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Autore: Touch the sound    22/10/2016    1 recensioni
Dei lunghi capelli neri su quella pelle così pallida, i suoi occhi erano chiari e belli. Gli occhi azzurri gli erano sempre piaciuti.
[Chris-Ricky]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 25 - Don't wanna be someone who walks away so easly.
Quella sera, come d'accordo, Chris sarebbe andato a cena a casa di Michael. Non si sentiva per niente nervoso, sapeva che si sarebbero persi in futili chiacchiere e Michael l'avrebbe adorato ancora di più. Sheryl non si era fatta vedere per tutta la mattina, nel pomeriggio invece era arrivata in officina con i suoi immancabili occhiali da sole appesi alla camicetta azzurra e i capelli scombinati dal vento. Allo sguardo attento di Chris non erano sfuggite le occhiatine che le avevano lanciato alcuni clienti. Non li sopportava, alcuni di loro si piazzavano lì e fiassavano ogni donna che passava, Sheryl era solo una delle tante belle ragazze che ormai potevano solo sognarsi. Certo, lei non faceva nulla per allontanare quegli sguardi, sembrava farlo apposta a mettersi pantaloni sempre più aderenti in cui le sue belle forme risaltavano ulteriormente.
La ragazza salutò suo padre e poi si avvicinò a Chris.
«Ho un programmino per stasera»
«Buonasera anche a te» disse Chris lasciandosi sfuggire un sorriso. 
«Sì, sì, adesso ascoltami, a te piace la carne?»
Chris non potè non ripensare alla cena che Ricky, anche se non del tutto con le sue mani, gli aveva preparato.
«Sì, mi piace» disse infine.
«Perfetto» esclamò Sheryl.
«Ho comprato delle bistecche che solo a guardarle mi è venuta fame, poi preparerò anche altre cosine che ho trovato in un libro di ricette vecchio come mia nonna»
Se la immaginava ai fornelli, gli dava l'idea di un ragazza un pò imbranata ma che alla fine portava in tavola dei piatti almeno mangiabili.
«Ho anche un piano B» disse senza perdersi d'animo.
«E sarebbe?»
«Bhe, se riduco le bistecche in tre pezzi di carbone, ordino la pizza»
«Mh, un ottimo piano B, meglio di quello originale» la prese in giro. Sheryl finse una risata, poi disse che sarebbe corsa a casa, doveva cominciare con la preparazione della cena. La guardò andare via e, in quell'officina grigia e sporca, sembrò essersene andato un raggio di sole. 

Alla fine di quella giornata alquanto estenuante, Chris ricevette una chiamata da Ricky. Adorava sentire la sua voce quando era stanco, lo tirava su di morale. Anche se stavano al telefono per due minuti, anche se non parlavano di nulla in particolare, anche se si sentivano solo per salutarsi, per lui era importate. La sua voce era sempre bellissima. Ciò che gli piaceva di più era che poteva riconoscerne ogni singola sfumatura e quella sera la sentiva triste. Sapeva cos'era, avrebbe preferito passare quel sabato sera con lui. In realtà aveva pensato di chiedere a Michael se per lui era un problema rimandare la cena, ma poi aveva deciso di lasciar stare. Non cascava il mondo se per una sera stava lontano da Ricky. 
Si salutarono solo quando Chris riuscì a strappare almeno una risata all'altro, poi ritornò da Michael che stava chiudendo l'officina.
«Chris, stavo pensando... visto che si è fatto già tardi, ti va di venire ora a casa mia?»
«Volevo prima farmi una doccia»
L'uomo non sembrò scomporsi da quella specie di rifiuto.
«Puoi farla a casa mia... non sarebbe neanche la prima volta»
Chris rimase immobile per qualche secondo ricordando la mattina in cui si era risvegliato nel suo letto e poi, come se fosse stata davvero casa sua, si era infilato nella doccia per togliersi di dosso la puzza di alcol e tutta la stanchezza. Si ricordò anche di quel maglione che gli aveva preso e che gli aveva restituito solo dopo essere stato assunto.
«Va bene, avverto mia sorella e poi possiamo andare» 
Michael annuì e gli disse che l'avrebbe aspettato in macchina. Chris chiamò Betsy che rispose quasi subito.
«Chris, stai tornando?» chiese la ragazza.
«No, ti ho chiamato per dirti che non passo per casa, torno dopo cena»
«Ah, okay... non fa niente, mangerò qualcosa con mamma»
A Chris dispiaceva sempre lasciarla sola. Di sera poi aveva anche quella paura perenne che potesse succederle qualcosa. E poi Chris sapeva bene quanto apprezzasse passare del tempo con lui, toglierle anche quel poco lo faceva sempre stare un pò male.
«Stai attenta, okay? Io non farò tardi»  
«Va bene, divertiti»
Si salutarono e Chris raggiunse l'auto di Michael. L'ultima volta che ci era salito nemmeno se la ricordava. Aveva dei flash di quella terribile serata della sua vita, ma forse era un bene aver rimosso tutto. 

Michael lasciò che Chris si lavasse per primo, nel frattempo aiutò sua figlia ad apparecchiare la tavola. Sheryl sembrò molto felice di avere già Chris in giro per casa. Michael aveva notato che il loro era un bel rapporto, ma non era così stupido da non accorgersi degli sguardi di sua figlia. Non ci avrebbe giurato, ma sembrava si stesse prendendo una cotta per lui. La gelosia non era mai stata nella sua natura quindi non era ciò che provava, sperava solo che quella storia non andasse troppo oltre, ma solo per paura che potesse finire male. Era l'unica cosa che aveva sempre temuto da quando la sua ex moglie aveva dato alla luce quella piccola bambina, non voleva che un qualsiasi ragazzo potesse spezzarle il cuore. Non sapeva se le era già successo, non conosceva i particolari della sua vita, ma l'amava infinitamente e allo stesso tempo si stava man mano affezionando a Chris. Non voleva screzi fra di loro. 
Quando il ragazzo apparve nel salone, Michael ne approfittò subito per andare a farsi una doccia, non voleva che Sheryl finisse di cucinare e la cena si freddasse.
