che lo incita a rimettersi in piedi. Quando un colpo deciso arriva dritto a colpire le sue costelle, capisce che deve rimettersi in piedi, se ne vuole uscire vivo. Fatica e le braccia doloranti non aiutano. La gamba destra sembra non rispondere più neanche ai semplici comandi ma la voce nella sua testa che suona così familiare a quella del suo patrigno, che gli urla che è un debole, gli da la forza necessaria per tornare in piedi.

Il respiro pensate, il petto che si solleva a ritmi irregolari, le costole che urlano doloranti, implorando qualche minuto di riposo. In effetti, tutto urla dentro di lui e, zittendo quella confusione di organi e ossa, decide di buttare tutto fuori. Con un urlo il suo gancio destro colpisce il naso del suo avversario ed è sicuro di averlo rotto dato che può sentire le piccole ossa muoversi al colpo e il suo avversario traballa sul posto. Fa un passo nella sua direzione questa volta punta all’altezza di un fianco ma, con la poca forza in corpo, finisce per colpire la coscia. L’uomo, sulla quarantina, tocca il pavimento con le ginocchia e ne approfitta per lasciargli ancora un calcio, questa volta non mancando la meta e colpendolo in pieno viso. Ed è il colpo decisivo che lo stordisce completamente, facendolo finire KO. Riesce solo a percepire un lontano “Eccolo il mio campione” prima di perdere i sensi a sua volta.

 

Si lamenta coprendosi gli occhi chiusi con una mano, massaggiandoli, pentendosene subito dopo. Non ha neanche il tempo di lamentarsene, che la tenda viene scostata e tutta la luce di un giorno di sole entra nella stanza senza più ostacoli. “Che cazzo; sto cercando di dormire qui” impreca, aprendo gli occhi per uccidere chiunque abbia disturbato il suo sonno. Quando l’immagine di sua sorella si fa più nitida, il suo capo torna contro il cuscino mugugnando e rassegnato, tira il lenzuolo nascondendo il suo viso da quella luce odiosa e “Vai via, è ancora troppo presto per le tue prediche”.

Parole al vento dato che sua sorella si siede comunque accanto a lui; l’odore della colazione gli fa brontolare lo stomaco. “Vorrà dire che riporterò tutto questo cibo di nuovo in cucina” dice, alzandosi dal letto per andare verso la porta “E comunque è mezzo giorno e tu hai un aspetto orribile. Non ti conviene farti vedere da Big Jim in queste condizioni, sai come la pensa degli incontri”. Esce dal suo nascondiglio solo quando sente la porta della sua stanza chiudersi di nuovo. Per sua fortuna ha lasciato la colazione sul letto, sta morendo di fame.

Cerca di sedersi ma una fissa all’altezza delle costole gli fa strizzare gli occhi. Si lascia sfuggire un “Merda” mentre si solleva e dopo si lascia andare contro la testata del letto. Respira profondamente prima di avvicinare il vassoio al suo corpo, addentando una fetta di pane tostato. Il suo stomaco sembra restio a mandare giù anche un singolo boccone di più, quindi lascia stare e appoggia i piedi scalzi sul pavimento freddo e con fatica, riesce a raggiungere il bagno. Quando la luce è accesa, il suo riflesso allo specchio gli fa venire il volta stomaco e ci mette poco per vomitare il poco che ha mangiato.

Quando si rimette in piedi è di nuovo di fronte lo specchio. Il suo labbro inferiore è spaccato e c’è del sangue raggrumato sul bordo. Il sopraciglio destro non è messo meglio. Il suo occhio sinistro è livido, per questo fatica ad aprirlo. Il suo petto è rosso mentre il suo ventre è pieno di macchie dai vari colori; ringrazia di essere stato coperto dal lenzuolo, risparmiando cosi a sua sorella quello spettacolo. Sarebbe stato una bellissima opera d’arte se solo non provasse dolore per ogni respiro o piccolo movimento. Si lava il viso con attenzione, prima di coprire con una maglietta lo schizzo di colori che è il suo corpo.


 
Camminare è faticoso, constata, considerato che ha una caviglia slogata e la testa pesate ma solleva il cappuccio della felpa sulla sua testa ed esce di casa con il chino basso; quello che gli manca in quella giornata sono le prediche del suo patrigno che gli ricorda quanto sia un perdete, un debole e che non è neanche in grado di fare a botte senza uscirne leso. Quasi gli dispiace di non aver salutato sua sorella ma sente il bisogno di aria fresca e l’idea di restare in quella casa un minuto di più gli fa tornare il mal di stomaco.

Le strade del quartiere sono deserte, eccetto qualche bambino che gioca a calcio aspettando che le proprie mamme li chiamino per andare a pranzare. Qualche bambino lo saluta anche, passandogli la palla che con fatica, riesce a mandare indietro, sorridendo come saluto. Per quanto sia uno dei quartieri peggiori, ci ha passato più tempo di quanto avrebbe voluto, vedendo la sua sorellina crescerci proprio come quei bambini. Sorride tristemente tornando a camminare a capo chino, raggiungendo con passo svelto il vecchio cantiere.

“Malik dove cazzo eri finito la scorsa notte? Mi sono allontanato per prendere i soldi della vincita e quando sono tornato il tuo culo rinsecchito non c’era più. Ti sarei venuto a cercare ma una biondina si è offerta di farmi compagnia per la serata, se capisci quello che voglio dire, quindi ho lasciato perde” urla come saluto -a distanza di metri- quel idiota di Danny. Non ricorda neanche più il perché sono amici, forse perché a smesso di chiederselo molti anni prima o forse perché è troppo pigro per trovarsi degli amici nuovi. Nasconde una smorfia sotto il cappello alle risatine idiote che seguo quell’ultimo commento.

Quando finalmente raggiunge il resto del gruppo, saluta tutti con una stretta di mano e un pugno contro pugno e “Ma che cazzo ne so. L’ultima cosa che ricordo è il boato della vittoria e che questa mattina mi sono svegliato nel mio letto” ignora il “Sarà stata la tua amata Perrie, come sempre. Ma quand’è che te la scopi e la fai felice?” perché non ne vale la pena rispondere e di iniziare una discussione di cui non ha alcuna voglia. “Allora, quanto abbiamo fatto ieri sera?” chiede cambiando argomento e accendendosi una sigaretta.

“500 bambole amore e dire che nessuno credeva nella tua vittoria” scimmiotta Danny, sventolando i soldi orgoglioso, per niente convinto di voler dividere la parte. “Ma se continui a lottare come ieri notte, saranno il triplo già dal prossimo incontro, vedrai” lo rassicura, come se gli potesse importare qualcosa. Come se lottasse per dei soldi e non per la sensazione di beatitudine di quando il suo gancio destro va a meta. Ma per sua fortuna l’argomento di conversazione cambia ancora, quando il piccolo Luke – che poi è il più grande di tutti loro – domanda della serata con la bionda, vantandosi poi della sua con una moretta tutte forme.

A quei commenti, che trova volgari, decide di distrarsi e concentrarsi solo sulla sensazione del fumo nei suoi polmoni. Non ha nessuna voglia di ascoltare momenti di sesso che dovrebbero rimanere privati o di soldi che non gli daranno quello che vuole. Fa l’ultimo tiro e mentre la sua sigaretta tocca terra, pronta per essere spenta dalla suola della sua scarpa, Tad arriva ridacchiando verso di loro e “Segaioli miei ho trovato un posto per il prossimo incontro, questa sera si esce in perlustrazione”, perché i loro incontri possono essere pure contro la legge ma non vogliono averci niente a che fare, soprattutto Luke, che è stato in prigione per più tempo di quanto riesca a ricordare.
 


Uscire di nascosto da quella casa che non ha mai sentito sua, non è mai stato un problema. Anche in quelle rare volte dove sua sorellina si apposta fuori dalla sua porta per assicurarsi che non si metta nei casino, come ogni sera, per poi avere un trattamento peggiore dal loro patrigno il giorno dopo; gli basta solo aspettare che crolli sul pavimento del corridoio e poi riportarla nella sua stanza. Con il suo patrigno sempre ubriaco o sfinito sul divano per il troppo alcool poi, non deve neanche uscire dalla finestra come quando era più piccolo, dato che le porte in quella zona non vengono neanche chiuse.

Sono passate le due di notte quando finalmente raggiunge tutti gli altri ma prima di far notare la sua presenza, resta qualche secondo a osservarli; Danny, come sempre, è alle prese con la conta delle vincite delle scommesse. Neanche un singolo centesimo gli appartiene ma è così avaro, che non osa toccarli quindi è diventato il loro tesoriere. Luke, invece, è tutto preso del proprio telefono, giocando a chissà quale nuovo gioco di auto. Anche Perrie è lì, con la sua amica Jade, parlottando di chissà quale novità, di certo non si può dire che non conosca l’intero quartiere. E infine Tad, che non fa niente di particolare se non fumarsi una sigaretta in silenzio.

“Ecco il mio ragazzo” esulta Tad quando lo nota “Finalmente sei qui, questi segaioli non sono di nessuna compagnia ma non per altro sei tu il mio campione preferito” vorrebbe fargli notare che è anche il suo unico campione ma si limita a sorride e alla solita stretta di mano come saluto. Ora che ci sono tutti, possono iniziare a muoversi verso il luogo scelto per il loro prossimo incontro. Anche se ci sono tante zone abbandonate o palazzi mai finiti e di cui si sono fermati alle fondamenta che possono usare, con la nuova politica di rimettere in funzione quel loro decrepito quartiere, trovare un posto senza guardie o videosorveglianza, diventa sempre più difficile, per questo sono costretti a spostarsi sempre.

Il luogo trovato da Tad è quasi al limite del loro quartiere ed un posto tranquillo, almeno secondo l’amico. Non ci sono abitazione e nessuna macchina parcheggiata da nessuna parte. Loro sono gli unici esseri viventi a essere in quel luogo a quell’ora della notte. Quando finalmente arrivano, quello che si trovano di fronte è una villa mai stata terminata ma non messa male. Una imponente porta li accoglie. Non ci sono molti lampioni e dalla poca luce che arriva si può notare solo innumerevoli rampicanti su di essa e su tutta la facciata della casa. “Che ne pensate ragazzi, non è uno spettacolo?” in effetti, al suo perché.

Getta per terra l’ennesima sigaretta e segue Tad verso la porta, o almeno quello è il suo intento prima di essere fermato da Perrie, che lo trattiene per il braccio. La guarda confuso, non provando neanche a capire la motivazione di quell’azione. Questo spinge la ragazza a confessare e “Ho paura, non entrare o almeno non mi lasciare la mano”. Un accenno di risatina sta per lasciare la sua bocca, e nell’istante in cui lo capisce la copre con un colpo di tosse e “Potete restare fuori se avete paura, il piccolo Luke mi farà compagnia, vero amico?” esclama, lavandosene le mani.
 

“Davvero non ti capisco amico” sbuffa Danny, avvolgendolo le sue spalle con il suo braccio “Quella ti muovere dietro, farebbe di tutto per te e tu la rifili al piccolo Luke? E non vendermi la cazzata che non è vero perché anche un cieco lo capirebbe che ti vuole” continua, anche se lo sta ignorando. La faccia incredula di Luke e quella sconvolta di Perrie le avrebbe ricordate anche dopo aver perso la memoria. “Lascialo stare Daniel, è chiaro che al nostro Malik piace il cazzo, il mio soprattutto, vero amore?” lo provoca Tad, con tanto di occhiolino.

Scuote la testa senza però rispondere a nessuna delle due provocazione. Non ha voglia di discutere della sua sessualità, né con loro né con nessun altro. Quindi si limitano a camminare in silenzio, commentando a tratti quello che vedono. Quando il corridoio finisce, si trovano in una enorme stanza, che sarebbe dovuta essere un salone. Il pavimento è finito e non ci sono crepe, tranne qualcuna sui muri. Una enorme sala che già vede piena di luci e gente che esulta per la sua vittoria. Giusto qualche erbaccia secca ma niente che non ci può estirpare.

“Cazzo questo posto è incredibile, potrei comprarlo, aggiustarlo e andarci a vivere con la mia signora” quasi urla il piccolo Luke alle loro spalle. “Che cazzo ci fai qui, non dovresti fare da guardia?” lo rimprovera Tad, pronto a cacciarlo fuori con due calci nel sedere. “Le signore avevano paura e ho pensato che dentro si sarebbero sentite meglio e poi non c’è un cazzo la fuori Tad” è la giustificazione di Luke che, una volta che Tad ha smesso di incenerire con lo sguardo, si muove in esplorazione, accendendosi una sigaretta.

