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Autore: VenerediRimmel    31/10/2016    12 recensioni
Se dall’amicizia all’amore intercorre solamente la distanza di un bacio, dall’odio all’amicizia e poi dall’amicizia all’amore, la questione si fa un po’ più complicata: approssimando per logica, un bacio c’è di certo, ma anche qualcosa di più. Questo sarà quel qualcosa in più.
Harry, quindici anni, Grifondoro per scelta, seguendo Aritmanzia, avrebbe potuto calcolare un pronostico su che tipo di distanza ci fosse tra due persone che inizialmente si odiano, poi si vogliono bene e, infine, si amano.
Louis, diciassette anni, Serpeverde per lignaggio, supponente da far saltare i nervi anche al più paziente delle persone, come il suo migliore amico ad esempio, non avrebbe potuto calcolare tale distanza. Eppure supponeva che essa fosse una via di mezzo tra un pugno nello stomaco e un bacio a fior di labbra, e che questa strada fosse percorribile purché avvenisse nel momento giusto. Perché Louis crede nelle occasioni.
Due occasioni, quindi: una punizione col Professor Ruf e...il Torneo Tremaghi. Basteranno?
Dalla storia:Ma, appunto, fu inutile. Perché le loro labbra si schiantarono con la stessa potenza di uno Stupeficium.
[AU!Hogwarts - Harry/Louis - minilong di 62K parole]
Genere: Avventura, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A Lily e James,
Che morendo hanno dato prova della magia più potente fra tutte :
l’amore.



 
IV
Poi si amarono
(parte seconda)
 
Come due verginelli con gli ormoni scoppiati e lasciati alla libera baraonda. Ecco, in che modo descrivere Harry e Louis dopo quel momento.
Dalla Signora Grassa alla Stanza delle Necessità ci impiegarono un fottio di tempo. Correvano, spingendosi o semplicemente toccandosi ritrovando quella affinità fisica che avevano perso in quelle settimane, e poi rallentavano, camminando lentamente o fermandosi su una parete per baciarsi  con la stessa smania di chi non aveva più tempo per farlo.
«Kendall si starà chiedendo che fine abbia fatto…» affermò Harry, prima di essere morso dalla bocca di Louis. «Ahia».
«Ti interessa cosa possa pensare della tua assenza?» gli domandò il Serpeverde, mentre vedeva il Grifondoro accigliarsi indispettito.
«Questo dovrei essere io a domandarlo a te».
«Peccato che a me non me ne freghi una prugna secca di cosa possa star pensando Eleanor» convenne Louis, tamponandogli celermente la bocca con la propria e insinuandoci insolente la lingua. Harry, però, si ritrasse per dire «Fico».
Louis sorrise e «Grazie» rispose, pensando fosse un complimento inaspettato. Harry negò: «Si dice fico secco, non prugna… anche se non ho idea del perché» ci pensò su. Louis lo spinse via, ridendo incredulo dell’idiozia dell’altro per poi farsi strada lungo il corridoio.
«Che c’è ora?»
«Ti distrai facilmente, ranocchio-» la voce gli tremò ingenuamente, nel chiamarlo nuovamente con quell’epiteto. Il volto di Harry lo raggiunse, mentre si addolciva teneramente in sorriso trapuntato da due fossette.
«Questo l’ho notato però» precisò. Louis fece finta di non capire, velocizzando il passo. «Cosa? Non so proprio a cosa ti riferisci» gli disse, mentre tentava di non ridere.
Harry non insistette, ma con un pizzico di coraggio in più, allungò due dita pronte a solleticare la mano di Louis.
«Non penserai che io sia un tipo da passeggiata mano nella mano, vero?» disse il Serpeverde, senza però ritrarre la mano ma, anzi, iniziando anche lui a solleticare con le proprie dita quelle di Harry, fino a quando non si intrecciarono con estrema disinvoltura.
«Affatto! Piuttosto tu pensi che io sia quel tipo di persona?» ribadì Harry, sghignazzando.
«Affatto!» e si sorrisero, camminando mano nella mano.
 
Con l’arazzo di Barnaba, il babbeo bastonato dai Troll, alle loro spalle, Harry e Louis guardavano la parete di fronte a loro, assorti in un silenzio imbarazzante.
Imbarazzo nato dal motivo per cui necessitavano, ora, della Stanza delle Necessità.  Non gli serviva più un luogo dove esercitarsi per il Torneo Tremaghi, perciò la loro mente era libera di pensare qualsiasi cosa, ma la Stanza della Necessità non saziava i loro bisogni se questi erano delle bugie che celavano altri tipi di occorrenze.
«Tu a cosa stai pensando?» gli domandò Harry. Louis scoppiò a ridere.
«A quello che stai pensando tu, suppongo» ribatté, per poi aggiungere: «Spero».
Si guardarono di sottecchi, quando «al mio tre lo diciamo ad alta voce?» propose Harry. Il Serpeverde annuì.
«Uno», «Due…»
«Aspetta, aspetta, aspetta. Al tre lo diciamo oppure uno, due, tre, VIA, e lo diciamo?» si burlò Louis sghignazzando, solo per ricevere una gomitata dal Grifondoro. «Ahia, era solo per essere sicuri». Harry gli disse solo «Al tre, e lo diciamo» poi riprese la conta.
«Uno», «Due», «Tre… abbiamo bisogno di un letto!» urlò Harry. Louis tacque, trattenendo le risate.
«LOUIS!» lo chiamò Harry, lanciandogli un’occhiataccia prima di scoppiare a ridere.
«Audace il mio rospetto. Addirittura un letto? E che cosa vuoi fare… nel letto?»
«Soffocarti con un cuscino» replicò Harry, imbarazzato e per questo rosso in viso.
«Ci sei riuscito, guarda!»  disse subito, Louis, quando vide la porta della stanza iniziare a comparire davanti a loro. «Quindi desideravi atrocemente un letto…» lo prese in giro.
«Ora desidero atrocemente ammazzarti: che dici cosa mi farà trovare lì dentro la Stanza delle Necessità per soddisfare i miei bisogni?» affermò Harry, mentre Louis incapace di attendere di entrare, gli si era posto di fronte per baciarlo subito dopo «Un letto, no?» avergli risposto maliziosamente.
 
