Film > Batman
Ricorda la storia  |      
Autore: Liz Briel    30/10/2016    2 recensioni
Quella sera, mentre si rigirava nel letto, aspettando che Morfeo l’accogliesse fra le sue braccia, si rese conto che a Joker gli era bastata una seduta per rubarle il cuore.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harley Quinn aka Harleen Quinzel, Joker aka Jack Napier
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sei così stupida, ragazzina.
È solo colpa tua se il signor J si è arrabbiato, non ne combini mai una giusta.
Si portò le mani alla testa, cercando, invano, di far tacere le voci. Loro non stavano mai zitte, parlavano continuamente. Erano state loro, anni fa, a spingerla nelle braccia dell’uomo che le aveva rubato il cuore.
Sorrise malinconica al ricordo del loro primo incontro.
 
4 anni fa.
Circa una settimana prima, il direttore di Arkham, il manicomio dov’erano rinchiuse le menti criminali più pericolose di Gotham, l’aveva chiamata poiché si era liberato un posto e avevano urgente bisogno di uno psichiatra.
Non si sarebbe mai aspettata un incarico in quel posto, dopotutto, lei, Harleen Quinzel, si era laureata solo due anni fa. Certo, aveva fatto un anno di tirocinio, ma l’Arkham non era un semplice ospedale psichiatrico.
Chiuse gli occhi e fece un lungo respiro, ma, appena li riaprì, notò le sue mani tremare.
Le succedeva sempre, ogni volta che era ansiosa. Fece un respiro profondo cercando di far calmare il suo irrequieto e povero cuore.
Si alzò dalla sua poltrona nera in pelle e controllò l’ora: erano le otto di mattina, mancava ancora un’ora al colloquio, ma lei era già pronta da mezz’ora. Non voleva fare brutta figura, voleva essere impeccabile, come sempre.
Avvolta nel suo completo bianco, ricontrollava, per l’ennesima volta, che il trucco non si fosse sbavato. La fine linea dell’eyeliner che risaltava i suoi occhi azzurri come il cielo, era impeccabile così come il suo rossetto bordeaux che spiccava sulla sua pelle diafana.
I lunghi capelli biondi erano raccolti in uno stretto chignon.
Sorrise osservandosi allo specchio.
La gonna bianca di seta, che le arrivava fin sopra al ginocchio, le fasciava le sue lunghe gambe magre e la camicetta nera spezzava tutto quel candore.
Si spruzzò un po’ di profumo e indossò gli occhiali. Era perfetta.
Controllò ancora l’ora: le sette e mezza. Era ora di andare.
Afferrò la valigetta, il cellulare, le chiavi e uscì di casa.
 
 
Il viaggio in macchina fu tranquillo, era troppo presto per rimanere bloccati nel traffico di Gotham. Le varie stazioni radio avevano parlato della cattura di quel pericoloso e spietato criminale, il Joker.
Quell’assassino aveva mietuto vittime lungo il suo cammino, ma Batman l’aveva catturato.
In quel momento si trovava davanti alla porta di quell’imponente edificio, non aveva il coraggio di entrare.
Si prese di coraggio ed entrò.
Dentro era immenso. Tutto ciò che la circondava era bianco e nell’aria si sentiva l’odore acre del disinfettante.
- Ben arrivata, dottoressa Quinzel- l’accolse un uomo di mezz’età, fermo a pochi passi da lei. Dovrà essere il signor Arkham, pensò la ragazza lisciando la sua gonna.
- La ringrazio, signor Arkham. Sono onorata di lavorare qui- disse la donna sorridendo. Non solo lavorare qui le avrebbe arricchito il suo curriculum striminzito, ma le avrebbe dato anche la possibilità di scrivere un libro su un criminale.
- Sono felice che lei abbia accettato di lavorare qui. Ho letto personalmente i  suoi lavori e, devo ammettere, che sono strabilianti per la sua giovane età- ammise l’uomo. – Ora la porterò a visitare l’ospedale- continuò il signor Arkham, iniziando a camminare.
L’unico rumore che si sentiva lungo il corridoi era il ticchettio dei suoi tacchi. Le pareti erano dipinti di un azzurro chiaro e di tanto in tanto incontravano inservienti o dottori.
- Qui si trovano i più pericolosi criminali di Gotham- mi informò il direttore, aprendo una porta. Davanti a lei si estendeva un immenso corridoio dove si trovavano le stanze dei pazienti.
Iniziò a camminare osservando i vari detenuti, ma solo uno attirò la sua attenzione.
In una stanza, sdraiato sulla brandina, c’era un uomo dai capelli verdi, la cui pelle era di un bianco innaturale. Aveva gli occhi chiusi, sembrava che stesse dormendo.
- Lui è il Joker, è appena arrivato- annunciò l’uomo, avvicinandosi alla ragazza.
Joker, sentendo il suo nome, aprì gli occhi. Fu proprio in quel momento che la dottoressa Quinzel pensò di stare per annegare in quelle due pozze nere.
Il clown, vedendo Harleen, si aprì in un enigmatico sorriso, reso inquietante dal colorito rosso scarlatto delle sue labbra.
Il criminale, con passo felpato, si avvicinò ai due e iniziò a scrutare la donna.
Nella sua vita ne aveva viste di belle donne  e, soprattutto, durante la sua carriera criminale. Era innegabile la sensualità di Ivy o l’eleganza di Catwoman, ma la donna davanti a lui l’aveva colpito. Saranno stati quegli occhi che trasudavano insicurezza e solitudine o quel corpo perfetto e slanciato. Sapeva che quella dottoressa gli sarebbe stata utile.
 
