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Autore: Shiki Ryougi    24/10/2016    1 recensioni
Da quel momento si sarebbe scatenato il caos.
E io ero chiusa in palestra.
E io ero stata dimenticata.

Racconto di un fatto realmente accaduto alla sottoscritta.
Ho avuto il bisogno di metterlo su carta.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Introspezione egocentrica'
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Sensibleness


Da bambina rimasi chiusa nella palestra della scuola.
Ero sempre l’ultima a cambiarmi; le dita andavano lente mentre mi sbottonavo la maglietta, allacciavo le scarpe o infilavo i calzetti. Scosse di sensazioni partivano dai polpastrelli e mi attraversavano il corpo come corrente elettrica. Spesso rabbrividivo e stringevo i denti; dovevo concentrarmi ma era così difficile.
Per questo ero sempre l’ultima.
Per questo un giorno si scordarono di me.
Lì capii, per la prima volta, che c’era qualcosa che non andava.
Tutti i miei compagni, vestiti e sistemati, avevano abbandonato gli spogliatoi con in spalla le borse. Io dovevo ancora infilarmi i pantaloni e le scarpe.
Non ero mai rimasta sola; cominciai a sbrigarmi ma più mi agitavo e più il corpo non mi obbediva.
Uscii in corridoio trascinando la borsa e notai l’orribile silenzio.
Non c’era più nessuno. Se n’erano andati e ben presto scoprii di essere rimasta chiusa dentro la palestra.
Tenete presente che mancavano quindici minuti al suono della prima campanella, quella che segnava la fine delle lezioni. Quella che ti diceva che era il momento d’infilarsi il giubbetto, caricarsi in spalla lo zaino e mettersi in fila.
Cinque minuti dopo avrebbe suonato la seconda campanella.
Da quel momento si sarebbe scatenato il caos.
E io ero chiusa in palestra.
E io ero stata dimenticata.
In quel momento sentii dentro di me il primo frammento rompersi.
Cominciai a camminare avanti e indietro, sbattendo la borsa ovunque e chiamando aiuto. Nessuno mi rispondeva. Andai avanti così per molto tempo. Non ricordo nemmeno precisamente, ma non posso scordarmi il momento in cui arrivò il suono della prima campanella.
Dentro di me sentii esplodere una bomba. A quel punto lanciai un urlo di puro terrore e iniziai a piangere. Urlavo e piangevo.
Davo i pugni alla porta tanto da farmi male.
Ero fuori di testa.
Ogni sensazione veniva moltiplicata per mille.
I vestiti che avevo addosso si fecero improvvisamente soffocanti; credo che avrei potuto strapparli se non fossi stata abbastanza impegnata a urlare.
Ero terrorizzata. Mai avevo provato una sensazione del genere.
All’improvviso sentii una voce, la serratura scattò e io aprii la porta.
Davanti a me c’era la bidella.
Non mi ricordo se mi disse qualcosa ma io la ignorai completamente.
In lacrime, tremante, cominciai a camminare, trascinando la borsa.
Mentre piangevo disperata osservavo tutti gli studenti della scuola in fila. Avvolti nei loro caldi giubbotti, con i pesanti zaini in spalla, mi guardavano. Io passavo accanto a loro come un fantasma in pena.
Venivo totalmente ignorata e intanto non riuscivo a calmarmi.
Posso ricordare oltre cento paglia di occhi che mi osservano.
Posso ancora vederli; alcuni ridono, altri parlano, sussurrano, fanno rumore, sbattono e strisciano i piedi.
Dentro di me arrivavano una cacofonia di suoni indecifrabili mentre ogni tessuto dei miei vestiti si era trasformato in carta vetrata.
Il panico lasciava posto alla vergogna. Il tremore all’odio. Il pianto al silenzio.
Entrai in classe, dopo aver attraversato tutto il corridoio stracolmo di bambini.
Presi il mio zaino, infilai il giubbetto e mi misi in fila.
Completamente ignorata da tutti, la crisi lasciò spazio al dolore.
Dentro di me nacquero le prime domande.
I dubbi presero forma e non capii più chi ero.
Solo di una cosa ero certa: a nessuno importava di me.
Ero una tomba di emozioni.
Quindi chi avrebbe saputo di questa storia?
Nessuno.
Non ne parlai ai miei genitori, se non ben quindici anni dopo.
Di solito in pubblico preferivo sprofondare nel silenzio.
Questa fu la mia prima crisi fuori casa e la prima così violenta.
Ma l’unica cosa che potei fare allora è sentirmi un’idiota.
   
 
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