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Autore: Odinforce    20/10/2016    2 recensioni
[Men in Black]
Ambientato prima degli eventi di Men in Black 3, gli agenti J e K si troveranno ad affrontare una delle più pericolose razze dell'universo... i Predator!
Genere: Avventura, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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2. I peggiori dell’universo 

C’era un tempo in cui l’Agente J del MiB credeva che al mondo non ci fosse nulla di peggio che farsi ingoiare vivo da un gigantesco scarafaggio alieno... un’esperienza che aveva vissuto il suo collega K, e che per poco non aveva vissuto lui stesso di persona. Ma questa credenza apparteneva al passato, prima di incontrare una donna che lo aveva fatto ricredere su un sacco di cose. La stessa donna che poco fa lo aveva salvato dalle grinfie di un Predator infuriato.
L’Agente A.
Dopo aver sedato la rissa e salutato J, la donna si era recata subito dagli Yautja per avviare le trattative. J restò in disparte per tutto il tempo, ordinando un altro Whopper al bancone del Burger King e lo mangiò in silenzio mentre osservava la scena. Seguì A con lo sguardo mentre raggiungeva i suoi colleghi che avevano accolto i Predator, per poi mettersi di fronte a loro e salutarli battendo la lancia contro il pavimento; gli Yautja risposero all’istante, battendo tutti il pugno sul petto e piegando leggermente il capo. Questo grazie al marchio impresso sulla guancia di A, che le garantiva un notevole rispetto nei confronti di quella prode razza.
Dopodiché iniziarono a parlamentare. A e il Predator anziano si esprimevano in un linguaggio fatto di ringhi e ruggiti, decisamente incomprensibile; gli Yautja, infatti, si erano rifiutati di condividere la loro cultura e la tecnologia con i Men in Black. L’unica eccezione era proprio A che, oltre ad aver imparato la loro lingua, brandiva persino una delle loro armi.
Fu inevitabile per J, mentre osservava la scena, ricordare tutto ciò che sapeva di A e i momenti passati insieme. Un tempo nota con il nome di Alexa Woods, prima di entrare nei MiB era un’esploratrice, rimasta coinvolta nel 2004 insieme ai suoi uomini in una battuta di caccia dei Predator avvenuta in Antartide. Alexa era stata l’unica umana a sopravvivere, grazie alla sua alleanza con un Predator e contribuendo a completare la caccia a suo favore. Il Predator era morto poco dopo a causa delle ferite, ma prima di spirare aveva marchiato Alexa sulla guancia con il simbolo del suo clan; questo le aveva permesso di ottenere il rispetto del popolo Yautja, che decise di premiarla donandole la lancia che spettava al vincitore della caccia.
Dopo la partenza degli Yautja, Alexa non aveva fatto in tempo a ritornare alla sua vita normale. I Men in Black, infatti, giunti sul luogo dell’incidente per eliminare ogni traccia aliena, le avevano offerto subito di lavorare per loro, e lei aveva accettato. L’alternativa, d’altro canto, era la neuralizzazione, e Alexa non aveva alcuna intenzione di dimenticare una simile esperienza... per quanto fosse stata tragica. Da quel giorno, aveva abbandonato tutto per unirsi a una causa superiore: proteggere il pianeta dalla feccia dell’universo.
L’esploratrice Alexa aveva lasciato il posto a una guerriera, l’Agente A.
Il caso volle che fosse proprio J ad affiancare A durante le prime settimane, poiché K aveva preso un periodo di riposo per malattia. Nonostante i modi un po’ duri e autoritari, il giovane MiB l’aveva presa in simpatia, impegnandosi a insegnarle tutto quello che sapeva. Con il tempo si era reso conto che A preferiva l’azione alla diplomazia: se un alieno faceva il duro, lei non esitava a sbatterlo al tappeto con un colpo di lancia; e J approvava, dato che anche lui era un tipo dal grilletto facile. Fu questa l’apertura che permise ai due di avvicinarsi ulteriormente, e di estendere il loro rapporto anche fuori dal lavoro. In quei momenti d’intimità si divertivano inoltre a chiamarsi con i loro nomi originali... un modo, a detta di A, per non dimenticare il passato, a dispetto di ciò che ordinava il loro mestiere.
