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Autore: Princess Kurenai    30/10/2016    1 recensioni
[Nijimura/Haizaki] La prima cosa che Nijimura sente quando inizia a svegliarsi è un rumore: il regolare e fastidioso segnale acustico di una macchina che associa, istintivamente, a quelle ospedaliere - e quasi si sorprende nel rendersi conto che al solo pensiero di un ‘ospedale’ quel suono sembra subito farsi irregolare. Vorrebbe soffermarsi un po' di più su quel suono e cercare di capire esattamente da dove proviene, ma si ritrova costretto ad ammettere di essere parecchio confuso e non in grado di mettere in fila più di un pensiero sensato. Infatti, quando sente un: «Si sta svegliando! Chiamo subito l'infermiera!», gli viene spontaneo domandarsi stupidamente: "Chi si sta svegliando? Io?"
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Daiki Aomine, Nuovo personaggio, Ryouta Kise, Shogo Haizaki, Shuuzou Nijimura
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Titolo: Baby Steps
Titolo del Capitolo: Parte 1
Fandom: Kuroko no Basket
Personaggi: Nijimura Shuuzou, Haizaki Shougo, Kise Ryouta, Aomine Daiki, OMC!Nijimura Tetsuji, OMC!Keiichi
Pairing: NijiHai [Secondario: AoKise]
Genere: Introspettivo, Malinconico, un po' Fluff e un po' romantico
Rating: SAFE
Avvertimenti: What if? (E se…), Future!Fic, Perdita di Memoria, Riabilitazione Fisica, Amicizia HaiKise


Ho iniziato questo mostro a Luglio se non ricordo male. Sono passata attraverso parecchie crisi e solo grazie al supporto di tre persone in particolare sono riuscita ad uscirne viva. Quindi questa fic la dedico a voi con tanto amore.

A Kuromi, che mi ha incoraggiata a continuarla sin dall'inizio. Che mi ha sopportata e tutto. Vorrei regalarti più di un sorriso o di qualche strappino. Vorrei aiutarti ad essere felice ma sono buona solo a fare presenza. Ma, almeno, sono sempre qui per te e non ti lascio!

A Rota, che ha letto parte della fic in anteprima. Sono sempre più felice di aver riallacciato i rapporti con te. Grazie per l'aiuto e gli incoraggiamenti T3T

A Nari, la beta di questa cosa. Sei sempre gentile e comprensiva con me e ti voglio un sacco di bene T3T grazie per il lavoro svolto e per la tua amicizia preziosa T3T

~ P A R T E 1 ~



La prima cosa che Nijimura sente quando inizia a svegliarsi è un rumore: il regolare e fastidioso segnale acustico di una macchina che associa, istintivamente, a quelle ospedaliere - e quasi si sorprende nel rendersi conto che al solo pensiero di un ‘ospedale’ quel suono sembra subito farsi irregolare. Vorrebbe soffermarsi un po' di più su quel suono e cercare di capire esattamente da dove proviene, ma si ritrova costretto ad ammettere di essere parecchio confuso e non in grado di mettere in fila più di un pensiero sensato. Infatti, quando sente un: «Si sta svegliando! Chiamo subito l'infermiera!», gli viene spontaneo domandarsi stupidamente: "Chi si sta svegliando? Io?"
Avverte dei movimenti concitati attorno a sé in risposta a quell’affermazione, e storcendo il naso si sforza di aprire gli occhi. Ci mette qualche istante prima di riuscire nel suo intento, e la prima cosa che riesce a riconoscere è un soffitto candido - ‘da ospedale’, per l’appunto. Li richiude subito, un po' per la luce troppo forte e un po' per assicurarsi di trovarsi realmente lì quando riesce a riaprirli qualche momento dopo. Il soffitto non è scomparso, e con lui neanche il suono che ha sentito al suo risveglio, di cui individua la fonte quando trova il coraggio di spostare un poco lo sguardo di lato. Quelle rumorose macchine lampeggiano e i loro schermi mostrano numeri e linee che per lui non hanno nessun significato, vicino a esse però nota anche dei fiori freschi, posati ordinatamente sul comodino. Sbatte ancora le palpebre e, nonostante la confusione, Shuuzou non può fare a meno di ringraziare il suo proverbiale sangue freddo - o più che altro il fatto che si senta ancora parecchio intontito - che non lo fa agitare davanti alla conferma del suo ricovero.
“Non ci vuole un genio per capirlo”, borbotta mentalmente in risposta alla sua considerazione tutt'altro che arguta, che lo spinge a cercare tra i suoi ricordi più recenti il motivo di quella situazione. Spera, ovviamente, che non gli sia accaduto niente di grave, visto che ben presto si rende conto di non ricordare niente dopo aver lasciato la palestra al termine dell’allenamento di quel pomeriggio.
"È normale essere confusi", si incoraggia, ritrovandosi però completamente rigido quando sente - e subito dopo vede - un bambino arrampicarsi sul suo letto.
«Papà! Ti sei svegliato finalmente!», esclama questo con un sorriso radioso e sdentato, ed è evidente per Nijimura che qualcuno sia ben più confuso di lui. Gli occhi dorati del bambino brillano di gioia, ma per quanto Shuuzou cerchi di capire di chi si tratti, la sua memoria sembra rifiutarsi di collaborare - o più semplicemente, si dice, non lo conosce affatto.
Apre la bocca per parlare, rendendosi conto solo in quel momento di avere la gola secca. Emette infatti un verso quasi soffocato, cercando poi tossire nel tentativo di schiarirsi la voce e recuperare l’uso della parola. Tuttavia, ancor prima di poter chiedere a quel moccioso di levarsi di dosso, Shuuzou riesce a notare una seconda presenza nella stanza: quella di un uomo, rimasto in silenzio fino a quel momento. Lo guarda subito alla ricerca di risposte, squadrandolo rapidamente da capo a piedi e concludendo fin troppo facilmente di non avere davanti un medico, ma bensì un uomo sulla trentina dal fisico atletico, occhi chiari e capelli bianchi - “No”, si corregge, “Sono argentati” -, raccolti in una piccola coda bassa. Nota inevitabilmente anche delle borse scure sotto gli occhi e un leggero filo di barba mal curata sul mento e sulla mascella.
“Forse è il padre del moccioso”, pensa osservandolo ancora. “Ha un volto familiare”, aggiunge poi, ma ciò che tuttavia fa passare le sue considerazioni in secondo piano è l’espressione sollevata che gli legge sin da subito in viso, tant'è che Nijimura non può non chiedersi se sia rivolta a lui o a quel bambino.
«Keiichi! Si è appena svegliato, dagli un po' di tregua!», esordisce però l'uomo con tono leggero, piegandosi un poco sul letto per prendere in braccio il bambino, «Bentornato tra noi, Shuuzou».
Nijimura resta spiazzato da quel saluto così familiare, tant’è che si ritrova a boccheggiare come un idiota in preda alla confusione, e solo dopo aver tossito ancora un po’ riesce a bofonchiare: «Chi... cazzo siete?»
La gola pizzica per lo sforzo, ma in qualche modo riesce ad ignorare sia quel fastidio che la vocina che gli fa presente di non essere stato per niente educato con quei due, ma quella situazione lo sta già mettendo troppo a disagio. Non solo si è appena svegliato, ma non è ancora in grado di ricordare perché si trovi in ospedale: per quello crede che gli sia concesso dare un po’ di matto.
Ovviamente, si aspetta di vedere chissà quale reazione da parte dell'uomo, ma sicuramente non il viso farsi più pallido e le spalle più rigide quando il bambino mormora un: «Papà?», al quale non sembrano servire altre parole per leggervi lo stupore e la preoccupazione.
