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Autore: Odinforce    24/10/2016    1 recensioni
[Men in Black]
Ambientato prima degli eventi di Men in Black 3, gli agenti J e K si troveranno ad affrontare una delle più pericolose razze dell'universo... i Predator!
Genere: Avventura, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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3. La preda 

Più tardi, al quartier generale MiB...
Seduto alla postazione centrale della sala dei monitor a quell’ora c’era Ray, un membro della razza Gazer. Questi, come tutti i suoi simili, aveva una testa grossa dotata di trentasei occhi, che gli permettevano di vedere praticamente in ogni direzione; per questo motivo, Ray era perfetto per quel tipo di lavoro: con i suoi occhi riusciva ad osservare contemporaneamente i vari monitor della sala, che mostravano le immagini riprese dalle molte telecamere installate per tutta la base. In quel momento, il Gazer stava sgranocchiando noccioline seduto sulla sua poltrona, quando un monitor in particolare attirò la sua attenzione.
Voltò parecchi sguardi verso la telecamera P1102, installata in una cella dell’area di detenzione: essa ospitava da poche ore nientemeno che uno Yautja, arrivato quel pomeriggio insieme al gruppo che lo aveva catturato. Per tutto il giorno, il prigioniero era rimasto tranquillo nella sua cella, limitandosi a dormire o a restare seduto: ora, però – notò Ray – si era alzato in piedi, nonostante l’ora tarda; il Gazer vide che si era staccato a morsi alcuni dei suoi “capelli”, e ora stava trafficando con qualcosa infilato tra essi. Sembravano piccoli congegni, e li stava montando insieme.
« Blotz! » esclamò Ray, che afferrò subito il comunicatore. « Attenzione, rilevo attività sospetta dalla cella 83! Verificate subito! »
« Che succede, Ray? » chiese un Man in Black dall’altra parte. « Cosa vedi? »
« È lo Yautja, signore. Credo che stia cercando di evadere, ha un... un... »
S’interruppe, ormai al culmine dello stupore. Il Super Predator guardava inequivocabilmente verso la telecamera, e ringhiava con aria di sfida. La sua mano reggeva un piccolo congegno cilindrico che aveva finito di montare, dotato di pulsante; quando lo premette, il dispositivo emanò un forte bagliore azzurro e un suono assordante.
Un attimo dopo era troppo tardi. L’immagine sul monitor si spense di colpo, insieme a tutti gli altri schermi. Il pannello di controllo andò in tilt, sparando scintille in vari punti, il comunicatore fu disattivato. Anche le luci saltarono, e la stanza in cui si trovava Ray fu avvolta dal buio totale. Anche se riusciva a vedere al buio, non migliorava la situazione, perché nel frattempo aveva capito cosa fosse successo.
« ...un emettitore di impulsi elettromagnetici » riuscì a dire con voce tremante.
Il sistema di emergenza entrò in funzione nel giro di un minuto, e la luce tornò. Ma era già troppo tardi: il Super Predator era evaso. Molte telecamere erano state fritte dall’impulso, e quelle attive non riuscivano a individuarlo.
« Grabbablotz!!! » gridò Ray, al culmine dello shock. La sua mano scattò quindi sul grosso bottone rosso sul lato sinistro del pannello di controllo.
L’allarme generale risuonò per tutto il quartier generale MiB, allertando gli agenti operativi e buttando giù dal letto un esasperato Z. Per qualche motivo se lo aspettava, ma non esitò un secondo a prendere i dovuti provvedimenti non appena messo al corrente della situazione.
 
« Ehi, sveglia! »
J aprì pigramente un occhio, mentre un piede lo colpiva con insistenza sulla schiena. Mise a fuoco e riconobbe il piede: apparteneva ad A, intenta a raccogliere nel frattempo i suoi vestiti sparsi per la stanza.
« Mmmmchessuccede? » grugnì lui, alzandosi lentamente dal letto.
