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Autore: BekySmile97    16/10/2016    3 recensioni
Roy componeva per sentire se stesso.
Il piano, unica consolazione che era riuscito a trovare in questo mondo meccanico, costruito sulle più moderne tecnologie, era l’unico mezzo che gli permetteva di ritrovare in se stesso tutti quei sentimenti, tutte quelle emozioni che aveva perso nel momento in cui la sua vita aveva iniziato ad andare a rotoli. Nessuno era bravo quanto lui, ne era certo.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia si è classificata decima al contest “Award for best one-shot” indetto da Nirvana_04 sul forum di efp.
Questa storia si è classificata quinta al contest "AAA Genio cercasi! - II edizione" indetto da M.Namie sul forum di efp. 

2451
 
Da piccolo aveva sempre avuto paura del buio. Una paura irrazionale, che lo prendeva quando si svegliava in piena notte e trovava tutte le luci della casa spente, compreso il lumino che teneva acceso sul suo comodino per potersi addormentare; ma da quando era stato costretto a trasferirsi in città con la sua famiglia in seguito al boom economico del 2434, alla tenera età di otto anni, aveva represso questo suo istinto, considerato malsano in un mondo in cui il sole, nei casi migliori, faceva capolino dalla cortina di nubi nere e spesse che lo nascondevano solo un paio di volte all'anno. Eppure, secondo i pettegolezzi della gente, i più ricchi potevano permettersi di vederlo ogni giorno dai loro grattacieli e palazzi alti migliaia di metri.
E Roy li odiava per questo.
Si era sempre chiesto, fin dal momento in cui il treno era entrato sferragliando nella città, perché solo alcuni avessero la possibilità di vivere in alto, a contatto col sole, mentre lui e i suoi genitori avrebbero dovuto soggiornare ai livelli più bassi, dove la pioggia, l'umidità, le malattie e i delinquenti regnavano sovrani.
“Non siamo abbastanza ricchi per poter vivere in quei palazzi, ma sono convinto che in poco tempo pure noi potremo arrivare a stare così in alto.” gli aveva risposto speranzoso suo padre quando gli aveva chiesto perché avrebbero dovuto vivere così in basso. Invece, pace all'anima sua, dopo tre anni era precipitato da un grattacielo in costruzione; Roy era stato costretto a lasciare la scuola e a lavorare nei cantieri a giornata, scavando sottoterra come una talpa o arrampicandosi in cima ai grattacieli più alti, solo per mantenere sua madre. In ogni caso, lei era caduta in una depressione talmente profonda che un giorno, tornando dal lavoro, non l'aveva più trovata in casa.
“Avrei dovuto tornare dai miei nonni, ma non ne ho avuto il coraggio” disse Roy alla ragazza seduta di fianco a lui che, con un sorriso da cane bastonato, gli strinse la mano. “Mi sentivo sporco... un fallito totale. Non sono neanche riuscito a salvare mia madre.”
“Non dire così: hai comunque fatto tutto il possibile per aiutarla.” replicò lei, prendendo anche l'altra mano nelle sue.
“Certo, ma non è bastato.” disse lui prima di indicare con un gesto al barista di riempire nuovamente i bicchieri.
La ragazza svuotò in modo meccanico il rum che le veniva offerto, guardando Roy con i grandi occhi neri ormai umidi.
“Sai...” aggiunse lui, facendo scivolare lentamente il suo sguardo sul corpo della ragazza. “Dopo quello che è successo mi sono sentito terribilmente solo e abbandonato, anche se la cosa peggiore è la paura che mi prende quando penso che non ho più alcun diritto di ricevere amore.”
A questo punto la ragazza gli si buttò al collo, sussurrandogli dolcemente in un orecchio: “Che idea stupida... ormai ci sono io qui con te.”
Roy non ebbe neanche il tempo di esultare interiormente che lei iniziò a baciarlo con trasporto, accovacciandosi precariamente sulle sue gambe e ignorando il fatto che fossero in un locale in fondo al livello zero, umido e pieno di fumo, circondati da operai e altri manovali venuti a bersi un bicchiere e a menar le mani prima di tornare a casa. Faceva ancora fatica a capire come fosse possibile che una ragazza così bella e altolocata avesse accettato di seguirlo fin là dentro, mentre lo sorprendeva meno il fatto che il vecchio cliché dell'orfano costretto a vivere di stenti funzionasse ancora così bene per rimorchiare. Già si stava preparando a chiederle in modo patetico e un po' impacciato se voleva passare il resto della serata nel suo appartamento quando una mano gli calò sulla spalla destra, facendolo sobbalzare e sbilanciando la ragazza, che cadde malamente sul pavimento.