Dopo quel primo incontro Harleen iniziò a documentarsi sul Joker, era diventato la sua ossessione.
Aveva letto tutte le sue cartelle,tutti gli articoli di giornale che riguardavano i suoi innumerevoli colpi e stragi, tutto ciò che le sarebbe tornato utile per la sua prima seduta.
Bevve un sorso di caffè dalla sua tazza cremisi. Adorava il caffè, il suo aroma e, soprattutto, adorava berlo così caldo da scottarsi la lingua.
Dopo un’ora alzò lo sguardo da un documento e si stiracchiò la schiena. Era da due ore seduta su quella scomoda sedia di plastica, il tempo era volato e fra meno di trenta minuti avrebbe avuto la sua prima seduta con il Joker.
Si alzò e iniziò a camminare per il suo piccolo e anonimo ufficio; non aveva neanche avuto tempo di arredarlo con qualcosa di suo.
Accarezzò il liscio e lucido legno scuro della sua scrivania e il suo sguardo finì fuori dalla finestra.
Il bussare alla porta la fece tornare alla realtà. Si sistemò la sua gonna che quel giorno era blu notte, il suo camice bianco e, infine, controllò di avere i capelli in ordine.
Prese un respiro profondo.
- Avanti- disse cercando di avere un tono sicuro.
Si aprì la porta e fecero il suo ingresso un inserviente e dietro c’era lui, il suo pensiero fisso da quando era annegata per la prima volta in quei due pozzi di petrolio. Stava succedendo la stessa cosa anche quella volta.
Quegli occhi neri la facevano sentire nuda, spogliata di tutte le barriere che aveva innalzato in tutti quegli anni, quel criminale riusciva a vederle l’anima.
-Per qualsiasi cosa, ci sono due guardie dietro la sua porta, ma credo non ci sia bisogno, abbiamo preso già delle precauzioni- la informò l’inserviente indicando la camicia di forza che indossava il Joker.
Il paziente non parlava, si guardava intorno senza badare a quei due, era come se si fosse dimenticato della loro esistenza.
Chissà a che cosa starà pensando, si chiese la donna quando la porta si chiuse.
Erano soli, finalmente dopo un mese erano soli. Questa consapevolezza, mista a un’altra strana emozione, le fece battere forte il cuore e far venire le vertigini.
Scosse la testa, cercando di tornare in sé e si sedette sulla sedia.
- Si può sedere, signor Joker- lo invitò la donna indicando la sedia davanti la piccola scrivania.
L’uomo, senza dire una parola, si sedette e si mise a fissarla con il suo solito ghigno enigmatico.
- Salve dottoressa Harleen, posso chiamarla Harley?- le chiese l’uomo venendo scosso da un tic alla lingua.
- Preferirei che mi chiamasse Harleen, sono comunque la sua dottoressa, signor Joker- rispose la donna non degnandolo di uno sguardo. Lei doveva essere professionale, non doveva mostrarsi debole davanti a lui, sapeva che sennò avrebbe potuto usare tutto ciò a suo favore.
- Dottoressa, non sia così tesa- disse l’uomo con finto tono preoccupato. Da quando si era seduto, non le aveva tolto gli occhi di dosso. La stava analizzando, voleva vedere fino a che punto poteva spingersi.
- Iniziamo- annunciò la psichiatra prendendo il suo taccuino e impugnando la sua stilo nera.
- Cos’è veramente l’inizio e cosa intende, lei, per inizio? Vuole per caso sapere da quando ho iniziato a uccidere o da quando sono fuori di testa- mormorò il Joker per poi scoppiare in una risata malata.
Non sapeva cosa dire, era rimasta perplessa e scioccata dalla sua reazione. Era ancora più scioccata dal fatto che per lei quella roca risata era stata musica per le sue orecchie.
Scosse la testa. Non doveva fare quei pensieri, lui era un assassino spietato che sarebbe stato capace di uccidere anche lei se avesse fatto un passo falso e a quella consapevolezza un brivido di terrore le percorse tutto il corpo.
Solo in quel momento si stava, veramente, rendendo conto del pericolo che stava correndo. Lui avrebbe potuta ucciderla anche ora, si sarebbe potuto liberare – sapeva che ne era capace- e strozzarla senza che le guardie potessero accorgersi di qualcosa.
Cercò di darsi un contegno, di non far trapelare nessuna emozione dai suoi occhi e dai suoi atteggiamenti.
- Che c’è dottoressa, vuole già mollare?- domandò il paziente aprendosi nel suo solito ghignò.
- Mi dispiace per lei, signor Joker, ma non sono una che molla subito- rispose la donna, cercando, disastrosamente, di mantenere il suo sguardo.
Era intimorita da quello sguardo sicuro, ma allo stesso tempo perso in chissà quale pensiero perverso.
Iniziò a concentrarsi sul suo viso e notò che quella carnagione così diafana era frutto di un cerone che cercava, invano, di nascondere le varie cicatrici che, in un certo senso, abbellivano ancora di più il viso dell’uomo.
Joker, accorgendosi del fatto che la dottoressa si fosse persa nel guardare le cicatrici, ghignò e si alzò dalla sedia, sovrastando la figura slanciata della donna.
La Quinzel non ebbe neanche il tempo di alzarsi e scappare che, in attimo, si ritrovò sdraiata sulla scrivania con la mano del paziente che le stringeva il collo.
L’uomo avvicinò viso al suo e, scosso da un tic alla lingua, le disse -Mio padre era un alcolista e un maniaco, e una notte dà di matto ancora più del solito...mamma prende un coltello da cucina per difendersi, ma a lui questo non piace neanche un pochetto! Allora mentre io li guardo, la colpisce col coltello, ridendo mentre lo fa...si gira verso di me e dice...perche sei cosi serio?! Viene verso di me con il coltello e mi ficca la lama in bocca. Mettiamo un bel sorriso su questo faccino! E... perchè sei così seria?-.
Non sapeva cosa fare in quel momento. I suoi occhi si spostavano freneticamente per cercare una via d’uscita, ma sfortunatamente stava avendo la peggio.
- Non devi tremare, saresti bellissima se solo non fossi così seria- iniziò a stringere più forte la presa – Sai, il tuo nome mi ricorda Harlequin- disse per poi scoppiare a ridere e iniziare ad accarezzarle il collo.
I sentimenti di paura che la psichiatra stava provando in quel momento, vennero offuscati dal piacere di quel tocco. Quelle mani pieni di calli, calde e colpevoli di aver versato litri di sangue sulle strade di Gotham; forse si sarebbero macchiate anche del suo sangue, ma ormai non ci stava più pensando.
Il signor J, lo notò. Lo notò dall’espressione della giovane donna, dalla pelle d’oca sulle braccia e dai quello sguardo azzurrino pieno di lussuria.
- Sai, sarebbe un peccato rovinare questo bel corpicino- ammise l’uomo afferrandole i fianchi.
Harleen sentiva sul viso il caldo respiro dell’uomo e tutti i pensieri razionali vennero azzerati dal desiderio di accarezzargli le cicatrici.
- Credo che la seduta sia finita- le sussurrò all’orecchio per poi allontanarsi bruscamente.
La psichiatra fece una smorfia di fastidio sentendo l’assenza del tocco di Joker.
Ma cosa mi sta succedendo? Si domandò mentre si sistema i lisci capelli biondi e cercava di dargli un ordine.
Il paziente si era rimesso la camicia di forza e ora era seduto sulla sedia. Aveva lo sguardo perso,era come se per lui non fosse successo niente prima.
Il bussare alla porta la distolse dai suoi pensieri.
- Avanti- disse sedendosi per non far notare il tremore alle gambe.
Nella sua stanza fece il suo ingresso l’inserviente di prima che prese per il braccio il Joker e lo fece alzare.
- Spero che il paziente si sia comportato decentemente- ammise l’uomo per poi dirigersi, insieme al paziente, alla porta. Prima che uscisse, il signor J le fece l’occhiolino per poi voltarsi di nuovo e tornare a guardare il vuoto.
Appena la porta si chiuse, Harleen appoggiò la testa sul freddo e lucido legno della scrivania. Il ronzio delle luci al neon le entrava nella testa, aumentando il suo, già forte, mal di testa.
Quella seduta era stata così… non sapeva neanche lei come definirla. L’unica cosa di cui era cosciente era che quel Clown non le era indifferente.
“Sarà sicuramente il fascino del criminale, mi passerà. Harley, ricordati che questo paziente è il tuo biglietto di entrata per un lavoro migliore” si disse massaggiandosi le tempie. Doveva essere fredda con lui, doveva resistergli e fare il suo lavoro.
Aveva sputato sangue per laurearsi in tempo e per poter lavorare ad Arkham. Aveva sacrificato anni della sua vita per compiacere sua madre, per non sentirsi più dire che era solo un fallimento. Fin da piccola ha sempre dovuto impegnarsi per rendere fiera sua mamma, ma la signora Quinzel non era mai stata contenta di lei. Mai un “brava tesoro”, mai una pacca sulla spalla come incoraggiamento.
Sospirò e scosse la testa cercando di togliersi dalla testa il pensiero di sua madre. Non doveva più pensarci, ormai aveva chiuso con lei, ora viveva da sola e non doveva più preoccuparsi del suo giudizio.
Osservò l’orologio e solo in quel momento si accorse che il suo turno era finito. Prese le sue cose e uscì dal suo studio per recarsi a casa.
 