Lo ignorano tutti, persino le ragazze che preferiscono stare insieme a parlare. “Allora, che ne pensi campione, ti piace questo posto?” chiede Tad, dandogli una pacca dietro la schiena, cosi forte e inaspettata, che quasi perde l’equilibrio in avanti. “Il piccolo Luke ha detto una cosa giusta però” tutti si voltano verso Tad con gli occhi spalancati ma annuiscono quando: “Se ti impegni, possiamo comprarcelo questo posto e nessuno potrà romperci più le palle”. Ci riflette davvero su e l’idea lo fa sorridere. Un posto dove poter scappare da tutti, cosi isolato e solo suo. Potrebbe persino portare sua sorella. Sì, gli piace come idea. Ma infondo è solo un ragazzetto senza genitori in un quartiere dimenticato anche da chi ci vive, niente di buono può capitagli, almeno su questo Big Jim ha sempre avuto ragione.

Nel giro di pochi secondi il suo sogno muore e il suo cadavere puzza di bruciato. Un odore che pizzica nelle loro narici e quando un “Merda” arriva chiaro nelle loro orecchie, non c’è neanche bisogno di voltarsi per capire cosa sta succedendo ma il “Grandissimo coglione, brucerai questo posto” lo fa sentire disorientato. Quando sposta lo sguardo di un micro centimetro, riesce a intravedere solo la sigaretta del piccolo Luke, ancora accesa, che sta dando fuoco a tutta l’erba secca intorno ai muri. Vede il suo sogno andare a puttane ma con lui anche il suo futuro e non lo può permettere cosi decide di prendere il controllo su quella situazione che di controllo ne ha ben poco.

Scansa con un colpo secco il piccolo Luke e “Vai fuori dalle palle coglione, prima che arrivi la polizia e i vigili del fuoco. Ci manca solo che ti rimettano dietro le sbarre. Un coglione come te non potrebbe sopravvivere ancora lì dentro” gli ringhia contro, arrabbiato con lui tanto quanto quel fuoco che gli sta incenerendo quel briciolo di speranza che si è concesso dopo molti anni “Va” urla ancora, spingendolo verso la porta “E porta anche le ragazze con te”. Dopo, rivolgendosi verso Danny: “Va anche tu amico e assicurati che non faccia altri danni e che le ragazze stiano bene”.

Quando anche l’amico esce dalla porta principale, rimangono solo lui, Tad e quel fuoco che ne accede un altro, diventando sempre più grande. “Che cazzo facciamo adesso? Non lo possiamo spegnere, ci sono troppe erbacce, continuerà ad accendersi fino a quando non avrà inghiottito l’intera casa, dobbiamo andare” ma non vuole sentire ragione; si toglie il giacchetto di pelle che indossa da così tanto tempo da essere completamente consumato e lo da in pasto alle fiamme, bloccandole sul terreno ma Tad ha ragione, quel incendio sarà una luce contro la notte e non lo può spegnere. Quando avvertono le sirene, capisce che non può fare più niente.

Eppure, non riesce a muoversi, a scappare via, a correre più lontano possibile da quel posto. E più il tempo passa e più le sirene si fanno vicine, più le fiamme si alzano toccando il soffitto e più si sente stordito. Sente il corpo pesate e una nube di fumo nero inizia a coprirgli la vista. Si sente cosi perso che, quando Tad cerca di attirare la sua attenzione tirandolo per la maglietta, è troppo distante per percepire veramente quel contatto. Ci mette più tempo del consueto prima di ricordare che Tad è ancora lì -come del resto lui- e che sta urlando di correre via, se non vuole essere ucciso dalle fiamme. Tenta di urlare qualcosa ma nel secondo in cui schiude le labbra per farlo, il fumo prende possesso dei suoi polmoni e inizia a tossire. Non sa con quale forza nelle gambe riescono poi a scappare dal quel incendio.

 

Detesta le mattina, ne detesta ogni cosa: detesta la sensazione di dolore che è costretto a provare dopo ogni incontro, detesta le urla di Big Jim e ancora di più detesta sua sorella che lo spinge ad alzarsi dal letto scostando le tede e facendo entrare la luce e quella mattina ancora di più. “Alzati bel addormentato, oggi è il giorno del processo, ricordi? Quindi muoviti, ti ho già preparato i vestiti” e quando dopo troppi minuti di silenzio è sicuro di poter tornare a dormire… “E lavati per favore che puzzi” con un: “Aspetterò fuori dalla porta, conterò un quarto d’ora e dopo povero te”. Sbuffa, gettando per terra il lenzuolo.

Dalla sera dell'incendio sono passati esattamente otto giorno. Otto giorni in cui ha creduto di essere salvo. Hanno trovato un altro palazzo abbandonato per allenarsi, una palestra chiusa per fallimento e mai più ricomprata. Ha affrontato un uomo con il doppio del suo peso e un enorme tatuaggio a forma di drago dietro la schiena, giusto la sera prima. Si sente a pezzi ma per quanto l’abbia evitato, finto che tutto vada bene, il giorno del processo è arrivato. Quindi si soleva dal letto ed entra nel bagno.

La visita della polizia gli sembra ancora un sogno, un incubo in cui ancora sta vivendo. Ha capito solo che hanno trovato il suo giacchetto tra le macerie e che sono riusciti a leggere il suo nome sopra, tra le urla di Big Jim e il suo ricordargli che fallito sia. Ha sentito la mancanza di quel giacchetto, nei giorni successi all’incendio ma l’ha tenuto per sé. Hanno anche aggiunto che doveva presentarsi in tribunale una settimana dopo, per il processo e la condanna. Ha smesso di pregare per Allah dopo la morte di sua madre ma vorrebbe tanto non averlo mai fatto, perché inizia a sentire la paura e non gli piace avere paura.

Gira la manopola dell’acqua ed entra nella doccia, non prestando molta attenzione alla temperatura; ha bisogno di svegliarsi e non solo per iniziare quella giornata ma nella speranza vana di star ancora sognando. Ovviamente è una speranza che muore quasi subito, quando sua sorella gli urla che ha ancora dieci minuti. Cosi, riluttate, esce dalla doccia e, avvolgendosi un asciugamano intorno al bacino, torna in camera e inizia a prepararsi. Non indossa un completo dal funerale di sua madre ma per sua fortuna non è lo stesso.

A un minuto dallo scadere del tempo, sua sorella entra in camera pronta a sbraitargli contro qualcosa ma lo trova seduto sul letto con il viso rivolto fuori la finestra. Anche il cielo prova pietà per lui dato che ha iniziato a piovere. Sospira stanco e si rimette in piedi, supera sua sorella, ignora il suo patrigno ed esce di casa, dove la macchina di Tad lo sta già aspettando. L’amico si è offerto di dargli un passaggio e ha accettato con molto piacere. Probabilmente l’ha fatto solo per convincerlo, ancora una volta, a dividere la colpa ma non ha intenzione di cambiare la sua decisione. Qualsiasi cosa sarà, accetterà le conseguenze senza fiatare.
 


È già stato in un aula di tribunale prima di quel momento ma la ricorda più grande e con più persone e invece, al suo processo, l’aula è quasi vuota eccetto lui, pochi testimoni e il giudice. C’è anche un ragazzetto che non ha mai visto prima di quel momento ma probabilmente è lì spinto dalla curiosità di conoscere il coglione del quartiere. Conta i minuti, mentre tamburella le dita contro la coscia e passano esattamente 27 minuti prima che il giudice prenda la parola e “Zayn Jawaad Malik, quello che hai fatto è un reato grave. Meriteresti qualche anno dietro le sbarre ma, dato che sei ancora minorenne, ne abbiamo parlato parecchio e una buona stella ti ha baciato, risparmiandoti questa condanna”.

Zayn Malik non è mai stato un ragazzo fortunato. Ha perso suo padre quando aveva dieci anni e sua madre è morta un paio d’anni dopo. Giusto il tempo di essere convinta a spostare quel deficiente del loro patrigno; Big Jim. Ma non gliele fa una colpa, all’epoca credeva fosse la scelta migliore per lui e per Waliyha. Dopo la morte di sua madre sono stati costretti a restare dal loro patrigno, dato che minorenni. Quindi lui una buona stella non l’ha mai avuta ma in quel momento la sta ringraziando. E avrebbe pianto se solo si ricordasse come si facesse.

“Per questo motivo dovrà rendersi utile alla comunità. Infatti sconterà la sua pena lavorando per ripagare i danni provocati. E quale inizio se non dal luogo che ha distrutto? Da questo preciso istante è obbligato a partecipare ai lavori di restauro e riparazione dell’edificio danneggiato. A fine dei lavori, ci sarà un altro processo e saranno i volontari a scegliere la sua sorte. La esorto a non buttare questa opportunità che gli è stata donata signor Malik” conclude il giudice, chiudendo il processo con un colpo di martelletto, per poi uscire dall’aula.
 


I lavori al vecchio edificio sono iniziati da quasi un mese, pensa, ma poco importa. Non mentre un pugno arriva dritto nel suo stomaco, facendogli sputare sangue. Si china in avanti, coprendo con le mani il punto lesso. Fa male ma sorride, mentre gocce di sangue gli sporcano il petto nudo e livido. Masochista si rimetti diritto, saltellando sul posto, come un boxer sul ring. Ricarica le sue gambe, preparare le sue braccia, convince il suo corpo a concentrare le poche energie rimaste per un colpo, un colpo solo, promettendo di dargli pace dopo. Ride quando scatta in avanti e con mossa coordinata, il suo pugno destro colpisce la mascella del suo avversario e con il destro colpisce il fianco, toccando una ferita ancora aperta. Lo vede urlare dal dolore e dopo cadere al suolo.
 


“Alzati! Andiamo Zayn alzati” sente una sensazione di fastidio al braccio destro, prova a spostarlo ma sembra bloccato. Sente la testa pesante e proprio non gli va di aprire gli occhi. È già finito KO? “Ti vuoi alzare razza di pelandrone, hai visite dannazione” no, non è finito KO ma è sicuro di finirci molto presto se non apre gli occhi da lì a pochi secondi. La vista è appannata, una serie di colori sfocati è tutto quello che riesce a decifrare oltre un “È tutto tuo, più di cosi non posso fare”. Con chi sta parlando? E perché il suo braccio è fasciato? A quella realizzazione scatta in piedi e “Ouch! Dannazione che male”.

“Allora sei in grado di provare dolore, e io che stavo iniziando a credere alle voci che ti descrivono come un grande eroe che può sopportare ogni attacco e riuscire comunque a mettere KO il proprio avversario. Se i tuoi fan ti vedessero in queste condizioni ne sarebbero delusi” una voce per nulla famigliare gli fa digrignare i denti ma cerca di restare calmo e di analizzare, al proprio meglio, la situazione: ha un braccio fasciato, non indossa più la sua maglietta e i suoi lividi sono umidi di qualcosa, forse una pomata. L’occhio destro gli fa cosi tanto male che non riesce neanche ad aprirlo, e l’altro sembra stordito dal sonno appena interrotto.

Oh! È c’è un ragazzino che non ha mai visto prima nella sua stanza.

“Chi cazzo sei tu” riesce a chiedere quando l’occhio buono si abitua alla luce e riesce a vedere meglio. Il ragazzo indossa una camicia sul celeste ghiaccio con qualche piccolo disegno ripetuto per tutto il tessuto. La camicia finisce in degli skinny neri molto attillati. Le sue scarpe sono bianche. Una volta esaminato il suo vestiario, etichettandolo subito come figlio di papà, si concentra sul suo viso. È chiaramente un biondo tinto, la sua pelle è chiara ma ha delle belle labbra, non lo può negare. I suoi occhi, bhe, i suoi occhi sono di una tonalità di azzurro e celeste che non riesce bene a identificare ma è grazie a quel dettaglio che: “No aspetta, ma io ti conosco. Sei il ragazzino che ha assistito al mio processo. È stato uno spettacolo di tuo gradimento?” sorride beffardo, ricevendo in cambio una fitta di dolore.

Lo osserva prendersi il suo tempo, come a scegliere le parole, a dare ordine alla frase e quando alla fine sembra riuscirci: “Questo ragazzino ti ha salvato il culo e sì, è stato di mio gradimento ma adesso tocca a me ricevere qualcosa in cambio”. Si alza dalla sedia e gli si avvicina di qualche passo, si abbassa leggermente alla sua altezza e “Hai un obbligo nei confronti dello stato ma anche se sai che hai sbagliato non stai facendo niente per rimediare. Hai una settimana di tempo per di ritrovare la ragione e iniziare a scontare la tua pena, altrimenti ho sentito che il carcere non è cosi male e un bel visino come te non farà fatica a trovare marito”. Resta a guardarlo a bocca aperta, senza riuscire a formulare neanche il più semplice dei pensieri.


