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Autore: radioactive    17/10/2016    2 recensioni
Oikawa deve rinunciare all'Università di Tokyo a causa di un intervento al ginocchio, vedendo sfumare il sogno delle Olimpiadi, e decide di trasferirsi a Sendai, capoluogo della prefettura di Miyagi. Lì rivede amici e nemici di vecchia data, tra cui l'ex alzatore della Karasuno Sugawara Koushi, il quale sembra cambiato dai tempi del liceo, tanto quanto lui — e questo basta per farlo avvicinare.
« Non sono bravo come te o Kageyama, è naturale… » provò a dire, spiccicando un sorriso che non avrebbe retto la pressione, spezzandosi come il vetro sotto pressione.
« Aaah! Tobio–chan, è un ragazzo davvero fortunato. » ancora, il tono di Oikawa è cambiato, e stavolta mista alla strafottenza c’è anche un pizzico di malinconia. Sugawara era molto bravo a riconoscerla, perché ne soffriva anche lui — terribilmente. Ma non parlò, rimase muto nella sua condizione di precario equilibrio. « In tutti i casi, è stupido paragonarsi a uno come lui, Freschezza–kun. Avrà anche la passione, il talento… ma non è come me. » si fermò, inspirò e puntò i suoi occhi dritti in quelli di Sugawara, il mondo sembrò ridursi a loro due, « non è come me e te. » aggiunse.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Hajime Iwaizumi, Koushi Sugawara, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Le cose non dette.
Pairing: OiSuga ( Oikawa / Sugawara ) — DaiSuga ( Daichi / Sugawara ) — IwaOi ( Iwaizumi / Sugawara ).
Personaggi: Sawamura Daichi, Koushi Sugawara, Tooru Oikawa, Hajime Iwaizumi.
Rating: Giallo.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale.
Disclaimer e Avvertimenti: In questa storia i personaggi sono maggiorenni, frequentano il secondo anno di università e sono più maturi rispetto alla loro caratterizzazione nell’opera originale. Alcune decisioni in merito alla vita da giovani adulti dei personaggi sono state ispirate da fonti come le dounjinshi di Gusari.
Note introduttive: Vorrei dilungarmi su come è nata questa storia, raccontare di come in realtà la OiSuga non sia la mia otp all’interno del fandom ma ami comunque sia Tooru che Koushi. Mentirei se dicessi che non sono stata attratta da certe dinamiche possibili tra loro due, e infatti eccomi qui a rendere pubblico un breve viaggio mentale fatto un lunedì mattina non–proprio–dei–migliori.
Non sarà molto lunga, nonostante tratti di una trama piuttosto complessa ( per quanto possa esserlo una cosa del genere ) e con degli intrecci ben visibili nei pairing elencati. Non verranno trattate tematiche R18 di alcun genere perché non sono cose che mi competono e non rientrano nel plot della storia. Per il resto, spero di regalarvi tanti feels e dolore come è li ho avuti io a immaginare tutto questo ~
Non ho messo OOC perché, come detto prima, qui i personaggi sono cresciuti e hanno fatto diverse esperienze che li hanno plasmati, ma se qualcuno ritenesse opportuno un cambio di avvertimento non esiti a dirlo!
PS. — Verranno citati anche gli altri della Karasuno e dei Kuroo e Bokuto selvatici, quindi un po’ di gioia c’è!

    radioactive


 

 

LE COSE NON DETTE
parte uno

 

Heavy words are hard to take
Under pressure precious things can break
How we feel is hard to fake
So let's not give the game away

Just please don't say you love me
'Cause I might not say it back

 

 