 
Furono sollevati entrambi, quando entrarono, di trovare la stanza che avevano avuto modo di vivere quotidianamente in quei mesi. Forse l’ala in cui Louis era solito esercitarsi si era ristretta facendo diventare la stanza di poco più piccola e confortevole, ma l’angolo che Louis definiva “del ranocchio” era rimasto immutato. Un caminetto accesso riscaldava l’ambiente, due divani davanti ad esso dove parecchie notti si erano addormentati e accanto il letto tanto agognato.
Harry sospirò, rasserenato dal fatto che non ci fosse nulla che potesse imbarazzare entrambi e quindi congelare una cosa che, piano piano, senza rendersene veramente conto, li stava agitando.
Poi Louis si pose nuovamente di fronte a lui con aria birichina e Harry temette di essere l’unico ad essere preoccupato dalla situazione.
Gli sorrise, ma Louis che sapeva riconoscere ogni sfaccettatura di quel viso da rospo lo fissò con piglio. «Ti turba qualcosa?»
Harry negò, mentre prendeva atto che era ovvio che Louis fosse più disinvolto di lui. Louis gli sorrise, allora, credendogli, e iniziò a baciarlo.
Ricordava di come era stato descrittivo nelle sue avventure amorose e ricordava anche come lui si era sempre chiesto come facesse a divertirsi se in mezzo c’erano sempre dei sentimenti da mettere in ballo.
E se fosse un incapace e i sentimenti di Louis non fossero abbastanza forti da farlo rimanere nonostante le sue inadeguatezze?
Panico.
Gli sorrise nuovamente, quando Louis si allontanò incerto dalla freddezza improvvisa del Grifondoro.
«Harry… che c’è?» gli domandò.
«Noi- noi siamo amici… e… e se questa cosa non dovesse funzionare? Louis, che ci succederebbe?» gli domandò a sua volta, esprimendo i suoi dubbi.
Louis lo afferrò con entrambe le mani per il viso e se lo avvicinò al suo: «Harry, te l’ho già detto: noi non siamo amici, non lo siamo mai stati» lo baciò per fargli capire cosa stesse intendendo e Harry, nonostante gli avesse appena comunicato a voce una cosa terribile, capì cosa volesse dirgli e si calmò.
Era come se fin dall’inizio fossero stati destinati ad arrivare a quel momento. Forse non nella Stanza delle Necessità, forse non in quel modo, forse prima o forse più tardi… ma dovevano amarsi e non volersi semplicemente bene.
Io lo sapevo, voi lo sapevate… e ora anche loro lo sanno. Felicitazioni!
Con quel bacio, Louis riuscì a trovare la frequenza per sintonizzarsi al Grifondoro e lo baciò avidamente, avviluppandogli quella bocca che stava velocemente diventando una sua piccola ossessione. Gli piaceva, infatti, la consistenza morbida di quei cuscinetti pieni e gli piaceva da impazzire il sapore dolciastro che riempiva quella bocca, a tal punto da ritrovarsi a succhiarla ingordo prima di insinuare la lingua e approfondire quel bacio avvolgendo quella di Harry. Si strinsero l’uno addossato al corpo dell’altro per iniziare a camminare verso il letto. Andarono addosso prima al bracciolo del divano, poi contro lo spigolo del davanzale del camino, capendo così di dover spostarsi sulla destra, per trovare il letto. Durante il viaggio si sfilarono l'uno la giacca dell'altro e quando poi giunsero contro il materasso scivolarono su di esso, sdraiandosi con le labbra ancora a combaciare perfettamente fra loro.
Poi, dopo un lungo bacio appassionato, si divisero per riprendere fiato.
«Wow» commentò Harry, sorpreso dalle capacità innate di apnea che stava dando prova di possedere.
Louis ammiccò: «Lo so, ma il meglio deve ancora venire» disse ironicamente spavaldo. Harry ridacchiò per poi dire ciò che gli ripeteva spesso: «Sbruffone».
Si guardarono per un po'. Come se anche quel momento fosse un modo per alimentare i loro desideri.
«Scommetto che stavolta sei davvero felice di vedermi» commentò Louis, indicando la patta dei suoi pantaloni scuri ben rigonfia. Harry si nascose dietro una mano e rise forte; quando con i suoi occhi fulgidi puntò quella di Louis, però, tornò a mostrare il proprio viso e «Anche tu, eh» commentò mordendosi un labbro.
Louis fu incapace di guardare altrove, mentre sosteneva che l'ossessione per quella bocca non potesse intensificarsi più di così.
In uno scatto fu in ginocchio sul letto per liberarsi del dolcevita che aveva ancora addosso. Harry lo imitò fronteggiandolo e aiutandolo poi a liberarsi di quell'indumento. Subito dopo toccò alla sua camicia, che per fortuna era già sbottonata per metà. Si liberò della cravatta e, infine, si osservarono.
Non era la prima volta che si guardavano, con gli addomi nudi, ma fu comunque diverso. Quel desiderio che ardeva nel petto di entrambi, irruppe scatenando le loro mani che presero ad accarezzare l'uno il petto dell'altro mentre tornavano a baciarsi con la stessa fame di chi aveva digiunato per una settimana.
Fu Louis, alla fine, a sbottonare per primo l'asola dei pantaloni di Harry, ma si fermò quando percependo la durezza che si nascondeva al suo interno ebbe voglia di sentirsela addosso, contro la propria. Così trascinò le ginocchia in avanti e si strinse forte al Grifondoro,  toccandogli i glutei e percependo subito come, con frustrata meccanicità, i loro bacini iniziarono a strusciarsi l'uno contro l'altro.
Gemettero quando le loro labbra schiantarono nell'ennesimo bacio e le lingue espressero chiaramente il tipo di danza che i loro corpi avrebbero voluto intraprendere ben presto, cavalcandone sinuosamente ogni minima nota.
Harry strinse forte i glutei di Louis per tirarselo meglio addosso finendo così per perdere l'equilibrio, cadendo nuovamente sdraiati sul letto.
Con quella posizione assunta involontariamente, con Louis quasi interamente sopra il suo corpo, trovarono il miglior modo per sentirsi vicini a tal punto da soddisfare la loro concitazione. Per questo Louis si mise a cavalcioni su di lui, impedendogli subito di arrivare con le mani al suo coccige e obbligandolo ad alzare le braccia sopra le loro teste, dove si prese la libertà di intrecciare le proprie mani a quelle del Grifondoro. Poi, iniziò a muovere il bacino e fu una vera tortura per entrambi che ansimarono con le bocche piene dei loro baci.
Harry riuscì a ribaltare la situazione in un momento di debolezza del Serpeverde e per un po' primeggiò su di lui, cadenzando a suo piacimento il ritmo di quei movimenti. E ancora gemiti. E ancora baci.
Poi Louis capovolse nuovamente e fu un miracolo che non caddero dal letto. Ma i miracoli non si compiono mai due volte di seguito e, quindi, quando Harry ritentò l'ardua impresa di sovrastarlo, tonf, caddero sul pavimento gelato.
Inizialmente risero, respirando ognuno fin troppo vicino alla bocca dell'altro, chiaramente incapaci di dividersi neanche per fare un gesto così semplice come lo era una risata.
«Torniamo su?» gli domandò Harry con voce roca. Louis gli morse un labbro e «Se ti piace cadere, ranocchio, torniamo su…» affermò Louis e quando lo vide negare innocentemente, eludendo la capriola nello stomaco «allora forse è meglio se restiamo dove siamo finiti» dedusse. «Che ne dici invece di liberarci degli ultimi indumenti?»
Harry avvampò, dando la scusa al fuoco che illuminava i loro occhi.
Louis non si lasciò sfuggire quell'imbarazzo e «Cosa c'è? Devo aspettarmi la sorpresina?» scherzò iniziando a sbottonare i propri pantaloni e mostrandogli il paio di boxer verdi e dorati che aveva indossato. Harry lo imitò lasciandosi addosso un gonfissimo paio di boxer neri.
Louis, ora seduto accanto a lui, lo guardò intenerito dall'imbarazzo che Harry tentava a tutti i costi di nascondergli. Gli pizzicò una guancia con un morso, dimostrandogli una confidenza che aveva da molto prima del loro primo bacio. Harry lo scansò via mentre Louis «Mi eccita ancor di più questo tuo lato timido» gli confidava.
«Io ho ancora tanta voglia di ammazzarti, quindi non giocherei col fuoco» lo minacciò indispettito.
Louis ridacchiò alzando le mani in segno di resa, poi gli si avvicinò cercando le sue labbra. «Hai vinto tu, qual è la penitenza?»
Harry alzò gli occhi al soffitto, poi sbuffò: «Quante parole! Baciami, sciocco» lo incoraggiò afferrandolo per la nuca e spingendoselo addosso. Si ritrovarono sdraiati sul pavimento a fare la stessa gara a chi aveva la meglio sull'altro, sovrastandolo col proprio corpo. Si fermarono soltanto quando presero con le proprie mani a circumnavigare i loro corpi, accarezzandosi in ogni dove ma diretti verso ciò che più li faceva sentire due pazzi frustrati. La mano di Louis fu la prima a trovare la strada oltre il boxer nero di Harry e la prima cosa che disse, dopo uno schiocco di labbra, fu: «Confermo: non si tratta di una bacchetta alla liquirizia. Attenzione, questa non è un'esercitazione!». Harry rise, nascondendo dietro quel suono gutturale, tutti i brividi che stava provando al tocco della mano gelida di Louis sul suo membro.
E fu sagace, in quel momento, nel non dargli dello stupido, come avrebbe fatto di solito, ma nell'imitarlo cogliendolo di sorpresa.
Louis, infatti, percepite le dita di Harry stringere il suo sesso, lì dove ne risentiva tutta la sua eccitazione, ammutolì, specchiandosi negli occhi di Harry per sfidarlo a fare la prossima mossa. Lui, per primo.
Così Harry mosse la mano, lentamente. E quando a Louis scappò il primo ansimo, per vendetta iniziò anche lui a massaggiarlo.
Quando i sospiri di entrambi si fecero sommessi, aumentarono anche la velocità e poi quasi giunti all'apice del piacere, si baciarono con talmente tanta foga da creare un nuovo suono con le loro bocche, mischiato ai gemiti che da esse ne fuoriuscirono.
Furono tramortiti come da un colpo improvviso di freddo che durò una manciata di secondi. Singhiozzarono come se stessero piangendo col respiro affannato. La lotta a chi sovrastava l'altro non la vinse nessuno dei due, optando alla fine a una posizione alle pari che li vedeva entrambi sdraiati a terra su d’un fianco.
Si guardarono a lungo, sorridendosi. Poi fu il turno di Louis di esclamare un «Wow» stupefatto per l'emozione enorme che lo aveva scombussolato e che soltanto ora lo stava abbandonando lentamente.
Harry sogghignò prima di «Lo so, lo so. Ma il meglio deve ancora venire» replicare beffeggiandolo come l'altro aveva fatto prima di lui.
Ciò nonostante, Louis si riguadagnò subito il privilegio di avere sempre l'ultima parola e a quella beffa, gli rispose: «Il meglio è impallidito dall’orgasmo che abbiamo appena avuto, ranocchio. Fidati, non verrà».
Quella notte d’amore non finì così, ma ci fu un momento in cui Louis dovette abbandonare la Stanza delle Necessità per tornare al proprio dormitorio a prendere un paio di abiti puliti per entrambi.
Nella stanza del suo dormitorio, inconsapevolmente, si ritrovò a fissare con insistenza il cofanetto di legno levigato e quindi, senza pensarci o domandarsi perché, acciuffò anche quello e lo portò con sé.
Harry si era addormentato, e Louis rimase a guardarlo dopo aver abbandonato gli abiti su uno dei divani per un po’, ai piedi del letto. Sdraiato a pancia in giù, con i capelli abbastanza lunghi e ricci sparsi per tutto il cuscino, dormiva beatamente col viso rilassato in un sorriso.
Non ci impiegò molto a spogliarsi degli abiti che si era infilato sbrigativamente e a seguirlo nel letto assieme al cofanetto, dal quale stranamente non riusciva a separarsi.
Si mise a sedere con la schiena appoggiata alla sponda del letto e iniziò ad esaminare, forse per la prima volta, quel contenitore di legno senza nessuna iscrizione sopra.
Non aveva serratura che dava l’idea che esso si aprisse per mezzo di una chiave, né qualche segno sul legno che ne facesse supporre una apertura. Ma in qualche modo durante la seconda prova avrebbe avuto il bisogno di ciò che quel cofanetto custodiva e questo aveva fatto supporre che per prepararsi al meglio avrebbe dovuto trovare un modo per aprirlo.
Fece quanto di più sciocco potesse fare. Acciuffando la bacchetta dal piccolo comodino vicino al letto, si sistemò il cofanetto tra le cosce e tossicchiando nervosamente, a bassa voce pronunciò: «Alohomora».
Ma non funzionò. Ovviamente.
«Cistem Aperio» formulò poco dopo, ma il cofanetto vibrò tra le sue gambe e rimase chiuso. Louis sbuffò.
«Diffindo» idem.
«Reducto!» che ve lo dico a fare.
«Expulso!» Niente. Nada. Caput.
O meglio, al cofanetto non successe nulla, ma Harry al suono della voce sempre meno sussurrata di Louis si svegliò.
Louis si voltò a guardarlo e se prima di allora il nervosismo di non aver avuto alcun risultato lo aveva accigliato, subito sciolse quell’espressione per sorridergli dolcemente. «Torna a dormire, ranocchio».
Harry, invece, si mise a sedere accanto a lui, stropicciandosi gli occhi e poi un ciuffo di capelli davanti al viso, sbadigliando ancora mezzo rintronato. «Che stai combinando?»
Louis fece spallucce. «Provavo a venirne a capo…»
«Lanciandogli contro una scarica elettrica?» lo beccò con voce nasale. Louis ridacchiò e «non fare il solito saccente!» lo ammonì raccogliendo il cofanetto. «Provaci tu se sei migliore di me» e glielo offrì.
Quando Harry lo afferrò con una mano, successe una cosa insolita. Tenuto stretto dalle mani di entrambi, il cofanetto iniziò a vibrare come se la cosa al suo interno si fosse improvvisamente risvegliata.
Harry e Louis si guardarono per un attimo, sorpresi, prima di destare tutta la loro attenzione al cofanetto.
«Guarda!» gli indicò Harry con la mano libera. Sul legno liscio, infatti, iniziò improvvisamente a formarsi qualcosa, come se una mano invisibile lo stesse levigando per disegnarci qualcosa.
Louis lo fissò con ostinazione, cercando di capire il più in fretta possibile cosa stesse prendendo forma ma lo capì all’ultimo, assieme al Grifondoro, quando «è un pugnale» affermò. «Incastonato in una rosa» seguì Harry.
Quando entrambi pensarono che la magia fosse compiuta, una scritta comparì sotto la figura di un pugnale incastonato in una rosa: Love is not a bed of roses. I’ll open with your heart.
«Che diavolo significa?» borbottò il Serpeverde. Harry fece spallucce, rigirandoselo tra le mani e fissando per qualche secondo in più la forma della rosa e del pugnale ora incisa nel legno.
«La prima parte significa che l’amore non è semplice, privo di difficoltà, non è soltanto gioia, ma anche dolore. Ma la seconda parte, io- non ne ho idea».
Louis ci ponderò bene, guardando le mani di Harry mentre si rigiravano il cofanetto per studiarlo in ogni dettaglio. Alla fine, stanco di non raccapezzarsi affatto nonostante finalmente il cofanetto avesse deciso di mostrargli qualche indizio, «Per stanotte lasciamo perdere, ci penseremo domani» affermò, rubandoglielo dalle mani di Harry e depositandolo accanto alla propria bacchetta sul comodino.
Prese le lenzuola, velocemente, e mosse repentino facendo un sacco di vento mentre si sentiva osservato dagli occhi silvestri di Harry che, poi, ridacchiando, lo seguì sotto le coperte. 
«Dove eravamo rimasti?» gli chiese retoricamente, avvicinandosi al corpo del Grifondoro per avvolgerlo al suo «ah sì, a tu che promettevi che il meglio deve ancora venire» e baciarlo come sentiva l’esigenza di fare da quando avevano smesso.
«E facciamolo venire, va» ironizzò, mentre la risata roca di Harry, da sotto le coperte, riempiva la stanza.
Rimasero in quel letto a inventarsi e figurarsi cosa fosse il sesso. Non erano esperti, e fin troppo giovani, per quei gesti d’amore, ma impararono presto a conoscere l’uno il corpo dell’altro, ad amarlo saziando ogni piacere e sempre con la convinzione ingenua che la scritta sul cofanetto si sbagliasse di grosso.
L’amore, se chiuso nella Stanza delle Necessità, poteva essere privo di ostacoli come un letto di rose.
 
 
Trascorsero altri due mesi, prima della seconda prova, e Harry e Louis vissero – nuovamente – la maggior parte della giornata nella Stanza delle Necessità. La modalità con cui affrontavano le giornate fu nettamente diversa, però.
 
«Aspetta, aspetta, aspetta… dove stai toccando, ora?» domandò Louis, sudaticcio, con gli occhi sgranati all’improvviso e i muscoli tesi nonostante fosse sdraiato sul letto con le gambe aperte. Harry uscì fuori dalle lenzuola con un sorriso impertinente.
«Non ne ho idea, ma sembra piacerti» rispose, tornando con le dita a stuzzicarlo laddove si era insinuato con grande sorpresa di Louis.
«Piacevole, sì, ma imbarazzante…» commentò con occhiata torva. Era strano anche avere Harry tra le proprie gambe che si divertiva a esplorare nuovi luoghi del suo corpo pronti a reagire dinnanzi alle sue attenzioni.
«To-oo-gli-l-l-l oh, miseriaccia!» esclamò mentre, tentando di far la voce da despota, Harry riprendeva a stuzzicarlo con le proprie dita – o forse soltanto uno?! – nel piccolo foro che era capace di renderlo assurdamente nervoso e servizievole al tempo stesso.
Harry sorrise. «Sicuro che vuoi che lo tolga? In effetti dovremmo metterci a studiare-».
Quell’idea non piacque affatto a Louis che chiudendo il ragazzo tra le proprie gambe ora incrociate, lo nascondeva sgarbatamente sotto le coperte per indurlo a continuare.
«Stiamo studiando» replicò poi il Serpeverde, abbandonandosi al cuscino. «Ah sì?» rispose Harry da sotto le lenzuola.
«Anatomia umana, ranocchio» replicò celere con un ghigno, prima di iniziare a trattenere il fiato per non lasciarsi sfuggire l’ennesimo gemito.
Quando tornò a respirare, a causa di un ansimo non trattenuto, Louis si schiaffeggiò il viso in pieno visibilio. «Sì, assolutamente dobbiamo scoprire cos’è QUELLO, ranocchio» gemette.
Gennaio, difatti, lo passarono a studiare anatomia umana. E fu molto soddisfacente, nonché di ben poco aiuto per la seconda prova.
 
