Titolo: Ringing
Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po’ tutti
Pairing: DerekxStiles
[Sterek]
Rating: Verde
Genere: Sentimentale, Soprannaturale, Generale
Avviso: AU, Slash
1° Capitolo
Ogni scuola è sempre in continuo fermento ed in ognuna
di esse vi è un particolare.
«Credi che ad Allison potrebbero piacere?» domandò il messicano con una piccola
nota indecisa, ma trepidante, come se non riuscisse più a contenersi.
Stiles si sentì chiamare in causa ed osservò la mano del suo migliore amico che
gli veniva mostrata, in cui erano ben visibili due anelli uguali al centro del
palmo, lucenti e placcati in argento. «Sei davvero intenzionato a darglielo?».
«Può sempre rifiutarmi» disse con semplicità Scott, annuendo con convinzione
alle proprie parole. «In più vedo come guarda con invidia quello di Lydia».
Lydia, colei che portava un anello in coppia con Jackson Whittemore
da mesi, colei che Stiles amava dall’età di otto anni. «Ragazze» proferì senza
alcun entusiasmo, sordo al significato di quei simboli.
«È diventata una tradizione, Stiles. Nessuno può essere accusato di questo»
dichiarò pragmatico il moro, cogliendo i pensieri della sua controparte.
«Come se fosse importante» proferì il castano con noia, tamburellando con
disinteresse le dita sul banco.
«Stai scherzando?» chiese il messicano con tono retorico, ingrandendo gli occhi
e guardandolo quasi allucinato. «Tutti controllano chi sta indossando quale
anello su quale dito».
Da diversi anni si era diffusa una strana mania nel liceo di Beacon Hills, una
a cui nessuno sembrava voler rinunciare. Nessuno sapeva come fosse cominciata e
quando, ma la storia degli anelli si era espansa a macchia d’olio, prendendo
sempre di più il sopravvento e diventando quasi essenziale, perché il suo
linguaggio era esplicito ed evidente.
Esistevano tre tipi di collocazioni per gli anelli, ognuno con il suo simbolo
specifico: due anelli uguali sull’anulare destro indicava amicizia,
due uguali sull’anulare sinistro indicava coppia, un singolo anello
sul medio destro indicava l’essere single.
Poco importava mettere in evidenza che Stiles possedesse proprio un anello sul
medio destro. «Non perdo il mio tempo in questo modo».
«Come se non sapessi che se un giorno l’anulare sinistro di Lydia fosse
sprovvisto di anello, tu ti esibiresti in piroette sgraziate» disse con
divertimento crescente il messicano, con aria saputa e di chi lo stava
prendendo bonariamente in giro. «E vuoi o non vuoi, anche tu stai comunicando
qualcosa» annunciò schiettamente, alludendo all’oggetto che si trovava sulla
sua mano destra.
Stiles gli scoccò un’occhiata risentita, guardandolo con giudizio pressante.
«Ho questo anello da anni, senza che sia collegato a queste frivolezze; non ho
intenzione di toglierlo per qualche congiunzione mistica».
«Lo so bene» affermò convenevole il moro, ben consapevole di che cosa
rappresentasse per il ragazzo.
Delle voci più alte sovrastarono le loro, portando l’attenzione degli studenti
alle spalle del castano, indirizzata verso il fondo dell’aula. Un tintinnio
argentato e tondo riecheggiò tra le pareti con un nuovo rifiuto chiaro e
preciso, che non ammetteva alcuna replica.
«Ho la vaga sensazione che qualcuno sia appena stato respinto e che la
motivazione sia sempre la stessa» annunciò Scott al suo migliore amico,
indicando con gli occhi la coppia che si era appena divisa e il ragazzo che
raccoglieva l’anello che accidentalmente era caduto per terra; proprio quello
regalato.
«Derek Hale» dissero in coro, consapevoli che quella fosse ormai l’unica
risposta.
«Quell’Hale non deve nemmeno impegnarsi» disse con stizza il nuovo membro che
si aggiunse alla conversazione, osservando la ragazza che si scusava con il
malcapitato, esponendogli le sue motivazioni.
«Il fascino che comporta l’essere il capitano della quadra di basket» proferì
Stiles con un sorrisetto saccente, rifilando un’occhiata affilata al loro
disturbatore. «Non sei tipo in competizione con lui, Jackson?».