L’Aoba Johsai era soltanto un ricordo. Oikawa se lo era ripetuto quando era entrato all’Università T. a Tokyo, con il petto gonfio di orgoglio per essere stato notato da uno scoutman alle semifinali, anni prima. Se lo è ripetuto alla prima partita da titolare, agli allenamenti improbabili la domenica mattina, persino mentre guardava un vecchio selfie con Iwaizumi il giorno del diploma qualche giorno addietro. Se lo è ripetuto anche quando è caduto sul ginocchio destro la prima volta, e quando lo hanno spinto giù dalle scale ( per sbaglio, dicono ) ed è stato portato in pronto soccorso.
L’Aoba Johsai era soltanto un ricordo il giorno in cui era stato tamponato, e le rotule avevano cozzato contro la macchina, costringendolo ad una visita dal fisioterapista e all’amara notizia che l’intervento al ginocchio non era più rimandabile, e che tra legamenti deboli e altre problematiche, un sostegno era più che necessario.
A volte, capita, che le persone con più determinazione non vengano baciate dalla fortuna. E questo Oikawa l’ha sempre saputo.
In tutti i casi, il tale Yamato — l'alzatore titolare prima di lui — non sembrava dispiaciuto dei due chiodi nel ginocchio di Tooru, e di certo non avrebbe dimostrato compassione quando lo avrebbe visto fare le valige e andarsene, perché per Oikawa stare a Tokyo senza una borsa di studio non era possibile, come non lo era giocare in nazionale con delle gambe come quelle.
Per questo aveva composto il numero di Iwaizumi, con cui si scriveva spesso ma parlava ormai poco, e aveva aspettato pazientemente che Hajime rispondesse, mordicchiandosi le labbra e massaggiandosi il ginocchio destro, nella speranza che quel gesto potesse far sparire i chiodi dentro di lui.
« Iwa-chan! » disse, tutto nel suo tono presupponeva che stesse ridendo.
« Oikawa… come te la passi? » il suo tono era piatto, tranquillo. Forse lo aveva disturbato? Oikawa scosse la testa: per lui, Iwaizumi avrebbe fatto di tutto, o almeno così diceva la loro silenziosa promessa accordata anni prima, da bambini, tra le grate che separavano i loro balconi.
« Mah, insomma. Ho passato di meglio! Ti ricordi dell’operazione, no? »
È ovvio che se la ricordasse. Nonostante la pressione del non essere stato capace di arrivare alle Olimpiadi e la vergogna generale, misto all’odore di disinfettante dell’ospedale e quel prurito micidiale delle cuciture sul ginocchio, Iwaizumi è stato con lui dall’inizio alla fine del suo ricovero, perdendo ore su ore di frequenza obbligatoria per stargli accanto. Come aveva sempre fatto.
Sentì un vago verso di assenso dall’altra parte della linea. Uh “ mh–hm ” categorico tipico di Hajime, lo stesso che faceva quando non sapeva dove Oikawa volesse andare a parare.
« Ecco… » di nuovo Oikawa di morse le labbra, assottigliando le palpebre mentre nuovamente il senso di incapacità e rimpianto gli avvolgevano le spalle. « Mi chiedevo se avessi posto nel tuo appartamento lì a Sendai, per quest’anno la borsa di studio non se ne parla, e poi non ho molta voglia di rimanere qui a Tokyo, c’è certa gente così stressante! Non mi fa bene. »
Oikawa chiacchierava ma non parlava davvero, e le sue parole avevano la stessa consistenza della neve che si scioglie al contatto con l'uomo. Tooru sapeva che, sebbene si fosse sentito con Iwaizumi l'ultima volta quasi due settimane fa, l’altro sarebbe riuscito a cogliere tutto ciò che c’era da cogliere.
Si trattava di un dolore più trasparente ma non per questo fastidioso, un graffio che non si vede, ma che tira la pelle e brucia quando ci si muove. Hajime gli disse di non preoccuparsi e che avrebbe preparato un futon in camera, e che c’era abbastanza spazio per lui nel suo appartamento per una sistemazione temporanea.
Dopotutto, stare al fianco di Iwaizumi lo ha sempre fatto sentire meglio.
 