« In piedi, James, abbiamo del lavoro da fare » esclamò A, l’aria terribilmente seria. « Non c’è un minuto da perdere! Una chiamata urgente da Z. »
J sbuffò. Dopo anni di esperienza ormai sapeva che quel tono significava “grossa, improvvisa minaccia aliena con cui fare i conti”.
« Chi sono stavolta? Samuriani? Krinor? »
« Yautja! Il Super Predator prigioniero è appena fuggito dalla sua cella. »
J sgranò gli occhi, e finalmente parve svegliarsi.
« Cosa? Com’è accaduto? »
« Di quello se ne occuperanno i colleghi » tagliò corto A, mentre si riallacciava il reggiseno. « A noi tocca ritrovare quel maledetto. Non ha lasciato il pianeta... le navi attraccate sono rimaste dove stanno, anche quella dei Predator. Sembra che si sia limitato solo a prendere le sue armi, e ora è a piede libero per Manhattan. »
J si decise ad afferrare i pantaloni, seguendo l’esempio della sua partner. Di certo non si aspettava una cosa del genere così presto... soprattutto non poco dopo aver passato un bel momento con la sua ex.
« Maledizione » borbottò mentre si rivestiva. « E gli altri Yautja? Come hanno reagito? »
« A detta di Z, non hanno detto una parola, ma sicuramente non l’hanno presa bene. Hanno già inviato il loro uomo migliore all’inseguimento dell’evaso, ma Z non si fida di loro. Per cui dobbiamo occuparcene anche noi. »
Furono pronti a partire pochi minuti dopo, e lasciarono in tutta fretta l’appartamento di J. Il Man in Black, uscendo, suggerì di chiamare K per chiedere il suo aiuto: due braccia in più facevano sempre comodo, specie se quelle braccia avevano ucciso un Predator in passato. A non ebbe nulla in contrario, lasciando che fosse il suo partner a contattarlo una volta in macchina.
« K aveva la serata libera » commentò J mentre attivava il comunicatore. « Sicuramente sarà a casa a dormire, o a farsi un solitario. »
 
K rispose dopo appena due squilli. Contrariamente alle aspettative del collega, era sveglio e leggeva un libro in poltrona.
« Guai in vista, volpe? » rispose, aspettandosi un motivo del genere per essere chiamato a un’ora così tarda.
« Guai grossi, K! » esclamò J. « Il Super Predator è fuggito dal quartier generale MiB e ora scorrazza tutto allegro per Manhattan. Io e A stiamo venendo a prenderti, dobbiamo ritrovarlo il prima possibile... »
« Oh... credo che non sarà necessario. »
« Cosa? Perché? »
« Perché è appena arrivato qui. »
Né A né J poterono vedere in quel momento l’espressione stupefatta di K, mentre fissava l’enorme figura apparsa improvvisamente nel suo salotto. Il Super Predator aveva disattivato il suo dispositivo di occultamento, rendendosi visibile al Man in Black in tutta la sua terribile possanza.
K restò immobile, non per la paura ma per la sorpresa: l’alieno era riuscito ad avvicinarsi a lui, silenzioso e letale, come nessun altro era mai riuscito a fare prima di allora. La morte incombeva a pochi passi di distanza, e lui era disarmato.
Ma anche no.
Nel giro di un istante afferrò il blaster nella sua giacca. Il Predator reagì subito dopo, sferrandogli un montante tremendo che lo scaraventò contro lo scaffale più vicino.
« K...? »
J non ottenne risposta, ma in compenso udì una serie di rumori inconfondibili. Botte, colpi, ruggiti e spari in rapida successione.
« K!!! »
Tutto tacque pochi secondi dopo. J non perse altro tempo e, sotto lo sguardo incredulo di A, spinse il bottone rosso accanto al sedile. L’auto si trasformò in una piccola astronave, staccandosi dal suolo e dirigendosi a tutta velocità verso l’appartamento di K, sotto lo sguardo incredulo di numerosi newyorkesi. Il neuralizzatore di massa installato a bordo si occupò di loro, “sparaflashandoli” a più riprese. J sperò con tutto il cuore che non fosse troppo tardi per salvare il suo mentore.