«Se non l’avessi notato, io ho una ragazza» graffiò con abilità il biondo,
disegnando un ghigno vittorioso sulle labbra.
«Fidati, l’ho notato» rispose prontamente il castano, senza dargli alcuna
soddisfazione.
«Non ci sarebbe comunque partita, lui è dell’ultimo anno, noi del secondo.
Capitano o non capitano» affermò il messicano con un’ingenuità genuina, ma che
metteva in risalto le differenze ben visibili tra le situazioni, bocciando il
fatto che Jackson fosse a capo della squadra di lacrosse.
«Se fossi in loro gli starei alla larga» disse Stiles sovrappensiero, componendo
un ritmo muto con la punta delle dita. «Ha un non so che di animalesco».
Scott e Jackson gli dedicarono la loro totale attenzione, dimenticando la
conversazione che avevano tenuto fino a qualche secondo prima. «Una creatura
della notte, davvero, Stiles?».
«Perché no. Magari ulula alla luna» proferì con sottile divertimento, curvando
gli angoli della bocca e rilasciando una risata cristallina che si diffuse in
tutto l’ambiente. «E magari è proprio lei ad essere il suo unico anello».
Per Stiles era difficile dimenticare una conversazione e non rimuginarci su, a
volte passava ore sullo stesso argomento senza che ci fosse una reale ragione e
si soffermava su parti che tutti gli altri ignoravano o lasciavano perdere. Era
più forte di lui e scacciare quei pensieri era quasi impossibile, ci
fantasticava sopra e spesse volte trovava la soluzione, ma subito dopo se ne
dimenticava.
I suoi pensieri erano rimasti fermi a quel nome che era stato pronunciato
quella mattina, in una risposta che spiegasse le dinamiche che si aggiravano
intorno ai continui rifiuti che da anni caratterizzavano quella scuola: Derek
Hale.
Freddo, calcolatore, con lo sguardo che gelava il sangue e che fin troppe volte
impediva la classica azione di respirare, costringendo chi lo incontrava a
trattenere il fiato.
Il suo volto era sempre una maschera priva di espressioni, se non quella
costantemente arrabbiata ed infastidita, di chi trovava noia in tutto quello
che lui non identificava come interesse. A tutto si accompagnava il suo essere
uno studente poco sopra la media e l’essere l’elemento fondamentale della
squadra di basket, in cui ricopriva il ruolo di playmaker e capitano, un vero
fuoriclasse; senza però dimenticare l’appartenenza alla famigerata e facoltosa
famiglia Hale di cui faceva parte, la più abbiente dell’intera città. Le
ragazze sembravano impazzire per lui, e non solo loro, e non vedere oltre la
sua figura. Se solo avessero smesso di alitare sul suo collo, Derek avrebbe
potuto anche prenderle in considerazione, ma lui non prestava attenzione a
nessuno. Stiles non ricordava di averlo mai visto in compagnia di una persona
in particolare da quando aveva messo piede nell’istituto scolastico l’anno
prima.
Ma i brividi di allerta che si diffondevano nel suo corpo forgiato dagli scarsi
allenamenti di lacrosse portavano Stiles ad ignorare la sua presenza,
preferendo sopra ogni cosa stargli lontano; in linea di massima.
Quando entrò nel bagno degli studenti, togliendosi il prezioso anello ed
adagiandolo con cura sul lavabo – perché non avrebbe mai permesso che si
ossidasse o rovinasse –, si gettò nel flusso d’acqua fresca che fuoriusciva dal
rubinetto, bagnandosi i polsi e sfregando le dita, sciacquando il viso in mosse
tonificanti.
«Tieni» pronunciò una voce calda e profonda – una che era sicurissimo di aver
già sentito, ma che i sensi annebbiati dall’acqua non colsero – mentre
sgocciolava le mani sul lavandino e le stille rimanevano incastonate tra le
ciglia lunghe, portandolo a chiudere le palpebre più volte per cancellarne
buona parte e girandosi per incontrare ciò che gli veniva offerto – che non
erano altro che salviette di carta con cui asciugarsi –, incrociando due gemme
boscose che lo piantarono sul posto.