«Keiichi, perché non aspetti per un momento lo zio Ryouta qui fuori?»
«Ma...»
«Sarà qui a momenti con il dottore e l'infermiera», lo rassicura mettendolo per terra ed inginocchiandosi alla sua altezza, «Anzi, facciamo così: perché non chiami il nonno?», aggiunge togliendosi dalla tasca un cellulare per consegnarlo al bambino.
«Papà io non...», balbetta ancora il più piccolo, stringendo il cellulare tra le manine, guardando Nijimura e poi di nuovo l’uomo.
«Shh...», lo riprende con dolcezza quest’ultimo, carezzandogli i capelli scuri con una mano, «È solo confuso. L’hai sentito il dottore, no? Dobbiamo essere pazienti con lui», lo rassicura e Shuuzou - nonostante sia quasi intenerito da quella scena -, non può non dargli ragione: è confuso. Non capisce cosa sia accaduto, e la cosa lo sta facendo incazzare.
«Okay...», il bambino annuisce triste e, dopo aver rivolto un’ultima occhiata a Nijimura, si trascina fuori dalla stanza con il capo basso e un broncio che sembra urlare: “Sto per piangere ma devo essere forte”, che fa sentire Shuuzou un mostro - gli viene spontaneo pensare ai suoi fratellini che sembrano quasi due cuccioli bastonati quando è costretto a rifiutare loro qualcosa.
Una volta soli, l’uomo si rivolge di nuovo a lui, serio come non mai.
«Shuuzou... come ti senti?»
«Lei chi è!?», insiste in risposta Nijimura mentre la sua testa si riempie ancora di: “Come sa il mio nome? Cosa mi è successo?”
«Non mi riconosci quindi?»
«Assolutamente no!», esclama con voce roca. Certo, continua a sentire un vago senso di familiarità in quel volto, ma quello non basta per fargli ‘riconoscere’ una persona. Anzi, è convinto di non conoscerlo, e in fondo perché dovrebbe?
Gli rivolge uno sguardo ostile quasi senza volerlo, ed è solo con l’ingresso di un altro uomo in camice bianco, che lo saluta con un: «Nijimura-san! Ben svegliato!», che Shuuzou riesce finalmente a sentirsi un po' più a suo agio, interrompendo quella strana e breve conversazione.
«Sono il Dottor Yuuta, felice di poter fare la sua conoscenza», si presenta l’uomo cordiale, ma Shuuzou decide all’istante di non voler fare nessuna chiacchierata amichevole.
«Cosa è successo?», taglia infatti corto, squadrandolo come per assicurarsi di non avere davanti un imbroglione o un pazzo. Il camice e la targhetta sembrano fortunatamente confermare la sua presentazione e, cosa non meno importante, Nijimura non può non notare un'infermiera piuttosto giovane seguirlo come un'ombra.
«Lei ha avuto un incidente», risponde cordiale il medico, permettendo proprio all’infermiera di controllare le varie macchine per registrarne i parametri. La segue per qualche momento con lo sguardo, poi le sue attenzioni vengono subito attratte dalle occhiate che l’uomo, rimasto ostinatamente nella sua stanza, e il medico sembrano scambiarsi.
È perplesso, ma cerca in ogni caso di mantenere la calma, ripetendo mentalmente le ultime parole del dottore.
“Un incidente”, pensa, senza però trovare nessun appiglio nella sua memoria fin troppo confusa.
«Che... tipo di incidente?», domanda allora, nervoso alla sola idea di non essere in grado di rimettere insieme i pezzi della sua stessa vita che, in quel momento, gli sembra un disastro.
«Un mezzo fuori controllo ha travolto alcuni passanti», spiega con calma il medico, «Non voglio dilungarmi troppo, visto che in questo istante sono certo che l’ultima cosa che vuole sentire è la solita tiritera medica, ma i danni fisici maggiori li ha riportati nell’arto inferiore destro con una frattura del femore».
Shuuzou quasi si acciglia nel sentire quelle parole, notando solo in quel preciso istante la gamba bloccata. Si insulta mentalmente per non essere stato in grado di accorgersi di quel dettaglio tutt’altro che ignorabile. Aveva rivolto tutte le sue attenzioni verso l’ambiente circostante - e su quello strano tipo con il bambino -, che non aveva prestato attenzione a sé stesso.
«Dalla settimana prossima potrà iniziare a muoversi con le stampelle e a seguire un percorso di fisioterapia riabilitativa», riprende il dottore, «Ciò che tuttavia ci ha preoccuparti di più è stato un trauma cranico. Inizialmente siamo riusciti a tenerlo sotto controllo, ma in seguito ad un improvviso peggioramento siamo stati costretti a tenerla in coma farmacologico per 78 ore».
Nijimura resta ovviamente spiazzato da quelle notizie e, stupidamente, arriva addirittura a chiedersi: “Ma non avranno sbagliato persona?!”
Perché lui non ricorda ancora nessun incidente, e nel lanciare un'occhiata a quel tipo sconosciuto rimasto nella stanza non può non ritrovarsi a pensare che forse sia stato coinvolto anche lui.
«Io?», domanda infatti incredulo.
«Non si preoccupi, in questi casi è normale non ricordarsi l’incidente. Forse, non lo ricorderà mai a causa dello shock», risponde calmo il dottore accostandosi al letto, «Ora le chiedo di seguire la penna e di rispondere a qualche domanda», aggiunge, prendendo una piccola torcia e una penna dalla tasca, «Si ricorda il suo nome?»
«Certo, Nijimura Shuuzou», risponde con sicurezza, seguendo ovviamente la penna in ogni movimento.
«La sua data di nascita?»
«10 Luglio», afferma senza dubbi, trovando addirittura quelle domande stupide e insensate.
«Sa dove si trova?»
«In ospedale... a Tokyo. Ma non so dire quale dei tanti», ammette.
«Benissimo! Non è un problema questo! Sa che giorno è?»
«No...»
«Non si preoccupi. Come ho già detto: è normale essere confusi dopo il coma», lo rassicura ancora, «Si ricorda almeno in anno e mese ci troviamo?»
«Mese…», mormora, correndo poi ai ripari con un: «Siamo sicuramente nel 2014».
«... d’accordo... mi sa dire che lavoro fa?»
«Non lavoro. Vado ancora a scuola, alla Teikou», ribatte, trovando un leggero senso di nostalgia nelle sue parole. Sarebbe stato quasi più giusto correggersi e dire che ‘andava alla Teikou’, perché aveva ormai affidato la squadra ad Akashi in vista del suo trasferimento in America per la salute di suo padre...
«Papà! Mio padre? Dov'è? Come sta?», esclama allarmato.
«La prego non si agiti», lo redarguisce il medico e Nijimura per un momento è quasi tentato dal mandarlo a quel paese.
Come può non agitarsi?, si chiede muovendosi irrequieto e provando un moto di rabbia non indifferente per la mancanza di risposte.
«Mio padre deve riposare», insiste infatti con più decisione, riuscendo pian piano a ricordare alcuni particolari, «È malato, e non deve agitarsi a causa mia! Si trova a Los Angeles per curarsi, e non può sostenere un viaggio simile!»
«Tetsuji-san sta bene. Era qui fino a qualche ora fa», esordisce tuttavia l'uomo con tono serio, e a quel punto Nijimura vaglia anche la possibilità che quello sia un amico di suo padre.
«Nijimura-san, prenda un bel respiro. Suo padre sta bene, non ha bisogno di agitarsi per lui», conferma il medico.
«Non ho bisogno di agitarmi?», ripete. Comprende che la sua salute può peggiorare se si innervosisce in quel modo, ma suo padre è più importante.