Il duo arrivò a destinazione in cinque minuti. Dopo essere atterrati sul tetto dell’edificio, A e J raggiunsero l’appartamento di K: non si stupirono di trovare un bel po’ di persone radunate sul pianerottolo, palesemente attirate dal baccano di poco prima. C’erano anche un paio di poliziotti davanti alla porta, indecisi se entrare con la forza o no. I due Men in Black non avevano tempo da perdere con gli estranei: così, mentre A radunava inquilini e poliziotti per cancellare loro la memoria con il neuralizzatore, J sfondò la porta con un calcio.
« Per la miseria... »
Agli occhi dei due Men in Black si presentò una scena di totale devastazione. L’appartamento vecchio stile di K cadeva praticamente a pezzi: un orologio a pendola giaceva fracassato ai loro piedi; il tavolo da pranzo era rovesciato su un lato; una poltrona era ridotta in cenere; i muri presentavano parecchi buchi fumanti, provocati da colpi di blaster; i cuscini erano squarciati; frammenti di vetro e calcinacci erano sparsi dappertutto. Al posto della finestra che dava sull’esterno dell’edificio c’era ora un grosso buco.
A e J controllarono bene per tutta la casa, ma di K non c’era traccia... e apparentemente neanche del Predator. I due notarono la stanza segreta aperta, ancora piena zeppa di armi MiB; evidentemente K aveva fatto in tempo ad aprirla, nel tentativo di difendersi.
« Devono aver lottato a lungo » osservò A, in un’espressione sia ammirata che sconvolta. « K ha venduto cara la pelle. »
« Sì, ma dov’è finito? » borbottò J, spazientito. « Insomma, che senso ha tutto questo? »
« Non ne ho idea, ma di una cosa sono sicura. Non vedo tracce di sangue da nessuna parte, né umano né Yautja... il che significa che K non è stato ucciso, ma rapito. Il Predator lo voleva vivo. »
Per J fu una magra consolazione, che non gl’impedì di trattenersi da colpire la parete più vicina con un pugno.
« Maledizione... perché? » esclamò, in preda alla collera. « Perché K? Perché è venuto fin qui per lui? »
A non rispose. Stava in piedi al centro della stanza, intenta a riflettere per conto suo. J sospirò, esasperato, e afferrò il comunicatore.
« Dobbiamo avvertire il quartier generale, chiedere rinforzi... »
« No, non farlo » disse A all’improvviso. « Complicheremmo solo le cose! »
« Cosa? Che vuoi dire? »
« Credo di aver capito... so perché K è stato catturato. Il Predator lo ha scelto, ha intenzione di sfidarlo in una caccia! »
J non sembrò capire.
« Ricordi cosa ti ho detto prima al diner? » riprese A, continuando a ragionare. « Gli Yautja scelgono i migliori predatori del mondo per avere il piacere di sfidarli... di affrontarli in una lotta all’ultimo sangue. Più abile e forte è la preda, più sono soddisfatti quando l’affrontano... e se riescono a ucciderla, ottengono grandi onori e rispetto dal loro popolo. »
« Continuo a non seguirti » obiettò J.
« Quel Super Predator è un criminale, agli occhi del popolo Yautja. È feccia... ha perso l’onore e il rispetto dei clan. Per quanto ne so, un tipo del genere potrebbe riscattarsi solo uccidendo qualcuno – o qualcosa – di estremamente pericoloso. E chi è ritenuto da molti anni il terrestre più temuto dell’universo? »
« K... ma certo! » esclamò J. « Per questo ha rapito K... vuole ucciderlo per recuperare onore, rispetto e compagnia bella. »
A annuì.
