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Autore: hollien    20/10/2016    3 recensioni
«Avete mai riflettuto sull’amore?»
Era la domanda che Victor aveva posto sia a lui che a Yuri Plisetsky mentre la sinfonia di Agape si diffondeva nel palaghiaccio.
Non c’era stata esitazione da nessuna delle due parti nel rispondere negativamente. Yuuri aveva scosso la testa con molta naturalezza perché quella era la verità: lui di amore non se ne intendeva affatto. Fin da piccolo si era dedicato talmente tanto al pattinaggio sul ghiaccio che l’idea di innamorarsi di qualcuno non gli aveva mai sfiorato l’anticamera del cervello.
[Yuri on ice - Victuuri.]
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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SCLERI PRE-CAPITOLO: Ragazzi, Yuri on ice è la DROGA. Per non parlare di Victor, VICTOR MON AMOUR. Detto questo: buonpomeriggio a tutti. (?) Non vedevo l'ora di riuscire a scrivere qualcosa su questo anime che mi ha conquistato il cuore. Tutto è così meraviglioso, bellissimo, per non parlare dell'alta tensione sessuale dello spendido rapporto tra Victor e Yuuri. Cioè, parliamone. Sono così quasi canon (siamo realisti, entro la fine dell'anime un limone ce lo piazzano) che il cuore mi fa male. 
Arrivando al succo del discorso in cui do qualche dritta sul capitolo: darò qualche dritta sul capitolo. (?) E' una one-shot che ho partorito dopo aver visto il secondo episodio - perciò per chi ha visto il terzo, non calcolatelo -, è ambientata nel post-secondo episodio ed è una Victuuri.
(Difficile da immaginare, eh? ◕‿◕✿
Spero di non aver reso troppo strampalati i miei bubini e mi auguro che possiate apprezzare la OS. Tanti baci e abbracci a tutti. 

  

 

Eros


 
 

 