“Ma come cazzo ti permetti?” esclamò Roy alzandosi in piedi e girandosi verso il nuovo arrivato, che lo accolse con un largo sorriso ironico che stonava su quella faccia nera come il carbone, segnata da una lunga cicatrice che l’attraversava dall’orecchio sinistro allo zigomo destro.
“Nonostante capisca che i desideri della carne sono più forti di qualsiasi altra cosa, c'è del lavoro da fare.” disse l'uomo mentre Roy aiutava la ragazza ad alzarsi. Il suo vestitino azzurro, piuttosto scollato, aveva ora assunto sulla schiena una tinta verdastra.
“Almeno lascia che l'accompagni fino a casa.” replicò mentre l'interessata raccoglieva in tutta fretta l'impermeabile trasparente e la borsetta di paillettes blu che si era portata dietro, lanciando delle occhiate torve a entrambi gli uomini.
“Non è un bene che si muova da sola a quest'ora.” provò nuovamente a insistere Roy.
“Dovevi pensarci prima, caro il mio Don Giovanni.” disse l'uomo uscendo dal locale, subito seguito dall’altro.
“Quello di Mozart o di Kierkegaard?” chiese Roy sorridendo sfacciato.
“Sottolineare la mia ignoranza non cambierà il fatto che abbiamo da fare. C'è un problema.” disse l'uomo fendendo la folla che riempiva il marciapiede anche a quell’ora della notte; tutto il settore zero, infatti, era sempre pieno di uomini e donne che trottavano da una parte all’altra della città. A fare cosa, poi, Roy pensava non lo sapessero nemmeno loro.
“Almeno mi prendo qualche rivincita.” borbottò e, proprio mentre stava per aggiungere un altro commento acido, venne zittito dalla sirena di una volante della polizia che passò sfrecciando sopra le loro teste, probabilmente diretta in una bettola simile a quella in cui si trovava lui poco prima. In ogni caso, non era il momento di discutere di cose futili.
“Lucas, spiegami qual è il problema.” disse invece cercando di coprirsi al meglio con l’impermeabile marrone. Una fitta pioggia sottile, infatti, aveva iniziato a cadere.
“Ti ricordi che Matthew e Lydia avevano progettato di fare una retata al livello uno per stabilire cosa fare per gli ultimi finiti in prigione, no?” disse l'uomo attraversando la strada piena di automobili. “Non abbiamo più loro notizie da diverse ore. Non possiamo permetterci che anche loro finiscano dentro, quindi dobbiamo capire dove sono finiti.”
“Solo noi due?”
“Vedi altri qui con me?”
Roy ebbe per un momento la tentazione di voltargli le spalle e correre indietro nel locale, così da recuperare il suo divertimento serale, ma durò solo un attimo: sapeva esattamente quale era il suo dovere e sapeva altrettanto bene che di ragazze sciocche e frivole come l’ultima il mondo ne era pieno.
“Quale carcere del livello uno?” chiese invece, sperando che, almeno una volta per quella sera, la fortuna fosse dalla sua.
“Il 54B, quello per i criminali politici di scarsa rilevanza.”
“Allora so come entrare.” rispose Roy aprendosi in un sorriso. Tutti i ricordi più belli della sua adolescenza, infatti, erano legati a quell'edificio grigio, incassato tra il livello zero e l'uno, in cui aveva trovato, in un giorno particolarmente piovoso, una breccia; infilandosi al suo interno e seguendo il percorso scavato dall'acqua in tanti anni di piogge continue era arrivato vicino a una crepa, da cui si poteva vedere il banco di accettazione del penitenziario. Col passare del tempo, aveva esplorato tutte le gallerie che si erano venute a creare sottoterra e tra le pareti del carcere e degli edifici precariamente ammassati su di lui, scoprendo così, per puro caso, la cella di quello che sarebbe diventato il suo mentore.
“Infatti è per questo che sono venuto da te.” rispose l'uomo svoltando in una via secondaria semiabbandonata, dove l’acqua della pioggia scrosciava con grande intensità. Ormai erano quasi arrivati.
“Quindi dovrò solo fare un giro nelle gallerie per vedere se sono ancora lì dentro?” chiese Roy seguendo il compagno in delle vie poco trafficate.
“Esattamente.” disse Lucas confondendosi con le ombre scure della notte. “Se sarai abbastanza veloce c'è pure la possibilità che tu riesca a portarti comunque una ragazza a letto stanotte.”
“Ne dubito.” rispose lui fermandosi e iniziando a spostare i cumuli di spazzatura e mattoni accatastati davanti al passaggio più grande. “Non ho ancora incontrato nessuna ragazza attratta da uomini che puzzano come del cibo andato a male.”
“Ti rifarai domani sera.” disse l'altro scrollando le spalle e lanciandogli un sorriso ironico.
Borbottando, Roy sparì nel buio della galleria.
 
