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Autore: Eneri_Mess    21/10/2016    3 recensioni
« Lui è Iwaizumi Hajime, nato nell’ultimo anno della Contrada di Kitagawa Daiichi. Hajime-kun, lui è Oikawa Tooru, ex allievo dell’Accademia e del Primo Maestro. Anche lui viene dalla tua stessa contrada »
Londinium, fine '800. È un periodo di cambiamenti significativi, di scoperte e conquiste. Il Regno non può permettersi di rimanere privo della guida del Primo Maestro, ruolo di spicco in ambito magico. Determinato a ottenere la carica, Oikawa, il Mago più brillante della sua generazione, fa ritorno dopo essere sparito per tre anni.
Ma le cose non andranno come previsto, non quando cerchi in tutti i modi di sfuggire all'inevitabile.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Il Giardino delle Rose


 

Seconda Parte:

- L’Apprendista del Mago -

 

 

 

Il tramonto al di là dei vetri dell’Accademia era di un rosso liquido troppo intenso. Una ferita aperta che le nubi grigie, rigide e infrangibili, arginavano con lentezza, soffocando le prime stelle e gli ultimi raggi di sole. Ricominciò a piovere molto presto.

Iwaizumi Hajime entrò nel dormitorio riservato ai pulcini del Karasuno pestando i piedi con tutta la forza e l’ostinazione permessa dai suoi otto anni. Era così furibondo – e frustato, un sentimento nuovo per lui – che l’aria intorno sembrava elettrica, letteralmente.

A seguirlo a breve distanza c’erano Shimizu e il Camerlengo, congedatisi dall’incontro con Oikawa per aiutare il bambino a preparare le sue cose. Nonostante Koushi sapesse di essere di troppo, date le poche cose in possesso del fanciullo, e forse neanche ben voluto in quel momento, aveva preferito seguirli per cambiare aria dopo i discorsi spinosi alla presenza di Oikawa. Il clima di angoscia che infestava Londinium iniziava a farsi opprimente, infiltrandosi anche tra le rassicuranti mura dell’Accademia, e questo aveva come effetto il far sentire Sugawara inadeguato al proprio ruolo.

Iwaizumi diede un calcio al proprio letto, riuscendo a farlo traballare tanto da spostarlo. Shimizu levò le mani per trattenerlo e calmarlo, ma il bambino le schiaffeggiò indietro.

« Hajime » lo riprese Koushi imponendosi con sillabe severe nonostante i nervi fiacchi. « Chiedi scusa a Kiyoko »

L’espressione astiosa non accennò rimorsi e si rabbuiò ancora di più.

Sugawara si massaggiò una tempia con una smorfia. Non era stata per niente un’idea brillante seguire Iwaizumi in quello stato, non quando i suoi pensieri erano così martellanti da sfondare il muro contro l’empatia che aveva dovuto imparare a erigere per non soccombere alle emozioni altrui. Se alla stanchezza combinava la preoccupazione bastava poco per scavalcare le sue barriere, soprattutto con sentimenti tanto caotici come il tradimento, l’impotenza, la rabbia.

Hajime era un concentrato così intenso che Koushi si chiese quanto mancasse perché qualche oggetto scoppiasse. Sospirò.

« Non pensiamo che tu sia un peso, Hajime-kun. Neanche che tu sia debole per l’addestramento da Guardia » rispose Sugawara alle domande non verbali che il ragazzino continuava a ripetersi per la decisione di affidarlo al Mago.

L’inaspettata replica lo fece sobbalzare. Incrociò lo sguardo dei due adulti con uno sbalordito e incerto, emozioni più semplici da gestire per un empatico.

« So che dopo le parole del Maestro Ukai ti sarà difficile fidarti, ma vorrei che mi credessi quando ti dico che vogliamo il meglio per te e non cacciarti » continuò il Camerlengo, interpretando le fitte alla testa come un codice morse. « Il fatto che tu venga da un orfanatrofio o da una contrada distrutta non hanno nulla a che spartire con i cambiamenti del tuo futuro. Cerca di vedere la decisione di affidarti a Oikawa come un’occasione. Non tutti gli studenti dell’Accademia hanno l’opportunità di essere seguiti da un Maestro privatamente »

Dalle ombre sulla fronte corrugata di Iwaizumi il discorso non doveva aver toccato le corde giuste. Koushi non si arrese.

« Tooru manca da Londinium da tre anni, ma prima che partisse aveva già dimostrato di essere un mago brillante, sopra le righe. Potrà insegnarti davvero tanto »

« Come far esplodere l’Ala Est dell’Accademia? » ribatté litigioso il bambino.

In un altro contesto il tono giusto sarebbe stato ironico e gli altri avrebbero sghignazzato al ricordo. In quel momento, Hajime si sentiva totalmente indisposto verso i grandi, così che la sua domanda risultò un principio di rappresaglia.

Koushi trasse un lungo sospiro. Non era possibile mantenere dei segreti tra quelle quattro mura.

« Quello dell’Ala Est si è trattato di un incidente » chiarì sbrigativo, non immaginando che il fanciullo si sarebbe impuntato.

« In giro dicono che quel mago brillante ha cercato di ammazzare Kageyama »

Il Camerlengo poteva immaginare come un parziale reportage dell’accaduto fosse stato trasformato in un carnage dai pettegoli che infestavano l’Accademia, soprattutto lì negli alloggi delle Ali Corvine. Non gli ci volle molto a figurarsi Tanaka e Nishinoya ingigantire i fatti a cuor leggerlo solo per raccontare una sorta di leggenda ai nuovi arrivati.

« Oikawa non ha tentato di uccidere nessuno. Sai cos’è l’Incompatibilità? »

Hajime scosse la testa.

« È quando le magie di due maghi entrano in competizione e prendono il sopravvento su di loro. Sono casi molto rari in realtà, poiché il flusso magico attinge da un’unica corrente da cui ognuno di noi devia per sé una piccola quantità da trasformare tramite incantesimo. Ogni tanto capita che il mago riesca a donare personalità alla magia, o a renderla talmente affine a sé che questa diventa una sorta di… cane da guardia – il paragone infelice corrugò la fronte non solo del bambino ma anche di Kiyoko. Sugawara accantonò la cosa con un gesto sbrigativo – e quando questo nuovo tipo di magia sente un pericolo o una rivalità scatta prima che il mago possa rendersene conto »

« Allora questo Oikawa non è così bravo come ripetete tutti! Non è neanche capace di tenere a bada la propria magia! »

« No Hajime, al contrario. Il fatto che Tooru sia stato in grado di plasmare il flusso magico fa di lui una rara eccezione in questo secolo. Solo che all’epoca, quando Kageyama era suo allievo e anche lui mostrava un talento simile, non se ne era ancora accorto. Se il Maestro Ukai ha deciso di affidarti a Oikawa vuole dire che si fida. Se ti può aiutare a quietare un po’ i dubbi, conosco Tooru da quando arrivai qui in Accademia: abbiamo studiato insieme e non c’era giorno in cui lui non migliorasse. È sempre stato un passo avanti a tutti »

« Io non gli interesso »

Koushi desiderò per un istante di capitolare, di richiudersi i battenti del suo studio alle spalle con un incanto sigillante e bersi una tisana con qualche grammo di Polvere Somnia per assicurarsi dodici ore di completa incoscienza.

Capiva Hajime, empatia o meno, e stava facendo di tutto per nascondere una punta di scetticismo alla scelta di Ukai di combinare quel duo maestro-allievo.