Per questo motivo J non aveva un ricordo completamente negativo sulla storia con A, ma la sua conclusione lo aveva spinto a non rimpiangere quel periodo. Con il passare del tempo, infatti, nonostante l’intimità tra i due, A era diventata sempre più scontrosa e aggressiva: l’episodio che aveva cambiato la sua vita continuava infatti a tormentarla, facendo nascere in lei un enorme vuoto che riusciva a colmare solo combattendo. Per quanto i risultati nelle missioni fossero inequivocabili, persino J si era reso conto che i metodi di A erano fin troppo brutali, anche contro la feccia dell’universo. Questo aveva causato tensione nel loro rapporto, fino a quando J non decise di averne abbastanza; si era così allontanato da A, approfittando della guarigione di K e del suo ritorno in servizio. A non aveva fatto nulla per impedirlo... anzi, aveva lasciato il quartier generale, accettando di lavorare all’estero.
Da allora, J non aveva più provato a cercarla, ma aveva sentito parlare di lei molte volte. Si diceva che avesse sventato molte minacce aliene da sola in vari angoli del mondo, con l’unico ausilio della sua lancia Predator; molti erano arrivati a definirla, non a torto, l’essere umano più temuto dell’universo dopo K.
Nel frattempo, A aveva finito di conversare con gli Yautja. Aveva parlato per tutto il tempo con assoluta calma, rigida e composta, senza mai spostare lo sguardo dall’Anziano che le aveva rivolto la parola. Aveva un’aria diversa, in qualche modo, rispetto ai vecchi tempi. Alla fine della conversazione, A si era rivolta a Z per tradurre ciò che si erano detti.
« Il popolo Yautja ha una richiesta » affermò.
« Quale sarebbe? » domandò Z, serio.
« Hanno un prigioniero. Desiderano che sia trasferito nella nostra area di detenzione fino al termine delle riparazioni. »
Z inarcò un sopracciglio. Alle sue spalle, K e O si scambiavano un’occhiata incerta.
« Non mi sembra una buona idea » disse il capo dei MiB dopo una pausa. « Perché non possono trattenerlo a bordo della loro nave? »
A ripeté la domanda all’Anziano.
« È troppo rischioso » fu la risposta. « Il prigioniero potrebbe tentare la fuga, approfittando dei lavori di riparazione, e prendere il controllo della navetta. »
I Men in Black non parvero convinti, ma non trovarono parole con cui ribattere.
L’Anziano parlò ancora, attirando la loro attenzione. A annuì e tradusse di nuovo.
« Il popolo Yautja nutre profondo rispetto per la nostra organizzazione, nonostante le avversità del passato » disse. « Per questo non intende abusare della nostra ospitalità né della nostra pazienza. Il popolo Yautja è disposto a ricambiare l’ospitalità facendoci dono dei segreti della loro arma. »
Un giovane Predator si fece avanti, porgendo a Z uno dei suoi piccoli cannoni al plasma. Il MiB lo osservò sorpreso: erano anni che provavano a ottenere i segreti della tecnologia Yautja... così avanzata da non essere mai riusciti a replicarla correttamente. Sequestrare le armi ai Predator uccisi era stato impossibile, perché essi erano soliti autodistruggersi in caso di sconfitta, cancellando ogni traccia della battaglia e delle loro armi.
Per quanto fosse già ottima la tecnologia su cui i Men in Black contavano, non era mai abbastanza per contrastare con efficacia ogni minaccia aliena. Se quei Predator facevano sul serio, allora i Men in Black avevano per le mani un’occasione d’oro: la possibilità di migliorare di parecchio il loro lavoro di protettori del pianeta, grazie alla tecnologia Yautja.
« D’accordo » dichiarò Z. « Affare fatto. »
A comunicò subito la risposta all’Anziano, che annuì e fece un cenno ai suoi uomini. Quattro Predator lasciarono il gruppo per tornare all’astronave; ritornarono nel terminal pochi minuti dopo in compagnia di un volto nuovo... il loro prigioniero.
J fu colto da una nuova dose di sorpresa. Il prigioniero era anche lui uno Yautja, ma presentava molte differenze: era più alto e grosso degli altri, la pelle era grigia e gli occhi rossi, e le quattro mandibole intorno alle zanne erano più lunghe. Il volto era solcato da lunghe cicatrici, provocate sicuramente da una lama. Sembrava, in qualche modo, più selvaggio rispetto agli altri Predator, ma la sua ferocia era offuscata in quel momento dall’aspetto malconcio. Macchie di sangue secco, d’un verde luminescente, macchiavano il suo corpo bloccato da pesanti catene; camminava piano, lo sguardo fisso verso il basso, mentre i guerrieri lo conducevano in catene attraverso la sala. Quel percorso sembrava far parte della pena da infliggere al prigioniero, come se tutti dovessero vederlo in quelle condizioni per aumentare la sua umiliazione.