«Avete mai riflettuto sull’amore?»
Era la domanda che Victor aveva posto sia a lui che a Yuri Plisetsky mentre la sinfonia di Agape si diffondeva nel palaghiaccio.
Non c’era stata esitazione da nessuna delle due parti nel rispondere negativamente.
Yuuri aveva scosso la testa con molta naturalezza perché quella era la verità: lui di amore non se ne intendeva affatto. Fin da piccolo si era dedicato talmente tanto al pattinaggio sul ghiaccio che l’idea di innamorarsi di qualcuno non gli aveva mai sfiorato l’anticamera del cervello.
Ad essere sinceri, Yuko-san era forse l’unica ragazza su cui si era fatto un lieve ed innocente pensierino da piccolo. D’altronde, oltre ad essere molto carina, la Dama dell’Ice castle di Hasetsu era stata il suo idolo dell’infanzia; o almeno lo era stato fino a quando non era rimasto completamente ammaliato dall’esibizione della leggenda vivente di Russia: Victor Nikiforov.
La ricordava ancora la musica su cui aveva svolto la sua coreografia, la grazia dei suoi movimenti, la bravura inaudita che negli anni non si era mai spenta, i lunghi capelli argentei raccolti in una coda di cavallo che volteggiavano nell’aria, il vestito nero attillato che fasciava perfettamente il suo corpo da pattinatore professionista.
Niente era sfuggito alle iridi amaranto di Yuuri. Il suo sguardo era stato totalmente rapito dalla figura eterea di Victor, il Dio indiscusso ed irraggiungibile del pattinaggio sul ghiaccio.
Apparentemente irraggiungibile visto che quella divinità si era presentata a casa sua senza troppe cerimonie – nella onsen, totalmente nuda -  per diventare il suo allenatore.
Quando Nishigori lo aveva chiamato con tono mortificato per avvertirlo del video che le sue figlie avevano caricato su internet, quello in cui eseguiva il programma di Victor, Yuuri aveva pianificato seriamente di affogarsi nelle acque termali.
Aveva pensato ai peggiori scenari: denuncia per plagio, commenti negativi, insulti perché aveva gettato fango sul pezzo di Victor; invece, contro ogni aspettativa, la sua esibizione aveva solleticato l’interesse di tutti, ma prima degli altri del suo idolo, tanto da farlo giungere dalla Russia fino a lì.
In Giappone.  
Nella sua umile dimora.
Per lui.
Katsuki Yuuri.   
Affondò il volto paffuto nel cuscino, aggrovigliandosi tra le coperte del suo futon. Non poteva perdere tempo a pensare e ripensare agli eventi che stavano avvenendo nella sua vita in quell’ultimo periodo.
Doveva assolutamente avere la mente fresca quella settimana per non rischiare di fallire e venir sconfitto da Yurio, altrimenti Victor lo avrebbe abbandonato per tornare in Russia. Yuuri non poteva permetterselo, non quando la sua ispirazione più grande aveva riposto fiducia nei suoi confronti quel tanto che bastava da fargli prendere un aereo e trasferirsi momentaneamente da lui; ma come faceva a calmare quel groviglio di meditazioni quando quest’ultima stava dormendo placidamente in un’altra stanza a pochi metri di distanza da dove era lui?
E pensare che avrebbe potuto addirittura averlo nella sua camera, nel suo futon a riscaldarlo con il calore del suo corpo…
Il volto di Yuuri arrossì cospicuamente, prendendo le vaghe sembianze di un pomodoro maturo. Era davvero imbarazzante quanto fosse vicino all’essere paragonato ad una fangirl impazzita – lo era già, di fatto.
Aveva dovuto rinunciare a farlo entrare nella sua stanza perché altrimenti avrebbe scoperto che l’idolatria nei suoi confronti superava i limiti accettati dalla società.
Insomma, contava almeno un centinaio di suoi poster – tra quelli attaccati in camera che si era premurato di staccare e quelli che non aveva ancora tappezzato sulle pareti -, cinque portafoto con immagini che immortalavano Victor nei suoi pezzi migliori, una decina di cd su cui aveva registrato alcune sue coreografie, gadget e un paio di fasce bianche su cui vi era scritto in rosso vermiglio un vergognoso “Victor sei il migliore” – quelle gliele aveva procurate Minako-sensei e non aveva avuto abbastanza fegato da cestinarle.
Erano carine, in fondo.