Per descrivere il talento di Oikawa si poteva ricorrere a molti aggettivi positivi, ma tre anni di vuoto totale avrebbero reso sospetto anche un santo, e il Mago in questione era l’ultimo a cui avrebbe affibbiato un titolo del genere. Tooru era il vizio fatto a persona e Koushi dubitava fosse cambiato. Iwaizumi aveva solo otto anni e un incanto accidentale alle spalle, oltre a un caratterino risoluto e tendenzialmente coscienzioso, anche troppo per la sua età. Non era sua intenzione giudicare a priori, ma aveva seri dubbi che l’accoppiata avrebbe funzionato.

Possibile che il Maestro Ukai intendesse boicottare Oikawa e la sua candidatura?

Per arrivare a pensare un’assurdità del genere doveva essere la stanchezza a pensare per lui.

Non aveva potuto ammetterlo davanti a Tooru e dargli la soddisfazione di dichiarare che lui, con ogni probabilità, era realmente l’unico aspirante con tutti i requisiti per il ruolo di Primo Maestro. A esclusione del suo ego.

Se Kuroo e Bokuto non si fossero cacciati nei guai…

Koushi riprese i contatti con la realtà incontrando lo sguardo affilato e sotto sotto incerto di Hajime.

« Non è vero che non gli interessi » provò, sentendo la bugia sulla lingua come un sapore pungente. « Avete bisogno di un po’ di tempo per conoscervi » aggiustò il tiro, cercando di sorridere rassicurante.

L’irritazione e un umore sempre più vertiginosamente in caduta squassarono l’empatia di Sugawara. Per evitare di accasciarsi lì sul letto di uno dei pulcini, il Camerlengo decise di mettere un punto alla discussione.

« Facciamo così. Verrò a trovarti ogni settimana a casa di Oikawa per assicurarmi che vada tutto bene. Non ho motivo di credere che mi mentirai – e lo disse consapevole che fosse una promessa a doppio taglio – e se vedrò che le cose proprio non vanno, spingerò io stesso affinché il Maestro Ukai ritratti la sua decisione, ok? »

Un barlume di speranza si accese negli occhi verdi di Iwaizumi e un po’ in generale in tutto il suo volto. Koushi rallentò quell’entusiasmo che stava per deflagrare con qualche frase esaltata poggiandogli una mano sulla spalla e facendosi serio.

« Tu però mi devi promettere di avere pazienza, va bene? Ero sincero sulle capacità straordinarie di Tooru, ma non ti mentirò sul fatto che sia anche egocentrico e adori far perdere la pazienza agli altri »

La bocca di Iwaizumi si deformò in una smorfia.

« Ma Sugawara-san-! »

« Basta così. Lasciagli il beneficio del dubbio »

Il ragazzino lo fissò come se avesse appena parlato un’altra lingua, ma Koushi non fece in tempo a spiegarsi che il tanto chiacchierato Mago fece il suo ingresso nei dormitori. Si guardò intorno come un estimatore d’arredi entrato per sbaglio in un solaio.

« Potevate rivedere qualcosa anche qui » commentò arricciando il naso all’indirizzo della nuda pietra dall’aspetto umido e ai tendaggi neri quanto il camino in marmo, scolpito anch’esso con i corvi simbolo del Clan Karasuno. Le assi del pavimento in legno gemettero sotto i suoi tacchi, facendogli increspare anche le labbra.

« Aspettate che questa vecchia torre medievale cada definitivamente a pezzi prima di rimodernarla un po’? O Ukai-san la conserva così per farne il suo mausoleo? » celiò considerando solo Koushi e Kiyoko, a cui regalò un sorrisetto provocante, prontamente ignorato dalla ragazza affaccendata a sistemare i vestiti di Hajime in una consumata valigia in pelle.

Sugawara trattenne malamente uno sbuffo di risata; poteva avvertire nitido l’imbarazzo di Shimizu – considerata dalla maggior parte delle persone come una ragazza fredda e snob, invece di tanto facile a vergognarsi. Neanche avesse evitato per un soffio una freccia invisibile, il disappunto del fanciullo tornò prepotente all’approcciarsi del suo nuovo tutore, finendo col costringere il Camerlengo a massaggiarsi le tempie con entrambe le mani.

A Oikawa il dettagliò non passò inosservato.

« Ehi ragazzino, quando sei nella stessa stanza di Sugawara vedi di pensare a cose da mocciosi, come ai pony o alle barchette di carta »

Hajime lo fissò sentendosi insultato e strappando un mezzo lamento a Koushi per il cambio repentino di sentimenti.

« Sono Iwaizumi, Signor Mago-dei-miei-stivali »

« Oooh, udite udite che caratterino. Hai bisogno di una camomilla, Iwa-chan

Per un lungo attimo la rabbia del bambino divenne shock.

« N-Non… Non chiamarmi Iwa-chan! »

« Eeeh? Iwaizumi è troppo lungo e noioso. Iwa-chan è perfetto »

« Non chiamarmi così! »

« Iwachan ~ »

« Smettetela per piacere! »

Shimizu alzò appena lo sguardo per assistere alla scena. La pazienza e la resistenza mentale di Sugawara erano arrivate al limite ultimo tanto da fargli perdere gli ultimi barlumi di concentrazione per arginare i pensieri. Non era alterato – come temette Hajime, sentendosi intimamente in colpa e facendoglielo percepire – ma solo tanto stanco.

Koushi cercò gli occhi di Oikawa, che nonostante il circo appena messo su conservavano ancora le tracce della loro recente discussione poco amichevole.

« Ce ne vuole a far perdere le staffe al Camerlengo, Iwachan » borbottò questi, inquadrando il fanciullo per sfuggire all’attenzione dell’ex compagno.

Nello stesso momento Kiyoko assicurò le chiusure della valigia.

« Piantala Tooru » lo redarguì Sugawara un’ultima volta, alzandosi in piedi. « Bene, sembra sia tutto pronto, possiamo andare »

« Possiamo? Hai intenzione di- »

« Venire anche io, sì » e nel sottolinearlo, il Camerlengo prese per mano il fanciullo.

Hajime fece la linguaccia a Oikawa, immediatamente ricambiato.

Koushi roteò gli occhi al soffitto e li spinse tutti fuori, salutando Shimizu.

 

 

 

Non era nelle intenzioni di Iwaizumi mostrare un qualsiasi sentimento positivo all’indirizzo del Mago che in un pomeriggio gli aveva ribaltato la vita. Dovette tuttavia deglutire per impedire a un “wooow” di tradirlo alla vista dell’imponente palazzo signorile sotto cui si fermò la carrozza.

« Ti sei sistemato bene » parlò per lui Sugawara, altrettanto meravigliato.

Oikawa non li stava calcolando; se ne stava comodamente sul sedile dirimpetto, col viso immerso in un tomo dai caratteri sconosciuti e un paio di occhialetti dalle lenti rosa in equilibrio sulla punta del naso, che all’ultimo scossone della carrozza gli sfuggirono. Imprecò, chiudendo il libro e incrociando gli sguardi in attesa del bambino e dell’ex compagno.

« Che c’è? Siamo arrivati! Forza, scendere! »

L’usciere alla porta si profuse in mille inchini e salamelecchi, salutandoli almeno tre volte dopo averli accompagnati con il bagaglio al secondo piano. L’appartamento in affitto era spazioso, a prima occhiata immerso nella confusione da trasloco. C’erano valigie e bauli, alcuni aperti con vestiti alla rinfusa, altri che ogni tanto vibravano all’improvviso. Una lunga e imponente libreria ricopriva il lato lungo del salone, dove i libri continuavano a rimescolarsi tra loro, come in cerca dell’ordine giusto. Un tavolino si avvicinò a loro trotterellando con un servizio da tè bianco e blu che si spostava a seconda delle curve per non crollare in terra. Oikawa lo deviò con un gesto secco verso un angolo della stanza e questo se ne andò demoralizzato. Hajime, alle sue spalle, seguì il tutto con gli occhi sgranati e senza parole. Almeno, pensò Koushi, qualcosa stava distraendo il bambino.