Giunse allorché Febbraio che ricordava ad entrambi quanto poco mancasse al giorno in cui si sarebbe svolta la seconda prova.
Ma ci fu il compleanno di Harry, come prima scusa per non mettersi a studiare, e poi San Valentino, nel quale entrambi ci tennero a precisare quanto poco avessero voglia di considerarla la festa degli innamorati.
«Ranocchio, ti pare che io sono così stucchevole da festeggiare una festività del genere?» gli ricordò Louis.
«Per carità, poi il vescovo Valentino fu un martire flagellato dai romani e poi decapitato. Al massimo dovremmo andare a festeggiare con Nick-Quasi-Senza-Testa!» rimbeccò Harry.
«Sì, ma ora non fare il saccente» lo ammonì, mentre camminavano per Hogsmeade.
«Entriamo qui?» domandò il Grifondoro.
«Va bene» accettò il Serpeverde.
E quando il campanello trillò, Madama Piediburro fu ben felice di accogliere nel suo confortevole rifugio l’ennesima coppietta felice, alla quale fu lieta di offrire due tazze di tè e tanti pasticcini a forma di cuore.
 
Pochi giorni prima della prova, che si sarebbe gareggiata il 24 Febbraio, Harry e Louis erano nuovamente nella Stanza delle Necessità e senza troppi colpi di scena erano ancora dentro il letto, accoccolati dopo un’estenuante lezione di Anatomia (colpo di tosse ndA).
Ma la pausa era finita, così Louis, preso da una concitazione che sembrava non attenuarsi mai, subito sovrastò il Grifondoro, sedendosi sopra di lui all’altezza del bacino con un sorriso ferino.
Harry sorrise distrattamente, mentre afferrava i fianchi di Louis per massaggiarli dolcemente. Louis si accigliò immediatamente, un po’ anche indispettito dal fatto che non avesse tutta l’attenzione dell’altro.
Eluse per un momento la sua sensazione e iniziò a baciargli la bocca, stuzzicandolo minuziosamente con la lingua per indurlo a tirare fuori la propria per giocare un po’. Harry lo fece, ma con qualche secondo di ritardo. Louis lo ignorò ancora, troppo dedito alla propria erezione, già pronta a ricevere le attenzioni dovutegli dal Grifondoro. Così, il Serpeverde iniziò a mugugnare, baciandogli la guancia sinistra e scendendo verso il collo. Risalì appena per mordicchiargli il lobo dell’orecchio, avviluppandolo e succhiandolo subito dopo con le labbra e la lingua.
Ma Harry non degnava di dimostrare alcun segno di eccitamento a quelle dimostrazioni di affetto.
Louis ignorò ancora, iniziando a frazionare il proprio sesso contro quello di Harry, che per lo meno dava i segni di essere concitato quanto il suo, e tornò a baciarlo.
Poi, non fu più una sensazione: Harry era veramente distratto.
«Harry, a cosa diavolo stai pensando?» lo ammonì Louis, a pochi millimetri dalla propria bocca. Harry intercettò i suoi occhi algidi e vi ci specchiò per qualche secondo prima di dire «niente» con poca convinzione.
A Louis fu chiaro il fatto che il Grifondoro fosse preoccupato. Fece due calcoli mentali e pensò di averne capito perfino i motivi.
«Non preoccuparti per la seconda prova, andrà tutto bene» gli disse, mentre con un dito gli accarezzava la bocca piena. Harry lo guardò dispiaciuto. «Non era a questo che stavo pensando, anche se, sì, il pensiero che sia fra pochi giorni mi terrorizza parecchio…» gli specificò. Louis sorrise. Ogni volta che Harry gli ricordava quanto avesse paura di perderlo, una capriola non poteva fare a meno di scatenarsi nella sua pancia.
«E allora cosa?» gli chiese affabile.
Harry titubò qualche secondo di troppo. «Rospo, parla»
Quando gli occhi silvestri affogarono nell’azzurro delle iridi di Louis, Harry compì la sua domanda: «Secondo te, a chi è finita la Mappa del Malandrino? Credi che ce l’abbia ancora Harry Potter?»
Louis lo guardò incredulo. Stava sognando oppure Harry Styles gli aveva appena fatto la domanda più assurda che potesse fargli, considerando il momento?
Louis alzò la schiena per guardarlo con sufficienza dall’alto. «Cosa vuoi che ne sappia, io?» rispose con arroganza. «E perché stai pensando a questo mentre io cerco di… perché pensi alla mappa del malandrino?» domandò con un grugno.
Harry tornò a stringergli i fianchi, poi con cipiglio preoccupato: «Perché chissà che pensieri si farà, chiunque ce l’abbia, nel vedere i nostri nomi sempre uno sopra l’altro» gli confessò.
Louis sgranò gli occhi e, poi, rise grossolanamente. Cadde sull’addome del Grifondoro e continuò a ridere, mentre l’altro «Non so proprio cosa tu ci possa trovare di divertente…» gli diceva indispettito.
Louis trovò la forza di tornare serio qualche minuto dopo. Si tirò mollemente a sedere, mantenendosi con le mani sul petto di Harry e «Oh, ranocchio, non devi più avere timore che qualcuno possa trovare disdicevoli i nostri nomi uno sopra l’altro, ventiquattro ore su ventiquattro» lo rassicurò, sghignazzando senza sapersi contenere.
«Perché?» domandò con voce nasale. Louis gli fece una carezza e come un serpente pronto a far sua la preda: «La Stanza delle Necessità non è visibile sulla mappa, qui siamo letteralmente fuori dal mondo» affermò suadente, avvicinandosi pericolosamente. A fior di labbra, poi, prima di baciarlo con la convinzione di avere ormai tutta la concentrazione del Grifondoro: «Quindi i nostri nomi possono assumere tutte le posizioni che ci vengono in mente» decretò.
E Harry finalmente si rilassò. Beh, più o meno.
 
 
 La seconda prova si gareggiò nel campo da Quidditch, del prato e degli anelli che lo caratterizzavano però non vi era traccia o più probabilmente il tutto era stato magicamente incantato affinché l’occhio nudo non avesse potuto percepire nient’altro se non quella scatola nera di dimensioni mastodontiche, dove ogni Campione avrebbe dovuto fare il suo ingresso e dalla quale poi sarebbe dovuto uscire, sano e salvo.
«Bene, ci siete tutti» disse il signor Bigman, guardando con un sorrisetto molesto ognuno dei Campioni. Kendall e Josh si guardarono, forse per la prima volta con un’espressione disperata a segnare i loro volti. Louis constatò che anche le loro scatole si erano marchiate con uno stemma, ma tutte mostravano levigature diverse. Ciò nonostante, quel dettaglio sembrava non aver dato nemmeno a loro alcuna utile informazione per studiare un piano per quella seconda prova. Che l’Ufficio per i Giochi e gli Sport magici del Ministero avesse osato troppo per quel Torneo Tremaghi?
«Sonorus!» affermò il signorotto, incantando la voce per amplificarla. Gli studenti, posti sulle tribune, le uniche a non essere sparite dal campo da Quidditch, si misero all’ascolto in un religioso silenzio. Louis alzò lo sguardo laddove aveva lasciato Harry e sorrise, mentre il Grifondoro, che lo guardava veramente terrorizzato, cercava di fare lo stesso per non gettargli addosso altra ansia. Poi, gli strizzò un occhio e gli sorrise. Era abbastanza tranquillo.
Anche se la forza non sapeva proprio da dove gli venisse fuori.
«Tutti i nostri campioni sono pronti per la seconda prova, che comincerà al mio via, con l’ingresso del primo nella classifica temporanea, ovvero il signor Krum. Dopo seguirà il signor Tomlinson e, infine, la signorina Kendall. Avete con voi lo scrigno conquistato nella prima prova?»
I tre campioni annuirono. «Ottimo!» esclamò il signor Bigman. Poi: «E ascoltate questo mio consiglio: in questa prova non vi sarà chiesto di provare il coraggio dettato dalla vostra forza o dalla vostra intelligenza» affermò con fare solenne. «Bensì, quello del vostro cuore» aggiunse. I tre campioni si guardarono l’un l’altro, domandandosi cosa diavolo volesse dire. Louis, prima che Bigman fischiasse l’inizio, tornò a guardare verso gli spalti alla ricerca di Harry.
«Avrete un’ora a disposizione per trovare la via d’uscita. Uno, due e tre!» disse e poi fischiò.
Entrò per primo Josh. Dopo un minuto, toccò a Louis che ancora era alla ricerca del Grifondoro. Fu spinto da Bigman in persona all’interno della mastodontica scatola, così ebbe pochi secondi per riempirsi la mente dell’immagine di Harry che, dagli spalti, gli urlava incoraggiamenti.
Fu inghiottito dal buio pesto con la voce di Harry ancora nelle orecchie. Faceva così freddo che sentì la pelle bruciare come se fosse fuoco e non il vuoto a circondarlo. Dubitò all’instante che poco più avanti di lui ci fosse Josh Krum. In qualche modo era entrato in quel luogo, ovunque esso fosse, da solo. Josh era altrove, chissà dove, ma non lì. Così come Kendall quando avrebbe fatto il suo ingresso.
«Lumos» esclamò, facendosi un po’ di luce per capire dove dovesse andare, mentre con l’altra mano stringeva a sé il cofanetto.
Iniziò a camminare e si accorse soltanto dopo dieci passi che ad ognuno di essi che aveva compiuto, come un eco molto lontano, le sue orecchie avevano udito un tum, un suono che associò a quello di un tamburo percosso dalle mani. Poteva trovarsi dentro un tamburo? Troppo assurdo?
Camminò ancora.
Tum.
Tum.
Tum.
Tum.
Velocizzò il passo.
Tumtum tumtum.
No, non poteva essere un tamburo.
Si distrasse quando dopo aver visto soltanto la luce della sua bacchetta e il buio che lo circondava, intercettò il primo oggetto.
Lo illuminò scoprendo un orsacchiotto malconcio. «Boo?» affermò Louis, piuttosto stranito. Perché il suo orsacchiotto dell’infanzia si trovava lì? Trovò pace, però, perché da bambino per molto tempo si era domandato dove fosse finito il suo compagno di giochi preferito e mai nessuno era stato capace di ritrovarlo. Quando, perciò, tentò di afferrarlo si ritrovò nuovamente rattristato nel vederlo scomparire come soffiato, granello per granello, via dal vento.
Riprese a camminare.
Tum.
Tum.
Tum.
Tumtum tumtum tumtum.
Quando udì l’armonia pulita di una musica, scattò girandosi alla sua destra e lo vide, il pianoforte a coda, bianchissimo, con la spaccatura sul lato destro che aveva causato egli stesso andandoci a sbattere con la scopa. La stessa incrinatura per cui aveva pianto, chiuso nel ripostiglio, quando suo padre lo aveva messo in punizione.
Indietreggiò nel riconoscerlo, col cuore a tremila battiti al secondo e riprese a camminare. Stavolta, corse.
Tumtumtumtumtumtum.
Vide una scopa e un’altra ancora. Tutte quelle che aveva usato per imparare a volare. Corse ancora più velocemente, sempre dritto a sé, con la speranza che stesse andando nella direzione giusta, dall’altra parte della scatola mastodontica in cui era finito.
Si fermò, poi, girando su se stesso con fiatone. Vide in lontananza, coperto da una leggera nebbiolina, animato come una cartolina turistica, il prato vicino al laghetto artificiale dove amava andare nei suoi pomeriggi primaverili, nascondendosi dal chiasso della numerosa famiglia che si riuniva nel maniero di famiglia.
«Guidami» incantò la propria bacchetta affinché lo conducesse a Nord e riprese a correre, iniziando a domandarsi dove fosse finito. Era morto? Era sul punto di farlo e non se ne stava nemmeno rendendo conto?
Tumtumtumtumtumtum
Il cuore gli martellava nelle orecchie. Corse. Poi inciampò e cadde a faccia in giù. Il cofanetto gli scivolò dalle mani fermandosi a pochi metri davanti a lui. La luce proveniente dalla bacchetta si dissolse, ma quando Louis mise a fuoco l’aria circoscritta a lui, capì di non aver più bisogno di luce, perché uno specchio davanti a sé ne produceva abbastanza per permettergli di vedere.
Louis si alzò, avvicinandosi lentamente. Prese il cofanetto a terra e poi iniziò a studiare quello specchio che nella sua memoria non gli ricordava nulla. Non era stato suo.
Si insospettì e si avvicinò ulteriormente. Tanto, da riuscire a specchiarvi dentro. Distolse subito lo sguardo verso l’alto.
Era un specchio meraviglioso, alto tre volte più di lui, con una cornice d’oro riccamente decorata che si reggeva su due zampe di leone. In cima, portava incisa un’iscrizione: “erised stra ehru oyt ube cafru oyt on wohsi”.
Louis lo riconobbe all’istante, leggendo l’iscrizione da destra verso sinistra: «I show not your face but your heart’s desire» disse in un sussurro.
Evitò ancora di guardarsi allo specchio, avendo prova che nel riflesso avrebbe visto ciò che bramava e inclinò il capo verso lo scrigno che riprese a maneggiare fra le proprie mani.
Ora, quel «I open with your heart» aveva decisamente più senso. Ma la difficoltà di quanto ciò sarebbe stata ardua glielo confermò la prima parte di quella frase incisa nel legno: love is not a bed of roses.
A quel punto, Louis guardò il suo riflesso. Vide se stesso con la Coppa Tremaghi, trionfante. Vide la sua cupidigia più recondita, quella che conoscevano in molti, ma che lui era certo avrebbe visto in quello specchio delle brame: lui, una leggenda. Come aveva sempre sognato.
Lo scrigno nelle sue mani non fece alcun rumore, segno che non si sarebbe aperto in quel modo. Louis girò su se stesso, evitando di guardare ulteriormente un se stesso che non era e del quale, quasi, si vergognava, per guardarsi attorno: «Lumos» esclamò, ma la bacchetta si illuminò per qualche secondo. Poi tremolò e si spense nuovamente.
«COSA DEVO FARE?» urlò disperato.
Non ricevette risposta da nessuno, perché la risposta doveva trovarla da solo, in se stesso. Guardò nuovamente il riflesso, infastidendosi nel ritrovare la medesima figura di se stesso come una Leggenda. Si avvicinò, pronto a spaccare con un pugno il vetro di quello specchio, ma invece si piegò in ginocchio e poi si mise a sedere a terra. Terrorizzato all’idea che sarebbe rimasto lì per sempre, incapace di uscire a causa di un cuore egoista.
 