Da quando era arrivato Victor, i pensieri su di lui non facevano altro che aumentare, galoppargli selvaggiamente nella testa: chiudeva gli occhi per un millesimo secondo e l’unica persona a cui era in grado di rivolgere il suo pensiero era quel giovane uomo russo che gli aveva conquistato il cuore fin dall’infanzia.
Anche quando li riapriva, era come se lui fosse lì accanto a lui, e poi puff, spariva nel nulla.
Peccato solo che quel “puff”, stavolta, non lo fece.
Yuuri sbatté le palpebre un paio di volte, disorientato, e a meno che non fosse in un sogno o che in realtà si stesse riempendo di seghe mentali mentre stava dormendo, la figura di Viktor non era scomparsa; anzi, era sdraiata accanto a sé.
«Che cosa…?» sussurrò sbigottito, provando il metodo di strofinamento degli occhi per appurare che non stesse definitivamente impazzendo.
Victor, però, era ancora lì, un sorriso innocente ad increspargli il viso cesellato. «Tutto bene, Yuuri~?» esordì con tranquillità il russo, scomodando le dita longilinee per scostargli dei ciuffi scuri dalla fronte, fattasi improvvisamente sudata.
A quel punto Yuuri si tappò la bocca per sopprimere il gridolino che gli stava per sfuggire dalle corde vocali. Dopodiché fece un balzo all’indietro, degno di un salto olimpico, spiaccicandosi contro la parete della sua stanza.
«V-Victor?!» sibilò con un filo di voce, parlando attraverso le fessure delle proprie falangi. «Cosa ci fai q-qui?»
Si era più o meno ripetuta la scena di qualche giorno prima, quando Victor aveva invaso
decisamente di troppo il suo spazio vitale, asserendo – lascivamente? - che avrebbero dovuto rafforzare la loro relazione con della genuina fiducia.
Anche in quell’occasione Yuuri era sgattaiolato via dalla sua presa morbida, perché avere il proprio idolo ad un millimetro di distanza, che ti soffia sulle labbra con la sua voce ferina, dopo aver passato un decennio circa a desiderare di pattinare orgogliosamente sulla sua stessa pista, faceva uno strano effetto.
Lo spaventava, gli faceva mancare il respiro; ma allo stesso tempo gli faceva accrescere la brama di potergli stare accanto, di essere alla sua altezza.
Era un disastroso controsenso.
«Non è ovvio cosa ci faccio qui?» domandò Victor mettendosi in ginocchio, il viso illuminato dagli spiragli di luce della luna che mettevano ancora più in risalto la sua pelle nivea.
«Come tuo coach ho il dovere di preoccuparmi che tu dorma le ore necessarie per essere in forma.» Indicò il suo addome, ampliando il sorriso che prendeva sempre quell’adorabile piega a forma di cuore. «Altrimenti come pensi di riuscire a smaltire quella pancia che ti ritrovi, Kobuta-chan~?»
Peccato solo che quell’adorabilità andava inesorabilmente a dissiparsi la metà delle volte che apriva bocca.
«Ricordati che hai una sfida da vincere la settimana prossima.»
Per Yuuri fu come essere afferrati dalla gola senza preavviso ed esser sbattuti contro un muro di cemento. 
Fortunatamente e sfortunatamente, Victor aveva la capacità di dire le cose come stavano senza filtri. Non sembrava preoccuparsi minimamente di come avrebbe potuto reagire la gente a sentirsi spiattellare in faccia la cruda verità.
Prima di avere l’onore di conoscerlo, Yuuri non avrebbe mai immaginato che la sua personalità potesse essere così…complicata.
Aveva sempre avuto questa immagine di lui dell’uomo perfetto nella testa, di una persona aggraziata, gentile, compassionevole. Anche se Victor non si era rivelato esattamente come credeva, l’ammirazione che Yuuri nutriva nei suoi confronti non si era annullata, né era scemata.
Era tutto il contrario
Aveva la costante paura di perderlo da quando Victor aveva proposto una sfida tra lui e Yurio.
«Pensi che io possa farcela?» gli sfuggì dalle labbra, e appena si accorse di aver dato voce ai suoi pensieri, Yuuri si maledisse.
Farsi vedere incerti sulle proprie capacità davanti al suo quasi-coach era già un punto a suo sfavore.
Era piuttosto certo che Yurio, al contrario suo, non avesse il benché minimo dubbio di vincere seppur fosse costretto a pattinare su una canzone che non gli apparteneva per niente.