Al passaggio del Mago sembrava che le cose prendessero vita, si risvegliassero. Varie candele, piccole e grandi, si levarono in aria, accendendosi poco prima di essere superate e rischiarando l’ambiente altrimenti lasciato alla semi oscurità del tempo oltre le imposte. A ogni fiammella seguiva un nuovo dettaglio dell’accozzaglia di cose di cui il Mago era proprietario. Appesa a un trespolo d’ottone, una gabbia per uccelli brillò vuota, salvo per un dolcissimo cinguettio e un frullio d’ali. Se c’era realmente un uccellino era invisibile.

Sugawara e Iwaizumi furono colti alle spalle da un attaccapanni animato. Il grande e lucido pomello in legno sulla sommità si inchinò in una riverenza cortese e con un gesto gentile ed educato di due lunghi bracci invitò gli ospiti a dargli i soprabiti. Hajime aveva le guance chiazzate d’emozione, gli occhi sgranati mentre seguiva i movimenti fluidi, come fosse stata una persona reale.

Oikawa non stava prestando loro la minima attenzione. Avvicinatosi alla scrivania ingombra di libri, appunti, ampolle e altro, aveva schioccato le dita e una lunga piuma nera dall’estremità in argento si era destata come una sensuale amante pigra. Un calamaio a forma di rospo gracidò aprendo la bocca; la penna intinse la punta e un foglio di pergamena le scivolò sotto docile, pronto per essere vergato. Il Mago dettò senza indugi un testo piuttosto breve e urgente, omettendo l’intestatario. Ordinò anche una seconda missiva, identica alla prima.

« Che cosa stai facendo? » si interessò Koushi, seguito da un Iwachan ancora rapito da qualsiasi oggetto si mostrasse vivo; questo finché non incrociò l’attenzione del nuovo mentore e tornò imbronciato seduta stante, senza che però il rossore sulle gote si mitigasse.

« Ti avvantaggio sul lavoro » rispose distrattamente Tooru, trafficando nei cassetti della scrivania alla ricerca di qualcos’altro.

« Mi... cosa hai detto? »

Oikawa trovò il tampone da timbro e due buste da lettera color cremisi.

« Siglale col sigillo del Camerlengo – e accennò all’anello che portava al collo, troppo grande per le dita sottili di Sugawara – io intanto chiamo i gufi » e stava per avviarsi alla finestra quando Koushi lo fermò per un braccio.

« Che cosa stai facendo? » scandì, chiaro e irremovibile, in attesa di una risposta sensata. Al diavolo se neanche un’ora prima avevano ulteriormente affossato la loro amicizia e l’affetto del passato: Sugawara aveva bisogno di capire una volta per tutte cosa stesse passando per la testa del Mago.

Il neo Maestro ricambiò con un sorriso così falso che Hajime storse le labbra.

« All’attenzione del Clan Dateko e del Clan Johzenji » declamò a voce alta, e la punta intarsiata della sua ammaliante piuma nera trascrisse con un suono grattato e netto. « Sintetizzando, ho scritto loro di darsi una mossa a tornare a Londinium » proseguì più prosaicamente nel riassumere le sue intenzioni. « E non preoccuparti, nessuno capirebbe che non le hai scritte tu. Non ho dimenticato quali parole ti piace usare »

La stoccata non fu apprezzata da Koushi.

« Non ho bisogno di uno scrivano » replicò incupito, infischiandosene di essere maleducato, ma anzi, si espresse serio e grave perché quella situazione aveva dei punti oscuri che continuavano a sfuggirgli. Oikawa era barricato nelle sue difese mentali, così anche toccandolo l’empatia si scontrò contro un solido muro.

Di contro, il Mago non si fece scrupoli a ribattere.

« Il posto di Primo Maestro è vacante da più di dieci giorni. Londinium è talmente tetra che non mi stupirei se cominciasse a piovere nero o ci ritrovassimo con un’infestazione di Fuochi Fatui. Il Regno ha bisogno della sua guida magica »

« A me sembra che tu abbia un bisogno morboso di questo ruolo più di quanto ti vanti di essere il migliore per ricoprirlo »

Sugawara si pentì solo in parte, ma era troppo alterato per darlo a vedere. Oikawa fece poi una cosa che non si aspettò, non dopo tutto quel tempo.

Avanzò di un passo, uno di troppo, spingendo il Camerlengo a retrocedere fino al bordo della scrivania. Non ebbe tempo di occhieggiare le boccette rovesciarsi nell’urto, non quando Tooru piantò lo sguardo nel suo con troppo poco spazio a dividerli. Koushi trattenne il fiato e serrò la mascella. Non rammentava quanto l’ex compagno fosse alto, ma si sentì totalmente sovrastato.

Il Mago schiuse le labbra – il Camerlengo notò della loro secchezza, mai viste così prima nei suoi ricordi – ma non proferirono parola. Ciò che irrigidì Koushi fu l’intensità delle iridi cioccolato, l’ombra che vi si annidava. Ebbe la sensazione che cercassero disperatamente di confessargli qualcosa…

« … Suga-san? »

La voce incerta di Hajime infranse l’impasse.

Entrambi gli adulti si voltarono verso il bambino, realizzando la sua presenza e un secondo più tardi la scenata in cui si erano cacciati.

« Hajime-kun… perché non inizi a sistemare il tuo bagaglio? » suggerì Koushi nonostante i battiti irrequieti del cuore.

« C’è un letto nella seconda stanza del corridoio. William ti sistemerà le lenzuola più tardi » aggiunse asciutto Oikawa. Si era voltato a dare loro le spalle, impegnato in nulla di particolare.

Se Iwaizumi aveva tentennato alla proposta del Camerlengo, a sentire il Mago la sua irascibilità tornò più prepotente di prima. Non si domandò nemmeno chi fosse il tipo nominato, ma marciò verso le sue quattro cose abbandonate in ingresso, le agguantò con davvero poca delicatezza e se le trascinò verso la porta indicatagli. Lo sbattere dell’uscio fu solo l’ultima conferma del suo pensiero riguardo tutta quella storia.

Koushi si voltò in cerca del viso di Tooru, ma questo seguitò a ignorarlo.

« Che intenzioni hai con lui? » chiese con una sfumatura di tregua, risistemando le ampolle sulla scrivania per tenersi occupato.

« Che intenzioni avete voi con lui. Me lo avete consegnato senza sentire il tuo parere » il Mago non si preoccupò di risultare caustico, sfilando da sotto le mani del Camerlengo i due fogli di pergamena per Dateko e Johzenji. Anche se si sfiorarono, con residui di tensione ancora vivi sottopelle, nessuno dei due aggiunse nulla in merito, rimandando una certa discussione.

« Senti, non ho idea del perché il Maestro Ukai abbia preso questa decisione »

« È partito tutto da te, se te lo fossi dimenticato. Mi hai detto chiaro e tondo che non ti bastava il mio curriculum per candidarmi al ruolo »

« Su questo non transigo. Non impuntarti sulla questione, devi essere un Maestro- »

« … per essere Primo Maestro. Sì, ho capito la filastrocca. Quindi non chiedermi le mie intenzioni col moccioso. Gli insegnerò a non fare esplodere le cose e che la magia ti facilita meravigliosamente la vita »

« Risparmiati l’ironia. E si chiama Hajime, Tooru. Iwaizumi Hajime. Da un’ora è il tuo apprendista. Cerca di non farlo sentire indesiderato più di quanto tu non intenda sfruttarlo per i tuoi scopi »

Oikawa esibì una smorfia abbastanza sincera nell’avvertire l’amarezza e il risentimento venare la frase appena rivoltagli.