 
Il primo campione ad uscire dalla scatola infernale fu Kendall. Combattere con la propria bellezza, le risultò piuttosto semplice. Quando la porta si aprì, lasciandola uscire, stremata e in lacrime, Harry si alzò in piedi con un sorriso che gli morì subito, lasciandogli un pesantissimo nodo alla gola, quando vide che era la studentessa di Beauxbatons.
Si sedette, mentre tutti acclamavano il primo campione uscito vittorioso dalla seconda prova.
Liam gli si sedette al fianco poco dopo, ignorando Niall che non faceva altro che guardare la porta aspettandosi con ansia che questa si riaprisse per veder uscire fuori il suo campione preferito.
«Hey, stai tranquillo. Louis sa il fatto suo, ce la farà» lo incoraggiò Liam, stringendogli una mano. Harry lo guardò incerto e abbozzò un sorriso che, però, morì nuovamente con la stessa velocità del primo. «È che questa volta non ci eravamo preparati un piano. Non siamo riusciti a capire cosa significasse la scritta sul cofanetto e abbiamo preso la seconda prova sottogamba… ed è colpa mia- è tutta colpa mia… io l’ho distratto» piagnucolò.
Liam sorrise intenerito, mentre gli stringeva la mano. «Harry, non incolpare te stesso per qualcosa che ha fatto stare bene entrambi. Non gli succederà nulla di grave, stai tranquillo. A breve lo vedremo uscire da quella porta con la solita aria da strafottente e tutte le tue paranoie ti risulteranno per quello che sono: stupide!»
A quelle parole, Niall contribuì a peggiorare le cose. Si voltò verso i due amici e «È uscito! Ce l’ha fatta!» esclamò sovraeccitato, illudendo Harry, che subito si alzò per raggiungerlo e assistere all’uscita del secondo campione, che l’amico Grifondoro stesse parlando di Louis e non di Josh.
Josh Krum fu il secondo a uscire vincente dalla seconda prova. Combattere contro il proprio orgoglio da guerriero lo aveva stremato come era naturale che ci si aspettasse, ma il suo sguardo fiero, col quale rispondeva ai cori di vittoria, non sembrava essere mutato.
Liam si alzò per schiaffeggiare la nuca di Niall, quando constatò anche lui la figura di Krum acclamata dalla sua scuola e da tutti gli altri studenti. «Oh, scusa, Harry…io-» disse Niall, non appena riconobbe la delusione e lo spavento negli occhi di Harry.
«Ora manca solo Louis» sussurrò Harry, ignorando l’amico e decidendo di guardare perpetuamente la porta dell’immensa scatola infernale. Harry iniziò a pregare Louis di venire fuori e di smetterla di farsi attendere così tanto.
«I campioni di Beauxbatons e Durmstrang escono vittoriosi dalla seconda prova. Al campione di Hogwarts restano ancora venti minuti per venire fuori» esclamò il signor Bigman.
Harry strinse i pugni, mentre Liam gli stringeva la spalla per incoraggiarlo a mantenere saldi i nervi. «Andrà tutto bene».
 
Non seppe quanto tempo rimase fermo a guardare il riflesso di un se stesso completamente diverso da ciò che sentiva di essere, chiedendosi se mai avrebbe potuto provare la sensazione di non aver paura di niente, esattamente come la leggenda, quella lì davanti a sé, sembrava dimostrare con aria tronfia e coraggiosa.
Si incantò a fissarsi, agognando con amarezza qualcosa che probabilmente stava svanendo col passare dei secondi, entrando in una sorta di trance. Come assopito, quindi, circondato da buio, vuoto e silenzio, non percepì il fruscio alle sue spalle, benché la pelle della schiena gli si intirizzì in reazione.
Non si accorse nemmeno dell’ombra che cheta scivolava lentamente avvicinandosi a lui. Ma si agitò subito, quando la stessa ombra informe lo prese alle spalle. Si ritrovò in piedi, ancora riflesso allo specchio, strangolato da quella che sembrava una cappa nera increspata i cui lembi si stringevano sempre di più attorno al suo corpo.
Emise diversi gemiti di dolore, incapace di reagire o di capire cosa l’avesse preso in contropiede con l’intento di ucciderlo. Poi capì che l’ombra non stava cercando di soffocarlo ma di inghiottirlo, di mangiarlo vivo.
Rivide se stesso nello specchio delle brame, mentre annaspava di dolore, e la leggenda Louis non stringeva più una coppa, ma lo guardava. Lo fissava mentre veniva inghiottito vivo da quell’ombra con una paura che, lì, mentre faticava a respirare, la riconobbe perfettamente.
Iniziò così ad agitarsi nella morsa di quella creatura tenebrosa e faticando ad alzare un braccio per puntare la bacchetta alle sue spalle, Louis provò uno Stupeficium silenzioso, che però risultò inefficace nel soggiogare la creatura.
E fu proprio in quell’attimo di insuccesso, ad un passo ormai dal morire in pasto a quella bestia, che gli sovvenne un ricordo. Lo visse come un dejà-vù e pensò che fosse la Morte stessa a rincuorargli la sua dipartita nel modo più dolce possibile.
Si arrese, così, al suo carnefice.
 
Harry leggeva spesso “Gli animali fantastici: dove trovarli” tant’è che ormai credeva di conoscere a memoria ogni pagina di quel libro.
Louis, seduto sul divano con il capo di Harry sulle sue ginocchia, mentre gli carezzava i morbidi capelli arricciati, lo fissò incuriosito dall’espressione inorridita che il ranocchio aveva assunto mentre leggeva una pagina in particolare.
«Rospo, cosa stai leggendo di così obbrobrioso da farti fare una smorfia così schifata?»
Harry ci mise parecchia forza di volontà per smettere di leggere, ma poi abbassando il libro guardò gli occhi di Louis e sorrise, sciogliendo la smorfia di disgusto che aveva assunto fino ad allora.
«Del Lethifold, hai presento? Il Velo Vivente che si ciba inghiottendo le sue vittime nel cuore della notte. L’unico ad essergli scampato è un certo Flavius Belby».
«E perché inorridisci mentre ne leggi?» domandò Louis con un ghigno, mentre continuava a intrecciare le ciocche di capelli di Harry alle sue dita.
Harry fece spallucce e lo guardò nuovamente: «è una morte terribile. Non l’augurerei nemmeno al mio peggior nemico, una fine del genere.»
«Ti ringrazio» replicò Louis accentuando il proprio ghigno. Anche Harry si lasciò scappare un sorriso, sincero, mentre lo guardava ripensando ai vecchi tempi in cui lo credeva davvero, che il suo migliore amico fosse per lui una nemesi.
«E com’è riuscito a sopravvivere, il fortunato Belby?»
 
Louis tentò allora di trovare le ultime forze per pronunciare l’incantesimo, ma lo fece con una lentezza tale da fargli credere che ormai fosse spacciato e che fosse troppo tardi per pensare di poter avere la stessa fortuna di Flavius Belby.
Eppure fu proprio grazie all’immagine di quel sorriso di Harry, accoccolato tra le sue ginocchia mentre lui gli accarezzava i capelli puntando la bacchetta verso lo specchio, che lo aiutò quando «expecto… patronum» pronunciò l’incantesimo con tutta la forza che gli rimaneva.
Louis puntò allo specchio, impedito dall’ombra che ormai l’aveva trangugiato per più della metà del suo corpo e il ranocchio di medie dimensioni che scaturì fuori dalla bacchetta saltellò subito in direzione del mostro.
All’instante, sentì di nuovo di poter respirare crollando in ginocchio sul pavimento. Alzò il capo solo per vedere il Lethifold che scivolava lontano inseguito dal suo Patronus. Respirò a fatica, sentendo il bisogno di tutto l’ossigeno che lo circondava e tornò a respirare normalmente, sapendo di essere vivo, soltanto quando il rospo argenteo si mostrò davanti ai suoi occhi per garantirgli che erano riusciti a salvarsi.
Louis lo guardò e sorrise, soltanto poi per vederlo scappare via. «Harry…» lo richiamò alzandosi, come a volerlo trattenere. Le gambe gli cedevano, segnalando quanto il suo corpo fosse sfiancato da quell’estenuante prova.
Osservò con disperazione il suo Patronus attraversare lo specchio e scomparire al suo interno e poi… lo vide. E dalla disperazione, passò al sollievo. Sospirò.
Louis si avvicinò allo specchio, incredulo e «Harry» disse sorpreso.
Harry era lì. Accanto a lui. Nello specchio. Si girò a guardarsi attorno, per un momento stregato dalla magia dello Specchio delle Brame. Deluso nel ritrovarsi ancora da solo, tornò a guardare il suo riflesso.
«Harry…» piagnucolò, toccando il vetro dello specchio, ma la figura meravigliosa di fronte a lui gli sorrise semplicemente, mentre con le mani gli mostrava lo scrigno.
Louis sgranò gli occhi, stupito da ciò che stava vedendo. E lo era anche il suo riflesso, che guardava Harry, spogliato della fierezza che lo aveva caratterizzato fino ad allora. «Lumos!» disse, mettendosi alla ricerca del cofanetto. Lo trovò lì dove era stato seduto prima dell’attacco del Lethifold e lo afferrò.
Tornò a guardare lo specchio, dove Harry gli sorrideva ancora mostrandogli due tenere fossette.
I open with your heart.
Con il cofanetto in mano, Louis vide l’Harry nel riflesso passarlo a Louis e fargli l’occhiolino.
I show not your face but your heart’s desire.
Ora il desiderio di rivedere Harry era più forte di tutto, così sorrise anche lui quando «Harry» ripeté nuovamente, sentendo fra le sue mani lo scrigno aprirsi.
Al suo interno ci trovò una chiave, che Louis usò, subito dopo aver intercettato nella cornice dello specchio una fessura, per aprire proprio lo specchio e uscire dalla scatola infernale.
Un colpo di cannoni e le urla di tutti gli studenti gli diede il bentornato al mondo.
Avrebbe potuto sentirsi una leggenda, proprio in quel momento, così come aveva sempre desiderato.
Aveva lottato contro due volontà accecanti ed era stato arduo nonché miracoloso sopravvivere a un Lethifold, eppure lo aveva fatto: aveva capito cosa fosse veramente importante nella sua vita.
Perché Louis, proprio in quell’istante, desiderò solo ritrovare il suo ranocchio. Desiderò rivedere Harry.
Non importò nemmeno che fosse arrivato terzo, in quella competizione, perché fu importante per lui esserne uscito vivo. Col cuore in mano.
 