Chris seguì quella scia profumata che veniva dalla cucina e vi trovò Sheryl che mescolava qualcosa in una padella. La ragazza si accorse subito della sua presenza e appena lo vide scoppiò a ridere.
«Quella è di mio padre?» gli chiese indicando l'ennesima maglia che aveva preso in prestito.
«Così sembra... non mi sta grande, vero?»
Sheryl scosse la testa con un'espressione divertita. In effetti non era proprio della sua taglia, ma se la faceva andare bene. Era quasi impossibile contraddire o avere qualcosa da ridere nei confronti di Michael, era così tanto generoso che si sarebbe accontentato anche di un sacchetto dell'immondizia.
«Che c'è?»
A quella domanda Sharyl si accorse che il suo viso era velocemente cambiato. Lo stava guardando, più intensamente rispetto alle altre volte, il suo sorriso l'aveva incantata.
«Ehm... niente» disse ritornando velocemente alle sue faccende. Non si voltò più verso Chris che, non sapendo bene cosa fare, decise di prendere un pò d'aria fresca sul balcone. Non era enorme, ma c'era un tavolino, qualche sedia e una poltrona che sembrava comoda, ma aveva l'impressione di non potercisi sedere visto che aveva piovuto tutto il giorno. Si appoggiò alla ringhiera grigia e un pò arrugginita in alcuni punti. Cercò di guardare in basso dove non c'era altro che un parcheggio buio, in quel momento entrò qualcuno lasciando lì la macchina e scomparve alle porte dell'edificio. Un senso di nausea lo colpì subito, nell'attimo in cui non ebbe più nulla da osservare. Aveva paura di una cosa così stupida, eppure non poteva farci nulla. Provava sempre ad affrontare ciò che temeva, ma quella paura probabilmente non l'avrebbe mai abbandonato. Stare così in alto lo spaventava a morte. Gli sembrava strano perchè non aveva paura di cadere e credeva di non essere impaurito nemmeno dal fatto di essere così in alto. Era semplicemente il suo corpo che reagiva male nonostante sapesse che nulla di brutto gli sarebbe accaduto.
Si allontanò quando iniziò a sentire la classica ondata di calore che presto l'avrebbe fatto sudare. Quelle vertigini avrebbero tardato ad andare via, lo sapeva già. 
«Che stai facendo?» gli chiese Sheryl dalla cucina.
«Provo a non morire» soffiò a denti stretti. 
«Eh?»
Chris decise che forse era meglio rientrare, il solo pensiero di essere su un balcone al settimo piano gli faceva girare la testa.
«Sei pallido» disse la ragazza, preoccupata, appena lo vide.
«No, sto bene, ho solo... guardato giù e non avrei dovuto farlo» rispose. Se non fosse stato per quel leggero malessere che ancora propvava, avrebbe riso di se stesso. 
«Oh, ho capito... è una cosa così carina, non  me l'aspettavo da te»
«Non c'è nulla di carino in tutto questo, e poi che significa che non te l'aspettavi da me?»
La ragazza prestò la sua attenzione solo a lui, dimenticandosi di qualche secondo della cena.
«Sembra sempre che tu non abbia paura di niente»
«Hai detto bene, sembra»
La ragazza nascose un sorriso dietro alle leggere onde dei suoi capelli e ritornò alla cena. Non voleva che dopo tanta fatica tutto andasse in fumo.
«Puoi versarmi un pò d'acqua, per favore?» gli chiese dopo poco, allungando verso di lui un bicchiere. Chris lo prese e si avvicinò al frigorifero, ma prima che potesse fare altro venne colpito dall'ennesimo capogiro e il bicchiere gli sfuggì dalle mani. Cadde sul pavimento frantumandosi in mille pezzi, alcuni grandi e altri piccoli. Scintillavano sotto la luce e Chris non riusciva a smettere di guardarli. Sheryl lo raggiunse subito, gli chiese qualcosa mentre si chinava a raccogliere i cocci, Chris però ancora non si muoveva e la ragazza si accorse della sua espressione solo quando si alzò col vetro fra le mani.


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Tredici anni prima.
Due pianti si distinguevano bene in casa sua. La storia era sempre la stessa, ogni singolo giorno. Non importava che ore fossero, se fosse mattina o sera, quando Jonathan cominciava a piangere era impossibile fermarlo. Aveva sempre fame, ma dopo aver mangiato voleva che gli cambiassero il pannolino, dopo continuava a piangere per ore e tenerlo in braccio non era più una cosa piacevole. Chris non riusciva a capire perchè i suoi genitori, una volta stanchi di sentire i suoi lamenti continui, gliela dessero sempre vinta su tutto. Sua madre era disperata e distrutta. A Chris un pò piaceva quando Jonathan faceva i capricci e sua madre subito correva da lui, voleva dire che non era proprio così cattiva come l'aveva immaginata. Da lei raramente aveva ricevuto una carezza ed era geloso del rapporto che avevano quei due, però non diceva mai nulla, se ne stava sempre zitto. Quando aveva provato a copiare i comportamenti di Jonathan, sua madre l'aveva sgridato e suo padre gli aveva tirato uno schiaffo che gli aveva fatto male per tanto tempo. Dicevano che non doveva fare il bambino, che doveva crescere perchè non volevano due marmocchi lagnosi, uno gli bastava. Allora Chris aveva imparato a stare zitto e aspettare che i suoi genitori si accorgessero di lui, anche se poi non succedeva mai.
Quella sera a piangere non era solo Jonathan, ma anche sua madre. Lui non sapeva cosa fare, non aveva alcuna idea del perchè lei stesse piangendo. Suo padre era stravaccato sulla poltrona logora e ai suoi piedi c'erano già quattro bottiglie di birra vuote. Si chiedeva perchè non facesse mai niente quando vedeva sua moglie in quello stato. A volte lo vedeva uscire e tornare dopo poco, la trascinava in bagno o in camera da letto e poi non si sentiva più nulla. Solo con gli anni avrebbe capito che suo padre aiutava sua madre comprandole la droga, e che non lo faceva ogni volta perchè non sempre aveva i soldi. 
