Fanfic su attori > Jared Leto
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Autore: ikuccia    21/10/2016    0 recensioni
Se fossi la condizione per una generosa donazione da parte di un uomo misterioso cosa faresti?
Un benefattore mascherato dagli occhi penetranti ti ha appena scelto come sua preda.
Quale sarà il vero prezzo di questa proposta indecente?
Quando Jared Leto posa il suo sguardo su di te puoi sentirti al sicuro?
Genere: Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Il telefonino suonava dalla borsa mentre ero spalmata sulle porte della metroA pensando a quanti germi stavano entrando in contatto con la superfice leggera del mio abito color cipria.
Odiavo il lunedì mattina e soprattutto odiavo la metroA di Roma: un groviglio di generi umani arrivati da ogni parte del mondo. Turisti nascosti dietro le guide tascabili della città o intenti a parlottare con mille dialetti diversi; religiosi avvolti nella loro divinazione; manager impettiti nelle loro giacche; madri esaurite dalla carovana di figli o troppo assonnati o fin troppo svegli; studenti; lavoratori; ragazzi…In un vagone della metro potevi trovarci stipato il mondo in attesa della prossima fermata.
Piazza di Spagna: la mia fermata!
Ed ecco nuovamente suonare il mio cellulare.
 Sapevo perfettamente chi mi stava chiamando con tale insistenza ed io, con la medesima insistenza, continuavo ad ignorarlo. Il mio capo detestava essere ignorato e ancora di più detestava non riceve risposa alle sue chiamate ed io mi divertivo a farmi detestare.
Non riuscivo a capire come potesse una persona così minuta come lui avere un ego così smisurato e, soprattutto, come riusciva a percepire il mondo intorno a lui come una costante tragedia che doveva essere scaricata su noi account.
Mentre percorrevo Via dei Condotti in direzione lavoro rimasi rapita dalla vetrina della Burberry e non per il perfetto stile british ma per il riflesso della mia persona: i capelli erano un vero disastro ed il mio bauletto griffato, da dove proveniva la fastidiosissima suoneria del mio iphone, era così compresso che soffrì alla sua vista (mi era costato un intero stipendio e non meritava di essere trattato così dalla metro).
 << Maledizione! Maledetta Metro! Uno ci mette tanto impegno la mattina e poi si deve ridurre a questo schifo >> borbottai mentre cercavo di recuperare un aspetto decente per il mio ingresso in agenzia.
Ad ogni passo ripensavo al perché avessi scelto di diventare un account pubblicitario ma poi vedevo quel lusso illuminarsi dietro vetri ben puliti, i colori sgargianti, i messaggi accattivanti dei cartelloni con seducenti modelle e muscolosi uomini ammiccanti la risposta si fermò esattamente sulle mie labbra: facevo l’account pubblicitario perché questo mondo meritava di comunicare il bello e la gente meritava di comprare quel bello.
A pensarci bene l’account pubblicitario è un po’ come l’aiutante dell’Inferno che solletica le persone a cedere ai propri peccati capitali: immagini, slogan, eventi per la fedeltà verso il prodotto.
Un’idea in cambio di denaro.
Forse un’immagine un po’ troppo apocalittica persino per l’eterna e cristiana Roma ma quel ruolo era fatto per me, o almeno era quello che davo a vedere al mondo.
Prima regola: apparenza!
Il tuo cliente non vuole sapere della tua brillante laurea a pieni voti e non ti chiederà mai quanti master e quanta gavetta hai fatto; lui vuole vedere abiti firmati, sfacciataggine, sicurezza e soprattutto vuole vedere i suoi soldi diventare altri soldi…tanti altri soldi.
Se nessuno diffonde il verbo la massa resta nell’oscurità, e poco importa se si parla di verità assoluta o del nuovo brand di culto.
<< Andrea sono qui, puoi respirare>> dissi al mio capo mentre mi liberavo della borsa e avviavo il mio computer.
<< Hai ignorato le mie chiamate. E se fosse stata un’emergenza? >>
<< Andrea per te è sempre un’emergenza. Ma cosa poteva mai succedere alle…>> guardai l’orologio sul mio polso << alle 9.00 di lunedì mattina. Una splendida mattina con un cielo cristallino>> ribattei al mio capo mentre sullo schermo davanti a me si aprivano le schermate skype con gli aggiornamenti dei membri del mio team.
Il mio capo si sfilò la sua giacca dal perfetto taglio sartoriale ed accomodandosi su una delle poltroncine di fronte alla mia postazione iniziò ad arrotolarsi i polsi azzurri della camicia. << Facciamo un debrief per vedere cosa manca. E’ la settimana decisiva >> disse fissandomi talmente intensamente da allontanare la mia attenzione dallo schermo per proiettarla verso la sua persona.