 
“Una settima Zayn Malik” gli ha ripetuto quello strano ragazzo prima di uscire dalla sua stanza e un altro giorno è passato da quella mattina. Tad ha provato a farlo ragionare, a ricordargli quanto sono stati magnanimi con lui nella sua pena ma la realtà è che lui è innocente. Non ha appiccato il fuoco, non ha distrutto il suo sogno di un futuro migliore, anche se sporco di sangue, il suo sangue. E quel coglione di Luke è anche scappato con la coda tra le gambe da sua nonna, che abita in un altro stato, difficile da rintracciare. Ha un combattimento quella sera e sa già a chi dedicare il gancio vincente e sarà cosi forte che anche quel codardo del loro piccolo Luke lo potrà sentire.

 
L’incontro è iniziato da un paio di minuti, i primi pugni sono stati sferrati ma tutti andati a vuoto. I loro corpi sono svegli, vigili, per nulla stanchi. La gente urla di attaccare, di dare loro qualcosa per cui esultare mentre continuano a scommettere per chi resisterà di più. E si prende il suo tempo per studiare il suo avversario, notando quale piede mette avanti durante un attacco o quale parte del suo corpo tenta di difendere, cosa che chiaramente il suo avversario non fa con lui, dato che è troppo preso a sferrare un colpo dopo l’altro, senza dare molto importanza alla precisione o alla potenza. Quando è sicuro di avere tutte le informazioni utile, sferra il suo attacco.

L’incontro continua; ha procurato al suo avversario un occhio nero, un naso rotto e uno zigomo gonfio, non per non parlare dei segni sul petto. Anche se ancora in piedi, neanche lui è messo meglio con la sua caviglia storta e un polso slogato ma è ancora il più attento, il più veloce ed è pronto a sferrare il gancio conclusivo, quello che gli darà la vittoria, quando lo vede. Tra la folla, con le braccia giunte al petto e un sorriso beffardo sulle labbra. E mentre lo sta osservando sente il suo giudizio sulla pelle, a far bruciare tutti i raschi e i segni rossi. A farlo traballare sul posto. Forse lo sta solo immaginando ma quella breve distrazione basta al suo avversario per avere la meglio ed è KO.
 


Sbuffa ancora prima di mettere piede nella struttura, si chiede come ci sia finito in quel posto ma conosce molto bene la risposta. Vorrebbe maledire i suoi amici e la loro idiozia ma che senso avrebbe? È bloccato in quel posto fino alla fine dei lavori. Questo continua a ripetersi perché è solo per questa ragione e non per quello strano ragazzo visto all’incontro, che tra l’altro gli ha fatto perdere un sacco di soldi. Rassegnato, fa i primi passi all’interno del enorme salone. Il lato interamente bruciato è stato ricostruito alla velocità della luce. Ci sono ancora dei fili scoperti ma per il resto l’incendio sembra non essere mai passato da lì.

Ci sono volontari ovunque e di ogni età, tutti estremamente accaldati ma con dei sorrisi felici sulle labbra. Vorrebbe quasi vomitare ma ricambia il sorriso di una ragazza che lo saluta cordiale. Si sente perso, non dovrebbe essere lì. Non è in grado di sistemare la sua stanza, come credono passa sistemare un intero edificio? “Zayn Malik, che io sia messo su un ring a combattere se non vedo bene” dice una voce alle sua spalle e se la prima volta che l’ha ascoltata gli è sembrata estranea, adesso è più famigliare di quanto voglia ammettere.

Si volta lentamente ed è lì, a pochi passi da lui, con le braccia giunte al petto e il sorriso beffardo. “Stavo giusto per convincere mio padre che saresti arrivato ed eccoti qui. Ne sono felice” esclama e quando nota il suo sopraciglio sollevato aggiunge “Davvero, nessuno scherzo. Sono felice di rivederti”. Vorrebbe chiedergli dell’incontro ma non dice niente, chiedendosi se quello è stato l'unico o se c’è ne sono stati altri. Lo segue senza fiatare fino in una stanzetta dove un gruppo di bambini stanno dipingendo una parete. “Dato che è il tuo primo giorno e che il grosso è stato fatto, ti occuperai di questa stanza. I bambini ti diranno cosa fare, vero piccoli?”.

 
Due ore dopo e quasi non ricorda più la sensazione di mala voglia di quando è arrivato. Forse è la presenza dei bambini, pensa, o forse perché il suo murales è venuto benissimo e gli hanno fatto anche i complimenti. Ha passato anche gran parte di quel tempo a insegnare ai bambini come disegnare come lui ma seguendo il loro stile personale. È ora di pranzo quando si alza dal pavimento e si asciuga la fronte. Sente qualcuno ridacchiare e quando solleva lo sguardo si immerge in quello del biondo. “Che hai da ridere?” chiede subito sfrontato, evitando il suo sguardo e concentrando tutte le sue attenzioni sul murales fatto dai bambini “Non era una risata ma ti sei sporcato la fronte con la pittura e sei molto buffo ma anche adorabile”.

È solo un figlio di papà pieno di soldi e che ha avuto tutto dalla vita; lo detesto. “Sei venuto a controllare se ho fatto bene il mio lavoro?” chiede ma solo perché spera che, una volta ottenuta la risposta, il ragazzino vada via. “Puoi anche smetterla di alleggerirmi la pena dandomi lavori idioti come dipingere un muro. Fammi lavorare davvero, come tutti gli altri. L’hai detto anche tu che ho sbagliato e che dovrei rimediare no? Quindi smettila di giocare con me” non sa neanche perché dice tutte quelle cose, infondo non è stato male lavorare con i bambini ma non sa come comportarsi quando quello sguardo lo osserva e allora attacca. Proprio come i suoi avversarsi privi di attenzione.

“Oh, ma io non ho nessuna intenzione di renderti le cose facile” sorride beffardo, di nuovo. “E solo che la babysitter che di solito tieni i bambini era ammalata oggi e ci serviva un rimpiazzo” resta fermo nella stessa posizione mentre parla, con il corpo appoggiato allo stipite della porta e le braccia al petto. “Anzi, sono venuto proprio qui a dirti che abbiamo bisogno di uomini per dei lavori nella cucina” esclama enfatizzando la parola uomini. “Sarei quasi tentato di lasciarti con i bambini dato che ti adorano e sei estremamente adorabile con loro, quindi lascio a te la scelta” e prima di lasciarlo di nuovo solo “Ah! In cucina ci sarò anch’io” conclude amicando.

Si ritrova a lavorare in cucina ma ovviamente solo perché hanno bisogno di qualche braccia in più. Anche se il suo corpo sembra minuto, gli anni di incontri hanno fortificato le sue braccia e le sue gambe quindi è riuscito a essere molto utile, a differenza del biondo che ha passato quasi tutto il tempo a osservarlo. La cosa lo fa sentire a disagio, di solito è lui che osserva studiando ogni piccolo dettaglio ma adesso si sente distratto da quegli occhi. È anche quasi inciampato due volte per colpa di quello sguardo sempre puntato contro di se. Sta perdendo il controllo? Questo significa che finirà presto KO? Davvero non sa rispondere ma è felice quando è ora di tornare a casa.

Anche se tutti sanno che è stato lui ad appiccare il fuoco – anche se nessuno sa che non è la verità – tutti lo ringraziano comunque per il lavoro fatto e per essere stato cosi d’aiuto. Qualcuno gli ha anche chiesto di tornare ed è tutto strano e nuovo per lui. Vive in un quartiere dove nessuno si complimenta con nessuno. Forse sarebbe stato rispettato per aver dato fuoco ha un edificio dello stato ma questo è quanto. E comunque non vuole essere famoso in quel modo, anzi, non vuole essere famoso affatto. Vuole solo scontare la pena, fare abbastanza soldi con gli incontri per comprare un posto per lui e sua sorella compiuta la maggior età. Andare via da quel posto che non sarà il suo futuro ma solo un passato da dimenticare.

“Sei stato bravo Zayn Malik, lo devo ammettere” ed eccola lì quella voce. La voce che l’ha provocato per tutto il giorno. Non lo sopporta, vuole tornare a casa “Mi dirai mai il tuo nome? Sai com’è, chiamarti biondo è una parolona quando sei chiaramente tinto” lo provoca ma lo sa, è un colpo senza precisione, senza energia. Un colpo senza meta, finito a vuoto. “Oh Malik, Malik. Sei davvero adorabile lo sai? Quando fai cosi mi ricordi un gattino impaurito che nasconde la sua paura dietro un grr e i suoi artigli per niente affilati” e gli è troppo vicino quando gli sussurra all’orecchio “Posso tenerti con me?”.

È corso come un codardo dopo quella risposta. Ha risposto alla provocazione con qualcosa che neanche ricorda più, forse l'ha solo fulminato con lo sguardo dandogli le spalle. Ha visto e combattuto incontri per tutta la sua vita, sa quando è il momento di incassare un colpo. Fatto sta che è salito sulla sua bici ed è tornato a casa. Quanto è ironico scappare da qualcuno che ti fa sentire esposto per nascondersi nel luogo dove ti senti meno al sicuro? Per sua fortuna Big Jim è già crollato da un pezzo e sua sorella è dalla vicina di casa per la notte. Alle volte lo fa, quando Big Jim è cosi fuori da non ricordarsi che giorno è. E in quei giorni Waliha sorride felice e allora prova a essere felice anche lui.

Si butta a letto esausto, non si spoglia neanche, coprendo gli occhi stanchi con il braccio. Non sa come attaccare, o che mossa fare. Quel ragazzo lo confonde come il canto delle sirene. Ma non può finire KO, non può permettersi di essere sconfitto. E se l’attacco non funziona, allora proverà con l’indifferenza. Infondo di quel ragazzino a lui non gliele importa niente, no? Allora deciso, pensa, lo ignorerò più che posso e finirò il mio lavoro senza creare altri casini. Sente il telefono squillare, ha un incontro quella sera ma è davvero troppo stanco e si addormenta.
 


La giornata inizia con il suono di una sveglia che non ricorda di aver impostato. A dirla tutta, non ricorda di aver mai avuto una sveglia in tutta la sua vita. Quando apre gli occhi per spegnere quel suono infernale, quasi ringhia leggendo sullo schermo che sono le sette del mattino. Neanche quando frequentava la scuola si è mai svegliato cosi presto. Sta per rimettersi a dormire quando nota un piccolo bigliettino sul pavimento – sicuramente caduto quando ha spostato la sveglia. È quasi tentato di ignorare la cosa ma si mette seduto e raccoglie il bigliettino dal pavimento. Una risata ironica e un “Tutto questo è assurdo” esce dalla sua bocca quando legge il: “È ora di pagare la tua pena, non farti venire a buttare giù dal letto. In piedi dormiglione”.
 
Le strade sono deserte e se qualcuno è sveglio, di certo è già a lavoro. Sbadiglia imprecando sotto voce, mentre si sfiora la tasca destra dei pantaloni. Non sa neanche perché ha portato con se quel bigliettino, forse per convincere se stesso a finire in fretta quella punizione senza colpe o forse per sgridare il finto biondo e chiedergli come ha fatto. Quella mattina, tra l’altro, assonnato qual è, non si è neanche ricordato di prendere la bicicletta ed è costretto a camminare. Quando alla fine arriva, il biondo lo sta aspettando seduto sulle poche scale del portico.

“Buongiorno dormiglione, per un secondo ho pensato che sarei dovuto sul serio passare da casa tua” sorride e lo irrita. Ha in mano una tazza di caffè che subito gli offre e “Questo ti aiuterà a svegliarti”. È tentato di rifiutare e di mettersi subito a lavoro ma il suo corpo è ancora intorpidito e il suo cervello è ancora spento. Accetta la tazza piena di liquido caldo senza però dire una singola parola. Ne beve il contenuto in breve tempo, quasi rischiando un ustione e, lanciando la tazza al biondo, entra per iniziare quella giornata.

Ricordarsi di non parlare al biondo non è facile. Il suo piano di ignorarlo e finire quella giornata nel più breve tempo possibile è una missione che sa già che finirà con un fallimento. Il biondo è ovunque, lo segue ovunque. Anche quando crede di averlo seminato, se lo trova alle spalle con una battuta orribile o una domanda a cui non ha una risposta. Qualsiasi lavoro decide di fare, lui è già lì o decide di unirsi ai lavori quando non può più rifiutare. Quando finalmente la giornata giunge alla conclusione, quasi non gli dispiace tornare a casa a piedi. Ha bisogno di disintossicarsi da quella voce, da quel sorriso, dal suo sguardo.