«Mi ascolti bene, so che in questo momento potrà sembrarle assurdo, e non esiste un metodo meno traumatico per dare una notizia simile, ma… questo non è il 2014. È il 2029», spiega il dottore con tono calmo, «È comprensibile essere sconvolti, ma per il suo bene deve stare calmo»
Shuuzou resta per un momento in silenzio, soppesando le sue parole con un’espressione incredula, che trova sfogo con un: «Cosa? Lei è impazzito!»
“Dove cazzo sono finito?!”, pensa sempre più nervoso, guardandosi attorno alla ricerca di qualcosa che smentisca quel pazzo, probabilmente scappato dal reparto psichiatrico.
Perché quello non poteva essere il 2029! Non poteva esserlo! Solo poche ore prima - o giorni, visto che dicevano che era stato in coma per qualche giorno - aveva affidato la squadra ad Akashi in vista della sua prossima partenza e dopo l’allenamento si era messo sulla strada di casa! Come ogni singolo giorno!
«Avevamo già ipotizzato di trovarci davanti ad una simile eventualità. Credo infatti che lei stia soffrendo di un'amnesia parziale dovuta al trauma», prosegue il medico, ma Nijimura riesce solamente a rivolgergli uno sguardo carico d’astio, che non fa che crescere quando è l’uomo a prendere la parola con serietà.
«Shuuzou, stai calmo...»
«Chi cazzo sei per dirmi di stare calmo?!», esclama in risposta.
Il medico e l’uomo si scambiano l’ennesimo sguardo a causa della sua reazione e, di certo, quello non lo aiuta a placare la sua irritazione.
«Lui è il signor Haizaki Shougo», esordisce il medico; per la prima volta da quando ha iniziato a parlare la sua voce gli sembra incerta, quasi timorosa, forse a causa del suo sfogo, «Ed è suo marito».
C'è qualcosa - in realtà più di ‘qualcosa’ - che stona in tutto quello che gli ha appena detto quello pseudo-medico. Non ha ancora superato il "Siamo nel 2029", che quel tipo osa dire che lui - sì, proprio lui, Nijimura Shuuzou - è sposato con Haizaki Shougo, ovvero l'uomo che ha lì davanti.
“Sono dei pazzi”, afferma mentalmente. Non ha un'altra spiegazione per quelle assurdità, eppure quell'uomo - il presunto Haizaki - continua ad essergli familiare. Somiglia per davvero a quella testa di cazzo del suo compagno di squadra. E, sfortunatamente, l’ipotesi che sia un suo parente non sembra reggere nella sua mente.
«Ehi... Shoucchi?»
È una nuova voce quella che si aggiunge a quelle che Nijimura ha sentito fino a quel momento e che lo strappa dai suoi pensieri. Rivolge istintivamente lo sguardo verso la porta, dalla quale fa capolino un altro uomo, biondo e con un viso che definirebbe stupendo - da modello -, e Shuuzou si lascia sfuggire senza pensarci un: «Kise?»
Sa che si tratta di lui. Pensa che sarebbe in grado di riconoscere ovunque quel taglio degli occhi e la loro tonalità ambrata, ma allo stesso tempo si trova costretto ad ammettere che quell’uomo non possa essere il suo kohai. Perché, a guardarlo bene, il viso di quel tipo è più maturo, più adulto! Non è quello del Kise che conosce!
«Ben svegliato!», lo accoglie però questo, con un sorriso che urla in tutto e per tutto "Kise", e che si spegne quando si rivolge ad Haizaki - o quello che dice di esserlo. «Nijimura-san è arrivato, e Keiichi ha bisogno di te...»
Haizaki si umetta le labbra prima di annuire.
«Okay... arrivo subito», risponde, e dopo aver guardato un'ultima volta Nijimura, lascia la stanza senza aggiungere altro. Lì per lì, gli sembra quasi di vedere di nuovo il bambino di poco prima, e davanti a quello sguardo preoccupato e alla sua espressione quasi ferita, Shuuzou non può non sentirsi in colpa... e perché poi? Non lo conosce neanche! Per quanto dicano che quello è Haizaki, Nijimura continua a dirsi che no: non può essere lui.
Ciò che però lo lascia ancor più perplesso, azzerando tutti gli altri pensieri, è l'ingresso di quello che subito riconosce come suo padre, con più capelli bianchi e decisamente più vecchio. Non riesce a parlare quando incrocia il suo sguardo, né si sente in grado di rispondere quando gli viene chiesto come sta. Può solo osservarlo con la bocca socchiusa per lo stupore, sentendosi anche internamente sollevato nel vederlo così in buona salute.
«Crediamo che suo figlio soffra di una forma di amnesia retrograda. Sostiene di essere nel 2014», lo aggiorna il dottore.
«Siamo nel 2014...», insiste senza però troppa convinzione, «Dovevo raggiungerti in America...», aggiunge fissando ancora il volto del padre come per assicurarsi che non sia un impostore. Vorrebbe toccarlo, abbracciarlo… sentire che è lì per davvero.
«Quello è successo anni e anni fa, figliolo», risponde l'uomo con tono paziente, «Come vedi sto bene, sempre pronto a prenderti a calci in culo», prosegue con un ghigno che fa battere il cuore di Shuuzou per la gioia. Non può farne a meno, perché vedere suo padre in quelle condizioni è come un sogno… che, ironicamente, è fin troppo reale.
Gli sembra impossibile capire cosa sia ‘vero’ e cosa invece no, e la felicità provata fino a qualche istante prima gli viene subito portata via da quelle considerazioni. Si sente svuotato da ogni velleità, spaventato e stravolto.
«Io... non capisco...», mormora.
«È normale», lo rassicura per l’ennesima volta il medico, «Ora faremo degli altri esami, ma siamo certi che lentamente inizierà a recuperare i suoi ricordi... per il momento pensi solo a stare calmo».
E Nijimura pensa di poter fare tutto tranne che calmarsi, perché vorrebbe gridare e dimenarsi, ma sente di non averne la forza.
“In che diavolo di mondo mi sono ritrovato?”

 

Ci sono volute quasi tre ore di altri esami neurologici e numerose spiegazioni da parte di suo padre per convincere Shuuzou di trovarsi effettivamente nel 2029. Ovviamente, continua a non ricordare niente ma, quanto meno, gli era stato raccontato nei minimi particolari ciò che era successo alla loro famiglia dal suo ultimo ricordo. Erano partiti per davvero per Los Angeles, e dopo aver passato lì parecchi anni, erano tornati a Tokyo. Suo padre si era ripreso e stava bene, e tutta la sua vita - almeno a detta del genitore - era fantastica.
«Hai frequentato qui l’università, ed ora lavori come insegnante di inglese alla Teikou, e sei anche l’allenatore della squadra di basket», gli aveva detto solo qualche minuto prima senza però scendere nei particolari, e per quello Nijimura non può non essere consapevole delle notevoli omissioni fatte in quelle spiegazioni.
«E... Haizaki?», domanda infatti, nervoso. Non ha ancora accettato che quel tipo visto al suo risveglio fosse proprio Haizaki Shougo e che, soprattutto, fosse suo marito.
“Uno pseudonimo? Quanti altri Haizaki Shougo possono esistere in Giappone?”, si chiede, trovando quell’ipotesi così ridicola da sentirsi quasi un idiota, “Maledizione! Che cavolo mi è saltato in mente? Sposarmi con lui?!”, si insulta ancora.
«È qui fuori. Vuoi che lo faccia entrare?»
Sussulta nel sentire quella proposta, scuotendo istintivamente il capo.
«No no», esclama.
«Hai paura di lui?», gli chiede sorpreso l’uomo.
«Cosa?! Perché dovrei?», ribatte, prendendosi qualche momento prima di riuscire a parlare ancora, «È che… non mi sembra di conoscerlo. È diverso…», ammette.