«Credi di non potercela fare?» fu la replica sotto forma di domanda di Victor, l’espressione terribilmente seria. Era come se lo stesse sgridando silenziosamente attraverso i suoi occhi, glaciali come l’inverno di Russia.
Aveva tutto il diritto di fissarlo in quel modo. Dopotutto fino a poche ore prima aveva affermato con alacrità che ci avrebbe messo tutto l’eros di cui era capace nel programma; invece in quel momento sembrava star ritrattando la sua convinzione.
«No, ecco…volevo dire-» cercò di rettificare Yuuri, agitando spasmodicamente le mani davanti a sé. «Credo di poter vincere. Io voglio vincere”, sottolineò con una breve nota di angoscia nel tono di voce basso, “solo che…non avendo mai sperimentato cosa sia l’amore carnale, ho paura di non riuscire ad interpretare eros come dovrei…ma ce la metterò tutta!» Voglio renderti orgoglioso di me, omise.   
Scollò lo sguardo dal pavimento, tornando ad affrontare quello di Victor che misteriosamente si era addolcito, a far capolino sulle sue labbra un sorrisino enigmatico.  
«Victor?» lo chiamò Yuuri incerto, non sapendo cosa gli stesse passando per la testa.
Osservò attentamente il suo idolo sbilanciarsi di proposito in avanti ed appoggiare le mani sul suolo.
«È solo questo che ti preoccupa, Yuuri~?» interrogò Victor quasi beffardo, dopodiché iniziò a gattonare lentamente verso di lui, gli occhi affilati come quelli di un felino che aveva appena adocchiato la sua preda, la parte superiore della vestaglia verde militare che penzolava pericolosamente verso il basso.
Il rossore alle gote e la gola arida furono prorompenti. Da quella prospettiva, Yuuri riusciva a vedere perfettamente ogni singola linea del busto di Victor. Sembrava scolpito nel marmo talmente era perfetto.
Un unicum, avrebbe osato dire.  
Yuuri cercò di ritrarsi il più possibile pur essendo già addossato alla parete e serrò le palpebre per non dover vedere.
Una parte di sé avrebbe voluto godere di quella visuale per il resto dei suoi giorni, ma la sua parte più codarda prevalse.
Credeva stupidamente di non essere in diritto di gustare con gli occhi la magnificenza di Victor. Era già un miracolo che non andasse in panico quando si ricordava che stava respirando il suo stesso ossigeno.
«Stai già sbagliando, Yuuri» sentì mormorare da Victor a pochi centimetri da sé, il fiato caldo che gli solleticava il collo scoperto, le dita tiepide che gli carezzavano dolcemente la nuca castana.
«C-cosa…?» balbettò, sentendosi sempre più piccolo.
Non riusciva a comprendere perché lo stesse mettendo in una posizione del genere, in cui non aveva vie di fuga. Che fosse una sorta di punizione per aver avuto dubbi sull’esito della sfida?
«Guardami» gli soffiò nel padiglione auricolare, facendogli tremare il cuore come una foglia rinsecchita smossa dal vento autunnale.
Si trattò di un fremito diverso da quello che avvertiva solitamente quando era spaventato da qualcosa che reputava più grande di sé - e provando spesso quella sensazione era in grado di riconoscere se vi fossero delle sfumature diverse.
In quell’istante erano totalmente differenti.  
Guidato da una misteriosa forza oscura, Yuuri si fece coraggio e dischiuse le palpebre, esaudendo la richiesta di Victor.
Le pupille nere si fecero grandi come palloni. Se si fosse mosso di un solo centimetro, le sue labbra si sarebbero scontrate con quelle sorridenti del suo mito vivente.   
«Vedo con piacere che mi ascolti.» Victor saggiò la consistenza del suo labbro inferiore con il pollice, il ciuffo argento che ricadeva sul viso niveo, coprendone la metà. «Saresti proprio un ottimo allievo, Kobuta-chan. Così obbediente
Yuuri non riuscì a spiaccicare una sillaba che fosse una. Aveva il fiato impigliato in gola ed era certo di avere un’espressione da pesce lesso; il suo continuo boccheggiare non aiutava affatto a migliorare la sua condizione.
Nel tentativo di smuovere il suo animo tormentato, Victor gli agguantò il polso di impeto e guidò la sua mano su uno dei due pettorali, oltre la barriera della vestaglia. Come ultimo si spinse sopra di lui, a cavalcioni, stringendo le cosce attorno alle sue gambe distese sul suolo.
La faccia di Yuuri divenne la personificazione di una fiamma ardente, le narici allargate come quelle di un toro - aveva accumulato troppa aria negli alveoli polmonari.
Stava toccando Victor.
La divinità vivente di Russia.
Il suo sogno di una vita.
Lo udì ridacchiare. Non si trattò di una risata beffarda, però. Era una risata genuina, bella, che gli vibrò lungo il braccio, che gli scosse ogni minima cellula del corpo.