Scappa da quel posto in fretta e quando è di nuovo nella sua stanza, anche se non è tanto stanco come il giorno precedente, sente una sensazione di felicità quando il suo corpo si stende sul materasso morbido. Quando sente che si sta per addormentare, si assicura di nascondere la sveglia sotto il letto. Dove trova il suo telefonino, spento perché sicuramente scarico. Lo mette sotto carica ma non ha la voglia di accenderlo per controllare le possibili chiamate o i messaggi di rimproveri da parte di Tad per aver saltato un altro incontro.

La mattina dopo si ripete come quella precedente, come quella dopo e quella dopo ancora. Passa una settimana e ora mai non ringhia più contro la sveglia, anzi, quella mattina si è svegliato anche cinque minuti prima. Raccoglie il solito bigliettino e lo unisce agli altri nella tasca del solito pantalone. Tutti hanno un messaggio diverso ma tutti scritti dalla stessa persona. Ha provato a ignoralo per tutta la settimana e non ha mai potuto chiedergli come dannazione faceva tutte le volte. Quella mattina però ha qualcosa di diverso. Mentre esce di casa e sale sulla bicicletta, decide che quella stupida idea di ignorarlo è stato solo una dose in più di stress. E stanco di saltellare sul posto evitando i colpi, quello è il momento per attaccare.

 
Come al solito il biondo è seduto sul portico con una tazza di caffè fumante. È assurdo ma quel caffè non è mai freddo. Sorride al ragazzo che aggrotta le sopraciglia confuso dato che di solito beve il caffè e dopo corre dentro per iniziare i lavori della giornata. “Buongiorno, sbaglio o quello era un sorriso? Oh mio—ti hanno rapito gli alieni? Sapevo che sarebbe stata solo una questione di tempo” lo prende in giro standosene seduto comodamente mentre lo osserva avvicinarsi sempre di più. Quando è a pochi passi da lui afferra la tazza e “Buongiorno anche a te raggio di sole”.

Il ragazzo quasi si strozza nella sua stessa saliva. Nasconde un sorriso dietro la tazza e fa finta di niente, dato che il ragazzo, preso alla sprovvista, non sa cosa dire. Quando la tazza è vuota e il suo intero corpo è completamente sveglio e pronto a lavorare fa un passo in avanti, ma invece di lasciare la tazza al ragazzo e filare dritto, si abbassa alla sua altezza e “Grazie per il caffè” sussurra al suo orecchio, lasciandogli la tazza tra le mani che poi poco non cade. Ridacchia ancora dannatamente vicino ma decide di non aggiungere altro, iniziando quella giornata di lavori. Mentre mette piede nella casa pensa che quel ragazzo che tanto detesta ha un buon odore.

La cucina come il soggiorno e uno dei bagni sono ora mai finiti. Quasi fatica a credere che un incendio ha quasi distrutto quella struttura. Non si è mai interessato al perché stessero rimettendo a nuovo quel posto, forse perché oltre Charley, il capo dei lavori, non ha scambiato parola con nessuno. Vuole di nuovo la sua liberata quindi non ha mai pensato di fare amicizia. Ma quel giorno, un po’ come arma difensiva, ha inizia a chiacchiere con gente random, dei lavori in corso e del progetto finale. “Non credo di aver scritto qualcosa di diverso sul bigliettino del buongiorno vero? No perché inizio a preoccuparmi e non vorrei che fosse per colpa mia”.

Appoggia la trave che sta sostenendo con Steff quando glielo dice e si volta in direzione del biondo che lo guarda preoccupato. Vorrebbe colpire quel ragazzino, un bel pugno in piena faccia ma si trattiene. L’unico modo per colpirlo e metterlo KO è con le parole e saranno la sola arma che userà cosi: “Ti chiami Niall, non è forse cosi? Niall James Horan, nato in un paesino in Irlanda. Ti sei trasferito un po’ ovunque ma vivi a Londra da un paio d’anni, per questo non ti ho mai visto. Per questo e perché vivi nei quartieri ricchi, Oh, quasi dimenticavo, tuo padre è Bobby Horan, il giudice no?” il viso del ragazzo diventa paonazzo.

Il ragazzino finto biondo che lo ha tormentato per troppo tempo, stringe i pugni quasi pronto a urlargli qualcosa contro ma alla fine gira i tacchi e se ne va, cosi lui può tornare a lavoro e finire una delle tante stanze del piano superiore. Scoprire tutte quelle informazioni è stato facile. Gli è bastato osservare e una volta trovata la vittima più vulnerabile, ha solo dovuto farci una chiacchierata con una tazza di caffè e il resto è venuto tutto da solo. La faccia sconvolta del ragazzo è stata la sua vittoria personale eppure, quando si sveglia meccanicamente, notando che la sveglia non è stato impostata e che non c’è nessun bigliettino sulla sua scrivania o sul pavimento, si sente strano.

Si è finalmente liberato di quel ragazzino irritante, del suo sorriso beffardo e di quello sguardo che l’ha fatto sentire nudo ed esposto dal primo contatto visivo. Dovrebbe gioie, dare una festa o almeno esserne felice eppure non ci riesce. Non riesce a smettere di pensare alla sua reazione e sa di aver fatto un casino. Sbuffa osservando i biglietti impilati uno sopra l’altro sulla piccola scrivania. Quel giorno decide di non uscire di casa, decide di non andare da nessuna parte.

Cosi accede il suo telefono ma non controlla la casella postale in fiamme o tutte le chiamate perse con tanto di messaggi in segreteria. Preme l’avvio di una chiamata e aspetta. “Dove cazzo sei finito coglione? Sono settimane che provo a chiamarti ma niente, il tuo telefono è morto. Non so più che cazzo inventarmi per pararti il culo amico” Tad sembra arrabbiato e sospira dicendo solo: “Vallo a dire a quel coglione del piccolo Luke che cazzo di fine ho fatto”. Non vuole essere compatito ma sta scontando la pena di qualcun altro e non gli sembra di starsene lamentando.

“Scusa amico, hai ragione. Alle volte dimentico che sei bloccato all’inferno. Oggi c’è un incontro sei dei nostri?” dovrebbe essere un invito ma suona come una supplica. Esita nella risposta ma la sveglia mancante sul comodino gli fa venire la nausea e accetta. L’incontro è un gioco da ragazzi e vicine dopo pochi minuti cosi chiede un altro avversario e dopo un altro ancora. Quando Tad lo riporta a casa ha due costole rotte, il naso che non smette di sanguinare e un occhio nero. Tutto accompagnato da una serie di dolori e lividi violacei su tutto il corpo. Il mattino quasi sorride quando è sua sorella a svegliarlo e non quella stupida sveglia.

Tutto sembra tornato alla normalità, anche le discussioni con Big Jim. O almeno cosi crede, cosi spera. Il terzo giorno quel orribile trillo che crede di aver ormai dimenticato, lo sveglia e l’aggeggio infermale finisce scaraventato contro il muro nel giro di qualche secondo. Sente l’emicrania per i colpi della sera prima ed è costretto a correre in bagno a vomitare. Quando riesce finalmente a tornare a letto, un piccolo bigliettino giallo cattura la sua attenzione: “La pausa è finita, torna a lavoro o sarò il prossimo avversario che ti troverai ad affrontare” una smorfia troppo simile a un sorriso deforma le sue labbra e lo detesta.

È quasi tentato di tornare a lavoro, di rivedere quel ragazzino che inizia ad avere troppo potere su di lui. Di affrontarlo e di provocarlo. E il suo subconscio lo spinge anche a prepararsi. È con un piede fuori di casa quando si trova a dove schivare una bottiglia di birra che si disintegra contro il muro, sporcandolo con il liquido scuro ancora all’interno. I suoi occhi sono sbarrati quando trova la forza di guardare verso l’uomo che se ne sta steso sulla poltrona a guardare una vecchia partita di uno sport di cui non ha mai capito le regole.

“Dove credi di andare, eh? Ancora quegli incontri? Non hai ancora capito che non sei buono a niente? Guardati, sei un perdente come tuo padre. Adesso pensi di poterti liberare di me, di poter far fortuna e andare via da qui ma guarda che fine ha fatto quel povero idiota di tuo padre. Lui sotto strati di cemento e la bella mammina me la sono scopata io” lo ascolta ridere in modo volgare, mentre prende un'altra birra. Quella risata è l’ultima cosa che riesce a ricordare.
 


Ha sempre avuto il controllo su ogni aspetto della sua vita ma il controllo non è reale. È solo una bugia che di solito raccontano mentre ti vedono cadere. Ti fanno credere che basta volerlo ma non ti dico di quanto sia facile perderlo. Ha tre punti al sopraciglio sinistro e un enorme livido sull’occhio destro. Il suo labbro è spaccato ma ha evitato di mettere i punti anche lì. Il suo bacino è fasciano, il dottore ha quasi riso delle sue costole costantemente distrutte ma non ha riso. La sua mandibola è violacea e ci sono segni sul collo e pomate che dovrebbe usare ma invece di tornare a casa, si ferma al parco e si stende su una panchina chiudendo gli occhi. Il mattino dopo quasi non ricorda cos’è successo.

Quello che si ritrova una volta aperto gli occhi è una emicrania e un sole che gli arriva dritto in faccia. Sa anche che, per aver dormito sul quel legno scomodo, la sua schiena gliene farà subire le conseguenze ma poco gli importa. Con ancora la busta contenente le pomate e le pillole per il dolore, si alza dalla panchina ed esce dal parco sapendo che ha solo due scelte per quella giornata. Cosi si fa lanciare una felpa nera dalla sorella e, lasciando la bicicletta a casa, decide di tornare a scontare la sua pena.

Non c’è nessun Niall Horan ad aspettarlo all’ingresso e nessun caffè da bere in fretta. Al pensiero del liquido bollente nel suo corpo una fitta al petto gli fa provare malinconia. Non ha più visto il biondo da quel suo commentino e non c’è neanche stata nessuna sveglia o messaggio fino al giorno prima. Si chiede se una sveglia ha suonato solitaria in camera sua quella mattina ma scuote la testa e decide che non gli importa ed entra. Nessuno si volta a guardarlo e nessuno gli chiede del perché ha il cappuccio tirato sulla testa. In qualche modo si sente esposto e ha la sensazione che tutti sappiano ma lui è il ragazzo che ha appiccato il fuoco e alle volte se ne dimenticata che nessun è realmente intenzionato a parlare con lui.

Cerca Charley per tutto il piano terra e quando lo trova si fa dare le istruzioni su cosa fare quel giorno. Anche se gli vengono affidati tutti i lavori più pesanti, stringe i denti e porta tutto a termine. Durante una pausa butta giù due antidolorifici, l’effetto non è immediato ma riesce comunque a sopravvivere – a malapena – a quella giornata. Tra il trasportare una trave o aiutare le ultime riparazioni con i muri, solo una volta fuori si accorge di non aver visto il biondo da nessuna parte. Si guarda intorno confuso e “Oggi non è venuto. Niall intendo. Probabilmente sarà rimasto ad aiutare in asilo” lo informa Steff salutandolo.


 
L’asilo nel suo quartiere sembra un edificio fantasma, forse perché i bambini preferisco giocare per strada che stare in quella struttura dimenticata anche dalle maestre stesse. Ma l’asilo che si trova di fronte è grande, accogliente e colorato. Ci sono bambini che ridono, altri che si rincorrono e altri ancora che disegnano seduti su dei piccoli tavolini. Non vuole ammettere la vera ragione per cui si trova lì ma quando intravede quei capelli che sembrano ancora più biondi alla luce del sole, sorride istintivamente, dimenticando anche il dolore.

Aspetta accanto a un albero il suono della campanella per farsi notare dal biondo. Quando finalmente gli occhi di Niall incrociano i suoi, il suo stomaco fa una capriola e le costole protestano all’azione. Non sa che cosa gli prende quando i suoi occhi sono su di lui, sa solo che perde il controllo. “Zayn Malik in un asilo nel quartiere dei ricchi, chi lo avrebbe mai detto” lo accoglie, con il suo sorriso sulle labbra. La rabbia che gli ha visto nei occhi troppi giorni prima sembra sparita del tutto. Chissà se lo ha aspettato il giorno dopo con il solito caffè. Chissà, invece, quando ha smesso di preparargli il caffè.