 
Harry trasse un profondo sospiro di sollievo e sorrise con le lacrime agli occhi quando lo rivide, disteso a terra che si guardava attorno spaesato.
Fu Liam a incoraggiarlo, ancora, a fare quella mossa che il proprio corpo imbambolato stava impedendogli di compiere: «Su, forza, che aspetti Harry? Vai ad abbracciarlo».
E il Grifondoro non se lo fece ripetere.
Scese correndo a perdifiato e oltrepassò chiunque gli si mettesse in mezzo. Spintonò perfino il signor Bigman che voleva impedirgli di avvicinarsi ai tre Campioni e poco prima che i loro corpi si scontrassero in un abbraccio, nell’ennesimo schianto, Harry vide Louis rimirarlo come se fosse un’apparizione e non reale.
L’abbraccio, però, fu quanto di più vero Louis avesse potuto provare in tutta quella marasma di confusione emotiva e psicologica che stava vivendo. Harry lo circondò con le braccia, ma fu lui a stringerlo con tutta la forza che aveva.
Harry lo sentì, senza capire, nel suo orecchio dirgli: «L’ho fatto per te, Harry. Ci sono riuscito grazie a te, ranocchio». Come se fosse suo il merito di quella vittoria.
Rise e annusò avidamente l’odore del Serpeverde e, si sentì meglio, perché Louis, come gli aveva promesso, era tornato da lui.
 
 
Harry ebbe due istinti quando Louis gli raccontò tutto. Il primo fu animalesco: andare a prendersela non solo verbalmente con chi aveva ideato quella stramaledetta seconda prova. Il secondo, che placò il primo, fu quello di intenerirsi a tal punto da mettersi quasi a piangere.
Louis, senza censurare nulla sull’accaduto, gli aveva parlato a cuore aperto.
«Non credo che fosse un vero Lethifold, sai? Non credo nemmeno che fossimo in un luogo vero e proprio. È come se entrando in quella scatola ci fossimo introdotti in noi stessi. Ho rivisto le cose che ho amato di più nella mia infanzia e poi davanti allo Specchio delle Brame era un po’ come se mi vergognassi degli ideali con cui avevo riempito il mio cuore. E il Lethifold si è generato proprio da questa mia vergogna, attaccandomi così come io mi sono aggrappato sempre all’idea che volessi diventare una leggenda. Quando ho usato il Patronus e ho pensato a te… Harry… è come se io mi fossi spogliato di tutto ciò che ho sempre ritenuto importante, realizzando cosa davvero lo fosse. Difatti, poi, non è stato il riflesso di me ad aprire lo scrigno, ma… tu, Harry. Questo significava “I open with your heart”».
Harry singhiozzò, incapace di trattenere quella baraonda di emozioni che stava provando all’ascoltare le parole di Louis. «Quindi mi stai dicendo che io sono il tuo cuore?»
Louis negò velocemente con un sorriso. «Ti sto dicendo, in maniera veramente stucchevole, che tu ora ci sei dentro, al mio cuore. E occupi un sacco di spazio».
Il bacio, che si scambiarono dopo quella chiacchierata sulla Torre dell’Orologio, fu più dolce di quanto potesse esserlo qualsiasi torta di melassa che le cucine di Hogwarts servivano quasi sempre sulle quattro tavole delle Casate di Hogwarts.
 
 
Niall era decisamente stanco.
Erano passati sette mesi dall’arrivo degli studenti di Durmstrang e Beauxbatons e lui era stanco.
Alla fine aveva scoperto che Barbara Palvin aveva accettato il suo invito per simpatia, in quanto lei era una più che dichiarata lesbica, innamorata di una compagna di scuola che, però, era rimasta in Francia. E quindi il Ballo del Ceppo aveva fin dal principio della serata tagliato ogni sua vana convinzione che, per una volta, qualcuno di estremamente meraviglioso si fosse interessato a lui.
In più, non riusciva a sillabare nemmeno una parola in più rispetto al banalissimo “ciao” con il suo idolo, Josh Krum. Il che era veramente troppo sfiancante, se si considerava anche il fatto che gli amici gli facevano considerare questo dettaglio come una motivazione del fatto che, in realtà, il Devine fosse la sua eccezione all’eterosessualità.
Glielo aveva detto Liam: «Non c’è nulla di male se ti piacesse in quel senso» e Niall aveva sbandierato a gran voce che non ci sarebbe stato nessun problema se le cose fossero state veramente così ma «NON MI PIACE IN QUEL SENSO» urlava perdendo la ragione ogni volta. Poi si calmava ed esasperato aggiungeva: «Lo stimo soltanto. Ecco, lo stimo… tanto».
Glielo aveva detto Harry: «Il fatto è che ti infervori veramente tanto quando si tratta di lui. Non ti ho mai visto così, se non quando giocano i Kenmare Kestrels. E tu ami la tua squadra, Niall».
La reazione dell’irlandese di fronte a quella questione posta da Harry con logica, lo aveva lasciano inebetito a tal punto da rimanersene a bocca aperta per qualche secondo, prima di alzarsi infervorato per esclamare: «Non voglio restare un secondo di più con voi che dite queste baggianate» e poi defilarsi con la coda tra le gambe.
E, infine, glielo disse anche Louis, in un’assolata giornata di metà maggio: «Avanti, ciuffo biondo, è molto semplice la questione: se ti è capitato almeno una volta di fare un sogno erotico sul bulgaro, allora non si tratta più di mera stima nei suoi confronti».
Era veramente semplice, più della logica di Harry. E, difatti, Niall si ritrovò a dover mentire, col viso arrossato dall’imbarazzo: «NON HO MAI FATTO SOGNI EROTICI SU KRUM!».
Perciò, torniamo alla premessa, Niall era veramente stanco. Stanco delle deduzioni fatte dagli amici e stanco, perfino, dalla sua inabilità nell’esprimersi con il bulgaro perché questa incapacità avvalorava di molto le deduzioni dei suoi compagni di scuola. E ciò non andava assolutamente bene.
Perciò una settimana prima della terza prova, che si sarebbe disputata verso la fine di maggio, quando il castello di Hogwarts già era tornato alla frenesia dei preparativi per il grande finale del Torneo, il Grifondoro irlandese si decise.
Fu un caso se prese una decisione quando incrociò Josh Krum sul viadotto in pietra che conduceva al lago.
Lo superò con la mano alzata pronta a salutarlo e la voce d’improvviso atona gli morì in gola quando «c-c…iao» disse, senza farsi udire dal Devine, che infatti continuò a camminare a testa bassa con un libro fra le mani che stava leggendo.
«DEVI SMETTERLA DI AVERE QUESTE CONVERSAZIONI IMMAGINARIE NELLA TESTA, NIALL!» si urlò in rimprovero.
Il bulgaro, colto di sorpresa, saltò sul posto voltandosi laddove era giunta la voce con la bacchetta impugnata in una mano, pronto a scagliare un incantesimo. Quando, però, vide che era soltanto uno studente di Hogwarts, venne meno alla postura vigile e allarmata e si incamminò verso il Grifondoro.
«Dici a me?» gli domandò quando gli fu davanti.
Niall sgranò gli occhi e si morse l’interno delle guance. Non sapeva cosa lo aveva fatto urlare, probabilmente la frustrazione scaturitagli a causa di ciò che gli dicevano i compagni, ma con Josh, lì davanti, a guardarlo sconcertato, Niall si domandò cosa potesse dirgli, ora, dopo una figura becera come quella che aveva appena fatto.
Alla fine, iniziò a ridere, grattandosi grossolanamente il capo. Josh, con un sopracciglio alzato in un primo momento, si rilassò subito dopo quando ascoltò quel suono ilare provocato dall’altro ragazzo e lo riconobbe come un ricordo.
«Tu sei amico di Louis, no?» gli chiese, allora.
Niall avrebbe dovuto rispondere sinceramente, ma era troppo complicato farlo – troppe parole da utilizzare e la sua gola si era improvvisamente inaridita  - così optò per un semplicissimo: «E sì, uno dei suoi migliori amici, infatti!»
Josh annuì e sorrise. «Puoi fare un favore a me, allora?»
Niall avvampò, indicandosi: «Io?»
Il Devine annuì ridacchiando ancora, trovandolo assurdamente divertente. «Oh sì, sì. Certo! Certo che te lo faccio un favore. Dimmi tutto!»
«Puoi dire a Louis che la terza prova sarà, mh, in un…» incespicò su un termine che proprio non gli veniva nella lingua con cui stavano comunicando e che ovviamente non era la sua lingua madre. «Blato» disse. Niall si accigliò, ipotizzando di essere talmente scioccato da ciò che stava succedendo da non riuscire neppure più a comprendere cosa gli stesse dicendo.
«Bolotnyy» tentò, allora, in russo. Ma ancora niente, l’irlandese non capiva.
«Zona bagnata con piante» tentò di farsi capire, ma nemmeno così sembrò funzionare. «Il lago?» tentò Niall. Josh annuì, poi negò: «No- quasi! AH!» urlò, poi, quando evidentemente la parola gli venne in mente.
«Palude» affermò. «Si dice così, no? Palude» e il bulgaro la ripeté più volte, mentre Niall annuiva confuso.
«La terza prova sarà in una palude?»
Josh annuì. «Sì. Palude. Palude. Dici tu a Louis?»
Niall era ancora confuso ma alla fine sorrise: «Ma certo! Dirò proprio così: Josh Krum, il Devine, mi ha chiesto gentilmente, in una conversazione dove entrambi abbiamo comunicato, di dire a Louis Tomlinson, il mio carissimo amico, che la terza prova si svolgerà in una palude» chiacchierò farneticando.
Josh, che aveva compreso poco del delirio se non i concetti base, annuì incerto e confuso e «Okay…» gli rispose. Poi lo salutò riprendendo la propria strada: «Ciao…».
«Io sono Niall, comunque» gli urlò l’irlandese salutandolo con la voce che, alla consapevolezza di essere riuscito a fronteggiare il suo idolo, gli era tornata più forte che mai.
 