« Gli Yautja non potranno ignorare un fatto del genere, se quello schifoso consegnerà loro la testa di K. Non importa cos’ha fatto in passato... lo perdonerebbero di sicuro. »
J sospirò ancora, percorrendo a grandi passi l’appartamento. Anche se ora sapevano il movente, non cambiava molto lo stato delle cose: K era ancora in pericolo chissà dove, in quella grande metropoli che li circondava. Il Man in Black si fermò davanti al buco nella parete (da dove era sicuramente fuggito il Predator), fissando la città e la notte: non sapeva cosa fare.
« Non è detto che ci riuscirà, ad ogni modo » intervenne A in quel momento, tentando di rassicurare il compagno. « K potrebbe cavarsela da solo... dopotutto ha già ucciso un Predator, in passato. »
« Sì, ma è successo trent’anni fa » ribatté J, sconsolato. « K non è più giovane e forte come un tempo... e tu mi hai detto che questi Super Predator sono davvero tremendi. Dubito che ce la farà, senza il nostro aiuto. Dobbiamo trovarlo prima che sia troppo tardi! »
A cercò di dire qualcos’altro, ma non ci riuscì. Apparve chiaro che non aveva idee: sia lei che J sapevano di non poter fare molto per localizzare alla svelta K e il Predator. La tecnologia Yautja era studiata per impedire a chiunque di rintracciarli, persino ai Men in Black. E Manhattan era così grande... una giungla di cemento e ferro; anche un alieno riusciva a scomparire là dentro, come un ago in un pagliaio.
« Di questo passo dovremo aspettare notizie dagli Yautja » dichiarò A con tono cupo. « Solo un Predator può rintracciare un altro Predator... spero che trovino il loro bersaglio in tempo per salvare K. »
Fu allora che a J venne un’idea.
« Allora non resta che una cosa da fare » dichiarò, sorridendo. « Chiedere aiuto a un Predator. »
J non disse altro, e senza perdere tempo si diresse verso l’uscita, ignorando l’aria interrogativa di A. Era chiaro che J volesse contattare il Predator inviato per recuperare il prigioniero, ma sembrava una pessima idea. Non riuscivano a rintracciare il Predator che minacciava la vita di K, come potevano pretendere di trovarne addirittura un secondo?
I due Men in Black lasciarono il palazzo, ma anziché tornare all’auto rimasta sul tetto attraversarono la strada. A provò a chiedere ulteriori spiegazioni, ma J le disse di aspettare, finché non arrivarono a un locale poco lontano: un Burger King ancora aperto. Sotto lo sguardo incredibilmente sorpreso di A, J entrò nel locale e uscì pochi minuti dopo con una dozzina di hamburger ancora caldi. Cominciava a capire la sua idea... assurda quanto geniale.
« Spero tanto che funzioni » commentò A poco dopo, quando si appostarono in un vicolo.
« Anch’io » aggiunse J, posando gli hamburger a terra e in bella vista. « In caso contrario, prova a pensare a un’idea migliore mentre aspettiamo. »
I due attesero a lungo, in silenzio, di fronte al cumulo di hamburger che diffondevano il loro aroma attraverso il vicolo. Un paio di volte furono costretti a scacciare qualche cane randagio che si avvicinava al cibo, attirato dall’odore. J continuò a sperare che funzionasse, ricordando ciò che aveva detto A sui Predator.
« L’odore degli hamburger li attira come l’erba gatta fa con i gatti. »
Poi accadde, dopo circa mezz’ora: una grossa sagoma trasparente apparve dal buio, calandosi giù per le mura; A e J rimasero fermi, senza mettere mano alle armi, mentre il Predator si mostrava a loro disattivando il dispositivo di occultamento.
J lo riconobbe quasi subito: era lo stesso Predator con cui era venuto alle mani nel pomeriggio. Anche se non poteva prevederlo, aveva sperato fino all’ultimo di attirare lui con gli hamburger, e la fortuna sembrava avergli sorriso almeno per una volta.