«Ti fa sentire a disagio?»
«Un po’... ma… è davvero mio marito?», riesce poi a chiedergli.
«Sì, lo è», annuisce Tetsuji, «E vi amate», aggiunge poi, forse dopo aver notato Shuuzou storcere il naso.
«Tsk...»
«Se non vuoi vederlo, non ti costringo. Ma è un bravo ragazzo e tiene a te», prosegue con calma, «E lui, sicuramente, saprà raccontarti quello che vuoi sapere meglio di me».
Nijimura vorrebbe controbattere e lamentarsi sul fatto che abbia definito Haizaki un ‘bravo ragazzo’ - perché quello che conosceva lui, anche se era un ragazzino problematico, era pur sempre una testa di cazzo -, tuttavia non può non annuire. Infatti neanche cerca di fermare il genitore quando lo vede alzarsi dalla sedia per andare verso la porta.
Vuole sapere, anche se significa affrontare Haizaki. Non ha mai avuto paura di lui - perché dovrebbe? -, ma in quell'istante si sente a disagio all'idea di rivederlo così diverso da come se lo ricordava.
«Ehi».
Rialza lo sguardo, accogliendo in quel modo il 'nuovo' Haizaki entrare nella stanza al posto di suo padre.
«Ehi…»
Lo squadra di nuovo da capo a piedi, sentendo ancora quella vaga sensazione di familiarità che sembra avere senso se associata al suo compagno di squadra, ma che al tempo stesso gli fa capire di avere davanti una persona diversa.
«Stai meglio?», gli chiede Haizaki, sedendosi sulla sedia lasciata libera da suo padre.
«Più o meno», ammette cercando di mantenere la calma, «Non ricordo niente».
«Il medico mi ha spiegato la situazione», annuisce l'altro, «Ed ha precisato che non devi sforzarti di ricordare. In questi casi è molto alto il rischio di soffrire di numerose emicranie e altri disturbi, che possono peggiorare con questi sforzi».
«Lo so benissimo», sbotta in risposta, trovando insopportabile quel suo tono così… preoccupato e gentile.
“Non è Haizaki. Non è lui”, urla mentalmente.
«Mi ha anche detto che l’irritabilità potrebbe essere una delle conseguenze, ma su di te suppongo sia innata», commenta con un pizzico di ironia che fa istintivamente imbronciare Shuuzou. In quella battuta riesce a rivedere il suo kohai e per quello, forse inconsciamente, riesce a seppellire per qualche momento l’ascia di guerra. Si sente in qualche modo rassicurato da quella sensazione di familiarità appena provata.
«Il tuo ultimo ricordo?», riprende Haizaki.
«Ho affidato ad Akashi la squadra, abbiamo fatto allenamento… e stavo tornando a casa quando mi sono svegliato qui».
Entrambi restano in silenzio dopo la risposta di Nijimura, ed è proprio quest'ultimo a cercare di parlare ancora.
«Sei cambiato», afferma.
«Già...»
«Ho bisogno di spiegazioni se non si fosse capito!»
«Hai già ricevuto molte informazioni, non credi di esagerare?»
Shuuzou storce il naso per la sua risposta che gli fa rimpiangere il non potersi alzare, perché in quel momento sente per davvero il bisogno di poterlo prendere a calci in culo. Tuttavia, si dice, sa di poter sempre rimediare in qualche altro modo.
«Avvicinati», sbotta infatti.
«Ah-ah. No», risponde l’uomo scuotendo il capo e piegando le labbra in un piccolo ghigno che spinge Nijimura a pensare: "Questo è Haizaki", «Conosco quella faccia e non intendo farmi male».
«Non mi scapperai per sempre», controbatte subito.
«E non intendo farlo: sei mio marito».
La naturalezza di quell’affermazione riesce, ovviamente, a spiazzare Shuuzou, facendogli sentire le guance in fiamme.
Non lo capisce! È complicato!
Non può ignorare né il fatto che lo definisca così tranquillamente ‘marito’ e né tanto meno l’imbarazzo che scaturisce da quell’affermazione. Inoltre, cosa non meno importante, l’aria più matura che emana Haizaki lo spinge a pensare che sia 'figo'... e, di conseguenza, quello lo fa imbarazzare ancor di più.
«Che... cosa ti è successo?», domanda piano, distogliendo lo sguardo per qualche momento nella speranza di scacciare quei pensieri.
«Ho fatto troppe scelte sbagliate e alla fine, una volta toccato il fondo, le cose erano due: o scavavo o mi arrampicavo», spiega, «Ci siamo ritrovati mentre stavo rimettendo insieme i pezzi della mia vita e mi hai aiutato, come sempre».
Nijimura annuisce serio, ascoltando quella spiegazione semplice e senza troppi fronzoli. Vorrebbe sapere di più in realtà, ma è certo che se da una parte Haizaki non voglia confonderlo dandogli troppe informazioni, dall’altra si senta anche a disagio nel ricordare il passato. Inoltre, per quanto riguarda la sua confusione, sente di potergli dare ragione: perché in fin dei conti quelle erano un mare di notizie per chi era appena uscito da un coma, senza ricordi degli ultimi dieci anni, ma quelle parole gli fanno anche desiderare di voler sapere di più.
«Quindi... siamo sposati», ricapitola.
«Da cinque anni», precisa Haizaki.
«E, ovviamente, viviamo insieme», continua Shuuzou.
«Quanta arguzia», ghigna in risposta, meritandosi un'altra occhiataccia da parte di Nijimura - quando sarà di nuovo in grado di muoversi, gliela farà pagare, si ripromette.
«Tsk... che lavoro fai? Non sarai uno di quelli che ciondolano in casa senza fare niente».
«Ciondolo parecchio a casa», ammette Haizaki, «Ma lavoro lì, quindi non è un problema».
«Eh?»
«Non ridere», lo avverte con un sorrisetto, «Sono un fisioterapista, ho uno studio domestico», spiega, e Nijimura non può non concedersi una risata, la prima da quando si è svegliato.
«Fisioterapista!», ripete divertito.
«Eh sì», annuisce Haizaki, senza mostrarsi offeso, forse solo un po' nostalgico, «Avevi riso anche la prima volta», aggiunge piano, spegnendo senza volerlo l'ilarità di Nijimura.
“La prima volta”, ripete con l’amaro in bocca. Non può non ammettere di trovare facile, e anche quasi piacevole, chiacchierare con lui, ma quella 'complicità' gli fa capire di aver dimenticato qualcosa di molto più importante di qualche ricordo... e quello lo fa sentire frustrato. Per quanto sia felice all’idea che suo padre sia guarito del tutto, Shuuzou fatica ancora ad accettare quella situazione, ma è costretto a concedersi che quella è la prima volta che sente per davvero di voler ricordare anche Haizaki.
Lascia calare il silenzio, cercando qualsiasi cosa in grado di scacciare quelle sensazioni ed aggrappandosi infine ad uno dei primi ricordi che ritiene sensati dal suo risveglio - e che in quell’istante ricorda solo vagamente, anzi: in realtà ricorda ben poco - fino a quel momento.
«E… Kise?», domanda, strappando in Haizaki nuovo sorrisetto.
«Devo ritenermi offeso? Riconosci Ryouta e non me».
«Lui è uguale a come lo ricordo!», si difende, «Tu sei... diverso», aggiunge.
«Effettivamente non hai tutti i torti», acconsente Haizaki, toccando distrattamente la bassa coda argentea che si appoggia sulla sua spalla, «Dopo un vergognoso periodo di treccine africane, ho deciso di lasciare crescere i capelli».