~

Fin da quando si ricordava, Roy aveva sempre amato profondamente la musica. Non quella che girava per le radio, un miscuglio di suoni metallici e sgraziati, ma quella che suo nonno talvolta metteva la sera appena dopo cena; le melodie dolcissime che uscivano dal lettore CD, prodotte da dei veri strumenti musicali, alcuni dei quali spariti già da secoli, lo accompagnavano per ore e gli facevano sognare un mondo lontano in cui era lui a suonarle e dirigerle. Per questo, quando a dieci anni i suoi nonni gli regalarono una piccola e vecchia pianola, comprata a basso prezzo da una vicina, aveva deciso che sarebbe diventato un grande compositore; suo nonno l'aveva incoraggiato e, prima che si trasferisse in città, gli aveva regalato tutti i suoi CD di musica classica, più qualche spartito trovato da un robivecchi in paese. Tra tutti i grandi compositori del passato, quello che più amava era Tchaikovsky: gli unici momenti in cui gli sembrava di sentire il sole scaldare le sue ossa erano quelli in cui faceva scorrere leggero le sue dita sul pianoforte, uno vero, recuperato dopo anni di sacrifici, seguendo la melodia della Danza delle fate. Sua nonna aveva provato a spiegargli cosa fosse una fata, una volta, ma lui non era riuscito a capire come le persone potessero anche solo lontanamente immaginare delle creaturine minuscole con attaccate delle ali senza rabbrividire per lo schifo. Però amava l’idea delle fate.
“Da piccola credevi all’esistenza delle fate?” domandò a Lydia che camminava avanti e indietro, a testa bassa, per la stanza. Roy l’aveva trovata bloccata nei cunicoli la sera prima, con gli occhi grigi spalancati dal terrore e il corpo paralizzato: quando aveva tentato di raggiungere Matthew aveva trovato l’uscita serrata e, per qualche ora, aveva seriamente temuto di morire bloccata nelle gallerie mentre cercava disperatamente un’uscita. 
“Ti pare il momento di fare delle domande del genere?” gli chiese lei, continuando a camminare nervosamente. Alla luce del giorno sembrava essersi ripresa perfettamente, anche se Roy continuava a nutrire dei dubbi ogni volta che lei mormorava Ora sto bene. “Non sappiamo dove sia finito Matthew, i ragazzi imprigionati non si trovano, giù al livello dieci girano voci che stia collassando tutto e tu stai a chiedermi se da piccola credevo alle fate? Ma dove cazzo hai messo la testa Roy?”
“Beh, girare nervosamente per la stanza non cambierà tutte queste cose.” replicò lui acido, mentre Lydia scuoteva la testa con rabbia, serrando i pugni.
“Non cambierà le cose, ma almeno io evito di perdermi dietro a cazzate, mentre tu continui a fantasticarci dietro.”
“Non sto fantasticando dietro a niente!”
“Certo, quando tornerà il sole anche ai piani bassi!” disse lei avvicinandosi a Roy, sdraiato sul divano giallo sporco che troneggiava in mezzo alla stanza dalle pareti verde slavato.
“Dimmi…” gli disse passandogli le dita tra i capelli rossicci. “Crescerai mai?”
“Sicuramente è già più maturo di te.”
Sia Roy che Lydia si girarono immediatamente e scattarono sull’attenti nel sentire la voce dell’uomo che era appena entrato.
“Non fate i pinguini e sedetevi.” disse. La lunga barba grigiastra copriva il leggero sorriso che si era formato nel vederli, tradito solo dallo sfavillare dei suoi occhi neri.
I due obbedirono prontamente, mentre l’uomo afferrava una sedia di plastica abbandonata in un angolo e si sedeva davanti a loro.
“Ragazzi, non mi pare il momento di mettersi a litigare.” annunciò lisciandosi i pantaloni di velluto nero. “Oggi sono venuto a sapere di un’importante novità, e sta a voi decidere se è da considerarsi buona o cattiva.”
Entrambi i ragazzi drizzarono le orecchie, sporgendosi verso il vecchio per ascoltarlo meglio.
“In seguito ai vari problemi geologici e climatici a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi, al livello dieci hanno deciso di dare inizio al progetto Colonizzazione; in meno di un anno ci ritroveremo tutti su uno dei tanti pianeti minerari che stanno rendendo abitabili.”
A Roy sembrò di ricevere un pugno nello stomaco.
“Come?” sussurrò incredulo.
“Ma è meraviglioso!” esclamò invece Lydia di fianco a lui. “È perfetto! Potremo iniziare tutto da capo e costruire la società nel modo che preferiamo sabotando le azioni di quei porci del decimo livello. Perché mai dovrebbe essere una cattiva notizia?”
“Perché useranno i robot.” le rispose piano Roy, iniziando a giocare nervosamente con il cerotto che aveva sul braccio sinistro. “Il programma Colonizzazione fa specificatamente riferimento all’utilizzo delle più moderne tecnologie per tenere sotto controllo i vari strati della popolazione. E quando i robot agiranno come soldati, spie e poliziotti non avranno pietà.”
Lydia lo guardò stringendo gli occhi e l’uomo annuì tristemente. “Hai centrato perfettamente il punto Roy.”
“Ma Cosme, i robot si possono riprogrammare: in fondo sono solo delle macchine.” disse Lydia alzandosi e inginocchiandosi vicino al vecchio. “Macchine. Nient’altro che macchine.”
“Non è così semplice, cara mia.” replicò lui accarezzandole dolcemente la testa. “Ci vogliono uomini esperti e infiltrati per fare quello che dici. Forze troppo grandi che noi non possediamo… voglio confidarmi con voi due, che siete i più cari tra i miei discepoli: in questi momenti, quando il mondo ci si rivolta contro, quando sceglie un cammino che si discosta totalmente da quello che abbiamo intrapreso noi, mi accorgo che non ci sono possibilità di cambiare. Già durante il boom avevo avuto questo presentimento, ma ero ancora troppo giovane e inesperto davanti agli occhi degli altri per venire ascoltato. Eppure il mondo sta finendo e non esistono modi per cambiarlo.”
Nel sentire queste parole Lydia si alzò di scatto, lanciando un’occhiata furente ai due uomini che erano con lei, e, senza dire una parola, uscì dalla stanza. Pochi minuti dopo, in silenzio, anche Cosme uscì dalla camera lasciando Roy da solo, con le mani tra i capelli e gli occhi chiusi nel vano tentativo di uscire da quell’incubo in cui credeva di essere intrappolato.
“Come abbiamo fatto ad arrivare a questo?” mormorò. “Come?”
 