 
Salì, con passo pesante, le scale di casa sua.
Quei sei piani l’affaticavano sempre, ma, dopotutto, doveva muoversi un po’ dal momento che a lavoro stava sempre seduta.
Le piaceva il suo appartamento, certo, non era in una bella zona, ma questo poteva permettersi con il suo lavoro e con i pochi risparmi che aveva raccolto quando ancora abitava con i suoi.
Girò velocemente la chiave ed entro a casa sua.
“Casa dolce casa” pensò accendendo la luce e appoggiando la sua borsa sul mobiletto posto all’ingresso.
Si tolse le scarpe e si diresse in cucina per preparare qualcosa di commestibile.
Stava per avvicinarsi quando una rosa, posata sul tavolo di legno chiaro, catturò la sua attenzione. Tremante, si avvicinò al fiore, cercando di normalizzare il respiro e di non perdere l’ultimo briciolo di lucidità che l’era rimasto.
Sapeva che era stato lui, lo confermava la carta raffigurante il jolly che era stata lasciata accanto alla rosa. Lui era stato lì; era entrato nella sua casa senza essere scoperto. Sapeva che le aveva lasciato a posta quella carta, le voleva far capire che lui poteva fare qualsiasi cosa e che non sarebbe stato un insulso manicomio a fermarlo.
Si portò la rosa vicino al viso e l’annusò. Il dolce profumo del fiori le invase le narici, facendole chiudere gli occhi dal piacere.
Si sedette sul piccolo, ma comodo divano rosso in pelle, abbandonando la testa sullo schienale e cercando di fare un quadro della situazione.
Il signor J era riuscito ad entrare a casa sua, lasciarle una rosa e tornare ad Arkham senza farsi scoprire. La cosa che la spaventava, però, era che lei non aveva paura, non si era preoccupata del fatto che lui sapeva dove abitava.
Sistemò la rosa in un vecchio vaso nero che aveva comprato in un mercatino dell’usato, si spostò in cucina e iniziò a cucinare.
 