L’alieno rimase a fissare la scena per un po’, ringhiando piano. Il suo viso celato dal casco tattico si spostò più volte, dai Men in Black agli hamburger ai suoi piedi; una lama retrattile sbucata dal suo avambraccio brillava alla luce lunare, affilata e letale. A si fece avanti di un passo, facendo il solito saluto Yautja; il Predator rispose al saluto, fissando il marchio impresso sulla guancia della donna, dopodiché ritrasse la lama e si tolse il casco.
« Spiegagli la situazione » ordinò J, rivolto ad A.
A annuì, e cominciò a parlare in lingua Yautja. Il Predator, nel frattempo, si era chinato per mangiare gli hamburger come se nulla fosse. A continuò comunque a parlare, sicura che l’alieno la stesse ascoltando.
Il Predator rispose dopo aver ingoiato il secondo hamburger, emettendo una serie di ringhi.
« Dice che non ha bisogno del nostro aiuto » tradusse A. « Un guerriero Yautja non si affida a nessuno durante la caccia... ucciderà il fuggitivo con le sue mani e riporterà la sua carcassa ai suoi compagni. »
J sospirò seccato.
« Allora digli che il fuggitivo è tutto suo » disse ancora. « A noi serve solo sapere dove si trova, per poter salvare K... non interferiremo con il suo scontro, se tanto ci tiene a un gioco pulito. »
A lo tradusse allo Yautja, che nel frattempo aveva ripreso ad ingozzarsi. Stavolta, tuttavia, non si degnò di rispondere.
« Senti... so che non contiamo un bel niente per te » continuò J, sempre più esasperato. « Ma penso tu sappia cosa significa l’amicizia. Anche voi guerrieri patentati avete degli amici, no? E da queste parti si dice che “il nemico del mio nemico è mio amico”. E noi, ora, abbiamo lo stesso nemico... che sta minacciando la vita di un nostro amico. Perciò non ti chiedo di accettare il nostro aiuto, ti chiedo di offrirci il tuo. Aiutaci a salvare il nostro amico. »
A continuò a tradurre fino alla fine. A quel punto il Predator aveva divorato tutti gli hamburger, e si rialzò in piedi. Stavolta fissò J, scrutandolo in silenzio con i suoi orridi ma profondi occhi gialli; sembrava valutare la situazione, in qualche modo. Alla fine lanciò un’ultima occhiata ad A, poi si rimise il casco, che emise uno strano suono.
« Crrr... amico. »
Sui volti di A e J comparve un’espressione di pura sorpresa, ma il Predator non aveva ancora finito di stupirli. L’alieno attivò infatti un ologramma sul suo dispositivo da polso, che mostrava un modello tridimensionale di New York; fece zoom sull’immagine, fino a un grande rettangolo nel cuore di Manhattan, dove – notarono i Men in Black – lampeggiava un puntino luminoso. I due riconobbero subito il posto.
« Central Park » mormorò J, stupefatto. « Il Super Predator dunque è a Central Park? »
« Sembra di sì » ammise A. « Ma certo, è logico: alberi, vegetazione, acqua, oscurità... è il luogo di caccia perfetto per un Predator. Il fuggitivo non poteva scegliere un luogo migliore, in questa città, per organizzare la sua sfida contro K. »
« Non è lontano da qui, per fortuna. »
Senza perdere altro tempo, J tirò fuori dalla tasca un piccolo telecomando, premendo il tasto principale; l’auto Mib atterrò sulla strada fuori dal vicolo pochi secondi dopo, richiamata grazie al comando a distanza. J e A la raggiunsero, seguiti a ruota dal Predator.
« Sali a bordo, “King” » gli disse J con un sorriso. « Non lo vuoi uno strappo? »
L’alieno lo fissò con aria indecifrabile, per via del casco, ma sembrava aver capito. Un attimo dopo, infatti, salì sul lato posteriore dell’auto, sotto lo sguardo sorpreso di A. Non appena furono tutti a bordo, J mise in moto, dritto verso Central Park.
C’era ancora una speranza per salvare K, dopotutto.
   
 
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