***


L’Università T. a Sendai non aveva bisogno di lui. Come la Karasuno lo ha tenuto come alzatore per i primi due anni semplicemente perché non ce n’era un altro che potesse competergli. Il suo palleggio era tutta tecnica, mentre la sua empatia era un effetto collaterale della sua introversione: meglio preoccuparsi degli altri, si diceva, che lasciare che gli altri si preoccupino di me — perché se sbagliassero qualcosa andrei a pezzi.
Quindi fingersi psicologo e life–coach, tutto sommato, era una buona tattica per sfuggire alle cure altrui. E vedere che gli altri riuscivano a stare meglio con il suo aiuto lo rendeva anche piuttosto orgoglioso di se stesso, così quando gli chiesero cosa avrebbe fatto dopo il diploma, “ l’insegnante ” era la risposta che tutti si aspettavano e che Sugawara stesso diede. A differenza di alcuni suoi compagni di squadra, Koushi riusciva già a vedere il proprio futuro: una strada tutta in pianura senza troppi dolori ma nemmeno senza troppe felicità, un puntino bianco in mezzo ad altri milioni di puntini bianchi. Una parte del tutto che non si contraddistingue ed esaurisce la sua esistenza silenziosamente, spegnendosi lentamente come una candela senza ossigeno da bruciare.
Stringeva il libro di pedagogia sotto il braccio, i fogli degli appunti dell’ultima lezione in bocca mentre con la destra cercava di recuperare il quaderno in fondo allo zaino. I cambi di aula erano sempre disastrosi, sopratutto se si considerava che nell’ultimo periodo Sugawara si era lasciato contaminare dal disordine cronico di Nishinoya e Hinata, con cui condivideva l’appartamento da qualche settimana. Aveva accettato a quella richiesta semplicemente perché i suoi coinquilini gli avevano dato buca, Daichi era riuscito a trasferirsi in dormitorio molto più economico e lui, beh, era rimasto solo.
Ma non era così fastidioso. Dopotutto, aveva un sacco di tempo per ascoltare se stesso, ed è una cosa che non faceva da tempo.
Impegnato com’era a rovistare nella borsa, facendosi spazio tra carte di caramelle frizzanti e bozze di lettere mai inviate, si scontrò irrimediabilmente contro qualcuno — il profumo di muschio e la leggerezza del cotone non suggerivano affatto un muro — e Koushi si sbilanciò indietro, i fogli caddero dalle labbra e il cellulare dalla tasca.
« Accidenti! » esclamò, con la sua solita voce limpida, come se fosse sfuggita alla crescita e agli ormoni, assieme ai tratti fini ed eleganti del viso, impreziositi da quel neo che era rimasto sempre lo stesso. Gli avevano detto più volte di provare a fare il modello, ma lui non era tagliato per quel genere di cose.
« Freschezza–kun! » quel soprannome gli arrivò dritto al cervello, come una scossa elettrica, un segnale di pericolo da non sottovalutare. Alzò lo sguardo, invece di abbassarli per constatare le condizioni del cellulare, e il volto di Tooru Oikawa gli apparve davanti come un ricordo che riemergeva dal fondo di un lago.
In un primo momento si sentì quasi minacciato, assottigliò le labbra e strinse la borsa a sé. Qualche frazione di secondo dopo, invece, si rense conto della situazione: ormai le superiori erano passate da un po’, e loro non erano su un campo di pallavolo.
« Oikawa? » chiese, come se la piega perfetta dei suoi capelli e il modo in cui le sue spalle rimanevano dritte, avvolte dalla camicia splendidamente bianca e pulitissima non bastassero a parlare di lui, « Pensavo fossi a Tokyo, o almeno, Hinata mi ha detto che Kenma gli ha detto che Kuroo è andato a trovare Bokuto a Tokyo, e che stavi anche tu lì… », disse, tenendo il conto del passaparola con l'unica mano libera. Solo dopo si abbassò, flettendo le ginocchia, a raccogliere le sue cose, osservando con dispiacere lo schermo in frantumi del suo smartphone. Di certo non era una spesa a cui poteva provvedere ora, a inizio semestre.
« Proprio io, Freschezza–kun! » disse, un sorriso gli si stampò sul volto, allungandosi da orecchio a orecchio, nascondendo il rimorso di non potersi piegare con la stessa agilità del suo ormai ex–rivale. « Sono venuto a trovare Iwa–chan, dobbiamo parlare di… cose. »
« Cose? »
« Cose! » una risata scoppiò nel corridoio e un paio di persone si girarono a guardare Oikawa, mentre Sugawara si stringeva nelle spalle in quel suo delizioso modo di tentare di diventare invisibile. « Mi trasferisco, Tokyo mi ha stufato, e poi sono certo di mancare ad Iwa–chan… » continuò poi, battendosi la destra sul petto con il mento alzato, cadendo nella solita dimostrazione di autoelogio. Poi, improvvisamente, il suo tono cambiò: diventò più sottile, come il vento a dicembre, e anche i suoi occhi sono ridotti a due spicchi di luna, Sugawara si scontrò qualche secondo con quelle iridi, il tempo di assimilare la domanda che gli Tooru gli aveva posto: « Giochi ancora, Freschezza–kun? ».