Chris era solo un bambino, non sapeva che la sua situazione non era delle migliori, aveva vissuto tutta la sua vita chiuso in casa o con i pochi bambini che abitavano lì vicino. Anche loro correvano a casa terrorizzati se venivano richiamati, e anche loro avevano i lividi addosso a volte. Non aveva mai visto una realtà diversa, quindi lasciava che Jonathan e sua madre piangessero e che suo padre si lamentasse perchè con le loro voci non riusciva a seguire il quiz in tv, e stava in silenzio. A dire il vero, neanche lui sopportava più di ascoltarli, così si alzò dalla sedia per tornare in camera sua, ma prima tolse la sua tazza gialla dalla tavola e la pulì. Tutte le sere beveva il latte da quella tazza e se non la toglieva lui sarebbe rimasta lì anche per giorni. O, nel peggiore dei casi, suo padre l'avrebbe lanciata contro un muro in uno scatto d'ira.
Quando si avviò in camera sua trascinando i piedi, suo padre richiamò la sua attenzione con un biascico che Chris odiava. 
«Prendimi un'altra birra»
Chris, stanco come si sentiva, non avrebbe voluto accontentarlo, ma se non l'avesse fatto poi avrebbe urlato anche lui. Tornò in cucina e gli prese la birra, l'aprì prima che fosse lui a chiederglielo. Suo padre allungò il braccio tendendogli il bicchiere. Chris, pazientemente, lo prese e versò lentamente la birra. Michael gli aveva insegnato a versarla in modo tale che non formasse la schiuma in cima, poi aveva pensato che tutto il resto delle cose le poteva benissimo imparare da solo. Quell'uomo non gli dava mai troppa importanza, ma sotto i suoi occhi si sentiva a disagio e pensava sempre che di lì a poco gli avrebbe urlato qualcosa di cattivo. Quella sera lo scrutava stranamente con un'espressione fin troppo attenta. Chris non osava guardare altro che il bicchiere, ma lo sentiva già il suo sguardo attaccato addosso. Mille domande gli riempirono la testa e sentì un tremolio afferrarlo in una morsa. Non voleva farlo, non voleva che quel bicchiere gli sfuggisse così stupidamente dalle mani, non voleva che tutto il contenuto si rovesciasse sui pantaloni di suo padre e gocciolasse sul pavimento, non voleva che il rumore del vetro infranto facesse piangere Jonathan ancora di più.
Suo padre scattò in piedi e lui strizzò gli occhi, già sapeva che l'avrebbe picchiato. Lo afferrò per il maglione sdrucito e gli inveì contro. Chris non lo ascoltava, era una tecnica che aveva imparato da un pò. Non poteva tapparsi le orecchie, ma riusciva a non sentire la sua voce, la eliminava dalla sua testa. Purtroppo però i suoi occhi non potevano non vedere quella faccia arrabbiata che sembrava ruggire, e la puzza di alcol e fumo così vicina era impossibile da ignorare. Aveva molta paura e nessuno era lì a togliergli di dosso quella montagna di ossa e carne infuriata. In quei casi sperava che si limitasse a ripetergli come un automa quanto fosse stupido e inutile.
«Non ti bastano mai gli schiaffi?» gli domandò, tirando sempre più forte il maglione. Ce l'aveva addosso, a Chris faceva schifo anche solo toccarlo. Era sporco e puzzava. Neanche lui poteva definirsi pulito, ma la doccia non la faceva da soli due giorni, suo padre forse da una settimana. 
«Mio padre aveva ragione, servono sempre le maniere forti... spogliati»
Chris era confuso e non credeva di aver sentito bene, ma capì di non essersi sbagliato solo quando suo padre cominciò a ripetere che doveva spogliarsi e nel frattempo gli frugava fra i vestiti nel tentativo di cominciare a toglierglieli. Non sapeva cosa voleva fargli, di solito per picchiarlo non si metteva a perdere tempo nel denudarlo.
Si sentì afferrare per un braccio e trascinare per casa. Gli aveva lasciato addosso solo le mutande, ma per Chris era come stare totalmente nudo. Ciò che non capiva era il senso di quello che stava facendo, ma poi tutto si fece chiaro quando si fermarono davanti alla porta e suo padre l'aprì spingendolo fuori. Sentì immediatamente il freddo pungente e i piedi bagnarsi. Era dicembre e aveva nevicato per tre giorni di seguito, la neve si stava sciogliendo sotto di lui, ma non poteva combattere il gelo che gli comprimeva le costole ad ogni respiro.
«Resta qua fuori... e non provare a scappare o a chiedere aiuto, io ti guarderò dalla finestra» 
Chris non riuscì a rispondergli, la porta gli si chiuse in faccia sbattendo forte. Vide subito la figura di suo padre comparire dalla finestra di fianco. 
Aveva cominciato a tremare e a battere forte i denti. Corse verso quella figura dietro al vetro sperando di ritrovare un briciolo di umanità in lui chiedendogli scusa, ma suo padre lo guardava con indifferenza e la cintura dei suoi pantaloni già appoggiata sul davanzale non era d'aiuto. Si arrese dopo qualche minuto e gli diede le spalle cominciando a piangere. Gli sembrava di lacrimare lame di acciaio, gli tagliavano il viso. Stava attento a non mordersi la lingua fra i denti che battevano forte. Cercava di non restare fermo, di muoversi almeno un pò, ma col passare del tempo iniziò a sentirsi tanto debole da non riuscire nemmeno a reggersi in piedi. Non era mai stato molto forte fisicamente e sapeva bene che lì fuori non avrebbe resistito ancora molto. Piangeva, ma non per quello che stava vivendo, piuttosto perchè il suo desiderio più forte era quello di riuscire a scappare e trovare un riparo. La cosa che più desiderava non poteva ottenerla, aveva il terrore di un'ennesima reazione di suo padre. Allora non gli restava che stare lì seduto, a tremare e singhiozzare. 
Chris era solo un bambino e in quel momento, più di tutte le altre volte, desiderava morire. E quel desiderio, se pur forte, lo terrorizzava. Se nessuno si fosse deciso ad riaprire la porta, si sarebbe avverato.
Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando era stato sbattuto fuori casa. Gli sembrava un'eternità, un periodo tanto lungo da non poter essere inseguito nemmeno da un orologio, nemmeno da quelli costosi che sua madre invidiava alle persone ricche. Ma loro non erano ricchi perchè non avevano mai posseduto un orologio d'oro, così diceva sua madre. Chris non l'aveva neanche mai vista una persona benestante, non sapeva nemmeno che aspetto avesse, poteva solo immaginarsela come una creatura quasi mitologica. In quel momento, fra tutti i pensieri, ragionò sul fatto che sua madre avesse ragione: loro non erano ricchi. Nella sua testa, un bambino con un orologio costoso al polso, non poteva stare sdraiato fra la neve sciolta, con le dita delle mani tanto intorpidite da non riuscire più a sentirle e con un continuo tremare che gli contorceva le viscere. 
Un sospiro gli sfuggì dalle labbra e pianse, continuò a piangere per ancora molto tempo, sperando sempre di più di trasformarsi in quel bambino ricco. Così, come per magia. Ma dopo un pò capì che nulla sarebbe accaduto. Perse tutto ciò che gli rimaneva della sua infanzia da bambino povero, la magia non esisteva più e disse addio al suo vecchio amico immaginario che non era di fianco a lui a tendergli la mano. Provava una strana sensazione, sentiva i mille dolori sparsi nel corpo, la tristezza impressa nel cuore, ma la sua testa era leggera. Anche se continuava a piangere, aveva smesso di singhiozzare. Pensò che gli sarebbe piaciuto vivere ancora qualche anno, ma gli occhi gli si chiudevano e non era come quando aveva sonno.  Già sapeva che li stava chiudendo per l'ultima volta, sapeva che addormentarsi significava non potersi svegliare mai più. Ne era consapevole perchè lui non era stupido, anzi, fra tutti i bambini sapeva di essere quello più intelligente, non sbagliava mai e qualunque cosa dicesse questa poi accadeva. Chris aveva sempre pensato, pensato e pensato prima di aprire la bocca e sputare fuori parole inutili, era una caratteristica che l'aveva sempre distinto dagli altri bambini. Per il resto, era identico agli altri, vestito di stracci, con le unghia mangiucchiate e qualche segno addosso lasciato come ricordo da suo padre. Ma ormai non era più importante neanche fare differenze fra lui, i figli dei vicini e i bambini ricchi, allora chiuse gli occhi e aspettò che i dolori lancinanti svanissero e che quel freddo fosse rimpiazzato da qualcos'altro, qualunque altra cosa. 
Provò un'emozione strana quando percepì qualcosa toccargli il viso, era la stessa sensazione che provava quando piangeva. La sua curiosità lo costrinse a riaprire quegli occhietti sempre un pò vispi, ma che in quella serata avevano perso la loro lucentezza. Non riuscì ad avere subito una completa percezione di ciò che stava accadendo intorno a lui, ma dopo poco il suo corpo venne scosso ancora, ma dallo spavento. Un tuono così forte non l'aveva mai sentito, ma una pioggia come quella che sarebbe arrivata dopo pochi secondi l'aveva già vista, era comune che lì arrivassero tempeste di quel genere. Guardò con gli occhi socchiusi il manto di neve sulla strada sciogliersi sotto la pioggia e nonostante tutto, riuscì a tirare su un angolo della bocca, una scarsa imitazione di un sorriso. Quella pioggia sembrava calda sulla sua pelle di ghiaccio, gli diede qualche istante di sollievo. Inaspettatamente, quei pochi secondi gli bastarono a riprendere coscienza del suo corpo. Non capiva cosa gli stesse succedendo, perchè all'improvviso tutto sembrava essere ritornato così reale. Per la prima volta prese un respiro di proposito e non solo perchè il suo corpo ne sentiva il bisogno. Decise che non sarebbe morto lì. Suo padre si sarebbe arrabbiato molto, forse l'avrebbe ucciso dopo qualche minuto a calci e pugni, ma Chris non sarebbe rimasto nudo in quel freddo di dicembre. Prese ancora qualche respiro,sapeva quanto fosse necessario per dare forza al suo corpo debole. Ma dovette farlo piano, gli sembrava di inspirare veleno ogni volta. Quel veleno fu la sua unica arma, lo aiutò ad alzarsi da quella pozza d'acqua gelida. Non sapeva se dopo tutto quel tempo suo padre fosse davvero rimasto in casa ad osservarlo, era spaventato al solo pensiero che non si fosse rimesso sulla poltrona a bere la sua birra da un altro bicchiere, ma ormai si era alzato, non poteva deludere se stesso così tanto. Non guardò mai alle sue spalle. Cominciò a camminare, prima piano, zoppicando e rischiando di cadere, poi sempre più veloce. Sentiva i muscoli come pietre pesanti, le ossa volevano sciogliersi, accasciarsi al suolo. Ogni passo era sempre più complesso di quello precedente. Non capì quanto realmente si fosse allontanato da casa sua quando due braccia lo afferrarono, gli si strinsero intorno e lo sollevarono dal cemento duro e spaccato della strada. Non riusciva a sentire nulla, nelle sue orecchie cera solo un fischio, quello del silenzio.  Quelle braccia intorno al suo corpo gli stavano lacerando la pelle, lo stringevano forte, lo spostavano. Sapeva che quello era suo padre, la puzza di alcol e sudore padroneggiavano anche su quella dolce fragranza della pioggia. Si abbandonò, si lasciò stritolare e portare ovunque lui volesse. Era realista, in quel momento sapeva che pur volendo non avrebbe mai potuto combattere contro di lui, cercare di sfuggirgli era inutile. Non urlò, non provò neanche a richiamare l'attenzione di qualcuno. Se ne sarebbero comunque rimasti tutti a letto o, qualcuno più impavido, sarebbe uscito e avrebbe osservato la scena con curiosità. E Chris non aveva mai amato dare spettacolo di se stesso, non in quel modo. Allora rimase in silenzio e attese. La parte più brutta per lui arrivò dopo pochissimi minuti, quando sentì il suo corpo sbattere pesantemente su una superficie dura. Il pavimento di casa sua. Sentì di nuovo il pianto di Jonathan e quello strido straziante gli scaldò il cuore. Pensò solo a nutrirsi del bene che voleva a quel bambino che a quattro anni ancora non smetteva di comportarsi da neonato. Non poteva ignorare del tutto i calci che stava prendendo, le cinghiate che di tanto in tanto si facevano sentire, più acute e insopportabili. Allontanare la mente lo aiutò a superare quella notte. Una notte in cui Chris, un bambino povero e senza speranza, aveva pianto, sperato di morire, sorriso per una tempesta e ascoltato i lamenti di suo fratello come se fossero l'unica soluzione per fuggire a quell'inferno.    