“Non ti ho visto al lavoro e sono venuto a controllare come te la spassavi senza di noi. Diciamo che un asilo non rientrava nel mio scenario” esclama strafottente, con le mani nelle tasche dei pantaloni. Una volata di vento fa indietreggiare il suo cappuccio, mostrando il suo viso rovinato. Quasi si sorprende quando una smorfia smorza il suo solito sorriso e: “Hai fatto ancora a botte non è cosi? Per questo non sei più venuto?” la sua voce è irritata e non sa se ridere o interessarsi alla cosa. “Ma cazzo, non lo capisci quando è stato clemente il giudice a non sbatterti in carcere per il resto della tua vita? Ci tieni cosi tanto alla tua vita da sprecarla in questo modo. Io proprio non ti capisco”.

“Oh, certo, molto clemente. Dovrei andarlo a ringraziarlo ma no aspetta, posso chiedere a te di farlo dato che è il tuo bel paparino. Che cazzo ne sai tu della mia vita è? Che cazzo ne sai che la sto sprecando?” quasi urla. Non ha voglia di un’altra predica da qualcuno a cui non importa. Il giudice è stato clemente, questo lo sa anche lui ma è innocente e non ha chiesto clemenza eppure l’ha accettata. E tutta la rabbia che non ha ancora sbollito esce dal suo petto e poi dalla sua bocca, sotto forma di parole. “Non ho nessuna intenzione di restarmene qui a farmi giudicare da una persona che ha avuto tutto dalla vita. Sono bravo in quello che faccio quindi fottiti Horan e salutalo davvero il tuo paparino, io ho chiuso”.

Sta per voltarsi ma “Davvero? Davvero intendi voltare le spalle dopo questa pessima scenata e andare via Malik? Davvero credi di sapere tutto di me solo per il mio cognome? Bhe ti do una notizia, sei tu a non sapere una cazzo di me. Chi io sono o da dove vengo. Ma sei un tale coglione che neanche ti interessa, non è cosi? Fai tanto il grande uomo con il tuo occhio nero e il labbro spaccato ma sei un ragazzino spaventato come tutti gli altri. Forse avrei dovuto spingere mio padre a darti una punizione più esemplare invece di insistere cosi tanto per salvarti il culo” esclama e sembra ferito ma fanculo, non gli importa.

“E adesso ti aspetti anche un ringraziamento? Buh uh! Torna a piangere dalla mammina Horan, saprà consolarti meglio di me”. Un singhiozzo rapido e tagliente lo colpisce dritto in faccia prima ancora della sua mano contro la sua guancia. Quello schiaffo sembra una carezza in confronto. Un’illusione. Avrebbe preferito le sue urla, i suoi pugni ma non le sue lacrime. Quelle non può gestirle, non sa come gestirle. Un livido scompare, un urlo si consuma ma una lacrima è in grado di allagare il suo intero essere e adesso si sente perso mentre lo vede correre all’intero della struttura. Resta bloccato per quelle che sembrano ore anche quando la pioggia inizia a cadere. Rimane fermo, ricordando a se stesso come ritornare a respira.


 
Niall non si presenta a lavoro il giorno dopo, neanche quello dopo ancora. In effetti, quando lo rivede, le sue ferite sono completamente guarite. La sua voce è spenta, il suo sorriso solo un’illusione, i suoi movimenti lenti. Sembra il fantasma di se stesso ma quasi nessuno presa attenzione, ma lui non ci riesce. Non riesce a smettere di notarlo. La realtà è che è perso di lui. Ogni suo piccolo gesto o parola lo fa perdere in lui. Il modo in cui si sposta il ciuffo, il suo modo di sorridere, volendo assomigliare ad un angelo ma sapendo di essere un tenero diavolo. Ma adesso sembra addormentato e non sa che cosa fare.

Vorrebbe scusarsi per qualsiasi cosa sbagliata abbia detto, anzi per ogni cosa. Infondo ha ragione, non sa niente di lui ma uno strano pizzicore nel suo cuore lo rende curioso. Non ha fatto altro che pensare a lui, anche durante gli incontri. Ha perso anche con gli avversari più deboli. Ma è un debole, solo un ragazzino che ha paura come tutti quanti. Niall Horan lo ha reso tale perché quello è il suo potere su di lui. Riesce a renderlo quello che vuole, o lo rende se stesso. È stato cosi distratto da quegli occhi che quando l’ha colpito. non l’ha neanche notato e non è riuscito a parsi dal colpo. Ma non è ancora KO. Può ancora combattere, deve solo rialzarsi.

Sono entrambi nel salone ma sono distanti. Sbuffa dandosi dell’idiota e inizia a muoversi verso il ragazzo quando “Che figlio di papà eh? Non so perché sta in quel modo ma sicuramente se lo merita” dice un ragazzo a cui non ha mai prestato attenzione. “Che finocchio, sono sicuro che la scorsa settimana mi ha fissato il sedere” risponde quello che gli siede accanto. Non hanno neanche la decenza di parlare a bassa voce ed è sicuro che Niall li stia ascoltando. Eppure non fa niente. Le sue mani tremano e i suoi passi cambiano rotta. È ha pochi passi da loro quando: “Oh, ed eccolo lì il grande eroe. Ti vuoi unire anche tu al fan club Malik?” quella voce lo ghiaccia sul polso. Non è calda come il solito e sente il suo sangue fermarsi nelle vene.

Sta per dire qualcosa, per scusarsi forse o per giustificare le sue intenzioni ma “Ma che carino che corre subito in difesa del suo fidanzatino. Secondo te chi scopa chi?” chiede uno dei due ragazzi ma non riesce a prestargli attenzione, non quando Niall Horan ha ancora il suo sguardo contro il suo. Quello sguardo assente che lui stesso ha creato. “Cazzo Horan, non basta che sei frocio ma pure con un terrorista piromane dovevi stare?”. Quelle parole non lo toccano; ha sentito di peggio, ha subito di peggio. Eppure un pugno colpisce uno dei due ragazzi facendolo sanguinare. Le sue mani sono ferme, non sono state le sue mani a colpire. Riesce solo a percepire un distinto “Non osare toccarlo coglione” prima di essere trascinato via.

I suoi polmoni prendono aria quando escono nel portico e “Coglione” esclama Niall e non è sicuro a chi si stia riferendo. Lo guarda con un sopraciglio sollevato fino a quando non ottiene la sua attenzione, si guardano e scoppiano a ridere all’uniscono, quasi piegati in due. Non sa neanche perché stanno ridendo sa solo che non sa come smettere. Quando l’ilarità si asciuga nei loro occhi, tornano seri e “Resti un coglione Malik” chiarisce subito il biondo e “Ed io sono dispiaciuto” si scusa in modo sincero. “Per qualsiasi cosa io abbia detto. Scusa”.

“Non ti metterai anche a piangere vero? Non sono pronto a questo spettacolo. Vederti ridere è stato già un momento molto intenso e ho bisogno di tempo per riprendermi dalla cosa” sorride come suo solito, sedendosi sui primi scalini, dove di solito lo aspetta con il suo caffè. “Coglione” esclama questa volta lui, sedendogli accanto. “Ma davvero, non avevo intenzione di unirmi a quei due. Anzi, ero pronto a colpirli e farli perdere la voglia di fare quei commentini cosi idioti. Perché sono solo due idioti Niall, come me”. Si massaggia le mani con ancora il desiderio di vederli supplicanti sul pavimento, sentendo i loro muscoli contrarsi dal dolore. “So che lo avresti fatto, per questo sono intervenuto. E sì, sei un idiota ma mi piace come pronunci il mio nome, quindi sei perdonato”.

Sbatte le palpebre un paio di volte nell’intento di elaborare quella frase. Quando lo vede sorridere divertito, sente qualcosa dentro di sé sciogliersi e spera con tutto se stesso che non sia il suo cuore. Non sa come descrivere quell’emozione cosi nuova ma non gli importa. Non importa quando realizza di non aver mai avuto una vera conversazione con il biondo o di non averlo mai chiamato con il suo nome prima di quel momento. Forse l’idiota è davvero lui e forse dovrebbe alzarsi e tornare a lavoro ma “Ti posso dare un passaggio a fine giornata?” e proprio non ce la fa a rifiutare e allora accetta.
 

Il resto della giornata passa con un solo pensiero nella sua testa, che non ha fatto altro che lampeggiare per tutto il tempo e che puntualmente lo spinge a cercare il biondo, in qualche parte nella stanza. E ogni volta che i loro occhi si trovano, si sorridono. Non sa come una risata può cambiare le cose, sa solo che quasi corre fuori dallo stabile quando il lavoro è finito e loro sono liberi di andare. È pomeriggio tardo quando i suoi occhi rivedono il sole e la luce del tramonto lo spinge a coprirsi gli occhi con il braccio ma sta sorridendo. “Hey Divinità baciata dal sole, andiamo” lo richiama Niall, facendogli segno con la mano.

Il viaggio in auto è silenzioso e anche molto breve, in realtà. La macchina si ferma a destinazione ma non vuole scendere, non vuole tornare in quella casa. Quando rassegnato avvicina la mano allo sportello, un rumore metallico spezza il silenzio, segno che lo sportello è stato bloccato. Si volta confuso verso il ragazzo e probabilmente il suo sguardo è suo gemello dato che neanche Niall vuole vederlo andare via. Lo osserva aspettando la sua mossa e quando “Cos’è successo alla tua faccia quel giorno all’asilo” è un colpo che va a meta.

Si sistema meglio contro lo schienale del sedile e sbuffa. Non ha voglia di parlare di quella giornata e né tanto meno di quel pomeriggio all’asilo. Se si trova in quella macchina ad avere quella conversazione, in parte (completamente) è colpa di quello di scambio di battute. “So che è difficile fidarti, soprattutto di uno che non conosci affatto ma puoi aprirti con me, sei al sicuro. Non farò niente per farti male e di certo non è mia intenzione deriderti. Voglio solo conoscerti” le sue parole sono lente ma decise. C’è dolcezza nella sua voce ma nessuna traccia di compassione. Che si può davvero fidare di lui?

“Me lo lascerai fare?” chiede e l’osserva come se la sua vita può cambiare da quella risposta. “Mi lascerai conoscere Zayn Malik e i suoi pensieri, sentimenti e anima?”. Lo guarda senza sapere cosa rispondere. Vorrebbe dirgli che è tanto da promettere per una sola persona e che pretende tanto ma alla fine accenna un sorriso e “Hai intenzione di sbloccare questo sportello o devo dormire qui stanotte?” ridacchia al “Cosi mi fai passare la voglia di lascarti andare”. Lo sportello viene sboccato subito dopo ed esce dall’auto. Una volta fuori colpisce il finestrino che viene abbassato e: “Potresti spostare la sveglia a un orario più decente?” e quando vede il biondo che sta per protestare, la blocca e “Potrei arrivare in tempo se mi venissi a prendere” chiede amicando, proposta che viene accettata quasi subito. Ride e il suo inferno non è tanto male.


 
Un nuovo giorno inizia, si sente riposato ma non realizza subito il perché. Sono le otto quando la solita sveglia inizia a suonare accompagnata dal solito post it e un buongiorno un po’ diverso. Ride, ride quasi con le lacrime agli occhi e il cuore pieno a quel: “Ho spostato la sveglia di un ora, non farmene pentire, ti aspetto fuori”, che lo spinge a correre verso la finestra. Niall è lì, nella sua macchina nera che legge il giornale mentre sorseggia del caffè. Sorride chiudendosi subito in bagno. Si fa una doccia veloce, indossa le prime cose che gli capitano attiro - un paio di jeans comodi e una maglietta bianca con una camicia con il cappuccio – ed esce di casa, incurante di fare piano o attenzione.

Una volta nella macchina, respira. Non si è mai mosso cosi in fretta di mattina, di solito ha sempre bisogno di quei dieci minuti con ancora gli occhi chiusi per prepararsi a una giornata che si rivela sempre la stessa, senza sorprese o avvenimenti speciali. Ma quando Niall si volta e gli sorride, pensa che avrebbe potuto evitare la doccia e uscire di casa dieci minuti prima. “Quello è per me?” chiede dopo i primi minuti di silenzio dove si osservano, indicando un bicchiere con il marchio di qualche caffetteria a lui sconosciuta. Gli basta ascoltare il “Sì, ho pensato di continuare la nostra abitudine mattutina e poi dovevo premiarti in qualche modo, già mi vedevo aspettarti in auto per ore” spiega porgendogli il caffè “Buongiorno” aggiunge subito dopo, quando le loro mani si incontrano, come se lo ha notato solo in quel momento. Il suo sorriso è raggiante, cosi tanto che quasi non nota i nuvoloni in cielo.