“Treccine africane?!”, ripete mentalmente Shuuzou, sentendo la lingua pizzicare per la curiosità.
Riesce in qualche modo a ingoiare la voglia di indagare, cercando di riportare il discorso sul giusto binario.
«Non è questo il punto. Tra voi due, tra te e Kise, che succede?», insiste infatti.
«È il mio migliore amico», risponde l’altro, «Ci credi?»
«… no».
«Dovresti invece. Anche se è estremamente appiccicoso e chiassoso, non è male averlo attorno ogni tanto».
«Questo non è il futuro… mi sono svegliato in un universo parallelo», mormora, sinceramente sorpreso da quell'informazione.
«Eri sconvolto anche la prima volta che ci hai visti insieme», spiega.
«Questa è una storia che vorrei sentire», risponde speranzoso.
«È un trucco per conoscere tutta la storia, vero?»
«Stai insinuando che sto cercando di prenderti in giro?», sorride quasi d'istinto.
«Non sia mai!», risponde Haizaki portando una mano al petto, «Ma non vorrei che il tuo povero piccolo cervellino confuso vada in tilt», prosegue con un ghigno, smorzando in un lampo l’ilarità di Shuuzou.
«Ti ammazzo», lo minaccia con un broncio, strappando nell'altro una risata.
«Okay okay…», si arrende, «Ti racconterò tutto, non solo di Ryouta», gli concede e Nijimura non può non piegare le labbra in un sorriso soddisfatto.
«Per farti capire tutto, devo partire dalla terza superiore. Dopo oltre un anno di pausa, avevo deciso di riprendere a giocare a basket. Avevo passato l'intero secondo anno delle superiori a cercare di tagliare fuori il basket dalla mia vita, ma non ci ero riuscito. Non ero stato in grado di dimenticarlo, e quindi dopo aver tagliato i ponti con le pessime compagnie che avevo iniziato a frequentare, ho cercato di riprendere il mio posto in squadra e di lasciarmi tutto alle spalle...», racconta con calma ed un tono vagamente triste che non sfugge a Shuuzou, «Vorrei dire di aver trovato numerosi ostacoli nella mia ‘corsa alla maglia da titolare’, ma i miei compagni non erano dei gran geni. La mia presenza in squadra sembrava essere necessaria per loro nonostante i trascorsi, quindi riottenere il mio ruolo era stato più facile e veloce di quanto avessi pensato. Tuttavia, per quanto fossi superiore tecnicamente, avevo passato un anno a cazzeggiare, e a livello fisico sentivo il peso delle mie stronzate. Mi dicevo: "Perché cazzo hai perso tutto questo tempo? Come hai fatto a rimanere così indietro?". Puoi immaginare la frustrazione! Ho continuato quindi ad allenarmi, anche dopo le ore regolari del club perché volevo recuperare. Volevo scontrarmi contro la Generazione dei Miracoli a testa alta... ma ironicamente perdemmo al torneo primaverile contro quello stramboide di Midorima».
«... si portava ancora dietro i suoi portafortuna?», gli chiede, cercando di non commentare il resto. Non ci voleva un genio per sapere come era andata a finire con Haizaki e i suoi allenamenti da folle. Certo: il fatto che avesse cercato di recuperare e di fare ammenda dei suoi errori gli faceva onore, ma doveva sicuramente aver esagerato.
“Se ci fossi stato, gli avrei impedito di fare il coglione in questo modo”, pensa istintivamente.
«Cazzo sì! In panchina c'era un dakimakura con Nico! Lo ricordo come se fosse ieri, e non ho bisogno di avere una commozione cerebrale»
«Sto perdendo il conto di quante volte dovrò prenderti a calci in culo», borbotta, riprendendo poi con un: «Nico?», abbastanza confuso.
«Yazawa Nico. Love Live. Hai presente? Le idol... l'anime e il gioco!»
«Non voglio sapere come fai a conoscere Love Live...»
Haizaki ride ancora.
«Il gioco era una fottuta droga», taglia corto, per poi proseguire in modo un po' più serio, «Sarebbe un eufemismo dire che non l'avevo presa male, ma in quel momento non ero arrabbiato con la squadra o con Midorima; avevo ancora in testa la certezza di aver perso a causa delle mie cazzate. Non potevo più permettermi altre perdite di tempo: dovevo arrivare alla Winter Cup pronto a tutto. E sono finito in ospedale solo qualche mese dopo proprio contro Daiki».
«Overworking?», domanda Nijimura con la certezza di aver ragione.
«Già... ma avevo dato del mio meglio, sai? Più giocavo, più mi rendevo conto di quanto il basket mi fosse mancato e di quanto fossi stato un idiota a rinunciare… e a quel punto, più che la vittoria, desideravo che anche gli altri si rendessero conto del mio cambiamento: dovevano capire che stavo facendo di tutto per essere una persona migliore. Combattere contro Daiki poi… quel tipo è sempre stato un mostro, per non parlare del fatto che c'è l'aveva ancora con me per via di Ryouta...», constata più per sé stesso che per Nijimura, costringendolo infatti ad interrompere il racconto per avere più spiegazioni.
«Cosa era successo con Ryouta?»
«Mh…. in prima superiore ci siamo scontrati. Sono stato sconfitto ed ho… cercato di fargli del male, prima in campo e poi fuori», ammette.
«Sei una testa di cazzo!»
«Daiki l’aveva intuito. E con un pugno mi ha steso prima che riuscissi a fare un casino», spiega, «Solo in seguito mi sono reso conto di essergli davvero riconoscente per avermi fermato».
Nijimura annuisce serio.
«Quindi la partita?», gli chiede poi per fargli proseguire il racconto.
«Stavamo perdendo, ma lo scarto non era eccessivo», riprende Haizaki, «Riuscivo a rendere nulle le azioni dei compagni di Daiki e, fortunatamente, alcuni dei primini della mia squadra non erano delle seghe totali, quindi riuscivamo in qualche modo a stare abbastanza vicini con il punteggio. Ovviamente, solo io ero in grado, in qualche modo, di stare dietro Daiki e... ad un certo punto ricordo di aver quasi creduto di potercela fare. Non so come definire quello che mi successe, e tutt’ora non mi è mai capitato di sperimentare di nuovo quelle sensazioni, ma ero così immerso nel gioco che mi sembrava di sentire le singole goccioline di sudore sulla pelle, i respiri degli altri giocatori e i movimenti della palla quasi al rallentatore... poi tutto finì a qualche minuto dalla fine del terzo quarto. Tutte le mie energie si erano esaurite e mi ero involontariamente lasciato andare. Volevo continuare a giocare ma il mio corpo non rispondeva più ai miei comandi. Ricordo perfettamente di aver messo male il piede dopo una schiacciata e di essere caduto sul parquet. Ero così fuori di me da non essermi neanche reso conto di aver perso i sensi. Mi risvegliai in ambulanza, in viaggio per il pronto soccorso. Distorsione alla caviglia e stiramento ad uno dei legamenti della spalla», gli spiega con amarezza, «Ho incontrato Ryouta per la prima volta quello stesso giorno. Si trovava al pronto soccorso per il ginocchio, e ironicamente non si era fatto male sul campo, ma durante uno dei suoi photoset... e puoi immaginare la sua frustrazione. Lì per lì però non abbiamo parlato tanto, prima di tutto perché subito dopo era arrivato Daiki in soccorso di Ryouta, come se fosse una fighetta in difficoltà, poi perché non avevo niente da dirgli. Ero imbarazzato e arrabbiato, e solo quando ci siamo ritrovati costretti a frequentare lo stesso centro di riabilitazione ho capito che Ryouta provava la mia stessa frustrazione e rabbia. Ci siamo trovati stranamente vicini, e senza che me ne accorgessi eravamo già amici… anche perché, non ho mai avuto un amico. Quindi non sapevo esattamente di poterlo definire in quel modo».