«Cosa desideri in questo momento, Yuuri~?» gli chiese Victor mellifluamente, pur sapendo benissimo la risposta.
Il giapponese deglutì faticosamente. «Io voglio…» Voleva slegargli il nodo della vestaglia, avere una visione integrale del suo fisico. Desiderava poterlo toccare di più, esplorare ogni singola porzione di quel derma diafano, bruciare quel poco spazio che mancava tra i loro volti e baciare quella bocca carnosa, invitante. «Io voglio t-»
Non riuscì ad epilogare la frase.
Victor si era ritratto indietro e facendosi leva con le braccia si era alzato in piedi, abbandonando Yuuri a sé stesso.
«Molto bene» mormorò giocondo Victor, congiungendo le mani come se stesse pregando. «Questo è lo spirito giusto.»   
Yuuri lo fissò basito, disorientato. «Eh?»
Victor fece inarcare un sopracciglio argenteo verso l’alto, come se fosse deluso dal fatto che Yuuri non avesse compreso da subito quale fosse il suo obiettivo. «Non hai capito, Kobuta-chan? Ho usato il mio charme per far risvegliare il tuo eros. È il mio dovere da coach.» Stirò le labbra in un sorriso vittorioso. «E a quanto pare ha funzionato» disse, riferendosi all’evidente rigonfiamento all’altezza del cavallo dei pantaloni del pigiama di Yuuri.
Quest’ultimo si chiuse a chioccia appena comprese l’allusione di Victor e affondò il viso violaceo tra le ginocchia, desiderando di essere risucchiato in un buco nero.
Aveva una gran voglia di urlare a squarciagola tutta la sua frustrazione. Era evidente, palese che Victor non potesse assolutamente essere interessato a lui in quel senso.
Si era lasciato trascinare dalla situazione, aveva permesso alla libidine di sovrastare il lume della sua razionalità quando Victor intendeva solo aiutarlo.  
Che stupido, si disse, stringendo forte i pugni. Dovevo intuirlo.
«Yuuri» lo chiamò il russo, il tono piatto, che non lasciava intendere cosa stesse provando.
Per quanto Yuuri si sentisse annichilito, combatté il pizzicore agli occhi e tirò fuori la testa dal suo nascondiglio. Non era certo uno struzzo. Non era nemmeno più un bambino che scoppiava a piangere per ogni minima sciocchezza.
Quando riemerse, tutto si aspettava tranne due mani che gli incorniciassero il viso e che lo spingessero in avanti quel tanto che bastava ad annullare lo spazio tra la sua bocca e quella dell’altro.
Fu un gesto rapido, subitaneo, tanto che Yuuri realizzò che il suo idolo gli aveva appena dato un breve ma intenso bacio sulle labbra screpolate a conclusione dell’atto.
«Voglio che tu dia il meglio di te nella sfida» mormorò Victor, appoggiando la fronte contro quella di Yuuri, le dita lunghe infilate nella capigliatura scura. «Quindi vedi di ricordarti cos’hai provato questa sera, magari senza lasciarti prendere troppo dall’eccitazione, Kobuta-chan.» Non glielo disse con rimprovero, anzi: aveva utilizzato un tono fin troppo nobile.
«Abbiamo un katsudon da mangiare insieme, no?»
Yuuri, le guance che ormai non sapeva più definire di che colore fossero, riuscì ad annuire, senza sapere dove diamine avesse trovato la forza di farlo.
Si sentiva totalmente prosciugato.
«Bravo» lo elogiò Victor, allontanandosi dal suo allievo con la grazia di un fringuello. Si avvicinò poi alla porta della stanza di quest’ultimo e poco prima di chiudersela alle spalle si voltò, mandandogli un bacio e augurandogli quella che suppose fosse “buonanotte” in russo.
«Spakòjnaj nòci, Yuuri.» 
Appurato che Victor fosse ufficialmente evaporato dalla sua camera, Yuuri si portò una mano al petto, stringendo forte il tessuto della maglia del suo pigiama, il cuore che gli martellava nel petto come un ossesso.        
Sarebbe potuto morire e resuscitare due volte in quel preciso istante e non gliene sarebbe fregato niente perché Victor credeva che potesse vincere, perché ci teneva a mangiare il katsudon insieme a lui; perché lo aveva baciato.    
Niente avrebbe potuto equiparare il groviglio di emozioni positive che stava provando.
Era così dannatamente felice che avrebbe voluto urlarlo al mondo, tuttavia dovette rinunciare all’idea.
Dopo qualche attimo, Yuuri si decise a strisciare dentro al proprio futon e si attorcigliò nelle coperte. Dopodiché lasciò che un sorriso amplio facesse capolino sulle labbra sottili.
«Oyasumi, Victor» bisbigliò prima che Morfeo lo accogliesse tra le sue braccia, regalandogli sogni che l’indomani gli avrebbero conferito la carica necessaria per dare il meglio di sé.
La vittoria doveva essere sua.
 

       
 

 
   
 
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