 
Nonostante l’improbabilità dell’informazione ottenuta da Niall (dubbia non solo perché se dovevano credere a questa dovevano anche credere al fatto che l’irlandese avesse parlato veramente con Josh Krum, ma perché era strano credere che il Torneo Tremaghi si sarebbe concluso in una palude), Harry e Louis tornarono a esercitarsi nella Stanza delle Necessità studiando un piano su come affrontare con successo quell’ultima prova.
Era però giunta l’inizio dell’estate e con essa anche le prime giornate di Sole, così si fermavano nella Stanza delle Necessità soltanto per allenarsi, sgattaiolando poi al di fuori delle mura del castello per godersi le giornate all’aria aperta.
La sera prima della terza prova, Harry e Louis erano sgattaiolati verso il campo da Quidditch, per nascondersi sugli spalti di Corvonero. Perché escludendo le tribune di appartenenza di entrambi  e il perentorio «No, non metterò mai piede in qualcosa direttamente riassociabile ai Tassorosso» capriccio di Louis, che Harry finse di non sentire, quella di Corvonero poteva definirsi come un’adeguata via di mezzo.
I mesi trascorsi erano volati senza che loro potessero neanche accorgersi che presto la scuola sarebbe finita, facendo concludere a Louis il più fondamentale dei percorsi formativi della sua vita.
Harry lo realizzò proprio quella notte. Sdraiati su due panche distinte, guardavano il cielo sereno e trapuntato di stelle in un religioso silenzio. Louis si voltò a guardarlo e subito si accigliò, vedendolo crucciato: «Cosa ti passa per la testa, ranocchio?» gli domandò il Serpeverde, allungando una mano per destarlo toccandogli un braccio fermo sull’addome.
Harry si voltò a guardarlo con uno sguardo così penetrante da disturbare il ghigno solito che Louis aveva assunto. «Pensavo al futuro, Louis» gli disse, ritornando a guardare il cielo sopra di loro.
«Pensavo che tra poco tu ti sarai diplomato mentre io resterò qui a Hogwarts per due anni ancora. E per la prima volta, il pensiero di restare in questa scuola non è piacevole come lo è sempre stato. Ed è strano, no?»
Louis ammorbidì il suo ghigno e si mise a sedere per guardare Harry con una dolcezza che, da qualche mese, era capace di dimostrargli con insolita nonchalance. Si alzò, poi, e «fammi un po’ di spazio, avanti» gli disse, inducendolo a mettersi d’un fianco per farlo sdraiare accanto a lui.
Quando, abbracciati, tornarono a guardarsi «Non è strano. La consapevolezza che ti mancherò atrocemente ti fa vedere tutto ciò che verrà con la stessa visibilità di un miope».
Harry sbuffò: «Sei sempre il solito sbruffone. Comunque, lo dici sul serio o solo per confortarmi?»
Louis lo guardò dritto negli occhi, mentre le loro gambe si incrociavano fra loro per ancorarsi indelebilmente. «Pensa che questa estate andremo in giro per il mondo come abbiamo sempre immaginato e che vivremo giorno dopo giorno sempre insieme. Avrai ricordi a sufficienza per campare poi, al rientro a Hogwarts, fino alle feste di Natale, nelle quali ci vedremo ancora. E poi di nuovo fino alle feste pasqu-»
«Voglio fare l’amore con te» sbottò Harry, interrompendolo. Louis sgranò gli occhi, mentre tutte le parole che gli stava dicendo tamponavano contro le labbra semichiuse.
In tutti quei mesi si erano scambiati molti gesti d’affetto ed erano state tante le famose lezioni di Anatomia Umana, ma sazi di orgasmi ottenuti con carezze, attenzioni e tutte le posizioni possibili non avevano mai avuto il coraggio di spingersi a tanto, non erano mai giunti ad appartenersi totalmente in quell’unione carnale.
Harry lo guardò, nell’oscurità non si potevano scorgere le sue gote arrossate, ma ormai aveva lasciato che i suoi pensieri si sbrogliassero senza alcun tipo di filtro e quindi continuò: «Non so perché te l’ho detto ora, ma ci penso da un po’. Io non ho mai avuto una relazione seria con qualcun altro prima di te ed è praticamente con te che ho avuto modo di vivermi le mie prime volte… e ovviamente so che anche quest’altra prima volta avrebbe avuto occasione di succedere, presto o tardi, ma, ecco, vorrei che accadesse qui, a Hogwarts, dove tutto ebbe inizio. Prima che tu te ne vada…» sentenziò.
Louis rimase inebetito a guardarlo. Sbatté diverse volte gli occhi guardando Harry che forse gli aveva detto la cosa più bella che potesse dirgli e che l’aveva fatto con una disinvoltura capace di imbarazzare tutta la parte di lui che, in quel momento, avrebbe potuto farsi beffa di lui.
Quel silenzio del Serpeverde, però, non agevolò il flusso di pensieri di Harry che «Oh mio dio, sono così egoista. Io ti ho detto cosa voglio, senza magari pensare che per te non è la stessa cosa, che vuoi aspettare. E avrebbe pure senso se fino ad ora non è mai successo che tu… che noi… sì, insomma» farfugliò, tentando di liberarsi dalla presa di Louis che, con forza, invece, lo teneva ben saldo a sé.
«Te ne vuoi stare un attimo zitto e farmi metabolizzare un attimo ciò che mi hai detto?» lo ammonì, scoprendo che la sua voce fosse roca e incerta… avrebbe osato dire “emozionata”.
Harry tacque, mentre si arrestava come una statua tra le mani del Serpeverde.
«Non è mai successo fino ad ora perché non ho mai pensato che la mia prima volta sarebbe stata con un ragazzo e la cosa mi manda un po’ nel panico, pensavo che per te fosse lo stesso, ecco…»
Harry negò ingenuamente, mentre elaborava quel fatto per la prima volta. «In effetti è un po’ strano ora che mi ci fai pensare. Però ho voglia di fare l’amore con te. Tanta voglia…» ammise onestamente. Louis avvampò.
«La smetti di essere così assurdamente destabilizzante, ranocchio?» affermò, ridacchiando isterico. Harry rise, mentre si stringeva più a lui scoprendo che, con le sole parole, erano stati già capaci di eccitarsi tantissimo.
Si guardarono intensamente, con una malizia che dissipò ogni loro preoccupazione. «Anche io ho voglia di fare l’amore con te» decretò Louis.
Harry sogghignò: «Lo sento» affermò birichino, strusciando il bacino contro quello dell’altro.
Risero ancora, poi il Grifondoro tornò serio. «Non voglio però che tu ti senta costretto da ciò che ti ho detto, Louis. A me va bene anche se continuiamo a… dedicarci altri tipi di attenzioni»
Louis sbuffò roteando gli occhi al cielo. «Te l’ho già detto, rospo: devi stare zitto. Ora, citando qualcuno a caso: baciami, sciocco, e facciamolo» ma questa volta fu lui a prenderlo per la nuca inducendolo obbligatoriamente a fare ciò che gli aveva esortato di compiere in fretta.
Si baciarono a lungo, prima di iniziare a spogliarsi e fu in un baleno ritrovarsi nudi sotto un tappeto fatto dei loro abiti.
Non lasciarono spazio ai preliminari, come se quei lunghi mesi non fossero stati altro che una preparazione a quel momento. Si erano conosciuti in ogni angolo del loro corpo e avevano agito come due esseri animali che, prima annusandosi e poi riponendo ognuno la propria fiducia nell’altro, ora si abbandonavano a quel legame che li avrebbe resi un tutt’uno ma non solo, come è dato a credere, fino a quando insieme avrebbero raggiunto l’apice del piacere. Perché quel tipo di unione non solo legava i loro corpi, ma suggellava anche le loro anime come in un Voto infrangibile in cui entrambi promettevano di appartenersi reciprocamente attraverso la magia più forte di tutte: l’amore.
Louis guardò Harry un momento prima che tutto questo accadesse. Si specchiò in quegli occhi capaci di parlargli ancor prima che lo facessero quelle labbra che tanto lo ossessionavano. E Harry, dopo un tremolio di insicurezza, trovò coraggio proprio nelle iridi azzurre di Louis che per la prima volta non gli parvero più stalattiti, ma un mare dove avrebbe tanto voluto sprofondare. Così gli rispose. Con un sorriso.
Fu un secondo di terribile bruciore, perso senza fiato, ma poi Harry volle di più, appagato di quella graffiante consapevolezza di pienezza, e annuì dando modo a Louis di continuare.
Quando si legarono inesorabilmente rimasero fermi a prendere fiato. Entrambi emozionati da quanto stava succedendo, si erano ritrovati infatti senza respiro, a tremare concitati. Si baciarono a lungo, stringe dosi più addosso, come avevano sempre fatto, e scompigliandosi i capelli a vicenda.
Poi Louis fece i primi passi verso l’estasi e Harry gradì che non l’avesse avvisato e che, piuttosto, avesse continuato a baciarlo.
Stretti in quell’abbraccio e velocizzando i movimenti, con la stessa smania di un assaggiatore che prova un vino e poi si scola tutta la scorta in cantina, sopraggiunsero al piacere in pochi intensi attimi. Prima Louis che, spasmodicamente, rallentando le spinte e frizionando con una mano il sesso ancora eccitato dell’altro, permise anche a Harry di raggiungerlo nell’orgasmo.
Poi, se ne rimasero così, ancora uniti, ed esausti, su una panca della tribuna di Corvonero che non sarebbe stata più la stessa, dopo quella notte.
«Ora, rospo, non aspettarti da me che ti dica quanto ti amo perché non accadrà» gli sussurrò baciandolo e avviluppandogli dispettosamente il labbro inferiore per distrarlo dal fatto che, esplicitamente, si fosse dichiarato.
«Perché? Tu ti aspettavi invece che presto o tardi ti avrei detto che ti amo proprio un sacco?» replicò il Grifondoro.
«No, non me lo aspettavo affatto, ma certe cose è meglio metterle in chiaro. Sai, per non illuderci» rispose Louis, sogghignando mentre lo stomaco in subbuglio gli confermava che per quanto si approfondisse il legame con Harry, certe emozioni non sparivano mai facendo perdere le loro tracce.
«E ora che le abbiamo rimesse in chiaro, ricominciamo da capo?» chiese il Grifondoro di slancio.
Il Serpeverde rise divertito. «Ti rendi conto che sono ancora dentro di te, sì?» obiettò.
Harry lo afferrò per le guance con entrambe le mani e gli stampò un bacio sulle labbra con un suono che riecheggiò per tutto il campo di Quidditch. «A certe belle sensazioni ci faccio l’abitudine piuttosto in fretta» replicò, scoppiando entrambi a ridere.
 
 
Per la terza prova i Campioni furono scortati nella rimessa delle barche. Louis si accorse della stranezza del lago fin da subito, anche se era piuttosto sovrappensiero perché alla mattina non era riuscito a incontrare Harry per scambiarsi la solita chiacchierata che, nelle due prove antecedenti, lo avevano aiutato caricandolo del coraggio che il ranocchio sapeva esprimergli con un solo sguardo. Il pensiero di ciò che era successo nella notte precedente, in ogni caso, era stato capace di mantenerlo tranquillo, nonostante la solita sensazione di ansia da prestazione che gli fasciava come di consueto ogni nervo del corpo.
Non aveva incontrato Harry, ma aveva avuto modo di rivedere i propri genitori, anche se di quell’incontro ne avrebbe fatto volentieri a meno.
«Io e tuo padre siamo molto fieri di te» gli aveva detto la madre, lanciando uno sguardo al marito che, austero, non sembrava trasmettergli nessun senso di fierezza o di orgoglio nell’avere un figlio che con successo fino ad allora era riuscito a sostenere vittoriosamente due prove del durissimo Torneo Tremaghi.
Difatti, il signor Tomlinson aveva poi salutato il figlio col il suo solito atteggiamento altezzoso che, precedentemente, Louis aveva tentato di imitare: «Non mettere in cattiva luce la tua famiglia, Louis. Mi raccomando» al quale Louis, con un accenno del capo, aveva replicato piuttosto seccato un «Certo, padre».
Il signor Bigman annunciò che la terza prova si sarebbe svolta sul lago nero, incantato per l’occasione in una palude stepposa sulla quale si sarebbero introdotti attraverso le tre barche, o per lo meno fino a quando sarebbe stato possibile.
«La prova consisterà nel ritrovare la Coppa all’interno della palude, nella quale vi scontrerete in innumerevoli difficoltà e le più ardue saranno proprio le scelte che sarete costretti a compiere. Vi auguro buona fortuna e che il migliore di voi conquisti la coppa!» esclamò Bigman, facendo l’occhiolino a Josh che guardò Kendall e poi Louis, piuttosto a disagio.
«Al mio tre, entrerà per prima la signorina Jenner che nella seconda prova è riuscita ad avere un vantaggio sul Campione di Durmastrang, il quale entrerà per secondo» spiegò, poi come ricordandosi dell’esistenza di Louis: «E il Campione di Hogwarts, giunto terzo alla seconda prova, sarà l’ultimo ad addentrarsi nella palude». Dopo quanto detto, fu abbastanza chiaro su chi avesse puntato il signor Bigman.
Kendall Jenner salì sulla propria barca come le era stat indicato e al fischio del signor Bigman incantò la barca affinché si muovesse tra le sponde stagnose della palude.
Poi seguì Josh. E quando entrambi i campioni scomparirono alla vista dei professori, scesi nella rimessa assieme a loro, fu il turno di Louis.
 