Ma nessuno esultava alla vista di quell’essere, né alieni né Men in Black. Avevano quasi tutti l’aria turbata. A, notò J, non riuscì a nascondere tale sensazione, pur mantenendo la compostezza usata per tutto il tempo nei confronti dell’Anziano.
Il gruppo raggiunse infine i Men in Black, fermandosi di fronte a loro. Z aveva chiamato nel frattempo una squadra, che scortò i Predator mentre conducevano il prigioniero nell’area di detenzione assegnata.
Fu in quel momento che lo Yautja in catene alzò la testa, fissando per alcuni secondi K. Poi fu portato via, lontano dal terminal.
L’Anziano parlò ancora con una breve serie di grugniti.
« Si metteranno subito al lavoro » tradusse A. « Secondo le loro stime, ci vorrà un giorno per riparare la navetta, poi ripartiranno subito... con il prigioniero, naturalmente. »
« Va bene » tagliò corto Z. « Facciano pure ciò che devono fare. Torniamo ai nostri posti... il resto lo lascio a te, Agente A. »
« Sì, signore. »
Gli Yautja salutarono di nuovo con il pugno, e si ritirarono in gruppo verso la loro nave, voltando le spalle ai Men in Black. Z, libero di tornare al suo ufficio, girò i tacchi e lasciò il terminal a sua volta, seguito da K e O.
« Questa storia non mi piace neanche un po’ » commentò il vecchio capo MiB, cupo. « Non mi va di avere un branco di quelle belve nel mio quartier generale, né uno dei loro criminali in una delle nostre celle. »
« Avremmo dovuto farlo trasferire a LunarMax » suggerì O.
« Sarebbe stato peggio » obiettò K. « Te lo immagini cosa succederebbe se portassimo un Predator nella prigione di LunarMax? Parecchi prigionieri sarebbero più che lieti di ammazzarne uno a mani nude... si scatenerebbe il caos, lassù. »
« Non ci resta che aspettare » aggiunse Z, « e sperare che tutto fili lisco, come hai detto tu. »
Nel frattempo, J aveva ceduto alla curiosità e si era avvicinato all’area di attracco riservata agli Yautja. Quando arrivò nei pressi dell’astronave, vide i Predator già all’opera sullo scafo, lavorando sodo per riparare i danni. L’Agente A era là vicino, in piedi sulla soglia osservando la situazione; la lancia Yautja era stata ripiegata e ora pendeva dalla sua cintura come un manganello... ma una mano era pronta ad afferrarla al minimo accenno di pericolo.
« James » mormorò A in quel momento, notando la sua presenza.
J avanzò di qualche passo, un po’ incerto. Cercava di non guardarla, preferendo osservare invece gli Yautja al lavoro. Per un po’ rimasero entrambi in silenzio, lasciando che gli unici rumori fossero quelli degli arnesi alieni usati per riparare l’astronave.
Poi J decise di parlare.
« Be’, devo ammetterlo » mormorò, grattandosi un po’ il capo. « Poco fa mi hai impressionato un bel po’... con la trattativa e tutto il resto. Da quando sai parlare Yautja? »
« Da quando ho imparato a farlo, tre anni fa » rispose meccanicamente A. « Come va il collo? »
« Oh, molto meglio... grazie. »
A gli lanciò una rapida occhiata.
« Be’, meglio tardi che mai » commentò.
J non capì subito, ma era ovvio che lei si riferiva al tardivo ringraziamento. Il Men in Black tacque ancora, tornando a osservare i Predator. Tra loro riconobbe il tipo con cui era venuto alle mani al Burger King, ma era così indaffarato da non badare ai due terrestri nelle vicinanze.
« Ho sempre pensato che gli Yautja fossero un po’ fuori di testa, ma quello di poco fa mi ha fatto ricredere... sono matti da legare! » esclamò. « Insomma, che bisogno c’era di fare tanto casino per un hamburger? »
Giurò di vedere su A l’ombra di una smorfia, come se volesse trattenere una risatina.
« Alcuni Yautja ne vanno matti » rispose lei. « L’odore degli hamburger li attira come l’erba gatta fa con i gatti. »
« Ah... be’, questo spiega tutto. Non avrei mai creduto che... »
« Scusa J, ma ora non ho tempo per chiacchierare. Devo sorvegliare un po’ di gente, come puoi vedere. »
J sospirò, anche se nel profondo la cosa non gli dispiaceva.