A giornata finita non riesce a smettere di pensare che hanno un’abitudine mattutina. E non smette di pensarci neanche quando decide di combattere quella stessa sera. Come non riesce a smettere di sorridere neanche quando viene colpito alla mascella o quando il suo viso tocca il pavimento duro, graffiandolo. I suoi movimenti sembrano quasi più aggraziati, una danza di passi tra un attacco e la difesa. Quando fa finire il suo avversario KO, la solita sensazione di beatitudine non è dovuta dalla fatica del combattimento ma da un sorriso raggiunte e il pensiero di un caffè sorseggiato in auto il mattino dopo.

Il mattino precedente si ripete: solita sveglia alle otto, solito bigliettino di buongiorno, la solita doccia veloce, la solita macchina e il solito caffè tra le mani del biondo ad aspettarlo. L’unica cosa diversa è lui. Quella mattina si sente felice e non riesce a smettere di sorridere per tutto il giorno, anche quando per poco non gli finisce un pezzo di metallo in testa. Anzi, si scusa per essere stato distratto tornando subito al suo lavoro. Quando il sole inizia a calare, sono liberi. Esce dall’abitazione respirando a pieni polmoni e sorride senza controllo quando: “Hey bel gattino, ti va di mangiare qualcosa insieme?”. Ed è in quel istante che realizza che non gli può negare niente, cosi accetta.

Finiscono in un parco a mangiare un panino comprato per strada. Sono seduti sull’erba, di fronte le giostre dove un paio di bambini giocano sotto lo sguardo attento delle loro mamme. Il tramonto cade lentamente regalando dei colori caldi, e lo noterebbe se solo non fosse distratto dal blu che ha di fronte e che sorride e ride tra un boccone e un aneddoto divertente. Per la prima volta, seduto in quel parco con il suo panino a metà tra le mani, desidera essere una cosa sola con quel colore. Una sola macchia di vernice su una tela blu, dimenticando i suoi colori scuri, spenti e cosi simili al rosso del sangue.

“Hai combattuto la scorsa notte?” gli chiede indicando i segni freschi sul suo viso. È quasi tentato di evitare la domanda e spostare l’attenzione sul bambino caduto nel intento di rincorrere il suo fratellino ma sospira ammettendo la cosa. “Perché combatti? Voglio dire sarai pure bravo e hai vinto la maggior parte degli incontri, ma perché lo fai” chiede ancora, mettendo da parte il resto del suo panino e prestandogli tutta la sua attenzione. “Non può essere per i soldi o per la fama no?”. E forse è davvero diverso, perché un tempo si sarebbe alzato e andato via, allontanandosi il più lontano dal quel perché. O avrebbe attaccato, cosa che gli riesce più tosto bene ma invece ricopre il suo panino e si sistema meglio sull’erba.

“Mio padre amava combattere. Ha iniziato da davvero molto piccolo, si può dire che sia cresciuto sul ring con i suoi guantoni sempre intorno al collo. Cosi sono cresciuto con i video dei suoi vecchi combattimenti” sorride tristemente, spostando lo sguardo verso le giostre. Il bambino caduto adesso ha un cerotto sul ginocchio sbucciato e un sorriso felice con ancora con qualche traccia di pianto al lato degli occhi. “Ricordo che la domenica era solito portarmi a qualche incontro importante, con mia madre che continuava a ripetergli che erano scene troppo violente per un bambino. Ma mi piacevano gli incontri”.

“Non lo so perché, forse per esaltazione tra un colpo e l’altro o la felicità negli occhi di mio padre dopo il KO di un avversario. Tutta l’adrenalina che mi teneva sveglio a immaginare di essere al loro posto e di voltarmi verso mio padre per vedere lo stesso sorriso per la mia vittoria”. Sente il naso pizzicare e gli occhi diventargli più lucidi. Prova a riscaldare le corde vocali notando il nodo alla gola. Torna a distrarsi e a concentrare tutte le sue attenzioni su lo stesso bambino che cerca di arrampicarsi sulla coda. “Durante l’ultimo incontro a cui mi ha portato mi sono addormentato sulle sue gambe, perdendomi l’incontro più incredibile di sempre, a detta di tutti”.

“Che cos’è successo dopo? Perché non ti ha più portato agli incontri?” la sua voce è rauca e gli sembra di non sentire il suono di quella voce da cosi tanto tempo da aver dimenticato l’impatto contro il suo cuore. Deglutisce a vuoto, non sicuro di voler raccontare il resto. Non l’ha mai raccontato a nessuno e gli unici a sapere sono sua sorella e Big Jim, che non perde occasione per ricordarglielo, scatenando in lui quella rabbia che ancora non ha imparato a gestire fuori da un incontro. “Due giorni dopo è morto sul ring durante un incontro” spiega nascondendo l’emozioni in fondo a un armadio, con tono piatto e occhi distanti. Nessun coinvolgimento; è stata la prima regola che suo padre gli ha insegnato mostrandogli i suoi vecchi incontri.

Quando si è coinvolti si finisce per sbagliare. L’emozioni sono un ostacolo sul ring, i pensieri una lentezza nei momenti che non puoi permetterti. Niente rabbia o rancore. Niente tristezza o felicità. Non esistono gli spettatori, le urla, gli incoraggiamenti. Solo i guantoni ben stretti e i pugni rilassati. Concentrando tutta l’attenzione tra un saltello e l’altro. E sta saltellando ma Niall non è il suo nemico, non sta affrontando un incontro ed è sicuro che sarà l’unico a finire KO dopo quel pomeriggio. Cosi con la stessa distanza da quei ricordi continua a parlare, a raccontare ma a non sentire.

“Dovevo studiare per il test di storia e cosi mia madre mi ha proibito di andare all’incontro di mio padre. Ero arrabbiato ma mio padre entrò nella mia stanza e mi promise che, se superato il test con un buon voto, mi avrebbe comprato i miei primi guantoni da box. Ero cosi felice che studiai fino al mattino” accenna un sorriso, troppo simile a uno sbuffo. “Non diedi mai quel test però, come non ebbi mai i miei primi guantoni. Quella mattina mi svegliai con un crampo allo stomaco e diedi la colpa all’ansia ma quando mia madre entrò nella mia stanza trattenendo le lacrime sapevo che non era cosi”.

La mamma del piccolo richiama il figlio dicendogli che è ora di tornare a casa. Il sole è quasi interamente tramontato e i colori caldi si spengono al suo passaggio. Non sa quando ha iniziato a piangere ma una lacrima gli bagna le labbra. Quelle scene cosi lontane alla fine lo hanno raggiunto, cosi si volta verso il ragazzo che lo ha ascoltato in silenzio. Per la prima volta da quando ha iniziato a parlare si guardano negli occhi. Niall sembra stanco ma non c’è traccia di compassione nei suoi occhi. Vorrebbe vederlo sorridere ma non lo chiede. Non sa se il suo racconto è finito, non sa se raccontare del colpo sbagliato e del modo in cui suo padre ha toccato terra senza più rialzarsi. O del funerale a cui non ha partecipato perché gli ha detto addio sul quel ring con un fiore bianco e le sue ultime lacrime.

Durante il tragitto verso casa nessuno dei due osa dire niente. La radio spenta, i finestrini abbassati e solo i loro respiri nel silenzio. Si volta a guardarlo solo una volta che la macchina si ferma. Lo saluta con un sorriso non trovando la forza di aggiungere altro. Quando sta per uscire dalla macchina però “Se combatti questa sera, sappi che ci sarò. Probabilmente non mi noterai, come tutte le altre volte, forse è meglio cosi ma stendilo, chiunque sia, e dedicami la vittoria okay?” lo sportello si chiude alle sue spalle senza dargli il tempo di rispondere o sfamare la sua curiosità. Lo cerca durante l’incontro ma ci sono troppe persone, troppe urla entusiaste ma urla comunque un: “Hey biondo, guarda, ho vinto” quando il suo avversario è KO.
 


Due settimane dopo ed hanno una nuova routine. La sveglia continua a suonare alle otto – alle volte alle 08:30 quando l’incontro della sera prima non è andato molto bene per lui -, Niall è sempre già pronto nella sua macchina ad aspettarlo con il solito caffè, lavorano sodo e anche più degli altri e quando il sole cala e la giornata è finita, si ritrovano nello stesso parco, con lo stesso panino, a parlare. Parlare con Niall è facile, forse perché non giudica mai e non prova compassione per lui. Alle volte i suoi occhi sono un po’ più spenti ma quando poi sorride al biondo, lui torna subito in sé.

Gli ha parlato di sua sorella – che il biondo conosce già per via dei bigliettini -, degli sport praticati negli anni, di suo nonno e delle sue pessime battute il giorno di Natale. Ma allo stesso tempo Niall gli ha parlato dell’asilo dove è volontario, dei lavori che vogliono affrontare ma mai mostrandosi veramente, senza mai parlare dei suoi genitori o della sua vita personale. Ma gli va bene perché sentirlo parlare dei bambini o di tutto quello che i volontari fanno, con quel enorme sorriso sulle labbra è qualcosa a cui non avrebbe mai più voluto farne a meno. Cosi lo ascolta parlare e alle volte alimenta le sue chiacchiere con le sue domande fino a quando il sole non si spegne, oscurando la notte.

E quel giorno non è stato diverso dagli altri: la sveglia è suonata alla stessa ora, il biondo è alla guida della sua auto nera con il suo caffè, il lavoro e subito dopo il tramonto, il loro momento al parco. Una volta seduti nello stesso punto nota che quel giorno il parco è deserto, non ci sono bambini che si rincorrono o madri che urlano loro di non farsi male ma sorride lo stesso perché quel posto gli piace. Sta per addentare il suo panino quando: “Non parli mai di tua madre, voglio dire, conosco quasi ogni membro della tua famiglia ma non so niente di tua madre” perché al biondo non è mai interessato essere discreto, la sua curiosità ha sempre la meglio.

E neanche ci prova più a evadere la domanda, a guardare altrove, a voler scappare da una vecchia storia del suo passato. Si passa l’indice sul sopraciglio e osserva il biondo per qualche minuto prima di iniziare a parlare. “Le assomiglio, o almeno è quello che continuano a ripetermi. All’inizio era stressante ma suppongo fosse il loro modo per ricordarla, attraverso la nostra assomiglianza intendo. Non ho sue foto, eccetto qualcuna che sono riuscito a salvare ma sono sbiadite ormai ma da quello che ricordo, Waliyha le assomiglia molto” sorride abbassando lo sguardo. Parlare di sua madre non è mai stato il suo forte eppure ci prova lo stesso, per Niall.

“Dopo la morte di mio padre, mia madre era devastata. Cercava di uscire dalla sua stanza per non farci preoccupare ma la maggior parte dei giorni li passavamo da mia zia. All’inizio era okay per lei ma non ha mai amato i bambini e noi eravamo già troppo grandi per i suoi gusti. Cosi l’anno dopo convinse mia madre a risposarsi, dicendo che era per il nostro bene e che conosceva la persona giusta” storce il naso ispirando dalla rabbia “Non sono mai stato simpatico a Big Jim ma faceva un eccezione per Waliyha. Provai a parlarne con mia madre ma si sposò lo stesso”.

“La sua tristezza non andò mai via però, non lasciò mai il suo cuore. Il matrimonio fu solo una copertura, un futuro sicuro per me e mia sorella ma questo non fermò il suo stato d’animo, anzi peggiorò. L’anno dopo si tolse la vita e lo scoprimmo solo una settimana dopo quando tornammo dal campeggio. Fu anche l’anno in cui decisi di iniziare a combattere. L’unico ricordo che ho mai avuto di lei è morto in quell’incendio” racconta con tristezza nella voce. Non ha più ricordato quel giorno, i combattimenti hanno distratto la sua mente rendendo l’abbandono un ricordo sbiadito. Non ne ha mai fatto a sua madre una colpa, neanche per averli lasciati da soli con Big Jim.

Certo, alle volte si chiede ancora perché o perché non ha mai lasciato un biglietto ma quando il suo pugno va a segno, le domande cadono proprio come i suoi avversari. “È stato il tuo patrigno a picchiarti quel giorno?”. Tra i pensieri e ricordi dimenticati da tempo, quasi ha dimenticato la presenza di Niall. Quella voce lo riporta alla realtà ma non è sicuro di cosa rispondere cosi opta per la verità. “A Big Jim non va molto a genio il fatto che combatto e non fa altro che ripeterlo, alle volte mettendo di mezzo mio padre. Ma quel giorno ha toccato anche mia madre e la rabbia che tengo sotto controllo quando sono in un combattimento ha offuscato la mia ragione” spiega, tonando a guardare il biondo.