Prima di abbandonare la rimessa delle barche ci impiegò diversi motivi, ma quando si addentrò nella palude, alla sua destra poté sentire gli incitamenti degli studenti che si erano messi sulla riva del lago nero per assistere come pubblico. Louis cercò Harry, fra loro, ma non lo trovò, nonostante avesse intercettato Liam e Niall e i suoi genitori.
Rimase a guardare verso le rive fino a quando la barca non si arrestò urtando contro il terriccio e facendolo sbilanciare inavvertitamente in avanti. Era arrivato al capolinea, da lì avrebbe dovuto continuare a piedi. E la strada percorribile che si diramava davanti a lui lo allontanava di molto dalle sponde del lago nero.
Cercò ancora un po’ di vedere Harry tra la folla, ma poi il cuore gli balzò in gola quando Looooouis si sentì chiamare in lontananza da una voce che gli parse immediatamente quella terrificata di Harry.
Guardò davanti a sé, dove si estendeva la strada stagnante, con disperazione. Il cuore pulsò freneticamente con la paura a mangiargli il petto al pensiero che quella voce, quel richiamo, gli scaturì nella mente: non aveva visto Harry, nella folla di persone, perché Harry era lì. Con lui. Probabilmente in pericolo.
Per questo iniziò a correre, ma la nebbia che stagliava ogni luogo della palude gli impediva di capire dove stesse andando.
Sperò e al tempo stesso non si augurò di sentire di nuovo quella voce chiamarlo. Lo sperava, credendo così di poterla seguire per giungere in soccorso del Grifondoro. Ma non si augurava di sentirla ancora, con la speranza che si fosse solo immaginato di udirla. Invece…
Looooouis
La sentì ancora. Alla sua sinistra. E iniziò a correre nonostante lo stagno lì diventasse più melmoso a tal punto da inghiottire i suoi piedi fino alle caviglie rallentando la sua corsa.
«HARRY?» urlò disperatamente. Un lampo fra la nebbia alla sua destra lo illuse di averlo visto correre e lo seguì. La disperazione fu preda del suo corpo, al pensiero che Harry fosse realmente in pericolo, lì dentro, e seguì cieco il niente, fino a quando non cadde, intrappolato per la caviglia da un Dugbog che aveva già iniziato a rosicchiargli la carne con i suoi denti aguzzi. Tentò di strapparlo dalle proprie gambe con l’inutile risultato «ahia!» di essere ferito ad un braccio, con uno squarcio che gli avrebbe senz’altro lasciato una bella ferita e alla quale sul momento non diede molto peso.
«Stupeficium!» urlò poi, puntando la bestiola con la propria bacchetta, e il Dugbog, schiantandosi nello stagno dopo un breve volo, tornò nella sua forma immobile di un pezzo di legno morto.
Louis si rialzò e si guardò attorno. Il petto si alzava e abbassava frenetico, l’agonia ad appesantirgli il cuore si era moltiplicata alla consapevolezza di averlo perso a causa di uno stupidissimo Dugbog.
«HARRY?» urlò, girandosi attorno. Un altro guizzo che vide con la coda dell’occhio alla sua destra lo fece scattare in una corsa stremante.
«HARRY? DOVE SEI?» urlò. «HARRY?»
Loooouis
Cambiò direzione seguendo la voce ma si arrestò dopo qualche metro quando vide Josh Krum piegato verso una zona della palude più profonda ammaliato, da una creatura magica che lo stava inducendo a seguirlo negli abissi, dove lo avrebbe sbranato, di quello che, seppur incantato, rimaneva pur sempre il lago nero.
Proprio perché il demone aveva assunto la forma di un cavallo dalla criniera fatta di giunchi di palude, Louis riuscì a qualificarlo come un Kelpie. Ciò nonostante assistette alla scena guardandosi attorno con sguardo esasperato, mentre Josh si calava nell’acqua paludosa per salire sul dorso del demone equino. Per un attimo ebbe il dubbio di aiutarlo. Doveva cercare Harry che era lì, in pericolo, da qualche parte, ma fu proprio il pensiero di Harry a fargli sbrogliare ogni dubbio su cosa fare. Perché Harry avrebbe aiutato chiunque, anche il proprio nemico, senza battere ciglio.
Così avanzò a passo spedito verso Josh e con la bacchetta puntata contro il Kelpie: «Imposium!» lanciò l’incantesimo con spigliata sicurezza, nonostante l’elevata difficoltà. Il demone acquatico si rivelò per la creatura malefica qual era e sortito l’effetto dell’incantesimo si ritrasse, scomparendo sott’acqua.
Josh sembrò destarsi dal momento di trance in cui era stato inghiottito e si guardò spaesato attorno, incontrando lo sguardo del suo salvatore.
«Cosa è successo?» chiese.
Louis rispose semplicemente: «Fai attenzione» prima di iniziare a correre nella direzione in cui l’ultima volta aveva creduto di sentire la voce di Harry chiamarlo.
Sentì quella voce invocarlo ancora tre volte, fino a quando non intuì che fosse proprio quella voce a guidarlo all’interno della palude. Le sponde del lago chissà dove erano finite, perché ovunque fosse Louis non riusciva più a capire quanto si fosse allontanato dal castello.
L’unico segnale che avrebbe potuto dargli un’idea furono le scintille rosse sparate in cielo che vide a miglia di distanza, poco dopo aver lasciato Josh Krum alle sue spalle, dettaglio che gli diede modo di pensare che forse Kendall doveva aver chiesto aiuto con l’incantesimo «Periculum», squalificandosi dalla gara. Ma al momento non gli importò, troppo preso dalla corsa a ritrovare Harry, che sembrava sempre sfuggirgli per un soffio.
Rallentò non per stanchezza, ad un tratto, ma soltanto perché addentrandosi in una parte della palude in cui la vegetazione gli risultò sempre più fitta, fu per lui come ritrovarsi in un labirinto.
Nonostante non ce l’avesse avuta fin dall’inizio, la direzione da prendere fu ancor più difficile da scegliere, ma Louis procedette senza sentirsi mai stanco.
Ritornò ad accelerare il passo soltanto quando, al semplice suono iniziale di mormorii spettrali, iniziò a vedere dei corpi pallidi e smunti circondarlo.
Sperò che non fossero ciò che gli sembrarono immediatamente, ovvero Inferi, e intercettato un varco lo puntò correndo in quella direzione. Scampò a una delle creature per il rotto della cuffia, abbandonandola nella sterpaglia di erbe e liane. Si voltò col pensiero che se non l’avesse impedito probabilmente quelle creature lo avrebbero seguito e, così, preparato anche su quell’argomento -  grazie a chi sappiamo bene – puntò nuovamente la bacchetta sulla fitta vegetazione e «Incendio» esclamò, dando modo al fuoco di bruciare tutto e ostacolare quelle creature a inseguirlo.
Looooouis
Fu richiamato alle sue spalle e subito riprese a correre. «HARRY» urlò, andandogli incontro.
E poi, finalmente, lo trovò.
Harry era davanti a sé, con le gambe intrappolate nel fango e bloccato dalla presa salda di quelli che sembravano essere rami.
Accanto a lui, la coppa Tremaghi scintillava eretta su un piedistallo.
All’interno della palude, vi scontrerete in innumerevoli difficoltà e le più ardue saranno proprio le scelte che sarete costretti a compiere.
Alla consapevolezza che quella sarebbe stata l’ardua scelta da compiere, Louis fu certo dell’enorme errore in cui erano caduti coloro che avevano organizzato quella prova.
Perché, dinnanzi alla coppa e a Harry, Louis Tomlinson non aveva proprio nulla da scegliere.
Avanzò, così, affondando nel fango fino al bacino, e con l’intenzione di liberare Harry dalla presa costrittiva in cui era legato, ignorando la magnificenza della Coppa Tremaghi che attendeva di essere conquistata. Era pronto a lasciarla a Josh Krum, senza remore, quando si lanciò per afferrare Harry, impaurito che attendendo oltre il ragazzo gli sarebbe potuto sfuggire nuovamente, scomparendo nel nulla.
Stringere Harry, in quel momento, fu una sensazione stranissima. Louis sentì come un gancio afferrarlo per l’ombelico per poi essere strattonato velocemente in se stesso. Ad occhi chiusi pensò che fosse la sensazione di sollievo nel sapere che la persona amata fosse finalmente fra le sue braccia, al sicuro.
«È tutto okay, Harry. Sei sano e salvo» gli sussurrò quando, riaprendo gli occhi, dopo il tonfo contro un qualcosa di solido sotto di loro, si vide accerchiato da tutti gli studenti che aveva visto in lontananza all’inizio della terza prova, quando era ancora sulla barca.
Cercò Harry tra le sue braccia e vide la Coppa Tremaghi. Tutti lo acclamavano, «è LOUIS TOMLINSON», «LOUIS TOMLINSON HA CONQUISTATO LA COPPA! HOGWARTS HA VINTO!» ma la sua espressione terrificata gli rendeva incapace di gustarsi l’euforia generale di essere lui il Campione di quel Torneo.
Era certo di essersi buttato su Harry. Era assolutamente sicuro di aver scelto Harry e non la Coppa. A quel pensiero, l’idea che Harry potesse essere rimasto nella palude, stretto e forse ucciso dalla morsa di quei rami incantati, lo fece alzare di scatto e urlare: «HARRY! HARRY! DOV’è HARRY? AIUTATEMI! HARRY! È RIMASTO NELLA PALUDE! HARRY!» e subito, consapevole che avesse fatto la cosa più sbagliata, abbandonare l’unica persona a cui teneva veramente nella vita, Louis iniziò a piangere. «HARRY- voi non capite! È rimasto lì! TOGLIETEVI DI MEZZO, DEVO ANDARE! HARRY! SMETTETELA, VOI NON CAPITE! HARRY!» urlò ancora, mentre tutti coloro che lo circondavano lo esultavano di gioia senza ascoltarlo.
Giunsero anche i suoi genitori. «Louis, hai vinto!» gli disse la madre. «Suvvia, figliolo, non è dignitoso per un uomo piangere. Asciugati la faccia!» lo rimproverò il padre.
Louis lo ignorò. «HARRY è RIMASTO Lì, QUALCUNO MI AIUTI, IO DEVO RITORNAR-» interruppe il suo delirio e anche i suoi tentativi di liberarsi della presa dei genitori davanti a lui e delle persone alle sue spalle che lo incitavano gloriosamente, quando Harry riuscì a farsi avanti nella marasma di gente e a fronteggiarlo.
Louis tacque, incredulo che fosse lì davanti a lui, incolume senza nemmeno un graffio. «Harry…?» gracchiò, asciugandosi velocemente gli occhi per vederlo limpidamente e per accertarsi che fosse veramente lui.
Il Grifondoro lo guardò subito preoccupato: «Louis, che ti succede? Hai vinto!» disse, abbracciandolo.
Soltanto quando percepì e riconobbe il suo odore e il suo corpo contro il proprio, Louis ebbe la certezza che fosse vero e lo strinse a sua volta. «Oh, Harry…» mormorò, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo.
«Eri lì, Harry. Nella palude. Dovevo scegliere tra te e la Coppa e quando ho scelto te mi sono ritrovato qui, con la Coppa tra le mani… credevo-» tentò di spiegargli, nonostante il baccano intorno a loro. Lo strinse più forte a sé, rilassandosi nel sentirlo respirare e ridacchiare sulla sua pelle.
Bigman stava proclamando il vincitore piuttosto seccamente – doveva aver perso una gran quantità di soldi assieme alla scommessa - mentre una pattuglia di maghi procedeva nella palude per recuperare il campione di Durmstrang. E in tutto quel casino, le parole di Louis furono poche, ma sufficienti affinché Harry comprendesse il conflitto interiore e la confusione che il Serpeverde doveva star provando.
«Shh» lo ammutolì calmandolo. «Sono qui e tutto va bene. Era la prova che dovevi superare. Hai scelto me, Louis, rinunciando a diventare una leggenda. Ma non avevo dubbi su questo e guarda la vita come ti ha ricompensato? Ti ha dato ciò che volevi. Sei il vincitore del Torneo, Louis!» si congratulò fiero, cercando i suoi occhi per sorridergli.
I genitori di Louis assistevano con un mutismo imbarazzante, ma non ebbero nemmeno modo di poter dire nulla perché gli studenti presto si avvicinarono ancora di più per festeggiare il loro campione, ancora ancorato all’abbraccio di Harry, escludendoli dalla folla.
Louis, infatti, rise e pianse a quella affermazione, mentre si guardava attorno constatando per la prima volta la gioia che tutti gli studenti gli stavano esprimendo con urla e inni. Infine negò mentre tornava a guardarlo in viso: «Hai ragione, la vita mi ha ricompensato dandomi proprio ciò che volevo, ranocchio».
E Harry seppe, senza chiederglielo, ma soltanto guardandolo in quegli occhi dove aveva ancora voglia di tuffarsi per sprofondare, che Louis non si riferiva affatto alla Coppa Tremaghi o alla consapevolezza di aver raggiunto ogni sua ambizione. Bensì a lui, colui che aveva scelto.
Gli sorrise, per questo, e lo abbracciò più forte.
Riconobbe in quell’istante, mentre un coro inneggiava Louis Tomlinson, quanto anche lui fosse grato alla vita che, in modi veramente insoliti, lo aveva condotto proprio lì tra le braccia di quel ragazzo che gli era stato inizialmente nemico, divenendo poi l’amico a cui aveva imparato a voler bene, finendo poi per amarlo.
 