« Sì... certo » disse, e le voltò le spalle. Aveva fatto appena una decina di passi verso la sua scrivania, quando la voce di A lo chiamò di nuovo.
« Ah, James... è ancora aperto quel locale dietro l’angolo? Quello dove andavamo sempre a fine giornata... »
J si voltò, sorpreso.
« Il T’s Cake? Sì, è ancora aperto. »
A sorrise davvero, questa volta.
« Bene. Sono anni che non mi gusto una fetta di cheesecake alle fragole decente... ti andrebbe di farmi compagnia al tavolo più tardi? »
« Non dovevi sorvegliare un po’ di gente? »
« Andranno a dormire anche loro, prima o poi. Ti avviso non appena mi libero, d’accordo? »
J esitò, perché non credeva a ciò che stava succedendo. La peggiore vecchia fiamma della sua vita lo stava davvero invitando per un appuntamento? La stessa donna che in passato aveva visto infilzare Piattole e Samuriani con la sua lancia senza alcuna pietà, e che non aveva mostrato dispiacere per la loro rottura... quella stessa donna che aveva di fronte e che ora gli sorrideva.
Dopotutto perché no?
« D’accordo » rispose J, cercando di sorridere. « A più tardi... Alexa. »
 
Il T’s Cake era una semplice tavola calda del quartiere, ma per tipi come J e K era un ottimo rifugio per schiarirsi le idee. La torta, inoltre, era ottima... un fatto che aveva potuto constatare anche A più di una volta. Lei e J sedettero a un tavolo del locale in tarda serata, dopo che i Predator erano rientrati nella navetta per riposare dopo lunghe ore di lavoro. Le riparazioni non erano terminate, ma anche la prode razza Yautja aveva bisogno di un meritato riposo; così A ne aveva approfittato per concedersi una pausa.
In quel momento, i due MiB parlavano del proprietario del locale, un tipo corpulento dai capelli neri intento ora a pulire il bancone. Si dava il caso che J, infatti, lo avesse conosciuto in passato.
« Davvero era uno di noi? » commentò A, sorpresa. « Era nei MiB? »
« Sì, ma solo per pochi mesi » rispose J. « È stato mio partner fino al ritorno di K... ma sapevo che non era il posto giusto per lui, così l’ho neuralizzato. Da quello che so, si è sposato e ha comprato questo locale qualche anno fa... non è lo stesso che proteggere il pianeta, ma sembra che se la passi bene. È curioso, però... ha chiamato questo posto “T’s Cake”, e lui una volta era l’Agente T. »
« Non può certo ricordare di essere stato un Man in Black. »
« Ovviamente no... eppure mi piace pensare che nessun ricordo viene cancellato definitivamente. K lo ha dimostrato con il suo ritorno, certo... ma certe cose rimangono nel profondo di noi, qualunque cosa accada. »
A sorrise, visibilmente colpita dalla riflessione appena udita. J restò a fissarla in silenzio, mentre lei mandava giù il secondo boccone di cheesecake. Pensò inevitabilmente al passato, e i brutti ricordi si ripercossero sul suo sguardo.
« Tutto bene, James? »
« Eh? Oh, sì » rispose lui, ricomponendosi. « Pensavo al Predator fatto prigioniero... era così strano, diverso dagli altri. Più brutto, sicuramente, però... mai visto niente del genere. »
« Uhm... no, infatti. Anch’io non ne sapevo niente fino a poco tempo fa. Vedi, anche gli Yautja hanno le loro “differenze razziali interne” o, per usare un termine poco gentile, i loro “musi neri”. Si tratta di una sottospecie di cui ancora si sa molto poco. Io li chiamo “Super Predator”: sono più grossi e più selvaggi, come hai potuto vedere tu stesso... ma per contro, sono dei gran figli di puttana. Non rispettano il codice d’onore come quelli del ramo principale: attaccano e uccidono la preda anche quando questa è debole o disarmata. Forse è per questo atteggiamento che sono in guerra con gli altri clan, ma non ci è dato saperlo. Ad ogni modo, qualsiasi cosa abbia fatto il bruttone che ci hanno consegnato oggi, sicuramente merita di marcire in una cella. »
J ascoltò fino alla fine, visibilmente impressionato.
« Li conosci molto bene, gli Yautja » commentò. « Non credo di aver mai sentito tante informazioni su di loro prima di questa sera... e con ciò che i MiB sanno di loro ci si può riempire al massimo un libro per bambini. Ma tu dove hai imparato tutto questo? »
A sospirò, posando la forchetta.