« Ora stai parlando di lui o di te? » si lasciò sfuggire e comprese subito di aver esagerato.

Si passò una mano sul viso, osservando la reazione di stupore di Koushi da oltre le dita. Durò una manciata di secondi, e una rigida indifferenza indurì i suoi occhi ambrati e la piega della bocca. Oikawa si morse il labbro inferiore e per la prima volta avvertì le proprie difese cedere.

Prima di tornare a Londinium si era ripromesso che non avrebbe lasciato spazio a sentimentalismi e insicurezze, ma il senso di colpa per come se ne era andato arrivò a battere contro la sua alterigia alla stregua di un ariete. « … dovremmo trovare il tempo per parlare un attimo » tentò snervato e le parole uscirono da sole prima di poterle soppesare.

« Non adesso » fu il taglio netto di Sugawara. « Vado a salutare Hajime. Buona serata »

Il Mago non fece nulla per trattenerlo.

 

 

 

La mattina seguente cominciò con l’arrivo di una lettera al Camerlengo da parte di Oikawa. Il Mago annunciava impegni improrogabili di cui occuparsi prima di intraprendere le lezioni impostegli dal Maestro Nekomata, e che l’inaspettata nuova presenza del suo apprendista richiedeva un certo accomodamento non solo del suo appartamento ma soprattutto delle sue abitudine.

Righe su righe di giustificazioni alla sua assenza che Sugawara accolse con la tazza di tè della colazione e un involontario sospiro di sollievo. Fu in un certo modo rincuorato di sapere che per quel giorno non avrebbe avuto a che fare con l’ex compagno, anche se ciò gli provocò la sensazione di essere nuovamente un adolescente nei suoi ventinove anni.

Al contrario, Hajime si palesò sulla soglia dell’Accademia un’ora più tardi, scaricato da una carrozza di servizio, gli occhi gonfi di chi non ha chiuso occhio e un cipiglio infastidito che Koushi dubitava sarebbe più andato via. Fu di poche parole e diversi grugniti, nel complesso docile nel seguire il Camerlengo ma disinteressato nell’ascoltare e annuire alle direttive sui suoi nuovi studi. Tuttavia, quando vide Kiyoko passare in fondo a un corridoio chiese il permesso di andarsi a scusare per il suo comportamento del giorno precedente.

« Tu e Oikawa avete provato a parlare un po’? » tentò Sugawara quando furono davanti all’uscio dell’aula lezioni del Maestro Takeda. Il fanciullo si ostinò a tenere lo sguardo altrove senza mai incrociare quello dell’adulto.

« No »

Una risposta lapidaria e Koushi preferì non indagare ulteriormente.

I rintocchi della campana risuonarono per i corridoi e Hajime sparì nella folla di studenti più alti.

 

 

Alla prima lettera di Oikawa ne seguirono altre sei, puntuali ogni mattina servite al Camerlengo insieme al vassoio della colazione, tra la teiera e il porta zucchero. Sugawara avrebbe preferito non farci l’abitudine a quei buongiorno pieni di scuse poco sentite e di elenchi di cose per cui il Mago non degnava l’Accademia della propria presenza.

Non che fosse necessaria, non quando le voci di corridoio erano iniziate la sera stessa il suo ritorno e supplivano a tale assenza.

“Sai che quel Mago è tornato?”

“Chi?”

“Quello che ha fatto fare KABOOM all’Ala Est! Ricordi?”

“Il Mago che ha tentato di far fuori Kageyama?”

“Proprio lui!”

Le occhiatacce prima e le raccomandazioni poi del Camerlengo riguardo al tenere per sé certi discorsi erano state come un aperitivo a un banchetto celebrativo, utili il tempo di sciacquarsi la bocca e spargere in giro altri mille pettegolezzi e aneddoti di dubbia credibilità. Era bastata una mattinata perché tutta la nuova generazione di apprendisti venisse a conoscenza di Oikawa Tooru ancora prima di vederlo in faccia; tutti fremevano per incontrarlo. Ma data la mancanza del diretto interessato, ad andarci di mezzo furono principalmente due persone: Kageyama, che sembrava avere avuto con lui la disavventura più spiacevole prima, e Iwaizumi, che ora si ritrovava sulla bocca degli altri ad essere la vittima sacrificale.

Tobio liquidò occhiate e frecciatine con la sua aria altezzosa e inquietante, salvato anche dagli orari di addestramento delle Ali Corvine differenti rispetto a quelli degli studenti regolari. Hajime invece iniziò a ringhiare, letteralmente, e, otto anni o meno, i compagni si tennero alla larga.

Alla fine, l’unica cosa da fare fu attendere il primo giorno di lezione del tanto discusso Mago.

 

 

L’innaturale pace dell’aula anfiteatro andava avanti da circa dieci minuti, frammentata ogni tanto da bisbigli alle orecchie, accidentali rumori di sedie e fruscii di tonache. L’ultimo a chiudersi la porta alle spalle fu il Capitano della Guardia, Sawamura, che rimase a sostare davanti l’uscio in posizione di riposo con un sorriso pacato che la diceva lunga sui suoi pensieri. Oikawa, a sua volta in piedi sulla pedana della cattedra, mani sui fianchi, gli scoccò un’occhiata esasperata dal continuo essere braccato. Daichi replicò con l’espressione più serena e Attento a quel che fai migliore del suo repertorio.

Il Maestro Takeda si schiarì la voce, allegro e immune alla morbosa curiosità della platea.

« Ragazzi, che tranquillità! » esordì incredulo, forse non conscio del tutto che il merito fosse del nuovo insegnante al suo fianco. « Vi presento Oikawa Tooru, ex allievo della nostra illustre Accademia e vostro nuovo Maestro – il Mago sbuffò – per un’ora di lezione al giorno »

Le prime mani scattarono alte senza dargli il tempo di terminare il discorso di benvenuto.

« Ehm… sì, Inuoka-kun? » concesse la parola a uno degli studenti con i colori del Clan Nekoma.

« Cosa ci insegnerà? Qualcosa fuori programma? »

Il Maestro Takeda si trovò impreparato a rispondere e Oikawa non fu molto d’aiuto con la sua alzata di spalle indifferente.

« Oikawa-san ha viaggiato molto per il mondo, negli ultimi tre anni » si intromise una terza voce e l’attenzione fu catalizzata da Sugawara, appena entrato nell’aula. Lui e l’ex compagno incrociarono gli sguardi e Koushi, alla stregua di Daichi, sorrise amabilmente. « Nei suoi peregrinaggi ha avuto modo di apprendere teorie e pratiche di magie molto diverse da quelle del Regno. Il suo programma di studio consisterà nel darvi le basi di ciò che un giorno potreste incontrare oltre i nostri confini, incuriosirvi e affascinarvi dalle meraviglie della magia esotica. Pertanto, non sentitevi timidi e rivolgetegli tutte le domande che vi serviranno a chiarire eventuali perplessità »

Il verso di approvazione degli studenti coprì quello sbigottito e oltraggiato di Tooru, messo a tacere da un’altra occhiata serafica di Sugawara e dalla mano che gli artigliò il braccio.

« Sei una vipera Suga » soffiò a mezze labbra il Mago.

« Ho imparato dal migliore » replicò accennando due dita di vittoria al suo indirizzo, tornò poi a rivolgersi alla platea. « Qualcuno vuole già chiedere qualcosa? »

Avevano pur sempre davanti un branco di adolescenti e pre-adolescenti, così l’educazione di alzare la mano fu inghiottita dalle dozzine di frasi primeggianti alla rinfusa.