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Le aveva chiesto scusa, aveva finto di non aver improvvisamente rivissuto una scena che pensava di aver accantonato per sempre, poi l'aveva aiutata a ripulire. A Sheryl non era sfuggita la totale assenza dell'altro, e capì che Chris aveva mentito quando le aveva detto che era solo colpa dei giramenti di testa. Era sicura che qualcosa l'aveva turbato, ma avrebbe provato a chiedergli spiegazioni in un altro momento, quella non era la sede adatta.
Lo osservò per tutta la serata, il suo atteggiamento era diverso dal solito. Chris era un ragazzo quasi sempre sorridente, abbastanza spontaneo. Dopo l'episodio del bicchiere, si era come rabbuiato e i suoi sorrisi sembravano comparire per sbaglio sul suo viso, erano forzati. Non dava l'idea di essere triste, piuttosto sembrava pensieroso. Teneva lo sguardo fisso nel vuoto finchè poi non veniva distratto. Lei provava sempre a smorzare quella tensione con qualche battuta, ma poi riceveva uno sguardo strano. Forse Chris aveva intuito che lei si era accorta del suo comportamento. Moriva dalla voglia di sapere cosa stesse pesando e, soprattutto, sperava che non si fosse creata quel contorto castello di pensieri inutilmente.
Dopo cena Chris sembrava ancora più irrequieto agli occhi di Sheryl. Ne approfittò di un momento in cui si ritrovarono entrambi soli in cucina, per assicurarsi che stesse bene.
«Chris, è successo qualcosa? Mi sembri un pò nervoso»
Il ragazzo, che la stava aiutando a sparecchiare, posò  i piatti nel lavello.
«No, va tutto bene... devo chiamare mia sorella, scusami» 
«Sì, tranquillo» disse seguendolo appena con lo sguardo mentre lui ritornava sul balcone. Capiva perchè era sempre preoccupato per sua sorella. L'aveva visto il posto da cui proveniva e non era il massimo dello splendore. Davanti ai suoi occhi, in pieno giorno, aveva visto passare un uomo ubriaco che si reggeva al braccio di una donna con addosso una minigonna inguinale. Quella non era di certo sua moglie.
Decise di non restare lì impalata ad ascoltare la sua telefonata e finì di sparecchiare. Solo quando lo vide rientrare, fingendosi il meno interessata possibile, gli lanciò uno sguardo e sorrise.
«Come sta tua sorella?»
«Bene, ti saluta» 
Sheryl sorrise. Era già cambiato qualcosa, il viso di Chris era totalmente diverso, più rilassato. Ormai aveva passato abbastanza tempo con lui da poter dire che quella era la sua parte migliore. Quando era tranquillo tutto gli riusciva meglio, intorno a lui le cose sembravano funzionare bene.
«Chris, ti va una sigaretta?» gli chiese Michael tendendogli già il pacchetto per offrirgliene una. Chris accettò e insieme si recarono sul balcone. Stavolta Chris stette ben attento a non sporgersi troppo e a guardare altrove.
«Non sapevo che fumassi» disse Chris osservando la strana immagine di Michael con una sigaretta fra le labbra.
«Infatti non fumo di solito, avrò questo pacchetto da un mese, ma dopo una cena così me la posso concedere una»
«Già... era buona la cena» disse Chris.
«Detto fra noi, da Sheryl mi aspettavo di peggio» aggiunse dopo qualche istante. Michael rise, annuendo.
«È stata cresciuta da una donna brava in cucina e da un cuoco, c'era da aspettarselo»
Chris, per un attimo, aveva dimenticato ciò che Sheryl gli aveva raccontato sulla sua vita, ma gli ritornò tutto alla mente giusto in tempo, evitando situazioni imbarazzanti e lunghi silenzi.
«Il marito della tua ex moglie?»
Michael annuì.
«Ha imparato a cucinare da lui... e pensare che se mai dovesse bucare non saprebbe cambiare la ruota» disse con una voce meno allegra e lo sguardo pensieroso. Chris si sentì in dovere di provare a tirarlo almeno un pò su.
«Sarebbe una scusa perfetta per poterti chiamare, no?»
L'uomo gli sorrise.
«A volte mi chiedo se almeno nel mio piccolo sono stato un buon padre, ma non lo so, io e Sheryl non abbiamo passato molto tempo insieme»
«Lei mi ha detto che in tutti questi anni tu l'hai sempre cercata, e il solo fatto che ti dispiace per non essere stato abbastanza presente, ti rende un padre migliore di tanti altri»
Michael si prese il suo tempo prima di parlare. Assorbì lentamente le parole di Chris che gli furono stranamente di conforto. Era da anni che non apriva bocca sull'argomento e parlarne non era per niente semplice.
«Tuo padre com'è? Non mi hai mai parlato di lui»
Chris si lasciò sfuggire un mezzo sorriso e un lamento che si undì anche contro la sua volontà.
«Mio padre è... probabilmente la persona più inutile di questo pianeta» disse senza alcuna inclinazione nella voce.
«Non c'è stato?»
Chris scosse la testa e ancora una volta Michael potè notare quanto fosse inespressivo il suo volto in quel momento. Non pensò che stesse nascondendo qualcosa dietro quella maschera, si vedeva che non stava provando assolutamente nulla.
«Prima restava un pò con noi, ma forse è stato meglio per tutti se ha preso l'abitudine di passare tutto il tempo fuori casa»
«E... tua madre?»