«Derek» proferì in una nota sfuggita, rimanendo fermo dov’era e senza sbilanciarsi
per prendere quello che gli serviva.
Il moro inarcò un sopracciglio con scetticismo, aggrottando la fronte. «Ci
conosciamo?».
«No» geniale, Stiles. Non potevi presentarti in modo migliore.
«Certo che no».
«Allora non dovresti permetterti certe familiarità» annunciò nefasto il
maggiore, glaciale e per nulla tollerante.
Familiarità? Aveva solo detto il suo stupido nome per sbaglio,
lasciandoselo scappare senza nemmeno farci caso; certamente non poteva
rivelargli che stava pensando a lui fino ad un secondo prima e che
l’inevitabilità del suo infame fato glielo avesse parato davanti. «Sia mai che
non si porti rispetto al re della scuola».
Derek sembrò piccato da quelle parole e dal tono di sarcasmo pungente che era
stato usato, irrigidendo la schiena e sembrando improvvisamente più alto di
quanto fosse apparso da quando gli occhi si erano posati sulla sua figura.
«Rispetto? Proprio quello che ti manca. Le nuove generazioni non usano più
ringraziare?».
Ringraziare per cosa? Soltanto in quel momento si rese conto di che cosa
gli venisse ancora porto, messo in evidenza e per nulla intenzionato a sfuggire
dalla sua vista finché non l’avrebbe afferrato con le mani. Era un gesto di
carineria? Derek Hale non era conosciuto per la sua gentilezza, ma per il suo essere
distaccato con il mondo, senza prestare particolare interesse a qualcosa che
andasse oltre la sua cerchia privata, come Erica Reyes,
Isaac Lahey e Vernon Boyd –
sua sorella Cora e sua cugina Malia erano obbligatorie, insieme alla squadra di
basket. Perché aveva scelto proprio lui per mostrargli quella caratteristica?
L’aveva scambiato per qualcun altro? «Se fossi meno saccente e dominante
sarebbe più facile».
«Modera i termini, ragazzino. Non ti conviene» disse ammonitore il capitano,
con fermezza ed evidente minaccia.
«Altrimenti? Mi mangerai?» lo sfidò il minore con le perle ambrate che
brillavano nefaste, guardandolo fiero.
Derek gli si avvicinò di un passo e Stiles indietreggiò malamente di
conseguenza. «Non provocarmi, so quanta paura hai di me».
Stiles irrigidì la schiena, piantando i piedi ben saldi sul pavimento e
lanciandogli uno sguardo piccato, fronteggiandolo. «Non ho paura di te».
Derek era ad un soffio dal suo viso ed una mano si strinse attorno alla sua
mandibola, tenendolo fermo ed inchiodato esattamente dov’era, senza dargli
alcuna possibilità di scampo, obbligandolo a guardarlo dritto nelle iridi
verdi, da cui Stiles giurò di veder emergere piccoli ed incontrollati riflessi
blu metallico. «Ne sei sicuro, Stiles?» pronunciò con scherno direttamente
sulle sue labbra nel momento in cui un brivido incontrollabile percorse tutta
la colonna vertebrale del giocatore di lacrosse, ingoiando un nodo di saliva di
un fremito terrorizzato ed a disagio.
Stiles detestava il potere che stava mostrando avere su di lui.
Si divincolò dalla presa ferrea, agganciando una mano sul suo polso e
circondandoglielo per allontanarlo e liberarsi. «Ciao, Derek»
proferì con lascività ed astio, prendendo l’anello dal lavabo ed uscendo dalla
porta del bagno senza degnarlo di alcuna occhiata. Se prima il suo istinto lo
invitava a stargli lontano, adesso si sarebbe mosso di conseguenza
consapevolmente.
Come d’abitudine infilò l’anello sul solito dito, il posto a cui apparteneva,
ma quello non riuscì ad entrare in alcun modo e Stiles lo guardò senza capire,
ma come colpito da un fulmine a ciel sereno si accorse di un dettaglio che gli
urlava a squarciagola nelle orecchie: Derek Hale conosceva il suo nome.
Stiles non riusciva proprio a capire e durante tutta l’ora di chimica era
rimasto ad osservare l’anello che si presentava improvvisamente estraneo ai
propri occhi.