~

Roy componeva per sentire se stesso.
Il piano, unica consolazione che era riuscito a trovare in quel mondo meccanico, costruito con le più moderne tecnologie, era l’unico mezzo che gli permetteva di ritrovare in se stesso tutti quei sentimenti, tutte quelle emozioni che aveva perso nel momento in cui la sua vita aveva iniziato ad andare a rotoli. Nessuno era bravo quanto lui, ne era certo: aveva sentito qualche concerto di musica classica in un vecchio teatro, qualche pezzo composto da dei nostalgici incalliti che non avevano ancora capito che la musica classica era ormai morta, ma nessuno sprigionava l’intensità che avevano i suoi pezzi; un’intensità che cresceva esponenzialmente nei momenti di maggiore difficoltà. Quando aveva conosciuto Cosme, mentre era ancora trattenuto nel carcere 54B, uno dei primi argomenti di discussione tra i due era stato proprio la musica: il vecchio, che Roy riusciva a scorgere a malapena dalla fessura che aveva trovato nella parete, l’amava profondamente, come tutte quelle persone che hanno vissuto in quelle epoche che trascinano e uccidono il passato, e aveva ascoltato con passione i brani di Roy una volta uscito. Gli aveva anche indicato con chi parlare e da chi andare a far sentire i suoi lavori, ma nessuno degli uomini in giaccia e cravatta che aveva incontrato aveva capito fino in fondo la sua musica: alcuni gli avevano consigliato di passare a strumenti più moderni, altri gli avevano riso in faccia, altri ancora non l’avevano neppure ascoltato. Certe volte, quando riusciva a portare una ragazza a casa sua, suonava per lei.
“Come fai a suonare qualcosa di così dolce dopo aver sofferto così tanto?” era stata la domanda, a cui Roy non era stato capace di rispondere, di una delle tante. L’unica cosa che si ricordava di lei, oltre all’interrogativo, era la sua voce, che aveva un’inflessione talmente musicale da fargli pensare che potesse diventare la donna della sua vita. La sera dopo, però, ne aveva trovata un’altra. Comunque non aveva mai incontrato nessuna donna che apprezzasse sul serio la sua musica.
“Roy!” esclamò Lucas spalancando la porta del suo appartamento. “Che cazzo stai facendo qui?”
“Da quando ti è venuta questa mania di interrompermi ogni volta che sto facendo qualcosa di importante?” domandò lui, invece, alzandosi in piedi. L’altra sera mentre era con la ragazza, ora proprio quando stava componendo… Roy iniziava a non sopportare più quella vita.
“Importante? E dimmi, da quando suonare uno strumento da quattro soldi è più importante dei tuoi compagni?” disse l’altro avvicinandosi al pianista e afferrandolo per il colletto della camicia.
“Non è uno strumento da quattro soldi.” sibilò dimenandosi. “Lasciami andare.”
Lucas lo tenne ancora per qualche secondo sollevato, guardandolo dritto negli occhi blu.
“Ora.”
Il pugno di Lucas si allentò e Roy poté finalmente sgusciare via dalla sua presa, andandosi ad appiattire sul muro più lontano dall’uomo, dove la luce proveniente dalla strada lasciava giorno e notte delle strisce giallastre, quasi indelebili. 
“Abbiamo trovato Matthew, nel caso ti interessi.” gli disse l’altro guardandolo ancora. La cicatrice, nella luce tremolante dell’appartamento, sembrava bruciare. “È morto.”
Roy rimase immobile.
“La polizia dice che potrebbe essere stata una rapina finita male.”
Quasi non sentiva.
“E ora torna pure alle tue musichette.”
Detto questo Lucas uscì.
Roy, lentamente, quasi come se possedesse tutto il tempo di questo mondo, andò a chiudere la porta a chiave e tornò a sedersi davanti al piano. Sempre con gesti lenti e meccanici, sistemò gli spartiti del brano che aveva iniziato a comporre quel mese davanti a lui e, nella penombra che filtrava dalla finestra lì vicino, coperta con una veneziana sporca, iniziò a suonare, fermandosi di tanto in tanto per correggere qualcosa. Non riusciva a realizzare quello che era successo. 
“Come?” continuava a pensare mentre le dita scorrevano leggere lungo i tasti. “Perché proprio a te, Matt?”
Il flusso di note continuava ininterrotto, mentre Roy riviveva dolorosamente gli ultimi attimi che aveva passato col suo amico.
“Sai, non penso che Colonizzazione verrà mai attivato.” aveva detto Matthew sdraiato sul divano grigio in casa di Roy, che si era infastidito nel momento in cui l’amico aveva buttato per terra tutte le lattine di birra abbandonate tra i cuscini, trofei personali di serate brave, e i pacchetti di cerotti alla nicotina.
“E comunque, dovresti smetterla di usare questa roba. Mica il medico ti aveva detto di usarli al massimo per sei mesi?” aveva aggiunto Matt prendendo in mano un cerotto ancora integro. “Cioè, riesci a smettere di fumare e sostituisci le sigarette con i cerotti?”
Roy aveva alzato le spalle e si era messo a suonare, proprio come stava facendo in quel momento; anche la luce filtrava attraverso la finestra nello stesso modo, tanto che Roy aveva dovuto smettere per andare ad accendere la lampada posta vicino al divano. Poi si era seduto nuovamente davanti al pianoforte.
“Io credo che verrà attivato.” aveva detto a Matt dopo aver lasciato aleggiare nell’aria per qualche minuto l’ultima nota che era riuscito a trovare. “E volevo smettere di usare i cerotti proprio oggi.”
“Certo. E io sono Babbo Natale.” aveva ribattuto l’altro alzandosi e avvicinandosi a Roy.
“E visto che non credo che ti ricorderai mai di smettere…” aggiunse prendendo in mano un evidenziatore. “Sarà meglio annotarlo dove posi sempre gli occhi.”
E detto questo aveva lasciato, scritto in maiuscolo in cima al suo spartito, un promemoria rosa fiammante.
 
