Quando due anime in cerca di se stesse s'incontrano, cosi affini nel tormento, non può che scatenarsi una terribile attrazione. E tornare indietro, non è più possibile.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Jasper Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Correvo nella notte. Anzi, volavo. Nel cuore di un bosco. Cosi
sarebbe parso a un qualsiasi umano che fosse riuscito a cogliere
l'ombra del mio fulmineo movimento. Cosa che nessun umano, a
essere realisti, avrebbe potuto fare. La mia velocità mi
rendeva invisibile.
" Umano" pensai sorridendo, ma il mio era un sorriso amaro.
Quella parola nella mia mente faceva spesso capolino ,
intrecciandosi nelle trame del mio destino, sfidandomi a
ricordare il passato. Ero stata umana? Se si, chi mi aveva resa
diversa?
Frustata, accelerai. Non lo sapevo. Ma la verità era
vicina, ne ero sicura. L'annusavo nell'aria, percepivo le sue
vibrazioni, come un canto di sirena mi chiamava, e i miei sensi,
inebriati mi guidavano.
Richiusi un'altra volta gli occhi e mi concentrai. Immagini
sfuocate, via via più nitide, s'impossessavano della mia
vista, e li scorsi, di nuovo. Volti pallidi, come me, occhi
dorati, diversi dai miei, un'espressione affatto feroce sui loro
volti. Giocavano, ridevano, cacciavano insieme. Famiglia. La
parola si delineò chiara nella mia mente, un concetto
marcato a fuoco, di cui tuttavia, mi sfuggiva il significato.
Famiglia, ripetei, gustando le sillabe una ad una. E poi, ecco il
viso più nitido di tutti. Un volto bellissimo, pallido, ma
sofferente, turbato, angosciato da mille dubbi. Una sensazione
strana, dolce, inspiegabile, m'invase. Un fuoco tiepido che non
bruciava, la percezione di una confortante dolcezza. Ero gelida,
eppure qualcosa mi riscaldava dall'interno ogni volta che vedevo
il suo viso. Emozioni che sembravano nuove. Possibile che non
avessi mai amato da umana, se lo ero stata?
Correvo nella notte, quando vidi la luce.
Lui
Fuggiasco. Da una realtà che rifiutavo, da un mondo che
non volevo. Esule.
Lontano da guerre e sangue, cercavo un'alternativa. Potevo vivere
diversamente? Possibile che la mia intera esistenza fosse votata
al sangue?
Ero perfetto, bello ed immortale. Non ho mai finto che mi facesse
difetto la presunzione. Vedevo il desiderio, carnale e istintivo,
negli occhi delle donne che stavo per uccidere. Perché ero
anche quello. Un mostro, un assassino. Possedevo il tempo,
l'eternità mi apparteneva. Ma ero forse felice? La
grandezza di ciò che ero mi si presentò, in tutta
la sua vastità, in tutta la sua interezza, forse per la
prima volta. Ero solo e assetato e lo sarei stato per sempre.
Fuggivo da me stesso, senza aver mai compreso l'inutilità
di quel gesto. Lo sconfortò mi assalì, e il dolore
si abbatté su di me, sommergendomi, corrodendomi come
acido. Mi accascia contro un albero. Mi lascia cullare dalle
emozioni positive che alcuni umani emanavano qualche chilometro
più in là. All'improvviso, spalancai gli occhi.
Un'emozione molto più nitida delle altre mi stordì.
Attesa, impazienza. Non proveniva da un umano. Era un mio simile.
Quasi di per certo una vampira. Inizia a correre. Non più
fuggiasco, ma cacciatore. Non sapevo neppure io a caccia di cosa.
Un'attrazione inspiegabile mi guidava. Sostenuta dal raziocinio.
In fondo, se si circondava di umani, non poteva essere
pericolosa. Persino il mio istinto, di solito cosi diffidente, mi
urlava "Vai!"
Sentivo che lei avrebbe potuto aiutarmi.
Sentivo che lei avrebbe potuto cambiarmi.
Sentivo che lei avrebbe potuto salvarmi.
Lei
La luce. Un piccolo spiraglio proveniente da una taverna, alla
periferia di Filadelfia. Risa allegre di uomini poco sobri.
Entrai, e la visione mi accecò. LUI entrava da quella
stessa porta cui mi ero appoggiata e mi vedeva. Io, seduta sul
secondo sgabello a destra del bancone, gli sorridevo. E cosi
feci. Mi sedetti e attesi. Una, due, tre notti. All'alba, mi
nascondevo nella foresta. Al tramonto, tornavo li, stesso posto,
sotto lo sguardo intimidito ma incuriosito del barista. Incurante
degli sguardi indagatori della gente, lo aspettavo. Attendevo il
mio destino.
Lui
Ero fuori dalla taverna, combattuto. Nessuno avrebbe notato i
miei occhi scuri all'interno, ma ero molto assetato, e questo mi
frenava dall'entrare. Da settimane non mi nutrivo. Sapevo di non
avere scelta, eppure conducevo una disperata lotta con me stesso
per resistere. Perché ogni volta che affondavo i denti nel
collo di un essere umano venivo sommerso dalle sue emozioni, e ne
rimanevo sopraffatto. Non avevo mai incontrato un vampiro che
avesse i miei stessi dubbi. Si consideravano tutti dei.
Io no. Piuttosto un angelo dannato destinato alla sofferenza
eterna.
Scossi la testa e mi feci forza. Sfiorai con le mie lunghe dita
diafane la porta in legno.
L'aprii. E la vidi. Il suo sguardo nero come onice, profondo come
un cielo senza astri mi scrutava. Frugava nei miei occhi,
indagava la mia anima, cercando un contatto con me.
Mi persi nei suoi occhi.
Non mi accorsi neppure che si fosse avvicinata fin tanto che lei
non sfiorò la mia mano.
Rimanemmo immobili a fissarci. Poi lei sorrise, e qualcosa si
gonfiò in me, riempiendomi gola e petto.
"Mi hai fatto aspettare parecchio" la sua voce, un tripudio di
campane.
Ero confuso, ma chinai la testa e mi scusai, benché non
sapessi bene di cosa.
"Mi dispiace, signorina"
rise, e imbambolato mi lascia condurre fuori. Non le chiesi chi
fosse, come mi conoscesse, dove mi stava portando o perché
avesse scelto me. Semplicemente la seguii. E correndo con lei
nella notte, seppi con certezza che non l'avrei mai lasciata.