«Haizaki...»
«Lo so. Mi sono comportato come un coglione e ti dispiace non esserci stato per farmi togliere la testa dal culo», riprese con tranquillità, «Parole tue, ovviamente. Me lo hai detto tante volte, soprattutto dopo il tuo rientro. Sai, devo essere sincero, anche se stavo cercando di cambiare, vederti mi ha creato parecchi problemi. Solo con l’andare del tempo avevo capito che avevi sempre cercato di aiutarmi alle medie, ma a quei tempi era difficile accettarlo. Inoltre, ero rimasto solo per così tanto tempo che rivederti mi ha fatto anche capire quanto avessi visto la tua partenza come un tradimento...», ammette, continuando poi a parlare per impedire a Shuuzou di aprire bocca, «In quei mesi ricordo di averti accusato più volte di avermi lasciato nella merda. Ammetto che il mio non era stato un atteggiamento nobile, ma dalla tua parte posso dire che, nonostante le mie accuse, sei ugualmente rimasto con me per aiutarmi. Con il tempo poi ho avuto il coraggio di rivelarti il mio desiderio di diventare un fisioterapista. Hai riso come un idiota, ma mi hai dato il tuo supporto. Abbiamo iniziato a frequentarci, ci siamo sposati e fino a qualche giorno fa eravamo una coppia felice».
Nijimura decide di non commentare il suo ‘coppia felice’ - anche perché una piccola parte di sé gli sussurra un: “Con un Haizaki così è ovvio essere felici” -, preferendo invece soppesare ogni singola parola pronunciata dall’altro. Sono tante informazioni ed è anche certo che manchi qualcosa, qualche omissione importante del ‘se stesso del 2029’, ma per il momento decide di potersi accontentare.
«… perché proprio fisioterapista?», gli chiede allora.
«Sarebbe romantico dire: “Volevo aiutare le giovani promesse dello sport a riprendersi dagli infortuni”,ma alla fine mi piaceva il fisioterapista che mi aveva in cura e mi ha spinto lui a questa professione», dichiara con un ghigno.
«… mi stai prendendo per il culo?!»
«Sei geloso?», insinua Haizaki, palesemente divertito spingendo però Shuuzou ad interrogarsi sulla sua reazione. Non capisce esattamente cosa stia provando, e vuole convincersi che non si tratti di gelosia ma che sia invece fastidio.
«No», risponde infatti, «Mi... sembra solo una motivazione stupida», ammette.
«È in parte vera», riprende Haizaki, «È stato per davvero il mio terapista a spingermi verso questa professione. Mi aveva fatto capire di avere la mia intera carriera tra le sue mani. Poteva distruggermi o portarmi alle stelle in un lampo: dovevo solo ascoltarlo senza fare il coglione. E ammetto che l’idea di avere quel potere mi ha affascinato».
«Questa è sicuramente la verità», concede Shuuzou divertito, e per quanto gli sembri ancora strana l’idea di parlare in quel modo proprio con Haizaki - e, soprattutto, avere la consapevolezza di avere un rapporto ben diverso e più profondo con lui -, Nijimura si trova anche costretto ad ammettere di sentirsi a suo agio con quelle chiacchiere. E, ancora una volta, si ritrova a pensare che: “Con un Haizaki così sarebbe davvero facile essere felici”.

 

Prima che gli venisse finalmente permesso di lasciare l’ospedale, Nijimura era stato costretto a passare lì un’intera settimana. La sua memoria non era tornata in quei giorni, ma il medico si era sin da subito mostrato positivo su un suo recupero non appena avrebbe rimesso piede a casa e ripreso la sua solita quotidianità - aveva anche ripetuto più volte di non cercare di strafare, sia a lui che a Haizaki, perché i ricordi sarebbero tornati senza spinte. E, con la gamba ancora fasciata e delle stampelle, che avrebbe potuto utilizzare solo quando avrebbe avuto abbastanza energie per alzarsi dal letto - cosa che sperava accadesse presto, perché non ne poteva già più di stare disteso -, Shuuzou varca la soglia di quella che dovrebbe essere casa sua su una sedia a rotelle spinta da Haizaki.
Si guarda subito attorno alla ricerca di qualcosa che gli faccia dire “Questa è casa mia”, ma niente di tutto quell’arredamento gli sembra familiare.
«Rimandiamo il tour a quando potrai alzare il culo dal letto», annuncia Haizaki, spingendolo oltre un luminoso salottino per immettersi in un corridoio, «Ti basti sapere che questa è la tua camera. Qui ti farai il sedere piatto per i prossimi giorni», riprende portandolo all’interno di una stanza.
«Fai un altro commento sul mio culo e vedrai dove finiranno queste stampelle», ringhia Nijimura, stringendo le mani su quelle che già vede più come armi che come alleate per alzarsi dal letto.
Ignora con difficoltà la risata di Haizaki - “Ride bene chi ride ultimo, idiota”, pensa quasi imbarazzato dal fatto che quel suono sia stato subito in grado di scaldargli stranamente le guance -, cercando invece di concentrarsi sulla sua camera da letto. È grande e arieggiata, con un letto matrimoniale che gli fa istintivamente pensare un “Non è solo la MIA stanza è la NOSTRA stanza”. Quella certezza lo imbarazza ulteriormente, e si dà subito dello stupido perché, essendo sposati, è normale che dormano insieme, ma la sua mentalità non è quella di un trentenne sposato, ma bensì quella di un quindicenne… e sa per certo di non aver mai dormito con un altro uomo - o con una donna. Ha diviso la stanza con altri ragazzi, e talvolta anche il letto con i suoi fratellini, ma è ovvio che nessuna delle esperienze che è in grado di ricordare sia anche solo paragonabile a quelle di una coppia sposata.
«Quindi... tu...», esordisce.
«Dormirò sul divano», lo anticipa Haizaki, fermandolo accanto al letto per sistemare i cuscini, «Il dottore ha detto di non correre, no?», gli ricorda.
«Stento ancora a credere che tu sia... tu!», borbotta Nijimura, allungando istintivamente le braccia quando Haizaki si piega su di lui per aiutarlo ad alzarsi e spostarsi sul letto - sicuramente più comodo di quello dell’ospedale.
«E dire che spesso di mi dici: “Non sei cambiato per un cazzo, Haizaki!”», dichiara l’altro, esibendosi in quella che, alle orecchie di Shuuzou, suona come una fin troppo perfetta imitazione della sua voce.
«Tsk... le stampelle. Vorrei averle vicine per ogni evenienza», borbotta, indicando con un gesto del capo le due rimaste sulla sedia a rotelle.
«Okay. Ma tanto sono qui, non dovrai fare niente da solo. Il bagno è pure vicino», spiega Haizaki tranquillo, indicando con un gesto una porta alle sue spalle e appoggiando in ogni caso le stampelle accanto al comodino.
«Sì, sì... lo so», mugugna in risposta Nijimura, prendendone una, «Ah, Haizaki?»
«Sì?», e in un lampo la stampella va ad abbattersi sullo stomaco dell’altro, strappandogli un gemito tra l’infastidito e - forse - il divertito.
«La prossima volta che mi prendi per il culo non ci andrò così piano!», lo minaccia con un pizzico di soddisfazione nella voce.
«Oh, Shuuzou... non sai quanto questa affermazione sia familiare alle mie orecchie... e sicuramente non vorrai neanche sapere in quali occasioni l’hai utilizzata~», aggiunge Haizaki, allontanandosi rapido dal letto per evitare delle sicure ritorsioni. Infatti a Shuuzou bastano pochi istanti prima di capire il senso delle sue parole e di sentirsi avvampare fino alla punta delle orecchie.