SMETTILA DI USARE QUEI COSI SE NON VUOI CHE TI SPACCHI IL CULO.
CON TANTO AMORE, MATT.
 
Roy aveva riso e gli aveva promesso solennemente, come faceva ogni volta del resto, che avrebbe immediatamente smesso solo per amore del suo amico. Ovviamente, poi aveva continuato: credeva infatti che quei cerotti lo aiutassero nella fase del processo creativo.
E ora, mentre ripensava a quel momento, a quella risata, e mentre vedeva davanti ai suoi occhi il promemoria rosa, sbagliò una nota. Gli occhi, appannati dalle lacrime, avevano perso un la.
 
~

Nel complesso, Roy aveva sempre pensato di essere una persona equilibrata. Nel corso degli anni si era dato una serie di regole che aveva sempre cercato di seguire pedissequamente: alcune riguardavano la sua vita sentimentale, altre il comportamento da tenere in determinate situazioni, altre ancora stabilivano quali dovevano essere i suoi rapporti nei confronti del partito; l’unico aspetto della sua vita esente da queste era la musica, in cui Roy poteva seguire tutti i suoi istinti. In ogni caso, era stato sempre fiero della sua costanza fino a quel momento.
“A che pensi?” gli chiese Lydia, passando le sue dita tra i capelli rossicci di lui, un gesto diventato ormai abituale nel corso degli anni.
“A niente di particolare…” rispose guardandola e pensando: “Solo al fatto che ho appena rotto la regola di non mischiare mai e poi mai la mia vita sentimentale a quella politica.”
“E non vuoi dirmi cosa sia questo niente di particolare?” insisté lei.
Roy scosse la testa, aggiungendo al pensiero precedente un bel: “E al fatto che mi ero promesso di non andare mai a letto con te, visto che Matt era profondamente innamorato di te… che amico di merda.”
“Non ti capisco proprio. Abbiamo appena fatto l’amore…” qui Roy fece una smorfia. “… e tu non hai nulla da dirmi. Non sei neanche felice?”
Roy rimase zitto e chiuse gli occhi blu. No, non era affatto felice. Aveva appena tradito il suo più caro amico, come poteva essere felice?
Sentì Lydia alzarsi e allontanarsi dalla camera; solo quando udì il picchiettare dell’acqua della doccia aprì gli occhi e si alzò anche lui per vestirsi nella fitta penombra, nonché per staccare l’ultimo cerotto alla nicotina che aveva messo per sostituirlo con uno nuovo.
Dopo essersi in parte ripreso era corso subito a casa di Lydia per sapere se anche lei era a conoscenza di quello che era successo a Matt: gli era toccato l’ingrato compito di riferirle tutto.
“Stai mentendo Roy, stai mentendo per ripicca. E quando lo saprà Matt…” aveva balbettato lei prima di scoppiare a piangere. Roy l’aveva abbracciata e l’aveva trascinata in camera sua; poi era andato nella cucina appena tirata a lucido e le aveva preparato un tè.
“Come faremo senza Matt?” gli aveva chiesto Lydia asciugandosi le lacrime.
Roy aveva barbottato un “non lo so” ed era tornato ad abbracciare la ragazza. Negli ultimi anni erano sempre stati loro tre davanti al mondo, pronti a sfidarlo ogni volta che trovavano qualcosa che non andava, pronti a sostenersi a vicenda davanti a tutto, anche all’impossibile.
“Roy…” gli aveva sussurrato Lydia nell’orecchio, costringendolo a guardarla in faccia. Stava per chiederle cosa volesse, quando lei l’aveva iniziato a baciare e, senza che Roy provasse o anche solo avesse l'intenzione opporsi, erano finiti a letto. E ora si pentiva di non aver fatto niente come mai gli era successo prima.
Continuando a guardare fuori dalla finestra, dove la strada era illuminata a giorno nonostante fosse piena di fumo denso e umido, iniziò a chiedersi perché Lydia continuasse comunque a vivere nel livello sei, pieno di locali che Roy si poteva permettere solo dopo svariati mesi di lavoro a giornata a tempo pieno. Era nata in una famiglia benestante, certo, però non riusciva a capire perché non avesse ancora rinnegato la sua natura e, anzi, perché corresse ancora dai suoi genitori altolocati, che l’accoglievano come viene accolto il figliol prodigo, ogni volta che si trovava a corto di liquidi. Stessa cosa Cosme, ultimo discendente di una delle più importanti famiglie della città, ricco da far schifo, che possedeva svariatati piani di altrettanti grattacieli dove passava la maggior parte del tempo a teorizzare il modo migliore per ribaltare quel sistema che l’aveva reso ricco. Anche Matt proveniva da una famiglia ricca tanto quanto quella di Cosme, ma, nel momento in cui aveva deciso di unirsi al partito, aveva tagliato tutti i rapporti con i suoi famigliari ed era stato successivamente diseredato; per questo Roy amava Matthew più degli altri: aveva deciso di vivere esattamente come gli uomini che difendeva. Aveva deciso di vivere come Roy.
“Era il migliore di tutti…” pensò con tristezza, continuando a guardare la strada fuori dalla finestra, in cui girava ogni tipo di persona. Dai più ricchi, coperti di vestiti di squisita fattura e di gioielli enormi e pacchiani, a quelli che avrebbero fatto meglio a tornare al loro livello, dalla loro famiglia, piuttosto che passare la notte a cercare di rubare il maggior numero di portafogli possibile.
“Vuoi andare a bere qualcosa? Offro io.” disse Lydia uscendo dal bagno e raggiungendolo. Si era messa addosso i primi vestiti che aveva trovato, un paio di jeans scoloriti e una maglietta nera, ma a Roy sembrava incredibilmente bella anche in questo modo: gli occhi grigi brillavano sul suo volto pallido incorniciato da una cascata di capelli biondo cenere ancora umidi.
“No grazie.” rispose lui. Non voleva complicare quella situazione ancora più del dovuto.
“Perché fai così?” sussurrò lei abbracciandolo da dietro. “Perché mi respingi dopo che sei venuto tu a cercarmi?”
“Non ti sto respingendo.” rispose lui prendendole le mani.
“Allora cosa stai facendo?” chiese Lydia allontanandosi. “E, Roy, guardami mentre ti parlo.”
Roy si girò ad affrontarla.
“Allora cosa stai facendo?” ripeté lei.
“Nulla.” rispose lui, ed era sincero. Non stava facendo nulla, e questa era la cosa migliore che potesse fare in quel momento.
“Sei arrabbiato perché Cosme ha deciso di seguire i miei consigli?” chiese lei tagliente; sapeva benissimo quanto Roy era contrario alla decisione di riiniziare tutto daccapo sul nuovo pianeta minerario a cui sarebbero stati assegnati.
Lui scosse il capo. Riguardo a quella faccenda aveva già preso una decisione e l’avrebbe comunicata a Cosme la prima volta che l’avrebbe visto, anche se non sarebbe stato piacevole.
Lydia lo guardò ancora per un attimo e poi gli disse, fredda: “Beh, sai benissimo dove si trova la porta.”
Roy alzò entrambe le mani in un gesto che stava a significare “come vuoi” e si diresse verso l’uscita, raccogliendo il suo impermeabile marroncino abbandonato per terra. La voce di Lydia lo raggiunse proprio quando stava per chiudere la porta dietro di sé.
“Ti amo.”
“Lo so.” disse Roy. “Ed è questo il problema.”
Poi chiuse la porta.
 