« Dov’è stato, Maestro Oikawa? In India? Nelle Colonie? »

« Ci può insegnare il Voo-doo? »

« L’ha incontrato un drago vero? »

« Nel Continente Nero mangiano davvero i bambini? Auch »

« Che incantesimo si usa per far esplodere un’Ala dell’Accademia? »

Oikawa riconobbe nell’interlocutore dell’ultima domanda il ragazzo coi corti capelli biondi delle Ali Corvine, Tsukishima. Il Mago non fu l’unico a scoccargli un’occhiata bieca e l’umore di Tooru fu sempre meno condiscendente nel riconoscere Kageyama tra i vari ragazzi. Si umettò le labbra, sfoggiando uno dei suoi sorrisini angelici.

« Megane-kun, questo interrogativo dovresti porlo anche al tuo compagno di guardia, sai? – e reclinò con elegante placidità il capo all’indirizzo dell’ex allievo, conscio che la folla avrebbe seguito il suo gesto – In fondo, Tobio-chan ha largamente contribuito alla ristrutturazione dell’Ala Est tre anni fa, dico bene? »

Di nuovo i ragazzi sembrarono incapaci di stare fermi ai propri posti o ricordarsi del bon-ton accademico. Pur di adocchiare il corvo in questione qualcuno si alzò anche in piedi, altri si sporsero dai banchi rischiando di perdere l’equilibrio. Kageyama, al contrario, serrò la mascella ma non distolse le sue iridi notturne da quelle cioccolato del precedente mentore, irremovibili come se si fosse trattato di una sfida.

Touché, si trovò a realizzare Oikawa, nel notare che Tobio non conservava più i suoi tratti fanciulleschi e aveva finalmente abbandonato la sua aria ingenua, caricandola di aggressiva determinazione. Almeno superficialmente.

Il Camerlengo batté le mani per riportare l’ordine nell’aula e dare finalmente inizio alla lezione.

 

 

Alla fine dell’ora non si poté negare che Oikawa affascinò gli studenti. In molti avevano continuato a fare proposte insensate sugli argomenti da affrontare, finché il Mago non si era spazientito e aveva preso in mano la situazione.

Il ruolo dell’insegnante di fronte a una platea non gli si addiceva; per quanto amasse stare al centro dell’attenzione, trasmettere le sue conoscenze era qualcosa che lo disturbava nel profondo. Alla fine tuttavia un incantesimo aveva tirato l’altro e la sala si era riempita di immagini fluttuanti, come tante diapositive di diversi posti del mondo, e lui stesso si era perso nel raccontare episodi e notizie varie. Per un giorno era riuscito a tenerli a bada con i soli racconti del suo peregrinare in Francia; a quel ritmo, per settimane, avrebbe avuto di che parlare senza sbilanciarsi troppo.

« Sawamura-chan, sei interessato ai miei viaggi? Ti servono consigli per una vacanza? » sbuffò Oikawa quando le campane suonarono e gli studenti crearono abbastanza confusione per scambiare due parole in pace. Sedie strisciate sui pavimenti e chiacchiere euforiche furono una combinazione perfetta per passare in sordina il poco sottile filo d’ostilità tra i due.

« Interessanti » commentò il Capitano, tagliando la distanza tra loro di qualche passo, ma senza scoprirsi nell’aggiungere altro.

« Tuttavia, nessun posto è come casa » proseguì il Mago, appoggiandosi coi fianchi alla scrivania, un braccio incrociato sul petto mentre con le dita dell’altro si massaggiava vezzoso una tempia. « L’odore della pioggia di Londinium, il grigiore del tempo, l’aroma del Tamigi… I vecchi amici – puntualizzò arricciando il naso e il suo sguardo si fece sottile – Ci sono stati davvero un sacco di cambiamenti. Immagino che con un nuovo Camerlengo, così giovane, le decisioni siano più libere. Suga è sempre stato un tipo condiscendente e alla mano »

L’allusione divenne un’ombra sul volto di Daichi e si trasmise con un leggero fremito alle braccia, ben dissimulato, che dalla posizione di riposo si sciolsero lungo i fianchi.

« Sì, sono cambiate diverse cose, Oikawa » ripeté con il tono di un generale all’alba di una battaglia. « Anche se la tolleranza è tra queste, non tutti si dimenticano dei codardi »

Sebbene l’ambiente fosse brioso di urletti, tra i due calò un velo gelido. Per un solo istante, Tooru perse l’aria scanzonata.

« Capitano… non è da te essere così diretto, sei cambiato anche tu? »

« Quanto basta per metterti in guardia, questa volta »

Nessuno dei due cedette il passo all’altro nella battaglia di sguardi.

« Sono qui solo per la carica di Primo Maestro »

« Non mi stupisco »

Ancora un riferimento indiretto, ancora una punzecchiatura fastidiosa che riuscì a raggiungere la parte di coscienza di Tooru dove egli aveva seppellito i sensi di colpa legati a tre anni prima. Non fu piacevole.

Ma nessuno sapeva. Nessuno doveva sapere. O capire.

Non ci sarebbe stata comprensione per quello che aveva fatto.

« Rude quanto si addica al tuo ruolo » ridacchiò Oikawa per stemperare il freddo tra loro. Peccato che non infuse alcuna reale spensieratezza alla risata: gli uscì superiore, com’era giusto che fosse. Lo fu anche il suo sorrisetto, schernitore e cattivo. Si chinò in avanti, riducendo le distanze, ma non si azzardò a sfiorare il Capitano; si premurò solo che le proprie parole giungessero al suo orecchio. « Non è così che piace a Koushi. Lui è più… sensibile, sentimentale. Nostalgico. Non trovi? O non è ancora successo nulla tra voi? »

C’erano diversi motivi per cui le Ali Corvine erano considerate il corpo di guardia più forte e temuto dell’intero Regno; anche al di sopra del Clan Dateko. Erano un élite da non sottovalutare mai, in nessuna occasione. Tooru lo rammentò dallo sguardo del Capitano, dalla leggera vibrazione magica, oscura e attanagliante, a cui la sua pelle reagì rabbrividendo.

Qualcuno di fianco a loro tossì, simulando con poca cura. Qualcuno che arrivava appena alla loro vita ma che spezzò una situazione facile a degenerare.

Oikawa abbassò lo sguardo. A interromperli erano stati due ragazzini dallo sguardo sommariamente tediato, in contrasto con la curva furbetta delle loro labbra. C’erano troppi marmocchi per i suoi gusti.

« Non rispondo a domande fuori dall’orario della lezione »

I due si scambiarono un’occhiata e un’alzata di spalle, come a dire che quell’opzione non l’avevano minimamente presa in considerazione. Il ragazzino con i capelli rosati allungò un pezzetto di carta piegato di fretta.

« Da parte di Iwaizumi » spiegò laconico.

Tooru sbatté un paio di volte le palpebre, neanche si fosse dimenticato del proprio allievo. Aprì il foglietto.

Non cercarmi Shittykawa.

Ci vediamo a casa dopo.

« Quel… quel… »

Il Mago si indispettì, borbottando tra sé al rileggere l’appellativo davvero poco rispettoso. Tornò a squadrare i due ambasciatori in miniatura che non si erano mossi. « Chi siete voi due? »

« Hanamaki Takahiro, signore »

« Matsukawa Issei »

« Bene. Makki, Mattsun, dov’è Iwachan? »

Di nuovo, gli occhi dei bambini si incrociarono per una silenziosa conversazione, che presto divenne verbale ed entrambi ignorarono il Maestro.

« È come diceva Hajime »

« Scorbutico »

« Arrogante »

« Però “Makki non è male »

« Sì è carino »

« Io ho fame, andiamo verso la mensa? »

« Mmh va bene »

Senza prestare più attenzione all’adulto, i due uscirono dall’aula come se la breve parentesi non fosse mai avvenuta, lasciando Oikawa tra il basito e l’indignato per tanta noncuranza. Daichi si era già congedato a spalle ritte e braccia rigide, una smorfia di disprezzo palesata dal disinteresse verso il Mago.