“Vorrei poter dire che era messo peggio di me ma sarebbe una bugia. Combattere da arrabbiati non è il massimo ma almeno gli ho lasciato qualche segno sul viso che ci hanno messo un bel po’ per scomparire” ridacchia scuotendo la testa. Ha sempre pensato che parlare cosi apertamente lo avrebbe fatto sentire vulnerabile ma con Niall non è stato cosi. I suoi occhi non l’hanno abbandonato per un solo secondo durante il racconto e non si sono mai tinti di compassione. Vorrebbe guardarsi attraverso quegli occhi perché è sicuro che i suoi occhi marroni stanno sorridendo al quel viso dalla pelle pallida e gli occhi più intensi del cielo.

“Ma adesso basta parlare di me” dice, rimettendosi dritto e battendo le mani come a riprendersi dal torpore intorno a lui. “Raccontami della sua famiglia, anche tu non parli molto di tuo padre e ancora meno di tua madre” chiede sperando di non essere stato indiscreto. Il biondo è sempre molto diretto con lui ma non sa se può fare la stessa cosa. Di solito preferisce non chiedere cosi nessuno chiede di conseguenza. Il biondo ci pensa su, sembra quasi star prendendo una decisione di vita o di morte e alla fine chiede semplicemente: “Trascorri con me questo week-end e ti racconterò qualsiasi cosa tu voglia. Ci stai?”.

 
La macchina accosta e sospira osservando fuori dal finestrino. Ricorda a mala pena di aver accennato un sì spinto dalla curiosità ed eccolo lì, pronto per entrare in casa a prendere il necessario per il week-end. Ha accettato senza considerare che è già venerdì e che quindi devono partire quella sera per arrivare di prima mattina. Sospira di nuovo al ricordo della conversazione di poco prima, ancora nel parco, dopo quella richiesta che l’ha sorpreso e incuriosito allo stesso tempo.

“Mio padre ha una piccola casa in campagna. Dista qualche ora di macchina ma se partiamo questa sera, arriveremo lì in mattinata. Sarà divertente” ha continuato il biondo, di fronte la sua esitazione. “Possiamo passare da casa tua a prendere il necessario per le due notti, cosi puoi anche avvisare tua sorella e metterci subito in viaggio” il sorriso dipinto sulle sue labbra dimostra solo il suo entusiasmo all’idea di partire insieme. “Allora ti va?” dirgli di no è sempre stata la cosa più complicata da fare quindi accenna un sorriso con un movimento affermativo della testa. Dieci minuti dopo e quasi se ne pente quando la macchina accosta di frontecasa sua.

“Andiamo bel gattino, il tempo scorre” ridacchia Niall, aprendogli lo sportello con tanto di inchino ma si limita solo a sospirare e a uscire dalla macchina per poi camminare insieme verso la porta d’ingresso. Big Jim è spaparanzato sulla sua solita poltrona, con una birra tra le mani e la tv accesa su qualche canale sportivo. Non ha più avuto modo di vederlo dopo il loro scontro, ma per sua fortuna dorme beatamente. Il corridoio verso la sua camera è silenzioso ma incontrano Waliyha in cucina intenta a prepararsi un sandwich.

La saluta con un gesto frettoloso della mano e un sorriso, pronto a continuare verso la sua stanza senza fermarsi ma Niall non capisce le sue intenzioni e “Ciao Wali, come stai?” chiede con una cortesia che trova fastidiosa ma il biondo finge di non notare le sue braccia strette al petto e la sua espressione e “Porto tuo fratello via per il week-end, sarà grandioso” al quale sua sorella risponde con un: “Se vuoi posso preparare dei sandwich per il viaggio”. Sbuffa sussurrando un: “A me non me gli prepari mai i sandwich” aggiungendo poi “Continuate pure il vostro salottino, mi trovate in camera”.

Scuote la testa tornando a percorrere il corridoio ed entrando finalmente nella sua stanza. Si affretta a cercare uno zaino abbastanza capiente e una volta trovato, inizia a gettarci dentro il necessario, senza però dare molto peso a cosa ci finisce dentro. Si muove svelto e non avverte la porta aprirsi e poi richiudersi di nuovo, o almeno non fino a quando non sente un corpo pesante cadere sul suo letto e “Non essere geloso Zaynie, tu resti il mio Malik preferito”. Quando si volta, con lo zaino in una mano e una macchietta stropicciata dall’altra, trova il biondo steso sul suo letto, con le braccia incrociate dietro la testa e un sorriso beffardo sul volto, mentre segue attento ogni suo movimento.

Lo ignora entrando in bagno per prendere le ultime cose ma mentre sta per infilare nello zaino lo spazzolino, lo sente esclamare “Oh, Oh! Che cosa abbiamo qui. Non ti facevo cosi sentimentale tesoro”. Guarda il suo riflesso allo specchio con la fronte aggrottata, lascia cadere lo spazzolino nello zaino decidendo di tornare nella stanza per capire ma quando lo trova nella stesa posizione con la testa sollevata verso la mensola sopra il suo letto, i suoi occhi si sbarrano, facendo cadere lo zaino e “Merda!”.

“Non ne manca neanche uno, ci sono tutti eh?” dice il biondo senza però guardarlo. L’ha completamente dimenticato, preso com’è dall’idea del viaggio. Come ha potuto dimenticare di tutti i post-it del biondo attaccati sotto la mensola? Non sa neanche come è finito per attaccarli lì, ma lasciarli nella tasca dei pantaloni o nel comodino non gli andava più. Ha iniziato ad adorare la sensazione di addormentarsi con tutte quelle scritte ma è meglio non farne parola con il biondo cosi “Credo di aver preso tutto, possiamo andare” esclama, raccogliendo di nuovo lo zaino e chiudendolo, controllando velocemente la stanza, accertandosi di aver detto la verità.

“Arrivo” esclama il biondo, saltando giù dal letto ma guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa, si ferma quando sembra averla trovata. Afferra un post-it bianco dalla scrivania e una penna e ci scrive sopra qualcosa dopo, sorridendogli un modo amicante, torna verso il letto e aggiunge il nuovo post-it alla collezione. “Andiamo bel gattino, ci aspetta un lungo viaggio in auto” esclama pizzicandogli una guancia e uscendo dalla stanza. È quasi tentato di correre verso il letto e di leggere quello che il nuovo post-it dice ma “Lo leggerai quando torni, andiamo ora” lo richiama all’attenzione il biondo. Saluta la sorella con le solite raccomandazioni e sono di nuovo in auto.
 

Chiude lo sportello dell’auto alle sue spalle e porta entrambe le braccia sopra la sua testa per sgranchirle. Il viaggio è stato lungo ma piacevole. Si sono anche fermati in una tavola calda a fare colazione prima di rimettersi in marcia per l’ultimo pezzo di strada. Si respira aria pulita e sorride aiutando Niall a prendere i loro zaini per poi percorrere un piccolo sentiero verso una casetta accogliente. “Sono praticamente cresciuto in questa casa. È stato il regalo che mia madre mi ha lasciato dopo la sua morte. Onestamente ho pochissimi ricordi di lei ma mio padre me ne parla cosi tanto che mi sembra di averla avuta sempre al mio fianco”.

Una volta all’intero delbungalow – se cosi lo si può definire – Niall lo lascia in soggiorno per una doccia veloce, scusandosi e dicendogli di fare come se fosse a casa propria. Si passa i palmi delle mani sul tessuto dei pantaloni guardandosi intorno, cercando di capire se muoversi o aspettare il ritorno del biondo ma quasi lo può sentire rimproverarlo della cosa cosi alla fine decide di fare un giro della casa. Il soggiorno, come del resto tutto il resto, ha colori antichi. Ci sono due enormi divani intono a un cammino. Le pareti sono ricoperte di foto di famiglia.

Si ferma ad ammirare foto di Niall da piccolo, sorridente in alcune e sporco di cibo in altre. C’è anche una con un cane il doppio della sua grandezza e un’altra mentre dondola su una altalena. Ma una in particolare attira la sua attenzione. Ed è cosi preso dall’osservarla che quasi salta quando “È l’unica foto che ho con mia madre” e lo può vedere nel riflesso del vetro a soprapporre l’immagine di un bambino da poco nato tra le braccia della propria madre. La donna sorride accarezzandogli il viso del piccolo tutto sorridente. Ha i capelli ancora bagnati e un asciugammo intorno al collo quando si volta a fissarlo.

Lo trova tremendamente adorabile soprattutto quando si tira meglio giù la maglia. Gli ricorda un piccolo pulcino, proprio come il bambino nelle foto. Sorride quando lo sente chiedere “Ti va di mangiare qualcosa? È quasi ora di pranzo e io so cucinare dell’ottimo cibo italiano” suggerisce, prendendo una delle buste lasciate in soggiorno facendogli segno di prendere l’altra e di seguirlo in cucina. Ancora con il sorriso sulle labbra segue gli ordine e lo aiuta a cucinare il pranzo per entrambi. Non è mai stato bravo in cucina ma è decisamente in grado di seguire una ricetta, se spiegata bene.

Qualche ora dopo e con lo stomaco pieno, e con la promessa di cucinare di nuovo insieme gli spaghetti, sono quasi stesi su i due divani, uno di fronte all’altro, ascoltando una canzone allegra su un vecchio giradischi. “A detta di mio padre è la canzone con cui mi addormentavo quando ero piccolo. E mia madre me la metteva sempre cosi poteva guardarmi dormire”. Socchiude gli occhi per poter immaginare la scena. Lo vede ridere e dopo addormentarsi lentamente. Sorride a sua volta mentre riapre gli occhi, beandosi della melodia che cambia toni, aspettando che il biondo parli ancora.

“Sai, non l’ho mai raccontato a nessuno. Non perché non mi fidassi degli altri ma perché ho sempre pensato che raccontando di lei avrebbe diviso il ricordo in frammenti troppo piccoli e che a me non sarebbe rimasto più niente, se no l’immagine di una fotografia” l’osserva stendersi, con le braccia dietro la testa come il pomeriggio precedente in camera sua. Sorride fissando il soffitto “È un pensiero stupido, non trovi? Non ho mai parlato di lei per paura di vederla andare via in qualche ricordo lontano ma restando in silenzio non ho fatto altro che renderla un vecchio oggetto sulla mensola più alta, impolverata e dimenticata”.

Il ragazzo dal sorriso sfrontato che ha conosciuto nei mesi precedenti viene rimpiazzato da un sorriso nostalgico e uno sguardo perso. “Non deve esserlo per forza. Un ricordo impolverato e dimenticato intendo. Forse non farà nessuna differenza ma puoi condividere con me il suo ricordo, prometto che non permetterò che si divida in frammenti, e se suggerà, gli raccoglierò tutti e ricomporrò io stesso il ricordo. Puoi fidarti di me come io sto imparando a fidarmi di te” dice spostandosi dal divano e sedendosi sul pavimento, di fronte il secondo divano, mentre il biondo cerca nei suoi occhi la verità in quelle parole. Ma non sta mentendo e riprende a raccontare.

“Avevo cinque anni quando è morta. Non ricordo dov’ero o il momento esatto quando tutto è successo. È qualcosa che non ho mai voluto ricordare. Ricordo l’età solo perché Bobby la ricorda per me. Bobby è mio padre, bhe non proprio. Non ho mai conosciuto il mio vero padre, non sono neanche ben sicuro che mia madre lo conoscesse. Dopo la morte di mia madre, Bobby si è preso cura di me. È una promessa che ha fatto a mia madre sul punto di morte. Erano migliori amici dall’asilo. Mi ha dato il suo cognome e onestamente non importa cosa pensa la gente quando lo scopre; Bobby è mio padre, il mio unico padre”. Parla in fretta, come a dargli il tempo di capire le sue parole.

Il suo sguardo non si sposta dal soffitto, il suo viso è rilassato come se ha raccontato quella storia chissà quante volte ad alta voce. Non lo nota, non lo guarda. “Ho scoperto di Bobby sei anni dopo, ricordo che stavo facendo una ricerca per scuola e ho trovato dei documenti, i documenti di paternità. Ne abbiamo parlato e non mi sono neanche arrabbiato come lui credeva avrei fatto. È mio padre, perché avrei dovuto arrabbiarmi? Da quel giorno abbiamo iniziato a spostarci per via del suo lavoro. E la vita è diventata più facile per me, nessuno conosceva la mia storia, nessuna sapeva la nostra verità”.

In un battito di ciglia lo guarda e dopo torna a osservare il soffitto. “Qui mi piace e papà mi ha promesso che questa volta ci fermeremmo. Anche perché ho tutte le mie attività di volontariato e il suo lavoro gli piace veramente questa volta” sorride, spostando il suo corpo e stendendosi di lato; il corpo spinto contro lo schienale del divano e il suo sguardo puntato contro. “Vedi? Non sei cosi speciale come credi Malik, anche la mia storia è triste ma questo non ti giustifica a essere arrabbiato con il mondo intero. Se ti piace cosi tanto combattere, fallo sul serio. Punta qualcosa, invece di vincere e basta”.
 