A quel punto, un istante dopo quella domanda, il viso di Chris cambiò. Stava pensando, con più intensità.
«Lei non... non sta bene, non è mai stata bene» disse.
«Non so cosa abbia, a volte passo anche mesi senza vederla... di solito se ne sta chiusa in camera sua e io che non sto mai a casa non la incrocio neanche se si alza una volta al giorno per andare in bagno, capisci?»
«In realtà è un pò difficile immaginarsi la tua situazione, pensavo avessi una famiglia... normale»
«Bhe, è questa la mia normalità... in compenso ho mia sorella che è meravigliosa, lei è una delle poche persone su cui so di poter contare»
Michael sorrise ripensando a quante volte al giorno lo lasciava libero di chiamare Betsy. Chris ripagava sempre quella sua gentilezza passando al telefono solo pochissimi minuti e riprendendo a lavorare subito dopo, senza perdere altro tempo. In fondo, non gli dispiaceva dargli qualche minuto di pausa, visto che a fine giornata gli portava sempre a termine ogni lavoro. Michael pensò che lui, all'età di Chris, non aveva tutta quell'energia che invece il ragazzo aveva ogni giorno. Spesso gli era capitato di lasciare incompleti dei lavori che potevano essere rimandati, ma Chris invece non lasciava mai nulla in sospeso. A meno che non fosse Michael stesso a chiederglielo.
Il giorno in cui Chris era andato da Michael a chiedergli se poteva dargli un lavoro, Michael aveva quasi pensato di mandarlo via. Ciò che aveva visto poco tempo prima non lo convinceva affatto. Un ragazzo che si ubriaca da solo, in quel modo così autolesivo, con gli occhi rossi e bagnati, non gli sembrava un buon partito per la sua piccola impresa. Fortunatamente però quel giorno Chris stava bene, i suoi occhi erano normali e l'unica cosa che gli stava chiedendo era di poter almeno concedergli un breve periodo di prova. Gli aveva detto di non aver mai lavorato in quel campo, ma aveva anche aggiunto che sapeva apprendere le cose velocemente. 
Quella sera, appoggiato al tavolo, con quel ragazzo di fianco, fu felice di avergli permesso di lavorare con lui. Chris, nonostante la sua giovane età, si era dimostrato una persona ligia al dovere e, per fortuna, non aveva dovuto mandarlo via come aveva fatto con altri.
«Spero di essere fra quelle persone, Chris... anche perchè se non è così da domani comincio a lavorare di nuovo da solo» disse con un sorriso alla fine. Non gli andava di passare quella bella serata a parlare di cose tristi, anche se gli piaceva capire qualcosa in più della persona con cui passava più tempo in assoluto.
Chris rise e gettò la sigaretta che, più che fumata, si era lasciata consumare dal vento.
«Te lo chiedi anche? Tu sei in cima a quella lista, vieni anche prima del mio miglior amico» rispose. Gli passò per la mente Trevor, che in realtà non se ne andava mai dalla sua testa. Non sapeva perchè non avesse trovato il tempo di chiamarlo o di cercarlo, ma presto avrebbero dovuto incontrarsi. Chris aveva l'assoluto bisogno di sapere se si era ripreso. E, comunque, un pò gli mancava.
Michael gli diede una pacca sulla spalla, poi insieme rientrarono in casa.
«Ah, finalmente, pensavo vi foste buttati dal balcone» esclamò Sheryl quando li vide rientrare. Aveva già ripulito tutto ed era comodamente seduta sul divano, davanti alla tv.
«Che umorismo macabro» mormorò Chris sedendosi di fianco a lei. Sheryl sembrò irrigidirsi per un attimo, poi gli sorrise. Era così evidente che le risultava difficile averlo intorno, soprattutto così vicino, e per qualche strana ragione Chris adorava punzecchiarla. Vedere la reazione che provocava in lei ogni volta era stranamente appagante. Gli piaceva farlo un pò con tutti, ma ovviamente preferiva dei soggetti che gli davano più soddisfazioni.

Michael l'aveva riaccompagnato a casa. Chris avrebbe preferito tornare da solo, ma lui aveva insistito. Si erano salutati e poi le loro strade si erano divise, si sarebbero rivisti il lunedì prossimo all'officina. 
Quando Chris rientrò in casa fu ben felice di trovarla come l'aveva lasciata. Betsy era già a letto, ma aveva aspettato che tornasse prima di addormentarsi. Chris si mise a letto senza spogliarsi, tolse solo le scarpe. Guardò per un pò sua sorella mentre si abbandonava al sonno più profondo. Ogni volta che tornava tardi a casa, la trovava ancora sveglia ad aspettarlo. Betsy, un pò come una mamma, diceva che dormiva più tranquillamente quando lo vedeva rientrare sano e salvo dopo un'intera giornata di assenza, ma Chris aveva il sospetto che invece lei non riuscisse a prendere sonno perchè aveva pura di stare sola. Da sveglia poteva essere vigile, sentire qualche eventuale strano rumore e scappare in caso di pericolo, ma se dormiva non poteva fare tutto ciò. La sua compagnia le dava conforto, non era sola. 
Quando ne ebbe abbastanza di vederla dormire, si alzò e prese il cellulare chiamando Ricky subito dopo.
«Mmmh»
Chris sorrise chiudendosi la porta alle spalle. Si avviò verso la cucina.
«Ehi... stavi dormendo?» gli chiese mentre cercava qualcosa da bere in frigo.
«Sì» rispose l'altro, la sua voce era appena percettibile.
«Scusa, non volevo svegliarti, ma... mi avresti ucciso se non ti avrei chiamato, non è vero?»
Dopo pochi secondi di totale silenzio sentì il rumore delle coperte e poi nient'altro. Aveva riagganciato? Senza dire altro?
Chris rimase a guardare lo schermo del cellulare con un'espressione incredula, nell'altra mano teneva una bottiglia d'acqua. Non ebbe neanche il tempo di ricomporre il numero che fu proprio Ricky a richiamarlo.