Sugawara annuì piano, rigirandosi il telefono rotto tra le dita, i fogli messi alla bell’e meglio dentro la borsa, come se non avesse più importanza.
« E sei ancora in panchina? »
Quella domanda sapeva di cattiveria e diffamazione, che si trasformava in dolore liquido sulle spalle di Sugawara. Consapevolezza di non essere abbastanza, di non avere più talento di un giocatore qualunque. Ancora, il capo di Koushi fece su e giù, come se fosse una bambola rotta incapace di fare altri movimenti.
Oikawa schioccò la lingua contro il palato, le mani sui fianchi mentre ancora reclinava la testa leggermente all’indietro, « Pensavo che fossi cambiato almeno un po’, Sugawara… » il modo in cui lo chiamava lo faceva rabbrividire. Tuttavia, Tooru non aveva torto, dopotutto quel soprannome — Freschezza — non gli si addiceva più di tanto ormai. Era diventato un vecchio quadro chiuso in cantina, un museo di ricordi che sembrano appartenere ad un’altra persona.
« Non sono bravo come te o Kageyama, è naturale… » provò a dire, spiccicando un sorriso che non avrebbe retto la pressione, spezzandosi come il vetro sotto pressione.
« Aaah! Tobio–chan, è un ragazzo davvero fortunato. » ancora, il tono di Oikawa è cambiato, e stavolta mista alla strafottenza c’è anche un pizzico di malinconia. Sugawara era molto bravo a riconoscerla, perché ne soffriva anche lui — terribilmente. Ma non parlò, rimase muto nella sua condizione di precario equilibrio. « In tutti i casi, è stupido paragonarsi a uno come lui, Freschezza–kun. Avrà anche la passione, il talento… ma non è come me. » si fermò, inspirò e puntò i suoi occhi dritti in quelli di Sugawara, il mondo sembrò ridursi a loro due, « non è come me e te. » aggiunse.
« Oikawa, dovevamo vederci dall’altra parte dell’Università, idiota, come cavolo ci sei finito qui? » la voce di Iwaizumi entrò prepotentemente nella scena, rompendo l’illusione che Tooru aveva creato, e tutto sembrava essere ritornato alla sua banalità: Oikawa si avvicinò ad Hajime abbracciandolo al collo, gonfiando le guance e increspando le labbra come se richiedesse un bacio, e l’altro lo spinse via con una mano, infastidito. I rumori ritornarono lentamente, la vita attorno a lui non era più ovattata e tutto riprendeva la propria forma, i propri spigoli che non facevano altro che ferirlo.
« Comunque, penso che mi iscriverò alla squadra di pallavolo, così, giusto per provare… » disse Tooru, in maniera vagamente disinteressata. Sugawara non era sicuro che l’altro lo stesse guardando, ma il ricordo dei suoi occhi bastano a farlo sentire in soggezione. Non aveva mai visto Il Grande Re sotto questo aspetto, e la cosa, da un certo punto di vista, lo spaventava.
« Ma sta un po’ zitto e andiamo! Nemmeno ci puoi giocare, a pallavolo. » lo rimproverò Iwaizumi, tirandolo per la spalla mentre si allontanava, salutando con un gesto frettoloso Sugawara.
Che significava che non poteva più giocare?
Per un momento, il cuore di Koushi si fermò, come se avesse perso un battito e stesse facendo di tutto per ritrovarlo, bloccando l’intero sistema del suo corpo. Le gambe non gli funzionavano più, assieme alle braccia in tensione e intorpidite, le labbra asciutte dall’aria, addirittura le ciglia sembravano fatte di ghiaccio. Non aveva domande a cui cercare una risposta, né problemi a cui trovare una soluzione.
Si era perso, semplicemente. E gli sembrava di vedere la propria ombra legata a quella di Oikawa, che si allontanava dondolandosi come se avesse ancora diciotto anni, parlando ad alta voce con un accento vagamente diverso da quello che Sugawara ricordava, zoppicando leggermente sul ginocchio destro.


 



 

Note finali: Ammetto che mi sono divertita molto a scrivere questo primo pezzetto di storia. Durante la stesura di tutto questo non ero molto convinta di dove stavo andando a parare, ma quando i due hanno iniziato a parlare sono stata proprio rapita ** Mi è piaciuto moltissimo il modo in cui hanno interagito tra di loro e anche il feeling introspettivo che è uscito fuori che — spero — possiate condividere, dato che è molto in linea con i tratti dei personaggi che mi sono prefissata
Non so con quanta regolarità aggiornerò per vita di una serie di impegni, ma spero possiate comunque gradire l’inizio di questa avventura ~

Alla prossima!

   
 
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