Tooru si ritrovò in un’aula vuota, stringendo l’appunto del suo allievo, mentre la sensazione di aver sbagliato a essere tornato gli risaliva lo stomaco, mescolata alla penosa idea di essersi fatto troppa terra bruciata intorno.

 

 

Nel primo pomeriggio il sole riuscì a ritagliarsi un siparietto tra le nubi autunnali. Il vento spazzava i cortili a cadenza fissa, creando mulinelli ipnotizzanti di polvere, foglie gialle e rosse.

Hajime aveva trovato un angolo appartato in uno dei chiostri interni dell’Accademia, sopra una panca di pietra fredda. Aveva la vecchia sciarpa di lana dell’orfanatrofio a infagottargli collo e bocca, la giacca di una taglia più grande chiusa per intero – dove i bottoni non erano saltati – e le mani ficcate in tasca, in cerca di tepore. Escluse le folate ululanti negli anfratti, il cortile era silenzioso e lontano dalle zone di passaggio. Per l’umore di Iwaizumi era l’ideale, visto che ormai non aveva più un posto suo tra quelle imponenti mura. O in generale, non aveva più un luogo da considerare casa.

Quattro mesi prima si era convinto che l’Accademia lo sarebbe stata. Che il dormitorio delle Ali Corvine sarebbe diventata la sua dimora fissa. Niente più parenti che non sapevano cosa farsene di un moccioso in più da sfamare; niente più orfanatrofi dove era poco più di un nome in liste infinite di bambini senza genitori.

L’idea di divenire una guardia gli era piaciuta subito. Conosceva la fama dei Corvi, i racconti sulle loro gesta, o sulla difficoltà di diventare un membro del loro regimento esclusivo. Nei suoi scarsi otto anni, praticamente passati tutti a sopravvivere a parole di circostanza e spazi continuamente condivisi con estranei, l’essere accettato nel Clan Karasuno aveva creduto fosse l’inizio della sua stabilità. Un po’ egoisticamente, aveva pensato fosse ciò che il destino gli doveva.

Per anni, troppe persone si erano rivolte a lui con compassione, definendolo sfortunato per essere nato in mezzo alla sciagura della Contrada di Kitagawa Daiichi. Sfortunato per l’aver perso – e mai davvero conosciuto – i propri genitori. Sfortunato quando i parenti di suo padre si erano rivelati inadempienti verso i suoi bisogni di bambino, o ancora quando i nonni materni erano morti e una mattina era stato lasciato davanti la porta del primo orfanatrofio. Sfortunato quando era stato spedito in un altro istituto, e un altro ancora per motivi sempre diversi, siglati ogni volta da qualche adulto con un ricorrente che sfortunato!

L’ultima tappa era stata l’ingresso in Accademia, accompagnato da un tremulo moto di incredula felicità. Qualcosa che non era avvezzo a provare e che l’aveva tenuto sveglio tutta la prima notte col visetto affondato nel cuscino, immerso nel tepore del camino e nell’ascoltare i respiri regolari dei suoi compagni di stanza.

Si era subito trovato bene. Gli altri bambini e ragazzi, nonostante avessero rispetto a lui l’età consona al cominciare addestramento e studi, si erano rivelati per la maggior parte affabili, nel peggiore dei casi solo taciturni. Lui non era minimamente un campione di socialità, non quando aveva passato i recenti anni nei refettori dell’orfanatrofio a inguattare cibo alla svelta e a mostrarsi determinato nell’assestare calci negli stinchi ai prepotenti. Tra le Ali Corvine vigeva un cameratismo radicato e gioviale. I ragazzi più grandi – come Nishinoya e Tanaka – erano sempre ben disposti verso i pulcini, pronti a raccontare gli aneddoti più vari per tirarli su dopo ore di allenamenti. Il Capitano affrontava le situazioni con un rigore che Hajime aveva da subito preso a modello, mentre si era trovato impacciato di fronte alla gentilezza del Camerlengo, il quale aveva avallato il suo ingresso in Accademia a dispetto del regolamento.

Il bambino era conscio che la magia accidentale scagliata in orfanatrofio non era da premiare – e probabilmente, dalle storie che aveva sentito dagli altri studenti, non era nulla di speciale – ma aveva preoccupato il rettore dell’istituto, che cortesemente aveva scaricato la responsabilità sulle spalle della scuola di magia. Tuttavia, Sugawara non gliene aveva mai fatto una colpa. Lo aveva anzi incoraggiato a riprovarci, a sua detta per capire per quale tipo di incanto fosse predisposto.

Erano passati quattro mesi da allora e Hajime era riuscito a malapena a far lievitare qualche oggetto. Aveva preferito concentrarsi negli allenamenti pratici e fisici, non scoraggiato dalla fatica e molto più a suo agio. La sua famiglia non aveva mai vantato maghi tra i propri antenati e non era mai stata sua intenzione diventarlo. Era successo.

Era arrabbiato, frustrato dall’ennesimo sfortunato sentito sul proprio conto;uandouQuQUand non ci aveva più visto quando i ragazzini più grandi lo avevano circondato per fargli capire chi è che comanda.

Ancora una volta, a distanza di una settimana, Iwaizumi era convinto di sapere più di chiunque altro come girasse il mondo, chi ne tenesse le redini. Finché fosse stato un bambino, purtroppo per sé neanche molto alto, ci sarebbe stato sempre qualcuno a dettare legge nella sua vita. Qualcuno che avrebbe deciso per lui cosa fosse meglio.

Hajime detestava avere otto anni e ritrovarsi a reprimere ancora una volta le lacrime in un letto nuovo, in una camera spoglia nell’appartamento di uno sconosciuto a cui era stato affidato senza avere voce in capitolo. Credeva di essere abituato ai cambiamenti, ma quell’ultimo era stato troppo repentino e indesiderato, avvenuto quando aveva iniziato a sentire di appartenere a qualcosa.

Non sapeva davvero cosa fare.

« Iwaizumi-kun! »

Il coretto di voci giunse dall’estremità del corridoio del chiostro. Un bambino e una bambina sbucarono con le gote arrossate e i mantelli del Clan Karasuno scompigliati; si scambiarono uno sguardo vittorioso prima di avvicinarsi. Più indietro rispetto a loro, e meno entusiasta, comparve anche Kageyama, che si espresse appena in un cenno.

Hajime crucciò la fronte, fece riemergere le labbra dalla sciarpa umidiccia ma quando aprì bocca ci ripensò. Non era dell’umore per chiacchierare.

Al contrario, Hinata e Yachi attaccarono subito.

« Volevamo parlarti! »

« Non ti abbiamo trovato a mensa! »

« Issei e Takahiro ci hanno detto che te ne eri andato dopo la lezione del Maestro Oikawa »

« Ma poi Ennoshita-san e Asahi-san ci hanno aiutati a trovarti dall’alto – e la biondina puntò un dito al cielo oltre le arcate, dove i corvi volteggiavano solerti come ogni giorno – ti mandano i loro saluti »

Iwaizumi non rispose, squadrandoli tutti e tre e avvertendo una fastidiosa sensazione di invidia nel petto.