“Ah! Quasi dimenticato, ti ho preso una cosa”. Si sta quasi per appisolare sul divano, con ancora quella melodia allegra sul gira dischi e gli occhi chiusi. Gli apre pigramente fino a quando la forma di un giacchetto di pelle non gli copre l’intera visuale. “So che non è la stessa cosa ma guarda,” dice abbassando il giacchetto e mostrandogli il colletto “ho fatto incidere il tuo nome all’interno. Dovrebbero essere gli stessi caratteri” sorride insicuro del suo gesto. Stordito si rimette seduto e si stropiccia gli occhi con una mano. Quando gli sembra di essere abbastanza lucido, osserva il giacchetto e dopo il suo nome inciso.

Non sa bene come poter ringraziare o cosa dire in quel momento, cosi si limita a prendere il giacchetto tra le mani. Il ricordo di quel giacchetto e del giorno in cui sua madre gliene ha fatto dono. Il suo ultimo regalo. “Non ho appiccato io l’incidendo” e non sa perché lo sta dicendo ma sente una strana sensazione nello stomaco e non può star in silenzio ancora per molto. Non ha intenzione di puntare il dito contro nessuno e sconterà la sua pena come già sta facendo, ma Niall e lui non sono cosi diversi come pensa e “Lo so” esclama il biondo sorridendo “Lo sempre saputo per questo ho cercato di non farti finire in chissà quale riformatorio”.

Resta a boccheggiare, di nuovo a corto di parole. Sa che Niall lo ha aiutato con la sentenza ma sapere il perché è tutta un’altra storia. Quella sensazione nello stomaco si allarga fino a sommergerlo e, totalmente senza controllo e con un movimento repentino, si sporge in avanti e lo bacia. I suoi occhi si chiudono al conttato di labbra morbide, le sue mani corrono a sfiorare i suo viso, curiose tanto quelle di Niall che si ancorano alla sua maglietta, quando si allontano ridacchiano e “Ce ne hai messo di tempo per baciarmi eh?”.

Non ha il tempo di elaborare la frase che si trova le mani del biondo sul petto che spingono il suo corpo steso sul divano e dopo è il suo corpo steso sul proprio e baci. Baci ovunque. Baci umidi sul collo, baci non controllati vicino al lobo del suo orecchio, baci spinti sul suo petto, baci veloci sul suo addome. E si ritrova senza maglietta con il biondo troppo vicino al cavallo dei suoi pantaloni. Sente il suo respiro veloce sulla pelle nuda, sente il proprio che si blocca nel petto. “Aspetta…” riesce solo a esclamare alla fine, quasi rischiando di perdere quel piccolo filo d’aria.

“No, non mi dire” lo deride subito il biondo, con di nuovo il suo sorriso sfacciato sulle labbra e gli occhi maliziosi “Zayn Malik, l’eroe di adulti e bambini è vergine, questa storia ha dell’incredibile”. È sicuro di aver sussurrato un “Idiota” ma viene coperto quasi subito da un bacio e “E io che ti immaginavo scopare ragazzi e ragazze dopo ogni incontro, ancora tutto sporco di sudore” parla avvicinandosi sempre di più al suo viso “E non puoi rovinarmi questo mito, Malik. La prossima volta esigo che tu mi trovi okay?” e non c’è più aria nei suoi polmoni e “Ma per adesso lasciami prendermi cura di te”.
 


Due mesi dopo e i lavori sono ultimati. C’è un enorme fiocco rosso sulla porta e un nastro pronto per essere tagliato. I volontari, con le rispettive famiglie e gente mai vista prima, applaudono felici per qualcosa detta dal sindaco della città. Fa strano pensare che è tutto finito ma lo rende felice sapere che sarà utile alla comunità. Dopo il weekend con Niall, ha iniziato davvero a interessarsi del lavoro del biondo, scoprendo che i lavori a cui ha partecipato come punizione, è infatti un progetto per ragazzi che hanno perso i genitori. Una struttura per ospitarli e non lasciarli in affidamento a persone sbagliate come Big Jim.

Sente ancora gli occhi pizzicare al ricordo del perché Niall ha messo in piedi quel progetto. Quel week-end insieme li ha portato a conoscersi meglio e Niall gli ha raccontato anche del perché ha iniziato a fare volontariato. Un paio d’anni dopo aver scoperto di Ed Horan, ha cercato di conoscere sua madre al meglio, grazie anche all’aiuto del padre, scoprendo l’amore di sua madre per il volontariato. “Dal quel giorno il mio sogno è sempre stato quello di creare una struttura a suo nome, una struttura per aiutare ragazzini come me. Una struttura che non permetta ai ragazzi di finire con persone o strutture sbagliate” ha spiegato, evitando però il suo sguardo.

E lo cerca tra la folla. C’è cosi tanta gente che quasi fatica a trovarlo ma poi eccolo lì, al fianco di suo padre intendo a ridere a una battuta fatta da uno dei volontari. È bellissimo, pensa sorridendo. Nei precedenti due mesi hanno continuato a vedersi dopo il lavoro, la maggior parte delle volte saltando il parco e finendo per guidare senza meta, alle volte, anche fino al sorgere dell’alba. Parlando di tutto, anche di come aiutarlo a dichiararsi innocente. Ha sempre evitato quel discorso, fino alla settimana precedente, quando si è presentato di fronte al giudice per l’esito finale.

Il capo dei lavori, Charley, ha parlato a suo nome, facendo presente al giudice l’ottimo lavoro svolto ma non accendo neanche una volta ai giorni in cui non si è presentato. Gli ha sorriso dopo aver finito, augurandogli buona fortuna. Sente ancora il cuore in gola quando il giudice lo rende libero dal servizio. Un misto di malinconia e sollievo. Almeno fino a quando non vede entrare il biondo in aula, vestito di tutto punto, annunciando che è lì per difenderlo. La scena è stata quasi comica ma non ha riso né sorriso. Niall ha parlato per lui per quasi un ora prima di convincere il giudice a liberarlo da tutte le accuse e renderlo di nuovo innocente. Ha combattuto quella sera e dopo ha cercato Niall, come tutti i combattimenti precedenti.

Il nastro rosso viene tagliato, e tra gli applausi e le risate di gioia, Niall lo nota. Sorride anche se ancora distante e inizia a camminare verso di lui. Sente le mani sudate e le asciuga sul tessuto dei pantaloni. Sente il cuore che corre veloce e il sangue spostarsi alle gambe, raggelando il resto del suo corpo. Non si vedendo dal giorno del processo. Il giorno in cui, quel biondo tinto che ha da subito etichettato come figlio di papà senza neanche conoscere la sua storia, lo ha reso libero. Ma non solo su carta. Fa un respiro profondo prima di aprirsi in un sorriso e “Ciao raggio di sole”.

“Hey, eccoti qui, ti ho cercato ovunque!” esclama una volta fermo di fronte al suo corpo immobile. “Credevo non venissi più ma che ci fai qui in disparte? Perché non sei con gli altri a festeggiare? Infondo hai aiutato anche tu a finire la struttura e, diciamocela tutta, senza quell’incendio sarebbe ancora un palazzo abbandonato ma meglio non ringraziare per la cosa il piccolo Luke, non credi?” parla con il sorriso sulle labbra e dopo resta in silenzio, osservando il suo lavoro finito, mentre la gente inizia a entrare per vedere dall’intero quel progetto che renderà la vita migliore a un sacco di ragazzi come loro due.

Nella frenesia degli ultimi due mesi quasi ha dimenticato come tutto quello ha avuto inizio. Il ricordo di quella notte gli fa venire i brividi. Ha legato il suo sogno a quell’edificio e l’ha visto andare in fumo e invece eccolo lì, ancora in piedi, più forte e utile di prima, mentre la gente ci gira intorno contemplando la sua bellezza. E se quell’edificio è riuscito a sopravvivere a un incendio, è il suo turno di alzarsi le maniche perché adesso tocca a lui tornare a combattere, perché non è KO e non ha intenzione di finirci molto presto. E quel saluto diventa amaro e “Ho pensato molto a quello che mi hai detto, tutto quel discorso sul puntarci qualcosa”.

Il biondo scatta sull’attenti come scottato, aspettando il resto della frase. Rapisce dell’ossigeno con la bocca e lo intrappola nei suoi polmoni prima di tornare a parlare. “C’è questo torneo fuori Londra, o qualcosa del genere. Ci saranno delle reclute sugli spalti e mi sono iscritto. Potrebbe essere la mia occasione, capisci? Combattere su un vero ring, indossare i miei guantoni…” i guantoni che mi hai regalo, aggiunge ma non c’è nessuno bisogno di ricordarlo ad alta voce. “Per quanto tempo starai via?” gli sembra di sentire e gli manca il fiato. “Se tutto va bene e riesco a qualificarmi, dovrò affrontare le finali” ma sa che non ha soddisfatto la sua domanda.

“Quando tempo?” chiede infatti ancora e il suo capo si china e le spalle sono basse. Gli si spezza il cuore e spera solo che sia un colpo che faccia male una sola volta. “Il vincitore avrà l’opportunità di allentarsi in una delle migliori palestre degli Stati Uniti e ho parlato con tuo padre” confessa “Sono maggiorenne adesso e tuo padre sta cercando di rendere me e mia sorella liberi da Big Jim, cosi da poter essere indipendenti. Wali resterà qui, ospitata dalla casa che hai creato ma se le cose si mettono bene in America…” non osa finire quella frase, non ne trova la forza.

Ha passato ore e ore a parlarne con Waliyha e Ed Horan. Il padre di Niall è stato cosi gentile con loro, aiutandoli più di quanto qualsiasi altro avrebbe mai fatto. Waliyha ha avuto delle titubanze ma gli ha augurato comunque buona fortuna facendosi promettere che l’avrebbe portata a New York. Big Jim invece, l’ha presa super bene. All’inizio ha scaraventato qualche bottiglia vuota di birra contro il muro, urlando quando ingrati sono nei suoi confronti dato che “Mi sono presa cura di voi in questi anni, senza ricevere mai niente in cambio. Ho sacrificato me stesso per noi due ingrati e adesso mi pugnalate alle spalle?” ma dopo si è arreso e “Ma sì, andatevene fuori dalle palle tutti e due” firmando la loro libertà.

Non dirlo a Niall si è poi rivelata la parte più difficile di tutto quel piano. E lo sa che non si può scappare per sempre, ed eccoli lì, l’ultimo scontro prima della proclamazione del vincitore. Mai come in quel momento ha desiderato essere quello sconfitto. I piedi di Niall si muovono in avanti e tornano indietro quando capisce di aver sbagliato domanda e “Quanto ancora resterai qui prima della partenza?” chiede con ancora il capo chino e le mani nelle tasche dei pantaloni. Chiude gli occhi e “Ho il volo questa sera”.

“Sono passato a salutare, non potevo perdermi l’inaugurazione” riapre gli occhi e cerca quelli del biondo. “Oggi è il tuo giorno” sorride fingendo di non sapere, di non vedere, di non sentire il suo cuore distruggersi nel petto, dolorante e già malinconico. Niall annuisce e sorride ma non c’è nessuna traccia di felicità in quel sorriso. È spento con un giorno senza sole. Si muove in avanti, pronto ad andare via da lui senza un vero e proprio saluto ma dopo ci ripesa e torna indietro. Niall gli si avvicina e I know you’re seeing black  and white, so I’ll paint you a clear blue sky” canticchia.

Si allontana di qualche passo e “Credo in te, Zayn Malik. Ho sempre creduto in te” dice, indossando il suo solito sorriso, lo stesso sorriso che è stato protagonista dei suoi sogni. Sorridendo gli volta le spalle e inizia a camminare vero l’edificio che ha visto la loro conoscenza nascere al sapore di caffè e suono di sveglie. In fretta urla “Ci saranno sempre caffè per me, vero?”, il cuore veloce, un sorriso che non si spegne. Anche se continua a camminare, il biondo si volta e “Ci si vede in giro, Malik” ridacchiando e posando una mano sulla testa in un saluto militare.

Quella canzone sussurrata direttamente nel suo orecchio è la stessa scritta su quel ultimo post-it. Quel post-it che ha osservato per mesi prima di addormentarsi. L’unico ricordo che porterà con se. L’unico di cui ha bisogno per puntare su stesso e mettercela tutta. Sorride, osservando il biondo ormai quasi vicino all’ingresso e dopo si gira, incamminandosi dall’altra parte.

 
  
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