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Autore: MinervaDrago    03/11/2016    0 recensioni
«secondo me sa che sei qui».
« come fai a dirlo?».
«Se così non fosse non avrebbe suonato proprio quella canzone» vorrei davvero credere alle sue parole, ma se solo fossero vere mi alzerei in piedi, salirei su quel palco e mi metterei a suonare accanto a lui quelle note così alte che tutt’ora non riesce nemmeno a toccare.
Genere: Malinconico, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Genji Shimada, Hanzo Shimada, Jesse Mccree, Tekhartha Zenyatta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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UN’ ULTIMA VOLTA ANCORA

 

Youkali,

C’est le pays de nos dèsirs,

Youkali,

C’est le bonheur, c’est le plaisir

Youkali, C’est la terre où l’on quitte tous les soucis

[Kurt Weill – Youkali, Tango Habanera]

 

 

Youkali  era la sua canzone preferita, d’altronde come non biasimarlo? Genji ha sempre avuto un debole per quelle canzoni la cui energia travolgente cela un velo di malinconia e tristezza, la cui vera intenzione è quella di far riflettere i suoi ascoltatori attraendoli nel modo più piacevole possibile. Ebbene, Youkali era una di quelle canzoni, un tango le cui note ci portano verso una fantomatica terra dei desideri, un sogno o forse una speranza lontana che può solo essere espressa solamente attraverso la musica. Quando era piccolo era solito suonarla al pianoforte e spesso voleva che io fossi lì, accanto a lui, per ascoltarla o per dargli un piccolo aiuto, dato che allora non sapeva usare bene entrambe le mani, ma il vero motivo per cui voleva che fossi al suo fianco era perché ci teneva fossi l’unico ad ascoltarla, perché riteneva che quella canzone gli ricordasse qualcosa di me e che quindi non avrebbe voluto suonarla a nessun’altro.

 

Quando nostro padre venne a mancare, Genji si sentì vuoto, smise di suonare il pianoforte ma continuava a suonare quella canzone per me, anche se pareva che quel tango si fosse trasformato in un requiem; ha sempre avuto un modo tutto suo di suonarlo, tra le note c’era sempre qualcosa di malinconico e cupo, di fatti adorava abbassare le tonalità e spesso e volentieri ignorava le note alte, lavorando solo su una parte del pianoforte.

A sentirla di nuovo, a distanza di anni, dopo tutto quello che è successo tra di noi, mi vengono i brividi; Genji è lì, vivo, con il suo nuovo pianoforte, in un palchetto di un vecchio teatro a suonare proprio quella canzone, per un pubblico che freme per il musicista che si esbirà dopo di lui, ma stavolta qualcosa è cambiato:  le sue note sono diverse, la sua malinconia sembra quasi nascondersi dietro una frenesia che lo porta a toccare i tasti con spietata crudeltà, abbandonando quelle carezze che un tempo conferivano dolcezza alle sue melodie, le sue dita sembrano immobili mentre picchiettano sui tasti, sono talmente veloci da non riuscire più a far scorgere al suo spettatore alcun movimento d’articolazione.

 

Ma la cosa più interessante era che lui non fosse l’unico a suonare quella vecchia canzone, accanto a lui c’era un Omnic che suonava la stessa melodia con un violino, rendendo il tutto molto dinamico; il fatto di vederlo suonare pubblicamente quella canzone, condividendola con qualcuno che non sono io, mi lascia pensare che quell’Omnic sia diventato praticamente il mio rimpiazzo, la complicità dei due musicisti infatti è qualcosa di inedito, qualcosa che non avevo mai visto in quell’egocentrico di mio fratello.

Vedendomi così preoccupato mentre venivo ipnotizzato da quella scena, Jesse mi mise una mano sulla spalla per riportarmi alla realtà «è tutto a posto, tesoro?» «si, credo di si» preferisco non aggiungere altro, vedere mio fratello così diverso da com’era prima, sfregiando quella melodia che un tempo era solo nostra, mi mette un grosso groppo in gola che mi blocca le parole in bocca «il nostro Genji è cresciuto» commenta ironicamente Jesse mentre lascia scivolare la sua mano lungo il mio braccio, fino a raggiungere la mia «prima o poi avresti dovuto lasciarlo andare» esito un po’ prima di rispondere, anche se riesco a dargli  l’impressione di essere totalmente calmo, lui capisce subito che c’è qualcosa che non va «secondo me sa che sei qui» « come fai a dirlo?»

«Se così non fosse non avrebbe suonato proprio quella canzone» vorrei davvero credere alle sue parole, ma se solo fossero vere mi alzerei in piedi, salirei su quel palco e mi metterei a suonare accanto a lui quelle note così alte che tutt’ora non riesce nemmeno a toccare, come allora, quando tra una nota e l’altra quasi ci sfioravamo le dita e intrecciavamo le mani chiedendoci se non fosse l’altro a sbagliare o se esistesse davvero un punto in cui note alte e note gravi non si riconoscessero più, ma sono troppo vecchio e stanco per certe follie e preferisco fargli immaginare che io sia ancora lì, al mio posto a guardarlo suonare quella canzone solo per me.

   
 
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