 
Epilogo
Perché non ci facciamo mancare proprio nulla
 
Ed eccoci qui alla fine di questa storia. Ma nonostante questo, la fine non è molto diversa dal suo inizio. Come una favola abbiamo visto quale sia la distanza che intercorre tra l’odio e l’amore, passando per l’amicizia, e mi sembra giusto fare una breccia sul futuro.
 
19 anni dopo…
 
No, sono troppi. Torniamo un po’ indietro.
 
10 anni dopo…
 
Harry Styles, ex Grifondoro, Auror da ormai 5 anni, più tre come allievo, è ancora un secchione. Nel risolvere i casi deve sempre procedere per gradi, studiando prima ogni ipotesi e affrontando poi le dovute conclusioni. E questo tipo di atteggiamento professionale manda in bestia il suo partner che, però, fidandosi ciecamente di lui da ormai più di diciassette anni, lo lascia fare sopportandolo.
Louis Tomlinson, ex Serpeverde – anche se secondo lui non si è mai un ex Serpeverde, perché Serpeverde ci si nasce e ci si muore -, Auror da 7 anni, più tre come allievo, è ancora un bigotto, sbruffone altezzoso e spesso arrogante. Divenuto leggenda con la vittoria del Torneo Tremaghi ha scoperto la sua passione per il crimine e si sente un eccezionale investigatore, nonostante abbia potuto frequentare il corso da Auror per il rotto della cuffia, visto i suoi scarsi risultati nei M.A.G.O.
Crede davvero che sia lui a dover sopportare il proprio partner quando, la realtà è ben diversa, ma dettagli, perché Harry trae molta soddisfazione nel ricordargli ogni volta che se può vivere quella vita che ama tanto, è anche grazie al sottoscritto, come ha tenuto a precisargli il Serpeverde durante una delle prove del Torneo.
Ciò nonostante, da più di diciassette anni ama la stessa persona e con la stessa intensità di uno Stupeficium glielo dimostra, baciandolo in ogni angolo del mondo.
Sbirciamo nel loro futuro. In un momento in particolare che mi fa piacere farvi vedere.
 
«Styles!», «Tomlinson» li chiamò una voce perentoria nell’ufficio del Quartier generale degli Auror nel quale i due nostri vecchi beniamini lavoravano ormai da diversi anni. «Sì, signore» risposero entrambi all’unisono, mostrandosi all’uomo che li aveva chiamati.
«Siete chiamati a rapporto dal Capo» informò loro prima di andarsene senza aggiungere nient’altro.
Harry e Louis si guardarono con malcelata confidenza, scambiandosi congetture allarmati sul motivo per cui fossero richiesti entrambi, all’improvviso, senza la consapevolezza che ci fosse un caso misterioso da risolvere – informazioni che giravano tra Auror e Auror sempre prima delle ufficializzazioni e delle assegnazioni.
Ciò nonostante, i due Auror si misero a camminare verso l’ufficio del loro Capo. E lo fecero con una lentezza tale da rendere infinita quella breve camminata.
«Se ha scoperto del disastro che tu hai combinato con il caso del Nundu, giuro che-» lo minacciò, ma fu interrotto dall’altro che con espressione stizzita: «Non capisco ancora cosa intendi per “disastro” visto che quel caso è stato archiviato come uno dei più clamorosi success- ah, tu parli dell’incendio che abbiamo provocato mentre catturavamo la bestia ma-»
Harry lo puntò, fermandosi sul posto: «No, no, no. Chiariamo: tu hai provocato l’incendio, io ho catturato la bestia» precisò. Louis allargò le braccia e con una smorfia strafottente replicò: «Si chiama gioco di squadra, honey».
Harry lo demolì con un solo sguardo. Louis ridacchiò con un ghigno insolente e riprese a camminare: «Ma se proprio insisti, mi assumerò la responsabilità e mi prenderò la colpa di tutto. Ma se mi mandano ad Azkaban, tu poi come farai senza di me?» ipotizzò assurdamente.
Harry sbuffò, alzando gli occhi al soffitto. Per un momento quasi lo sperò, perché lui aveva decisamente bisogno di una vacanza.
«Festeggerei con il miglior Whisky Incendiario che abbiamo a casa» replicò sorridendogli amorevolmente. Louis lo guardò torvo.
«L’ho sempre saputo che sei un sociopatico, sperare che il proprio partner finisca dietro le spalle alla mercé dei Dissennatori…»
«Sociopatico, io? No, a quelli non importa nulla di nessuno. A me importa di te. Per quanto infausto possa essere questo mio destino…» affermò, pizzicandogli un fianco.
Louis lo fronteggiò. «Infausto destino, ranocchio?» chiese, sbattendolo al muro e guardandolo con malizia. «Ieri notte non mi sembrava pensassi che il tuo fosse un infausto destino, visto come urlavi a gran voce, grazie a me» lo provocò, prima di essere spinto via dall’ex Grifondoro e, a sua volta, costretto a indietreggiare fino alla parete di fronte, dove Harry lo chiuse con il proprio corpo.
«Dovresti stare attento nel pronunciare certe cose quando siamo in servizio» lo ammonì. Suonava come una minaccia.
Louis sorrise con gli occhi vispi, specchiandosi in quelli di Harry: «Quali cose?»
«Cose che mi fanno venire voglia di dimostrarti che se voglio, anch’io so farti urlare» si osservarono ancora, silenti, con due sorrisi simili nella loro malizia.
Stavano sul punto di baciarsi per finirla con tutta quella tensione sessuale che avevano caricato fino all’inverosimile quando «Ve lo dissi la prima volta che vi conobbi e ve lo ripeto ancora: una camera da Madama Rosmerta non vi farebbe male per sfogare le vostre frustrazioni» una voce li rimise in guardia.
Vedere Zayn Malik di fronte a loro con la stessa spavalderia e faccia da strafottente fu una sorpresa per entrambi, ma soprattutto per Harry che con disinvoltura camminò per andargli incontro e abbracciarlo amichevolmente.
Louis rimase un passo più indietro, guardando torvo quell’immagine davanti agli occhi.
«Zayn! Ma che sorpresa! Cosa ci fai qui?» affermò Harry con entusiasmo.
«Sì, che gran sorpresa» finse Louis.
Zayn ridacchiò guardando entrambi dopo aver stretto la mano di Louis e «Che ci faccio qui, eh?» fece spallucce. «Lo sapevate che il vostro capo andava in pensione, no? Beh, ho preso il suo posto!»
Harry lo guardò con uno stupore misto a contentezza, ma non fu lo stesso per Louis che con un ciglio alzato, mentre Harry lo abbracciava nuovamente per congratularsi con lui «Ma non sarai troppo giovane?» domandò piuttosto dubbioso.
Harry gli lanciò un’occhiataccia: «Louis!» lo riprese a denti stretti, ma il diretto interessato lo ignorò sfidando con il solo sguardo quello che si era appena qualificato come il suo capo.
«Beh, ti ringrazio per l’implicito complimento. In effetti, me li porto molto bene gli anni. Non posso dire lo stesso di te» replicò Zayn sarcastico. Louis lo guardò con sufficienza.
«Comunque, a parte l’età, spero di poter fare un lavoro all’altezza del mio predecessore, qui al Quartier Generale degli Auror!»
«Sarà sicuramente così, Zayn. Sono davvero contento!» esclamò Harry, mentre Zayn invitava entrambi ad entrare nel suo ufficio per brindare in onore di quella nuova novità sul loro posto di lavoro.
Louis rimase un secondo di più sulla porta, con le braccia incrociate al petto, guardando i due entrare e accomodarsi vicino alla scrivania.
Si guardò distrattamente la cicatrice sul braccio che si era inferto durante il Torneo Tremaghi e sorrise d’istinto, ripensando a quante ne erano capitate in dieci anni, da quel giorno. Alzò lo sguardo e vide Harry, mentre rideva con Zayn, e percepì la costanza, forse l’unica, nella sua vita.
Harry era ancora il suo ricordo felice, il balsamo per la sua anima irrequieta ed era ancora colui che dopo aver provato la paura di averlo perso, aveva stretto a sé con la determinazione di non lasciarlo mai andare, nemmeno per una distrazione.
«Brindiamo a noi, allora, che da oggi iniziamo una nuova, e si spera fruttuosa, collaborazione!» brindò Zayn. Louis lo raggiunse, afferrando il bicchiere che gli servì Harry, sorridendogli e graziandolo delle tenere fossette ai lati della bocca.
Tutte le cicatrici sul corpo che si era guadagnato come Auror in quei lunghissimi dieci anni, non erano niente in confronto alla felicità che provava ancora, sempre, nel guardare il ragazzo che aveva tanto odiato, nonostante la tenerissima faccia da ranocchio, poi voluto bene come il migliore degli amici e, infine, scelto di amare.
Andava tutto bene.
 
…E a te,
se sei
rimasto
Con Harry
– e Louis –
Fin proprio
Alla
Fine
 
 
Angolo VenerediRimmel
 
Eccoci qui. Finalmente è finita. Come vi ho detto nello scorso capitolo, volevo dirvi qualcosa e volevo farlo soltanto adesso.
Se siete arrivati fino a qui avete avuto la prova di quanto io ami il lavoro della Rowling. Lo amo veramente tantissimo e forse questa fan fiction è il prodotto meglio riuscito fino ad ora, nonostante undici anni fa abbia iniziato a scrivere proprio grazie a questo mondo.
Questo per dirvi che l’idea di usare il Torneo Tremaghi nella storia non era per scopiazzare la Zia Row o tentare di raggiungere la sua geniale creatività ma soltanto per omaggiarla e ringraziarla per tutto ciò che mi ha regalato.
Ho scoperto con questa ff di amare veramente tantissimo il quarto libro della saga e spero soltanto che dalle mie parole si intraveda l’amore e il rispetto che nutro nei confronti della scrittrice e della saga di Harry Potter.
L’amore. Ecco. Perché è questo l’insegnamento più grande che mi ha trasmesso Harry Potter ed è l’amore che ho voluto inneggiare in questa fan fiction.
Tutto questo per dirvi che sicuramente questa ff non sarà geniale e quant’altro, ma è strapiena di amore. E spero che in qualche modo vi abbia raggiunto come un abbraccio caloroso.
Ora la smetto, perché altrimenti vi ammorbo e mi punite evitando di lasciarmi un commentino (LOL).
No, seriamente, fatemi sapere le vostre opinioni perché, nel bene o nel male, IO VOGLIO SAPERE.
 
Vi abbraccio,
VenerediRimmel
 
   
 
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