Aprì il mio quaderno di lavoro e diedi inizio alla riunione.
<< A 7 giorni esatti dall’evento, anzi 6 giorni e 15 ore, con i ragazzi abbiamo fissato la sala ricevimenti, scelto il menù ed il catering per il rinfresco, stamattina ho appuntamento con l’allestitore per il sopralluogo e mercoledì iniziamo a lavorare sull’arredo; gli inviti sono stati spediti il mese scorso e ho ricevuto conferma dal cliente di quanti parteciperanno; le camere di albergo prenotate; transfert organizzato; oggi alle 15:00 tu devi selezionare le ragazze che si occuperanno dell’accoglienza e ricordati di comunicarmi le taglie a Melania per i vestiti. Direi che è tutto, o forse mi è sfuggito qualcosa? >> chiesi al mio capo dopo avergli ricapitolato quanto era stato fatto fino a quel momento.
Comprendevo la sua preoccupazione: eravamo un’agenzia pubblicitaria e di eventi famosa ed il nostro cliente, ancora più famoso di noi, aveva deciso che non gli bastava più essere un brand prestigioso della moda ma si era dato alla beneficenza con la realizzazione di un ballo in maschera per raccogliere fondi.  Nel linguaggio tecnico si dice Corporate Social Responsibility ma si legge “fai del bene e ricevi del bene dal fisco”.
<< Stiamo procedendo bene, sembra tutto in perfetto orario sulla scaletta. Hai avvertito la stampa dell’evento? >> replicò il mio capo.
<< Scherzi? Mi credi una principiante? Fabrizio ha mandato un comunicato stampa a tutte le maggiori testate giornalistiche sia su carta che su schermo. Stanno aspettando tutti domenica sera. >> ribattei in modo sfacciato lasciando trapelare la soddisfazione per come avevo gestito il lavoro insieme al mio team.
<< Emma sarai supervisor all’evento >> proclamò solennemente il mio capo mentre recuperava la sua giacca per conquistare il corridoio.
<< Non se ne parla Andrea! Lo sai bene! Io muovo i fili ma sono gli altri che vanno in scena >> replicai duramente alzandomi di scatto dalla poltrona e sbattendo le mani sulla superfice chiara della mia scrivania.
<< Non l’ho deciso io ma…>> ed alzò l’indice della mano destra verso il cielo. Quello era il nostro modo di comunicare che la decisione non veniva da lui ma da gentil richiesta del cliente.
<< Ma che palle però! >> esclamai lasciandomi cadere sulla sedia imbottita dietro di me ed iniziando a ticchettare nervosamente sul mouse.
Odiavo partecipare agli eventi, odiavo dover socializzare con i clienti e soprattutto odiavo stare in mezzo a tanta gente e quel party benefico aveva tre fogli pieni di nominativi.
Ed ecco che mi trovavo di fronte all’unico aspetto negativo del mio lavoro: dover essere nell’evento!
“Ragazzi buongiorno! Venite di qua che parliamo del progetto Maschera a Venezia. Manca una settimana. Dai, dai, dai!" Scrissi in chat al mio team che subito comparve nella stanza.
 
 
Ore 11:30. Appuntamento con Roberto per la sala.
<< Buongiorno Roberto, come stai? Hai avuto problemi ad arrivare? >> chiesi al nostro fioraio di fiducia dirigendomi verso di lui e porgendogli la mia mano per una salda stretta di saluto.
<< Bè traffico, ma per questa zona è quasi normale. Allora questa sala? Hai già un’idea? >> mi chiese quell’uomo di mezza età con un folto ciuffo brizzolato ed una folta barba ben curata.
<< Peonie arancioni se è ancora periodo, altrimenti fiori di campo del medesimo colore. Sui tavoli voglio vasi stretti e lunghi con richiami sul dorato, stesso colore per le candele. Come ti ho già annunciato l’evento si ispira alla Venezia di Casanova quindi deve essere tutto carico di oro, arancio, vorrei anche aroma di cannella e vaniglia. Voglio lusso e seduzione e tu sai esattamente come fare >> dissi mentre gli facevo strada all’interno di quel vasto salone dai pavimenti di marmo e le pareti damascate.
Dopo una lunga contrattazione sul materiale necessario e sui costi da sostenere liquidai Roberto con un nuovo appuntamento per il mercoledì successivo dove, insieme al personale del catering e agli altri del team, avremmo dato forma al nostro palcoscenico.
Chiamai un taxi in direzione Via della Vite perché il lavoro mi chiamava (in realtà era il mio capo ad aver asciato 12 chiamate perse, 5 note vocali su WhatsApp e 7 sms ) e lo show doveva continuare.
Eppure avevo la sensazione che qualcosa stava per travolgermi…
  
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