Nel palmo teneva in mostra l’oggetto cilindrico, placcato in argento e nel cui
centro vi era una striscia di uguali dimensioni placcata in oro rosso, in cui
emergeva una singola triscele intagliata nel metallo; spiccava fiera tra i due
colori, richiamando la sua attenzione. Stiles ne era certo, era la sua, unica
ed irripetibile, eppure lo stava rifiutando.
«Mi sento respinto» proferì a se stesso con tono
provato, rigirandosi tra le dita il cilindro, osservando ogni suo particolare e
trovandolo stranamente rinvigorito. Gli oggetti non possono
rinvigorirsi.
«Qual è il problema?» domandò Scott seduto davanti a lui, poco attento alla
lezione, ma chiamato in causa dai pensieri poco chiari del suo migliore amico.
«Non riesco più ad indossarlo» rispose in un’unica spiegazione, perché
continuava ad esserne sprovvisto.
«Magari ti è solo ingrassato il dito» esordì il messicano nella più convincente
delle teorie che era riuscito a concepire.
Stiles alzò il capo, guardandolo allibito e stralunato, giudicandolo
apertamente. «Scott, le dita non ingrassano in meno di cinque minuti» né gli
oggetti cambiano la loro dimensione, apparendo come immacolati.
«Ma possono gonfiare, prova tra un po’» convenne il moro, non del tutto pronto
a lasciare la sua idea che riteneva, tra l’altro, geniale.
«No, è come se non fosse il mio» strascicò il castano con voce profonda e
rivelatrice, incredibilmente tradita. Quell’anello era troppo perfetto, non
presentava nemmeno un graffio casuale ed era come se fosse appena uscito dal
negozio o quasi, era ben curato e protetto e per quanto Stiles tenesse a
quell’oggetto, prestandogli le sue continue attenzioni e mostrandosi
meticoloso, il suo era vissuto e attraversato dalle intemperie che l’avevano
rincorso nell’arco della sua breve vita, composta da tre anni.
Scott si girò verso di lui dubbioso e la campanella che annunciava la fine di
quell’ora riecheggiò in tutto l’edificio. «Forse l’hai scambiato».
Scambiato? Scambiato con chi? Era un anello che apparteneva ad un passato
prossimo, una linea che non esisteva più e che aveva trovato con casualità.
Aveva quella sensazione che fosse un pezzo unico, nessuno in quella scuola
poteva possedere il suo gemello.
La porta dell’aula improvvisamente si spalancò e parte degli allievi era già
fuori le mura, poi una figura alta, scura e prestante la varcò ed un piccolo
mormorio di sorpresa si diffuse tra le mura, finché l’ombra si fermò davanti al
suo banco e Stiles non ebbe nemmeno il tempo di realizzare cosa stesse
accadendo; l’anello con cui giocava gli scivolò sull’anulare sinistro e vi si
incastrò perfettamente.
Ebbene sì,
a distanza di quasi un anno ritorno a popolare questo fandom
che di idee me ne dà anche troppe ed a volte non è molto salutare; la Sterek rimane troppo radicata in me e poi mi costringe a
darle voce.
Lavoro a questa storia da più di un anno e anche se per un periodo è stata
posata per protesta, dopo qualche mese ha bussato molto forte nella testa e ha
urlato per farsi sentire ed alla fine l’ha avuta vinta, ottenendo tutta la mia
attenzione e il mio tempo e quello della mia Beta(EarthquakeMG) e della mia terza
voce (kira_92), che ringrazio con tutto il cuore –
anche se prima o poi la mia Beta smetterà di rispondere ai miei messaggi
seccanti.
C’è da aggiungere che questa storia è ispirata ad un manga che ho amato diversi
anni fa, Only Ring Finger Knows, e che, prendendo alcuni elementi chiave, poi
prosegue per la sua strada, senza guardarsi indietro.
Credo sia, anzi, è il progetto più lungo a cui abbia mai lavorato e spero
vogliate continuare questo viaggio insieme a me ed a questi due che amo con
tutta me stessa. Ci faranno vivere numerose e, spero vivamente, imprevedibili
avventure ed a qualcuno di loro vorrete sicuramente tirare le orecchie,
trascinandoli per tutte le vie delle vostre città.
Alla prossima settimana,
Antys