Quella sera, mentre si rigirava nel letto,  aspettando che Morfeo l’accogliesse fra le sue braccia, si rese conto che a Joker gli era bastata una seduta per rubarle il cuore.
 
 
Se lo ricordava come fosse ieri quel momento.
Se avesse chiuso gli occhi, avrebbe sentito ancora il profumo di quella rosa.
Abbassò la testa osservando tutto il sangue che l’acqua le stava togliendo di dosso. Si osservò il braccio pieno di lividi violacei e ferite ancora fresche. Sorrise nel vedere quelli che lei considerava segni d’amore.
Joker non era un uomo normale e, dopotutto, lui era cresciuto in un clima di violenze, non conosceva altro modo di esprimersi. Questo era ciò che si ripeteva sempre.
Il suo biscottino l’amava così tanto, non avrebbe mai messo in dubbio il suo sentimento.
Lo sbattere forte della porta la distolse dai suoi pensieri.
- Harley-.
- Pasticcino- sorrise e uscì dalla doccia, felice di andare verso la sua metà oscura.






ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti, 
Questa è la prima volta che scrivo in questo fandom e non vi nego che sono un po' in ansia, poichè sono del parere che la coppia HarleyxJoker sia una coppia particolare.

Ho cercato di far si che il mio Joker non sia OOC e gli ho dato il volto di Heath Ledger, il mio Joker preferito.
Spero che la One Shot vi piaccia, in caso le recensioni costruttive sono ben accette, trovo che siano un modo di migliorarsi e, dopotutto, non nego che questo sia un esperimento.
Buona lettura.
Liz
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Batman / Vai alla pagina dell'autore: Liz Briel