~

Le discussioni tra Roy e Cosme vertevano, di solito, sulla musica e sulla politica, ma erano soprattutto le seconde che avevano plasmato il carattere di Roy, facendolo passare dal ragazzino ingenuo arrabbiato col mondo all’uomo dai forti ideali politici, capace di distinguere, o almeno così credeva, quali fossero le vere ingiustizie sociali e i grandi problemi che affliggevano l’umanità. Per questo riteneva che il profondo fastidio e disgusto che provava quando doveva raggiungere Cosme nei suoi appartamenti derivasse da quella sua facoltà.
“Dunque, di cosa vuoi parlarmi?” chiese il vecchio sedendosi dietro la sua scrivania in ciliegio e aggiustando meglio gli occhiali rotondi sul naso.
“Ho deciso che non verrò con voi.” rispose Roy guardandolo dritto negli occhi, blu nel nero.
Cosme, sospirando, si tolse gli occhiali e iniziò a pulirli col lembo della camicia bianca che indossava.
“E per quale motivo?” chiese dopo che ebbe finito la lenta procedura.
“Il progetto Colonizzazione è solo un modo più fine e subdolo per metterci tutti in una gabbia più stretta: non vedi come tutto questo pare fatto apposta per assumere un controllo ancora più autoritario sulla vita delle singole persone?” disse Roy con foga. “Tramite Colonizzazione verranno create, appunto, le colonie ideali, e mediante la selezione di quali elementi saranno destinati a un determinato pianeta e quali a un altro i soggetti meno mansueti si ritroveranno in una minoranza schiacciante, isolati dai propri compagni. E i robot, infine, faranno la loro parte mantenendo l’ordine col pugno di ferro.”
Cosme lo osservò a lungo prima di alzarsi e andare alla grande finestra da cui si scorgeva, ogni tanto, la cima di un grattacielo vicino che svettava sopra la fitta coltre di nubi scure che copriva la città. Il sole, sull’orizzonte, stava lentamente calando.
“Questo tuo discorso mi fa venire in mente un versetto di uno dei libri più vecchi del mondo: “E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce”, Giovanni, capitolo terzo. Sai qual è il libro di cui parlo?” chiese all’improvviso e, vedendo l’espressione perplessa del suo discepolo, continuò: “È la Bibbia, il nuovo testamento per l’esattezza. Ti vanti tanto della tua cultura con gli altri, ma anche tu hai delle lacune imperdonabili: sappi che non basta stare seduti per ore davanti ai libri per definirsi degli intellettuali.”
Roy sostenne lo sguardo deluso che Cosme gli lanciò.
“Certo, ma se uno non ha i mezzi non potrà mai sapere tutto.” rispose Roy tagliente. “Sai bene quanto me che le biblioteche sono alquanto povere di materiale.”
“Sottolineare il fatto che sei povero in canna non cambierà la situazione: ignorante sei e ignorante resterai. Credevo fossi migliore di quanto ti stai dimostrando in questi giorni, ragazzo mio: quella storia con Lydia, poi, è una vera porcata.” disse il vecchio tornando a sedersi alla scrivania. I suoi passi suonavano leggerissimi sui tappeti rosso e oro che coprivano il pavimento di un bianco marmoreo, ora inondato dalla luce del sole calante.
“Non stavamo parlando di Colonizzazione?” chiese Roy ironico, appoggiandosi meglio sulla sedia. Non voleva neanche sapere come fosse venuto a sapere quello che era successo con Lydia.
“Certo. Ma vedi, tutto quello che sto dicendo è collegato con l’idea balorda che ti sei fatto di Colonizzazione: come ho citato prima, vuoi le tenebre, vuoi rimanere su questo pianeta che sta collassando, a morire di freddo e di fame, piuttosto che seguirci verso la luce di un nuovo mondo incontaminato.” disse il vecchio, fermandosi un attimo per bere dal bicchiere di scotch che si era preparato poco prima che arrivasse Roy.
“Incontaminato un pianeta minerario… certo, come no.” pensò Roy fissando Cosme bere.
“Devo dirti una cosa di cui vado molto fiero.” continuò il vecchio con gli occhi che brillavano dalla soddisfazione. “Dopo aver riflettuto a lungo sulle parole di Lydia sono andato a trattare con il capo del progetto, un certo dottor Tyrell, che ha spiegato a lungo tutti i vari aspetti di Colonizzazione e mi ha lasciato anche una serie di carte da esaminare. Non è stato affatto semplice, ma, dopo aver studiato il tutto, ho cercato di trovare un accordo con lui e, in seguito a delle lunghe trattative, abbiamo firmato entrambi un patto in cui si stabilisce che il nostro gruppo politico avrà piena libertà di azione sul pianeta a cui verremo assegnati. È stato difficile, e questo mi rende ancora più fiero di annunciartelo.”