«S-sei un maledetto maniaco!», gracchia, facendo ancora ridere Haizaki.
«Sì, lo ammetto», concede, assumendo poi un’espressione quasi seria, «Ma sono felice di poterti riavere a casa...»
Nijimura trova difficile non riuscire a calmarsi dopo quelle parole, rendendosi finalmente conto che, per quanto per lui sia stato traumatizzante svegliarsi in quel ‘mondo’, per Haizaki doveva essere stato anche peggio scoprire che era stato coinvolto in un incidente, per non parlare del fatto che aveva perso la memoria e che non ricordava assolutamente niente della loro relazione. Si sente quasi investito da quella consapevolezza, arrivando addirittura a vergognarsi per la sua mancanza di empatia, e anche se è certo di poter essere giustificato, non può non sentirsi una pessima persona.
Apre infatti la bocca per scusarsi, riuscendo solo a bofonchiare qualcosa senza senso che lo fa sentire un perfetto idiota.
«Pensa solo a riposarti, tra qualche giorno potrai iniziare a muoverti per casa e penseremo anche alla terapia riabilitativa», riprende Haizaki senza dare peso al suo blando tentativo di scuse.
«Eh?»
«So che è poco professionale, ma ho convinto il Dottor Yuuta ad affidarti alle mie sapienti mani di fisioterapista...», spiega con un sorrisetto divertito e, continuando a mantenere una certa distanza di sicurezza, aggiunge un: «Non ti eccita l’idea?», che suona così malizioso alle orecchie di Nijimura da farlo avvampare per l’ennesima volta.
Rimanda a data da definirsi le scuse, iniziando invece a sventolare la stampella verso l’altro senza ovviamente avvicinarsi neanche lontanamente a colpirlo.
«Fottiti Haizaki!», esclama imbarazzato.
Lo sta facendo di proposito quel maledetto! Ma, in un certo qual modo, Shuuzou trova anche rassicurante quel battibeccare. Non sa come si sia evoluto il loro rapporto in quegli anni, ma quanto meno sa come era alle medie, e l’idea di poter discutere con lui, anche scherzosamente, lo fa sentire bene.
«Cosa vuoi per pranzo? Ordino qualcosa», si riprende Haizaki.
«Mh? Non cucini tu quindi?», gli chiede riscuotendosi dai suoi pensieri.
«Solitamente te ne occupi tu», ammette Haizaki tranquillo.
Nijimura annuisce, cacciando il più lontano possibile il: "Finalmente un difetto che lo rende meno perfetto... oh cazzo! Ho appena definito Haizaki 'perfetto'? Che problemi ho?", e storcendo poi subito dopo il naso quando sente l'altro proporre: «Prendiamo qualcosa di leggero».
«Ma anche no! Sono stufo di mangiare minestrina e cose da ospedale!», si lamenta.
«Pizza?», propone quindi Haizaki con un sorrisetto al quale Nijimura trova impossibile non rispondere.
«E pizza sia», accetta infatti.
«Chiamo e torno, non muoverti», esclama, allontanandosi dalla stanza sotto lo sguardo attento di Shuuzou.
È in quel momento che Nijimura si permette di osservare con più attenzione la camera. Il letto è affiancato da due comodini bassi, e mentre sulla sinistra troneggia un'ampia vetrata che sembra dare ad un giardinetto - "Ci trattiamo bene se abbiamo anche un cortile", pensa -, sulla destra oltre l'ingresso alla camera è impossibile non notare un grande armadio che occupa gran parte del muro e che, come intuisce senza troppi problemi, sicuramente raccoglie i vestiti di entrambi. Davanti al letto, invece, vede la porta del bagno - ringrazia che sia lì: in quelle condizioni non è certo di poter fare chissà quali tragitti per i suoi bisogni - e una cassettiera in legno che attira suo malgrado tutte le sue attenzioni.
Per quanto sia elegante, perfetta con il resto dell'arredamento, non può non pensare che sia... vuota. È come se mancasse qualcosa, e non lo dice per un qualche ricordo, ma più che altro per un occhio critico e osservatore.
Infatti, al rientro di Haizaki, non può non chiedergli spiegazioni.
«In quella cassettiera... manca qualcosa», dichiara, sentendosi poi quasi in colpa nello scorgere un lampo di speranza attraversare gli occhi di Haizaki, «Non ricordo niente, per il momento, è solo un commento a livello... estetico», aggiunge.
«Oh», esala l'altro, «Beh, non hai tutti i torti», ammette poi guardando a sua volta la cassettiera.
«Cosa c'era sopra?»
«Solo foto», sminuisce Haizaki.
«Ovviamente nostre foto», precisa Nijimura, «Perché le hai tolte?»
«Il medico ha detto di andarci piano».
«Oh andiamo! Che vuoi che siano delle foto!?», sbotta nervoso, «So già che siamo... beh, sposati. Vedere delle foto non mi creerà problemi».
Haizaki lo fissa per qualche momento, come se stesse soppesando le sue parole.
«Hai ragione», si trova costretto ad accettare, «Più tardi le rimetto», conclude.
«Perfetto», annuisce soddisfatto Shuuzou. In realtà, anche se non vuole ammetterlo, si sente ulteriormente a disagio all'idea di vedere delle foto che lo ritraggono felice accanto ad Haizaki. Certo, in quei giorni ha già pensato più e più volte a quanto fosse 'facile' essere felice con un 'Haizaki del genere' - fin troppo a dirla tutta -, ma dall'altra parte ha paura delle sensazioni che potrebbe provare.
Durante la sua lunga degenza in ospedale si era ovviamente permesso di pensare ai suoi sentimenti. L’Haizaki che stava imparando a conoscere era affascinante e maturo, con un pizzico di idiozia e di cinismo che gli calzavano a pennello, ma Nijimura sapeva che, oltre quelle piccole cose, lui non era mai stato innamorato del suo kohai. Per lui aveva provato un sacco di altri sentimenti - dalla preoccupazione alla rabbia -, ma tra questi non aveva mai scorto l'amore.
Come si era innamorato di lui? E, soprattutto, sarebbe riuscito a provare ancora quei sentimenti?
Scuote un poco il capo, tentando di allontanare quelle ombre dalla sua mente. È appena stato dimesso dall'ospedale e i medici sono fiduciosi sulla sua ripresa, per quello è troppo presto pensare "E se non ricordassi più?"
Tenta quindi di rilassarsi, e dopo aver chiuso gli occhi si concede un lungo sospiro. Rimane in quella posizione per quelli che gli sembrano solo pochi istanti, ma che in realtà sono molti di più, rendendosene conto infatti solo quando Haizaki inizia a chiamarlo con un basso: «Shuuzou?», al quale lui si costringe a rispondere con un mugugno.
Socchiude un poco gli occhi, trovandoli stranamente pesanti, rivolgendo all’altro uno sguardo confuso.
«Mh?»
«L'ora della nanna è finita, e la pizza è arrivata», annuncia Haizaki lasciando, ovviamente, Nijimura perplesso.
“La pizza è arrivata”, ripete inconsciamente, mormorando poi un roco: «Mi sono addormentato?»
«Per un'ora e mezza», precisa l'altro.
«Ah...»
Non si era reso conto di essersi addormentato, ma in un certo qual modo si sente quasi rassicurato: pur non conoscendo la casa - almeno non consciamente - il suo corpo si è rilassato senza neanche doversi sforzare.
«Se ti senti abbastanza in forma potresti provare a fare qualche passo verso la cucina, altrimenti ci spostiamo con la sedia», prosegue Haizaki tranquillo.
«Cammino. Ho il culo per davvero piatto per quanto sono rimasto sul letto», borbotta.