«Ehi, Chris... ehm, scusa, non l'ho fatto apposta»
«Okay, tranquillo, va tutto bene?» gli chiese. Nella voce di Ricky sentiva una strana inclinazione. Sperava di non essere troppo paranoico, ma dopo tutto ciò che era successo aveva sempre il timore che qualcosa potesse accadere da un momento all'altro. 
«Sì, tutto bene, è solo che mi sono appena svegliato quindi... com'è andata la cena?» 
«Bene, abbiamo mangiato tanto» disse aprendo la bottiglia e dirigendosi nel salone mentre beveva qualche sorso.
«Okay... senti, ho davvero tanto sonno e anche tu sarai stanco, perchè non ci sentiamo domani?»
«Ehm... va bene, a domani» disse dopo una breve pausa. Sentì un saluto in un sussurro, ma quando gli augurò una buonanotte era già troppo tardi, aveva staccato di nuovo. Non riusciva a capire tutta quella fretta, di solito era proprio lui a voler passare più tempo al telefono. 
Sospirò lasciando cadere il cellulare sul divano. Si distese nonostante quello non fosse il posto più comodo e accese la tv. Non c'era nulla di molto interessante a quell'ora, ma tanto a Chris non importava. Stava continuando a pensare a Ricky e al suo comportamento. Non che trovasse così assurdo che volesse dormire, ma avrebbe voluto passare un pò di tempo con lui, anche se solo al telefono.
Sospirò riprendendo il cellulare. Cercò un numero in rubrica, il numero di Trevor. Era tardi, ma sapeva di trovarlo sveglio, non era un gran dormiglione. Non lo sentiva da tempo, non sapeva neanche cosa dirgli, voleva solo parlare con lui. In realtà non aveva idea del perchè si fosse impuntato tanto. Neanche Trevor, una volta uscito dall'ospedale, si era fatto vivo, quindi perchè sentiva quel senso di colpa? Eppure si stava preoccupando per lui. Aveva voglia di rivederlo, di sapere come stava. Gli mancava avere il suo migliore amico fra le scatole.
Il cellulare squillò una, due, tre volte, ma Trevor non rispose. Ci riprovò ancora una volta e poi un'altra volta, ma niente. Avrebbe voluto distruggerlo, quel cellulare.
Certo, era probabile che stesse dormendo, però Chris si fece prendere lo stesso da quel leggero moto di rabbia. Si alzò dal divano e andò dritto in camera sua. Si rimise le scarpe e prima di uscire accarezzò delicatamente i capelli di sua sorella. Sapeva che non era il caso di lasciarla da sola a quell'ora, ma non riuscì a fermarsi. Chiuse la porta e uscì di casa. Camminò a passo spedito, evitò di bussare a casa di Trevor, sicuramente non era tornato lì. Pensò a mille posti in cui si sarebbe potuto rifugiare e li avrebbe ispezionati, uno ad uno. Trevor aveva una vasta cerchia di amicizie che neanche a lui erano sconosciute. Era gente poco raccomandabile e da tempo Chris aveva preferito allontanarsene per restare con i piedi per terra. Ma Trevor non aveva nessuno, doveva provvedere solo a se stesso, quindi aveva continuato a frequentarli.
Guardò in tutte le stradine, chiese ad ogni persona, e ogni volta sperava di non trovarlo insieme a quella gente. Non voleva che si fosse cacciato in qualche casino per colpa di quei delinquenti. Ci aveva provato un sacco di volte ad allontanarlo da quelle cattive compagnie, ma alla fine aveva rinunciato. Trevor era abbastanza grande da poter decidere per se stesso e poi era sempre stato in grado di darsi una controllata. Gli altri si abbandonavano lungo marciapiedi, finivano per addormentarsi anche sulle panchine, ma Trevor no, lui si lasciava trasportare dalle cattive abitudini senza però farsi schiacciare. Aveva fiducia in lui, si fidava come non si era mai fidato di nessuno. I suoi vecchi amici l'avrebbero pugnalato alle spalle pur di raggiungere i proprio scopi, mentre era sicuro che Trevor avrebbe preferito ammazzarsi piuttosto che tradirlo. 
Si stava avviando in quella zona del parco dove di solito si riuniva a tarda ora con i suoi amici. Lì a volte Trevor si guadagnava qualcosa. Non vendeva roba troppo buona, ma i compratori erano solo ragazzini inesperti e gente talmente disperata da accontentarsi di qualsiasi cosa. 
«Chris... sei tu?»
Si voltò verso quella voce. Sapeva che non era Trevor, ma quella voce gli era familiare lo stesso. da dietro un albero comparve un ragazzo di colore, grosso, poco più basso di lui. Non era cambiato dall'ultima volta che l'aveva visto.
«JJ... ancora qui?»
Il ragazzo si guardò intorno, po si avvicinò di più. 
«Eh sì... ma tu che fine hai fatto? Non ti fai vedere da una vita» disse ridendo e dandogli un pugno sulla spalla.
«Cazzo, JJ... fallo di nuovo e sei morto» disse massaggiando il punto in cui era stato colpito. Jordan Johnson, meglio conosciuto come JJ, era famoso per le sue mani incapaci di dare carezze. Anche quelle sarebbero sembrate sberle. Ma, di fondo, era un bravo ragazzo. Chris l'avrebbe definito un giocherellone, come tutti però aveva dovuto adattarsi, anche perchè non sarebbe mai diventato qualcuno, era troppo stupido per andare a scuola e crearsi un futuro. Spacciava cocaina e erba da quando era solo un bambino. Quella vita contrastava con il suo carattere, ma non tutti lo conoscevano e la sua stazza intimidiva chiunque. Il suo aspetto era l'unica garanzia che aveva per potersi guadagnare qualcosa spacciando in quel parco.
«L'hai sempre detto, ma non mi hai mai ucciso veramente»
«Hai ragione, questa potrebbe essere l'occasione giusta»
JJ rise come se avesse sentito una barzelletta. Chris pensò si fosse calato qualcosa quindi lasciò perdere.
«Senti, per caso hai visto Trevor?»
«Trevor? Ehm... non mi pare»
«Sei sicuro? Guarda che è importante» disse Chris con un tono serio.
JJ si guardò intorno.