“E tu gli credi?” chiese Roy con diffidenza.
“Ovviamente!” esclamò il vecchio con impeto.
“Io non riesco a fidarmi.” disse Roy appoggiando i gomiti sul tavolo e allungandosi verso il suo mentore. “Un accordo del genere ha sicuramente sotto qualche doppio fine, magari sancito ufficialmente in qualche piccola clausola. Loro vogliono solo soldi e potere, come fai a non capirlo?”
“È questo che intendevo quando dicevo che sei ignorante.” esclamò invece Cosme alzandosi di nuovo. “Il mondo non è composto solo da buoni e cattivi: le sfumature esistono e ci ho avuto a che fare per tanti anni; tutto il nostro ideale politico si basa su delle sfumature, sul raggiungimento del benessere comune tramite un accordo con quello che definisci il nemico.”
“Però questo non è quello che mi hai insegnato! Hai sempre detto che l’unica alternativa valida e funzionante era la lotta armata, il pugno di ferro contro gli oppressori, proprio perché nel corso dei secoli mediare non ha mai funzionato. Quando hai annunciato a me e a Lydia che sarebbe stata attivata Colonizzazione hai detto che il comunismo è morto e che il mondo non vuole essere cambiato… e tutto questo mi ha sconvolto in un modo che non puoi neanche immaginare: tu, tu che per anni mi hai sempre ripetuto che l’unico modo per mostrare al sistema quanto sia in torto e quanto sia sbagliato è la rivolta armata, una presa del potere che avrebbe portato a quella che chiamavi la dittatura del proletariato, la fase intermedia prima del paradiso, ora rinneghi tutto questo? E rinneghi, oltre alle tue parole, anche quelle di Marx?” disse Roy infervorato, alzandosi anche lui in piedi.
“Sei solo un idiota!” urlò Cosme lanciando improvvisamente il bicchiere che aveva ancora in mano contro Roy che, con una certa difficoltà, riuscì comunque a schivarlo.
“Ti credi superiore a tutti, vero?” sibilò il vecchio avvicinandosi a lui. “Ti credi un genio, un maestro di tutte le arti. Vuoi la verità? Te la dico io la verità: non sei niente, solo un uomo che ama scopare, scriver composizioni di infimo livello e ferire tutte le persone che ti circondano. Non sei un genio, non sei un artista. La tua musica fa schifo.”
Roy, pallidissimo, si girò e uscì dalla stanza, inseguito dalle urla del vecchio mentore, se ancora poteva chiamarlo in quel modo, che rimbalzavano trai muri del corridoio; solo quando finalmente salì sull’ascensore smisero del tutto, lasciandogli un po’ di quiete.
Sapeva, nel profondo del cuore, che Cosme gli voleva ancora bene e che lo considerava comunque una grande persona, ma non riusciva a credere che fosse diventato talmente pazzo da insultarlo piuttosto che da condurre una discussione. E perché poi attaccarsi alla sua musica? Perché ferirlo nel personale?
“E pensare che dopo il mio annuncio avrei anche dovuto ringraziarlo…” pensò Roy affranto mentre l’ascensore continuava a scendere a una velocità vertiginosa.
Infatti, poche ore prima, aveva avuto un colloquio con un importante ex musicista, ora direttore di un teatro abbastanza famoso del livello otto, a cui era stato raccomandato da Cosme: l’uomo era rimasto entusiasta nel sentire i pezzi del giovane e aveva immediatamente deciso di scritturarlo per suonare a una festa privata che si sarebbe tenuta tra qualche settimana al livello dieci, dove avrebbe potuto esibirsi come meglio preferiva. Al momento dei saluti, oltretutto, aveva detto a Roy che era ormai da decenni che non incontrava più “un genio musicale del suo calibro”.
Roy scosse la testa affranto e, dopo che l’ascensore annunciò con un trillo allegro che era arrivato al livello zero, uscì sotto la pioggia e si diresse verso il suo appartamento, fendendo la solita folla di uomini e donne senza meta. Di colpo comprendeva e sentiva sue le parole del Cosme senza speranza, quello che predicava l’impossibilità di un cambiamento.
 
~

Roy guardò scorrere sul televisore esposto in vetrina gli ultimi annunci del telegiornale.
 
ESPLODONO CINQUE VULCANI ANDINI. IL CONTO DEI MORTI SALE A UN MILIONE.
 