« In questi ultimi anni ho avuto nuovi contatti con loro » spiegò. « I Predator continuano a visitare la Terra, più spesso di quanto i MiB riescano a sapere. Ultimamente, poi, hanno iniziato una nuova attività, come parte della faida contro i Super Predator: rapiscono persone e le conducono su un pianeta usato come riserva di caccia. Militari, criminali, killer... scelgono gli uomini più abili nell’assassinio: i migliori predatori del nostro mondo, in un certo senso. E i Predator li sfidano a combattere, come sempre, per avere il piacere di affrontare chi sopravvive. »
« Per la miseria... »
« Già. Ho scoperto tutto questo mentre indagavo sulla scomparsa di vari individui in molte nazioni. Gli Yautja, naturalmente, sanno che li tenevo d’occhio, ma non hanno mai cercato di fermarmi... né di catturarmi. Questo per due motivi: primo, perché sono una Man in Black; secondo, perché in un certo senso sono anche una di loro. »
La mano di A passò inevitabilmente sulla sua guancia sinistra, sfiorando il marchio alieno impressovi sopra. J lo fissò a sua volta, restando in silenzio. La donna si era voltata a guardare l’interno del locale, soffermandosi sui vari clienti che cenavano nei tavoli più vicini.
« Dopo essere sopravvissuta in quella piramide... » riprese A, « dopo aver scoperto che non siamo soli nell’universo... ho cambiato completamente il modo di vedere le cose. Gli Yautja mi avevano contagiata con la loro sete di sangue, in un certo senso: mi avevano mostrato il lato più violento dell’umanità... e forse, dell’universo intero. Credevo che combattere fosse il massimo scopo della vita: che non ci fosse niente di meglio che affrontare nemici sempre più forti... che la via del guerriero fosse la più giusta da seguire. »
J si trovò ad annuire, comprensivo. Lui stesso aveva capito ben presto il modo di pensare di A quando lavoravano insieme. All’epoca, lei provava piacere nel dare la caccia agli alieni durante le missioni; non combatteva per proteggere la Terra... ma per soddisfare la sete di sangue ereditata dai Predator.
« Ma poi » continuò A, « mentre apprendevo sempre di più del loro mondo, mi rendevo conto di quanto avessero torto. Un giorno mi accorsi, quasi per incanto, di quanto fossi diventata simile a un Predator... e me ne vergognai. Decisi dunque di cambiare, di riacquistare la razionalità perduta... facendo comunque dono di ciò che avevo appreso per tutti questi anni. Continuo a lavorare per i MiB, a tenere d’occhio gli Yautja... ma ora combatto per la giusta causa. Per proteggere il pianeta. »
Ci fu una breve pausa, usata da entrambi per fissarsi negli occhi. Il locale sembrava non esistere al di fuori del loro tavolo, in quel momento.
« Bene » commentò J, infine. « Mi fa molto piacere, Alexa... be’, onestamente avevo già il sospetto che fossi cambiata, ma ora ho la conferma. Sei cambiata davvero. »
« Grazie, James » ammise A. « Tu invece non sembri cambiato affatto. »
« Heh... be’, cosa ti aspettavi? È difficile cambiare con un collega come K... non posso permettermi di cambiare, perché rischierei di diventare come lui! »
Scoppiarono a ridere entrambi, così forte da attirare l’attenzione di alcuni clienti. La risata fu breve, ma quando terminò, A e J compresero di essere contenti; nonostante tutto ciò che era accaduto tra loro, era bello ritrovarsi in quel momento a mangiare una fetta di torta a fine giornata.
Poi accadde. La mano di A andò a posarsi delicatamente su quella di J, un gesto che congelò il suo sorriso.
J la guardò, recuperando in parte la serietà.
« A che gioco stai giocando, Alexa? » si ritrovò a dire.
« A “Voglio passare un po’ di tempo con il mio ex” » ammise A. « E se avanza un po’ di tempo, magari anche a “Voglio farmi perdonare per ciò che gli ho fatto”. Allora, James? Ti andrebbe di fare questo gioco con me? »
E all’improvviso, l’idea di far parte dell’organizzazione più segreta del mondo, di sventare invasioni aliene almeno una volta al mese e di saper fare un triplo salto mortale all’indietro era completamente inutile. Gli parve di trovarsi di nuovo su quella panchina a decidere di tagliare i ponti con il suo passato... perché scegliere era così difficile?
Poi decise, dopo il minuto più lungo della sua vita.
« Va bene. »
La sua mano strinse quella di A, e il sorriso di lei si fece più largo.
La notte era ancora giovane, dopotutto.
 
   
 
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