«Io non faccio la spia» sussurrò. Chris allora si insospettì e finalmente, dopo due ore di ricerche, cominciava a vedere uno spiraglio di luce.
«Ti prego, Jordan, non lo dico a nessuno»
Si guardarono negli occhi per un bel pò, poi JJ dovette cedere.
«L'ho visto qui ieri notte... è andato via con Brent Morris, hai presente?»
Chris ci pensò. Quel nome non gli era assolutamente nuovo. Trevor e Brent erano amici da quando erano piccolissimi, ma la loro amicizia col tempo si era trasformata. Da ciò che sapeva si vedevano solo in caso di necessità, e quella sembrava una necessità. A Chris non piaceva neanche l'idea che Trevor frequentasse quel tizio. Brent era un tipo molto più furbo di JJ, per lui spacciare droga era una copertura. I Morris erano una famiglia più che numerosa, sparsa nel mondo. Erano tutti in un grande giro di prostituzione e traffico d'armi. Quello era il personaggio più losco che avesse mai conosciuto, un vero e proprio malvivente. In realtà credeva che Trevor si fosse allontanato da lui, ma aveva appena scoperto di aver creduto male per tutto quel tempo. Dentro di sè sperava che non si stesse rifugiando a casa sua, ma Brent abitava nella direzione opposta al suo quartiere, quindi JJ poteva avere ragione.  
«Senti, Chris, quello mi uccide se viene a sapere che ho detto il suo nome» disse JJ, preoccupato.
«Lo so, ma andrò da lui, quindi se vieni a sapere che sono morto dattela a gambe»
Il ragazzo rise, una risata nervosa, il suo viso esprimeva solo paura. Chris lo ringraziò e lo salutò allontanandosi subito. Prima di farsi ammazzare da Brent Morris provò più volte a chiamare Trevor. Perchè non gli rispondeva? Ce l'aveva così tanto con lui da negargli anche una chiacchierata al cellulare?

Fuori casa di Brent l'aria era cupa. C'era spazzatura lungo il marciapiedi, il giardino lasciato a morire alle intemperie e una casa che sembrava cadere a pezzi. Chris poteva solo immaginare quanti soldi potessero avere, eppure vivevano in quella merda di posto solo perchè per loro, restare nell'anonimato, era la migliore delle scelte.
Dalle finestre vedeva una luce fioca, sembrava che fossero tutti svegli. Si avvicinò alla porta e bussò più volte. Non si sentiva molto a suo agio, ma doveva trovare Trevor e togliersi quel peso dalle spalle una volta per tutte.
Ad aprire fu uno dei cinque fratelli Morris, lo conosceva solo di vista, ma non sapeva neanche il suo nome.
«Chi diavolo sei?» gli chiese. Sembrava annoiato.
«Se ti dico il mio nome continuerai a non conoscermi»
Il ragazzo lo guardò male, ma non disse nulla.
«Sto cercando Trevor»
A quel nome, vide la porta aprirsi del tutto e di fianco al ragazzo comparve Brent. Era un ragazzo bassino, con i capelli biondi e gli occhi neri. Aveva una grossa cicatrice sulla fronte. Lui diceva che se l'era procurata dopo una rapina, scappando dalla polizia, ma Trevor gli aveva detto che da piccolo era caduto dalla bicicletta e si era spaccato la testa sul marciapiede. 
«Christopher Cerulli... qual buon vento?»
«Dov'è?» chiese Chris, era già troppo stanco di perdere tempo.
«Chi?»
«Trevor... devo parlare con lui»
Brent sospirò e scosse la testa.
«Non è qui, mi dispiace» mentì, con un sorrisetto alla fine, poi tentò di chiudere la porta ma Chris glielo impedì.
«Lo so che è qui, fammi parlare con lui»
Brent riaprì la porta. Il suo viso era una via di mezzo fra l'annoiato e l'arrabbiato. Non era rassicurante.
«Per il tuo bene, Chris, non farmi incazzare... vattene»
Chris scosse la testa. Non si sarebbe mosso da lì. Da quando doveva mettere su un teatrino del genere per vedere Trevor?
Brent prese un grande respiro e rientrò in casa. Fu un attimo, Chris non ebbe neanche il tempo formulare un pensiero che si ritrovò con la canna di un fucile puntata verso il petto.
«Te ne vai, sì o no?»
Chris deglutì. Raramente aveva provato così tanta paura in tutta la sua vita, ma allo stesso tempo aveva la certezza che Trevor era lì e che non avrebbe permesso a Brent di sparargli.
Fece un passo in avanti, abbastanza da annullare ogni distanza fra il fucile e il suo sterno.
«Trevor... esci, figlio di puttana» urlò senza spostare lo sguardo dagli occhi di Brent.
«Vuoi morire?»
«Trevor» urlò ancora, ignorando le minacce del ragazzo. Un istante dopo si trovò addosso altri quattro ragazzi armati. Non riusciva neanche più a capire che quelle erano vere pistole, che bastava uno solo di quei proiettili per ucciderlo. Quel fucile gli stava bucando il petto tanto premeva contro la pelle. 
Ormai era lì, non c'era modo di tornare indietro. Urlò per l'ennesima volta il nome dell'amico. Loro continuavano a puntargli le armi addosso, sempre più vicini, sempre più minacciosi.
Non si sarebbe fermato, avrebbe continuato finchè Trevor non fosse uscito da quella casa. O finchè quei cinque non l'avessero lasciato morto davanti alla porta.
«Sto perdendo la pazienza» gridò Brent.
«Vattene» disse ancora spingendo sempre di più contro di lui. Anche gli altri cominciarono ad assalirlo e spingerlo via, ma Chris non si allontanò. L'avrebbe portato via da lì una volta per tutte, Trevor non sarebbe rimasto con quella gente.
Chris ormai non aveva più il controllo di quella situazione, era tutto nelle loro mani. Decise di fidarsi ancora una volta di Trevor, anche in quella circostanza. E gridò ancora il suo nome. Si creò un miscuglio di voci che andavano ad alzarsi sempre di più e, infine, uno sparo.





...Okay, grazie, ciao c:
 
  
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