CONFERMATA LA NOTIZIA DELLO SPROFONDAMENTO DEL CONTINENTE EUROPEO: NASCONO POLEMICHE SU COLONIZZAZIONE E LA SUA APPLICAZIONE MOMENTANEA SOLO AGLI USA.
 
IL PRESIDENTE ANNUNCIA: “IL MONDO STA COLLASSANDO? TUTTE SCIOCCHEZZE.”
 
“E pensare che ho pure votato per quell’uomo…” pensò Roy guardando senza troppo interesse la dichiarazione presidenziale.
“Allora, cosa ne pensi?” gli chiese una voce femminile alle sue spalle.
“Penso che il mondo stia semplicemente per finire, anche se probabilmente la decolonizzazione della Terra darà qualche speranza a chi ha deciso di rimanere.”
“Come te?” chiese Lydia con gli occhi grigi che saettavano dal televisore al volto pallido di Roy. Negli ultimi mesi, oltre a decidere di dedicare la sua vita interamente alla musica, si era fatto crescere la barba e ora, agli occhi della ragazza, sembrava una persona completamente diversa. Più maturo, avrebbe pensato più tardi.
“Come me.” rispose lui con un sospiro.
“Prima di andarmene, voglio farti una domanda. Sai, sono passati ormai sei mesi da quando hai tagliato tutti i rapporti col partito e con me, e io, dal momento in cui sei uscito dalla porta del mio appartamento, continuo a chiedermi una cosa.” disse Lydia con tristezza.
Roy le fece cenno di andare avanti.
“Perché non mi hai amato?”
L’uomo rimase zitto e chiuse gli occhi. Dopo un minuto di riflessione decise di dirle semplicemente la verità: “Perché non lo ero. Matt era quello innamorato di te, quello disposto a morire pur di vederti sana e salva… io non lo ero e non lo sono. Tutto quello che è successo quella notte è stato un grosso ed enorme sbaglio.”
Lydia annuì. “Capisco… allora non mi resta che augurarti buona fortuna.”
“Anch’io devo augurarla a te.” disse Roy prima di abbracciarla.
“E un’ultima cosa.” disse lei dopo essersi sciolta dall’abbraccio. “Ti ho sentito suonare l’altra sera a teatro. Sai, mi ha convinto Cosme a sentirti e… grazie. La tua musica mi è entrata dentro e penso che dovresti continuare fino alla fine a comporre. Sei il migliore.”
Roy sorrise e l’abbracciò di nuovo. “Grazie a te. Anche se dopo Colonizzazione non avrò più la possibilità di suonare: tutti i miei clienti partiranno. Le catastrofi naturali li spaventano troppo.”
Lydia annuì e, finalmente, si girò e iniziò ad allontanarsi facendo un segno a Cosme che, dopo aver tirato un profondo sospiro, si avvicinò a Roy.
“Hai deciso quindi.” disse il vecchio guardandolo.
Roy annuì, alzando lo sguardo verso il cielo plumbeo. Sicuramente avrebbe iniziato a piovere.
“Probabilmente rimarrai solo tu, escludendo tutti quei poveracci che verranno abbandonati qui contro la loro volontà.”
Roy annuì di nuovo; sapeva esattamente a cosa stava andando incontro e non aveva bisogno che Cosme sottolineasse quanto sembrasse insensata la sua decisione.
“Sei anche riuscito a spezzare il cuore a Lydia… vuoi davvero abbandonarla?”
Roy fissò il vecchio con gli occhi spenti.
“Non voglio, ma non posso venire. Sento che non c’è vita per me nelle colonie, lo sappiamo benissimo entrambi e ne abbiamo già discusso tanto tempo fa, quindi non tentare di convincermi a seguirvi.”
Cosme non disse altro. Avrebbe seriamente voluto scusarsi, ma l’orgoglio gli impediva di ammettere che aveva sbagliato e, quindi, afferrò semplicemente la sua valigia che, come era stato suggerito dal governo, conteneva solo lo stretto indispensabile, e si avviò verso l’eliporto dove lo aspettavano gli altri; da lì, si sarebbero diretti verso la città che era stata loro designata per la partenza. Roy lo guardò allontanarsi tra la folla a lungo, senza rimpianti. Poi si voltò e si incamminò verso casa, dove lo aspettavano i suoi spartiti e i suoi fantasmi, senza curarsi delle prime gocce che iniziavano a battere sui marciapiedi.
Pioveva.
 
 

Angolo Autrice: 

È la prima vera storia che scrivo dopo due anni. 
Ammetto che non è stato facile scriverla, nonostante avessi già in mente tutta la trama; infatti ho usato uno stile leggermente diverso dal solito, più descrittivo che basato sul dialogo, e ho lavorato veramente tanto sui vari personaggi, cercado di caratterizzarli al meglio. Il lavoro più ampio, ovviamente, è stato fatto su Roy, il genio richiesto per il contest: ho deciso (e penso che qui sia la vera difficoltà) di parlare di un genio musicale molto interessato alla politica e, rispetto a un genio matematico (per fare un esempio a caso), è stato molto difficile cercare di fare emergere questa sua caratteristica nella storia. Non posso mica fargli risolvere l'ultimo teorema di Fermat! 
Comunque, penso che nell'insieme sia venuta proprio una bella storia, anche se devo ammettere che l'ambientazione futuristica non esce fuori così bene come avrei voluto.
Detto questo ringrazio tutti quelli che sono arrivati fino a qui e spero che il mio lavoro vi sia piaciuto ^^ 

BekySmile97
  
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