Fino a poco tempo prima aveva condiviso la camera anche con Shouyou e Tobio, ignaro della virata improvvisa nel proprio futuro. Aveva guardato a Kageyama con rispetto per i suoi successi e la sua bravura; a volte invece si era chiesto se Hinata fosse davvero tagliato per fare il Corvo, nonostante avesse quasi tre anni più di lui ma apparisse addirittura più giovane e mingherlino, bersaglio preferito per le prese in giro del gruppo. Yachi era simpatica e maldestra, sempre sotto l’ala protettiva di Kiyoko e Saeko, sue tutrici nello studio e negli allenamenti. Se non fosse stato per i cambiamenti ottenuti col benestare di Sugawara, che aveva garantito per l’introduzione delle donne nella Guardia, non l’avrebbe conosciuta.

Loro erano ancora lì, all’Accademia, con nessuno a disturbare il loro cammino, a differenza sua.

« Volevamo darti una cosa » continuò la ragazzina, arrossendo e strappandolo ai suoi pensieri.

Hinata frugò nella propria borsa, grande quasi la metà di lui; finì con l’accovacciarsi a terra per rovistarci dentro. Ne riemerse con un pacchetto avvolto in due fogli di pergamena decorati a inchiostro e un nastrino blu notte a chiuderlo. Le guance di Hitoka si fecero ancora più paonazze mentre Shouyou piazzava il tutto tra le mani fredde di Hajime, riattaccando a parlare.

« Noya-san ci ha parlato del tuo nuovo Maestro e della decisione del Vecchio Ukai, così abbiamo pensato di farti un regalo! È anche da parte di Tadashi, ma era insieme a quello snob di Tsukishima ad allenarsi e non è venuto… e di Kageyama! Anche se non lo ammetterà. L’idea è stata però di Yachi! Kiyoko-san ci ha aiutato a cucirlo e Suga-san gli ha fatto un incantesimo! »

Iwaizumi contrasse le sopracciglia seguendo il susseguirsi di parole con scetticismo, ma in pochi secondi si ritrovò a stringere il dono tiepido tra le dita. Le sue labbra disegnarono una “o” sorpresa. Ci mise qualche attimo a intuire la natura dell’uovo di stoffa nera: un pulcino di corvo a peluche che… lo ritraeva, in una caricatura buffa del suo cipiglio.

Hitoka balbettò qualcosa, ma dovette ricominciare per farsi comprendere, imbarazzatissima.

« S-suga-san ha f-fatto in modo che, ecco… se lo s-stringi diventa c-c-caldo! P-Pensavamo fosse un’idea carina, ti a-abbiamo visto g-giù di tono »

Hajime seguitò a fissare il piccolo peluche, ma le sue dita non di mossero. Ci pensò Hinata a sprimacciare l’animaletto di stoffa e ad attivare l’incanto.

Era piacevole, dovette ammettere, ma non trovò parole per esprimersi. Per un po’ il tepore riuscì ad avere la sua completa attenzione, facendogli dimenticare la tristezza e la gelosia.

« Grazie »

 

 

 

 

La giornata stava finendo, ma la discussione iniziò appena Hajime varcò la soglia dell’appartamento.

« Io e te dobbiamo fare un discorsetto! »

Fu l’esordio Oikawa, seduto sulla sedia a dondolo del salotto, un altro dei suoi immensi tomi aperto sulle gambe e di nuovo gli occhialetti dalle lenti rosate sulla punta del suo prezioso nasino. Questo non gli impedì di distrarsi dalla lettura per puntare il ragazzino al rientro. Iwaizumi intuì che si fosse sistemato in posizione strategica per pizzicarlo al momento opportuno; per un attimo gli ricordò sua zia paterna, con lo stesso tono noioso e fastidioso delle ramanzine in arrivo.

« Ah? » replicò appena, svolgendosi la sciarpa dal viso e consegnandola a William, l’attaccapanni animato che ricopriva anche il ruolo di maggiordomo dentro l’appartamento. Il tavolino da tè trotterellò incontro al bambino e cercò di giocare con lui, festaiolo e noncurante delle intenzioni del padrone di discutere. I due pezzi di mobilio incantati erano forse le uniche ragioni per cui Hajime riusciva a sopportare il suo nuovo tutore, così la prese decisamente male quando il Mago, con un gesto seccato, li immobilizzò facendoli tornare di semplice legno.

« Credevo ti avessero insegnato le buone maniere! » attaccò Tooru, alzandosi per raggiungerlo e atteggiandosi con le mani sui fianchi. Forse nelle sue intenzioni voleva metterlo in soggezione, chinandosi in avanti per sovrastarlo, ma Hajime rimase ritto nella sua statura fanciullesca piantando gli occhi verdi in quelli castani. L’unico gesto che avrebbe potuto tradirlo il Mago non lo colse: fu stringere la borsa con le dita, lì dove Iwaizumi sapeva ci fosse il peluche regalatogli dai pulcini del Clan Karasuno. Forse stava immaginando di sentirlo riscaldarsi attraverso il cuoio; tuttavia una sensazione rassicurante si spanse per il petto e lo aiutò a fronteggiare Oikawa.

« Che problema c’è? Non ho fatto tardi » sbottò senza preoccuparsi di modulare le sillabe, ma anzi, lasciando trapelare il proprio nervosismo. Il Mago non sembrò accorgersene.

« Che significa questo!? »

Tooru gli piantò sotto il naso il foglietto che gli aveva fatto recapitare da Hanamaki e Matsukawa dopo la lezione. Era anche più stropicciato di quel che ricordasse.

Fu come sentirsi improvvisamente sgonfiati di tutto. Iwaizumi dimenticò qualsiasi forma di collera per della semplice confusione. Eppure lo sguardo del Mago non sembrò dello stesso avviso e seguitò a fissarlo con rimprovero.

« Cos’è, sei stupido? » se ne uscì il bambino, non capendo.

« Iwachan! Modera il linguaggio! Sono il tuo Maestro, esigo rispetto! Non chiamarmi in questo modo! » e per sottolineare l’affermazione gli ripiantò davanti al naso la nota di carta.

« Non devo chiamarti Shittykawa? » chiese conferma.

« Esattamente »

« Ok… » annuì Hajime. « Kusokawa è meglio? »

Oikawa sbatté le palpebre un paio di volte certo di aver sentito fischi per fiaschi. I lineamenti dell’apprendista erano quelli di chi è annoiato e ha già archiviato una conversazione inutile.

« Tu smettila di chiamarmi Iwachan – si disgustò nel dirlo – e io vedrò di chiamarti Maestro Oikawa »

« Ragazzino insolente… » sibilò il Mago con una vena pulsante sulla tempia e una smorfia tirata.

« Ti verranno le rughe, Shittykawa » rincarò il fanciullo senza mostrare della vera ironia. Incrociò le braccia per rimarcare la propria volontà di non dargliela vinta.

Rimasero a fissarsi, senza che nessuna delle due parti desistesse. A rompere l’impasse fu qualcosa di inaspettato, ma che gonfiò le guance del Mago di ilarità e irrigidì il bambino.

Un brontolio inconfondibile riecheggiò nell’ingresso.

« Non ti conviene provare a fare l’impertinente a stomaco vuoto, Iwachan. Non quando devi ancora crescere tanto » lo canzonò Oikawa, prendendolo in giro nel mimare con il palmo un’altezza fuori dalla sua portata. Dal tono leggero fece intuire che la discussione per lui avesse perso interesse – e la sua ostinazione nel rifilargli il nomignolo non fosse stata minimamente scalfita – ma Iwaizumi non era dello stesso avviso. Non quando la sua amarezza era quiescente; la confusione, il rifiuto di quei giorni e i cambiamenti un punto dolorosamente sensibile a qualsiasi affermazione o battuta. Era a digiuno dalla sera precedente, irrequieto nel sapere che quella pagliacciata con il nuovo Maestro sarebbe cominciata ufficialmente con la prima lezione.