«Tu puoi parlare del tuo culo e io no?», commenta l'altro, spostandosi per aiutarlo ad alzarsi.
«Assolutamente», conferma Shuuzou, accettando tuttavia l'aiuto di Haizaki, certo che senza la sua presenza non sarebbe mai riuscito a sollevarsi... o meglio: ci sarebbe riuscito, ma non è certo che sarebbe anche stato in grado di mantenere sin da subito l'equilibrio. Impugna entrambe le stampelle una volta trovata una posizione stabile, e stringendo con forza i pugni su di esse, si rende conto di provare una dose di sicurezza non indifferente alla sola idea di avere Haizaki accanto a sé, pronto a sorreggerlo in ogni momento.
Non tenta neanche di scacciare quel pensiero in parte imbarazzante, preferendo al contrario rivolgere tutte le sue attenzioni verso un primo ed incerto passo. Stringe le labbra per lo sforzo e per il dolore alla gamba che, suppone, sia normale.
«Appena senti di non farcela ci fermiamo. Non serve a niente fare il forte», lo avverte Haizaki.
«Devo abituarmi a questa... tua personalità», commenta Nijimura, scoprendosi ulteriormente imbarazzato per quelle attenzioni così premurose.
«È solo perché sei un disabile», ribatte Haizaki con un ghigno, meritandosi un'occhiataccia da parte dell'altro.
«Ringrazia che le stampelle mi servono per reggermi in piedi», sbotta proseguendo a passo di lumaca verso la porta della stanza, fermandosi dopo qualche minuto con il fiatone e la certezza che non sarebbe mai riuscito ad arrivare alla cucina. La porta gli sembra tremendamente lontana e lui si sente così debole per tutti quei giorni passati a letto - senza contare l'operazione -, che la soluzione migliore gli sembra per davvero rinunciare.
«Sedia a rotelle?», gli propone infatti Haizaki, anticipando i suoi pensieri.
«Sedia a rotelle», conferma, tirando poi un sospiro di sollievo quando, finalmente, riesce a tornare seduto, «Lo sto facendo solo per la pizza. Non voglio che diventi fredda».
«Certo», annuisce l'altro con un tono palesemente divertito al quale Nijimura, solo per il momento, decide di non dare peso perché quando finalmente entrano in cucina, e alle sue narici arriva l’invitante profumo della pizza, Shuuzou capisce di essere veramente affamato.
Riconosce subito l’odore del suo pasto quando Haizaki lo ferma davanti a un cartone ancora chiuso e, sorpreso, non può non voltarsi verso l’altro uomo cercando risposte.
«Non mi hai chiesto che pizza volevo», dichiara, rendendosene conto solo in quell’istante.
«Tanto scegli sempre la stessa», risponde Haizaki prendendo posto accanto a lui, «Carbonara, con molta pancetta, uovo sbattuto e panna. Un pizzico di pepe. Con il bordo fine perché non ti piace mangiarlo».
Da una parte Shuuzou vorrebbe negare solo per fargli un dispetto, ma davanti a tutti quei dettagli che descrivono la sua pizza perfetta, non riesce a dire niente.
«Okay... mangiamo», borbotta però, aprendo il cartone e lasciandosi investire dall’odore delizioso della sua prima cena fuori dall’ospedale. Quel pensiero riesce subito a metterlo di buon umore, e dimenticato l’imbarazzo, accetta senza smettere di sorridere le posate che Haizaki gli porge per poter tagliare la pizza in spicchi.
Dopo il primo morso, non è certo se si tratti o meno del condimento o della pasta in sé, o proprio perché quello è a tutti gli effetti il primo pasto solido che riesce a mangiare, ma non può non pensare che quella pizza sia ottima. La divora con gusto, rendendosi conto solo alla fine - dopo aver lasciato gran parte dei bordi della pizza sul piatto - dello sguardo di Haizaki.
«Che c'è?», mugugna imbarazzato. Non capisce il perché del suo disagio, ma vorrebbe scappare da quegli occhi tanto familiari quanto diversi.
«Pensavo che ti saresti soffocato. Hai masticato almeno?», dichiara l'altro, ma Shuuzou - per quanto vorrebbe fargli un gestaccio - legge qualcos'altro tra le righe, ed è un qualcosa simile ad un "È bello vederti mangiare di nuovo", che lo fa sentire ulteriormente a disagio.
«Fottiti, Haizaki», mugugna prendendo un bicchiere di coca-cola, iniziando poi a sorseggiarlo con calma mentre con gli occhi si permette di scandagliare la cucina alla ricerca di qualcosa che gli faccia accendere la cosiddetta lampadina. La stanza è divisa da un bancone in legno scuro che separa la vera e propria cucina dal tavolo nel quale sono seduti. Vede un piano ad induzione al posto dei classici fornelli, dei coltelli posti ordinatamente vicino in un lato del bancone e quello che sembra essere un centro tavola con della frutta. Tutto l'arredamento è scuro, nero per la precisione, e crea un elegante contrasto con i muri bianchi.
"Hai buon gusto", vorrebbe dirgli, ma davanti a quella considerazione preferisce tenere la bocca chiusa, perché quel tipo di arredamento è quello che avrebbe scelto per la sua casa, e quindi con molte probabilità era stato lui stesso ad arredare quella cucina. Più ci pensa, più si rende conto di vedere il suo tocco nel mobilio, ma sfortunatamente niente di tutto quel che vede fa scattare qualcosa nella sua memoria.
"Pazienta ancora un po’....", cerca di incoraggiarsi, stringendo istintivamente i pugni per la frustrazione, "Ti riprenderai".
«Vuoi tornare in camera?»
La domanda di Haizaki lo lascia spiazzato, e anche se l'altro ha utilizzato un tono neutro, tranquillo, Shuuzou avverte anche un pizzico di preoccupazione - è come se avesse visto qualcosa nel suo viso che lo ha fatto allarmare. Non sente il bisogno di distendersi a dirla tutta, ma più che altro la necessità di stare un po' solo.
«Sì», annuisce infatti, «Forse è meglio».
Si lascia quindi portare da Haizaki di nuovo in camera, e in rigoroso silenzio si fa anche aiutare a tornare disteso. Nessuno dei due si mostra intenzionato a parlare, ma nel "A dopo", di Haizaki, Nijimura è certo di avvertire anche un "Se hai bisogno di qualcosa sono qui".
È rassicurante quella certezza, ma Shuuzou sa che non lo chiamerà.
Si concede un sospiro una volta solo, e riportando lo sguardo sulla cassettiera, nota subito che sono apparse alcune cornici, segno che Haizaki ha deciso di assecondarlo. Aguzza lo sguardo per vederle meglio, sporgendosi un poco in avanti con il busto senza rendersene conto. Riconosce il suo viso e quello di Haizaki, ma non capisce dove si trovino né quando possano essere state scattate, tuttavia ciò che ovviamente percepisce in ogni foto è la felicità. Quella consapevolezza però non lo lascia spiazzato come invece aveva creduto fino a poco tempo prima, gli sembra normale.
Continua ad osservarle, studiando i dettagli dello sfondo, degli indumenti che indossavano ed anche i loro sguardi, sforzandosi di portare alla mente un ricordo o qualsiasi altra cosa. Gli viene spontaneo imprecare tra sé e sé davanti alla totale mancanza di risultati, e affondando con la schiena nel materasso, porta gli occhi sul soffitto nella speranza di calmarsi e di non lasciarsi prendere dallo sconforto.
Si sente stanco e abbattuto, e per quanto una piccola parte di sé stia continuando ad insistere che quella che sta vivendo è solo una cosa passeggera, in quell’istante non riesce a credere a niente.

 

   
 
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