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Autore: Lhone    11/05/2009    2 recensioni
Quando due anime in cerca di se stesse s'incontrano, cosi affini nel tormento, non può che scatenarsi una terribile attrazione. E tornare indietro, non è più possibile.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Jasper Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lei

Correvo nella notte. Anzi, volavo. Nel cuore di un bosco. Cosi sarebbe parso a un qualsiasi umano che fosse riuscito a cogliere l'ombra del mio fulmineo movimento. Cosa che nessun umano, a essere realisti, avrebbe potuto fare. La mia velocità mi rendeva invisibile.
" Umano" pensai sorridendo, ma il mio era un sorriso amaro. Quella parola nella mia mente faceva spesso capolino , intrecciandosi nelle trame del mio destino, sfidandomi a ricordare il passato. Ero stata umana? Se si, chi mi aveva resa diversa?
Frustata, accelerai. Non lo sapevo. Ma la verità era vicina, ne ero sicura. L'annusavo nell'aria, percepivo le sue vibrazioni, come un canto di sirena mi chiamava, e i miei sensi, inebriati mi guidavano.
Richiusi un'altra volta gli occhi e mi concentrai. Immagini sfuocate, via via più nitide, s'impossessavano della mia vista, e li scorsi, di nuovo. Volti pallidi, come me, occhi dorati, diversi dai miei, un'espressione affatto feroce sui loro volti. Giocavano, ridevano, cacciavano insieme. Famiglia. La parola si delineò chiara nella mia mente, un concetto marcato a fuoco, di cui tuttavia, mi sfuggiva il significato. Famiglia, ripetei, gustando le sillabe una ad una. E poi, ecco il viso più nitido di tutti. Un volto bellissimo, pallido, ma sofferente, turbato, angosciato da mille dubbi. Una sensazione strana, dolce, inspiegabile, m'invase. Un fuoco tiepido che non bruciava, la percezione di una confortante dolcezza. Ero gelida, eppure qualcosa mi riscaldava dall'interno ogni volta che vedevo il suo viso. Emozioni che sembravano nuove. Possibile che non avessi mai amato da umana, se lo ero stata?
Correvo nella notte, quando vidi la luce.


Lui

Fuggiasco. Da una realtà che rifiutavo, da un mondo che non volevo. Esule.
Lontano da guerre e sangue, cercavo un'alternativa. Potevo vivere diversamente? Possibile che la mia intera esistenza fosse votata al sangue?
Ero perfetto, bello ed immortale. Non ho mai finto che mi facesse difetto la presunzione. Vedevo il desiderio, carnale e istintivo, negli occhi delle donne che stavo per uccidere. Perché ero anche quello. Un mostro, un assassino. Possedevo il tempo, l'eternità mi apparteneva. Ma ero forse felice? La grandezza di ciò che ero mi si presentò, in tutta la sua vastità, in tutta la sua interezza, forse per la prima volta. Ero solo e assetato e lo sarei stato per sempre. Fuggivo da me stesso, senza aver mai compreso l'inutilità di quel gesto. Lo sconfortò mi assalì, e il dolore si abbatté su di me, sommergendomi, corrodendomi come acido. Mi accascia contro un albero. Mi lascia cullare dalle emozioni positive che alcuni umani emanavano qualche chilometro più in là. All'improvviso, spalancai gli occhi. Un'emozione molto più nitida delle altre mi stordì. Attesa, impazienza. Non proveniva da un umano. Era un mio simile. Quasi di per certo una vampira. Inizia a correre. Non più fuggiasco, ma cacciatore. Non sapevo neppure io a caccia di cosa. Un'attrazione inspiegabile mi guidava. Sostenuta dal raziocinio. In fondo, se si circondava di umani, non poteva essere pericolosa. Persino il mio istinto, di solito cosi diffidente, mi urlava "Vai!"
Sentivo che lei avrebbe potuto aiutarmi.
Sentivo che lei avrebbe potuto cambiarmi.
Sentivo che lei avrebbe potuto salvarmi.

Lei

La luce. Un piccolo spiraglio proveniente da una taverna, alla periferia di Filadelfia. Risa allegre di uomini poco sobri. Entrai, e la visione mi accecò. LUI entrava da quella stessa porta cui mi ero appoggiata e mi vedeva. Io, seduta sul secondo sgabello a destra del bancone, gli sorridevo. E cosi feci. Mi sedetti e attesi. Una, due, tre notti. All'alba, mi nascondevo nella foresta. Al tramonto, tornavo li, stesso posto, sotto lo sguardo intimidito ma incuriosito del barista. Incurante degli sguardi indagatori della gente, lo aspettavo. Attendevo il mio destino.


Lui
Ero fuori dalla taverna, combattuto. Nessuno avrebbe notato i miei occhi scuri all'interno, ma ero molto assetato, e questo mi frenava dall'entrare. Da settimane non mi nutrivo. Sapevo di non avere scelta, eppure conducevo una disperata lotta con me stesso per resistere. Perché ogni volta che affondavo i denti nel collo di un essere umano venivo sommerso dalle sue emozioni, e ne rimanevo sopraffatto. Non avevo mai incontrato un vampiro che avesse i miei stessi dubbi. Si consideravano tutti dei.
Io no. Piuttosto un angelo dannato destinato alla sofferenza eterna.
Scossi la testa e mi feci forza. Sfiorai con le mie lunghe dita diafane la porta in legno.
L'aprii. E la vidi. Il suo sguardo nero come onice, profondo come un cielo senza astri mi scrutava. Frugava nei miei occhi, indagava la mia anima, cercando un contatto con me.
Mi persi nei suoi occhi.
Non mi accorsi neppure che si fosse avvicinata fin tanto che lei non sfiorò la mia mano.
Rimanemmo immobili a fissarci. Poi lei sorrise, e qualcosa si gonfiò in me, riempiendomi gola e petto.
"Mi hai fatto aspettare parecchio" la sua voce, un tripudio di campane.
Ero confuso, ma chinai la testa e mi scusai, benché non sapessi bene di cosa.
"Mi dispiace, signorina"
rise, e imbambolato mi lascia condurre fuori. Non le chiesi chi fosse, come mi conoscesse, dove mi stava portando o perché avesse scelto me. Semplicemente la seguii. E correndo con lei nella notte, seppi con certezza che non l'avrei mai lasciata.

  
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