Gli altri allievi dell’Accademia avevano bisbigliato tutto il tempo, apostrofandolo quando passava, ridacchianti delle storielle su Oikawa e tirando in mezzo anche lui come, ancora, un ragazzino sfortunato.

Le luci dell’appartamento sfavillarono.

« Ooh » si sorprese Oikawa, occhieggiando i lumi. Le fiamme del camino si gonfiarono all’improvviso, lambendo le pareti di marmo. Lo sguardo del Mago tornò fisso in quello contratto del fanciullo, dandogli piena attenzione. « C’è qualcos’altro che vuoi dirmi? »

« Finiscila… finiscila di trattarmi come fossi stupido! Lo so che sono solo un mezzo per i tuoi scopi! Sei tornato perché vuoi il posto di Primo Maestro, ma senza un allievo o un Clan non puoi esserlo »

« Origliare non è educato »

« Non ho origliato un bel niente, e non è questo il punto! » sbottò.

« E quale sarebbe il punto, Iwaizumi-kun? »

Anche se all’apparenza sembrava averlo finalmente chiamato con rispetto, il tono non sussisteva, ancora morbido come una carezza infida.

« Non fingere! » sibilò, e avrebbe tanto voluto stringere di nuovo il regalo fattogli quel pomeriggio. Si impose di non distrarsi, di non perdere il contatto visivo con gli occhi nocciola del Mago nemmeno per un istante. « Non fingere che ti importi di me! »

« Sei crudele, Iwa- »

« Voi adulti siete crudeli! » lo interruppe urlando. Fiamme e lampade baluginarono più forti. Qualcosa scricchiolò e l’uccellino invisibile nella sua gabbia emise un lamento.

Oikawa si zittì, per un attimo sinceramente sbigottito. Hajime non gli diede tempo di ribattere.

« Pensate soltanto a voi stessi! Fate i vostri interessi e poi ve ne uscite dicendo che è per il bene degli altri! Non me ne frega un cavolo se vuoi diventare Primo Maestro! Fallo! Ma lasciami in pace! »

Il bambino tremava di rabbia, cocente e prepotente, tanto che la delusione e la tristezza erano state completamente assorbite da questa. Non si preoccupò di farsi vedere scosso. Non si preoccupò neanche del fastidio provocato dalla mascella contratta, dai denti serrati tanto stretti.

Per un istante molto lungo si ripeté più volte che lo stesso incantesimo che aveva scagliato accidentalmente contro i bulli dell’orfanatrofio avrebbe potuto lanciarlo contro Oikawa. Desiderò farlo davvero.

Il Mago non sembrò troppo turbato da tutta quell’aggressività, nonostante mise più spazio tra loro, raddrizzando la schiena. La sua mano si mosse con un gesto stizzito, come per allontanare una mosca fastidiosa.

« Va bene, cosa vuoi? » cedette, più indulgente e attento.

Hajime non lo seguì, ma il cambio di atteggiamento dell’adulto in parte lo sgonfiò.

« Che intendi? »

« Un accordo no? È quello che stai cercando di proporre, o sbaglio? » il Mago misurò il ragazzino con lo sguardo da capo a piedi, dando l’idea di prenderlo in considerazione seriamente per la prima volta. « Non lo negherò: sei stato un imprevisto. Ma non sono così crudele da ignorarti. Ci hanno buttati a forza sulla stessa barca. O meglio, ti hanno messo a forza in casa mia. Per tanto, dato che volente o nolente dovrò insegnarti qualche trucchetto base finché non avrò raggiunto il mio scopo, cosa vuoi per starmi fuori dai piedi il resto del tempo? »

Iwaizumi non se l’era aspettato. Abituato a sentirsi urlare contro di essere un bambino incapace di capire gli sforzi di un adulto, di essere ingrato ai sacrifici fatti per lui, ritrovarsi improvvisamente a essere trattato come un pari sbilanciò la sua collera lasciando uno spazio vuoto e incerto dentro di lui. Vacillò, ma solo per un attimo.

« So badare a me stesso » affermò, non col tono sostenuto che avrebbe voluto, ma Oikawa roteò comunque gli occhi, facendogli cenno di proseguire « Al di fuori degli orari in cui dovrai insegnarmi qualcosa, non pensare a me »

« Va bene, ma il coprifuoco è alle diciannove! Rimango il tuo tutore e ci manca che mi arrivi qualche ramanzina da Sugawara, o peggio, da quel vecchio felino del Maestro Nekomata »

Hajime non era viziato, né pretendeva chissà cosa, quindi annuì concorde.

« Ottimo! » trillò Oikawa, sorridendo allegro e allo stesso tempo provocando addosso al fanciullo un senso di viscido. Gli prese anche la mano, in una stretta rapida e inconsistente, per siglare l’accordo. « Dovevamo averla prima questa conversazione, Iwachan! » cianciò mentre se ne tornava al suo libro e alla sua sedia a dondolo. « Ci saremmo risparmiati un sacco di occhiatacce reciproche e inutili sentimentalismi »

« Non chiamarm- »

Tooru levò l’indice per tacitarlo, un sorrisetto schernitore più mordace del solito, sfiorante l’irritato. Hajime ne rimase stupido, non capendo. Eppure il Mago aveva dato l’idea di essere il primo contento di quella specie di contratto.

« Chiamarti Iwachan è nella mia parte di accordo » disse e basta, infantile e senza spiegazioni. Da quel momento non lo calcolò più.

Il bambino lo guardò in cagnesco un’ultima volta e decise che ne aveva abbastanza. Raccolse la sciarpa, caduta da un ancora immobile William, e si diresse a passi pesanti verso la propria camera.

« Domattina non venire a svegliarmi con la tua faccia insopportabile, Shittykawa! » ruggì, e si sbatté la porta alle spalle insieme a un lagnoso Rude!

Rispetto al salone riscaldato dal camino, la stanza accolse il bambino col buio e con l’aria più fredda e rarefatta. Iwaizumi avvertì nitido il cambio di temperatura insinuarglisi sottopelle, stroncando la sensazione di calore prodotta dall’astio.

Qualunque fosse la cosa instancabile e bellicosa dentro di lui si quietò come se gli fosse stata rovesciata addosso un catino pieno di ghiaccio. Non ci provò nemmeno a pensare che alla fine aveva fatto valere le proprie ragioni. Non riusciva a sentirsi vittorioso. Anzi, il vuoto di qualcosa di nuovo si era allargato senza motivo.

Si sedette per terra – fu più uno scivolare contro l’uscio – perché il letto gli sembrava tanto lontano. Prima che lo realizzasse, la sua mano aveva già frugato nella borsa tirandone fuori il corvetto di peluche. Lo sprimacciò, non con lo stesso entusiasmo di Hinata, eppure questo si riscaldò tra le sue dita.

Non pianse.

Il subbuglio era lo stesso di tutte le volte che le lacrime erano scivolate fuori senza il suo consenso, ma quella sera non vennero. Rimase a fissare il regalo e ripensò alla propria vittoria, senza gioirne. Prostrato dallo stress, il sonno lo colse beffardo prima che avesse la forza di rialzarsi e trascinarsi sotto le coperte.

 

 

 

 


 

 

 

Si torna a Londinium dai maghi e dalle rose! Sarò breve, non ho molto da dire essendo un capitolo di passaggio… anzi, non credo proprio di dover comunicare nulla! XD

Spero non ci siano dubbi: sto trattando la magia un po’ sommariamente, essendo un contorno… dal prossimo capitolo si entra nel vivo!

Grazie mille a Spiga Rose e a _Lady d’inchiostro_ per la continua sopportazione di vaneggiamenti e chiacchiere sui pallavolisti. Il capitolo è tutto per voi!

 

 

Buon fine settimana!

Nene ~

 

 

Pagina autore: Nefelibata

 

 

   
 
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