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Autore: charliespoems    04/11/2016    2 recensioni
[Malec]
Alec Lightwood, venticinque anni, capelli di un nero che più nero non si può, occhi chiarissimi e pelle pallida, quasi eterea.
Amante dell'arte sin da piccolissimo, adesso deve combattere con un fratellastro tutto carisma e pepe, la sua fin troppo rossa ragazza - nonché sua collaboratrice artistica - e un gatto che, ancora non lo sa, gli farà perdere la testa.
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AU senza pretese dove vediamo per la prima volta (credo) un Alec sommerso da tempere e colori, con una Clary al proprio fianco che lo farà impazzire ma che al tempo stesso gli farà conoscere persone che si riveleranno parecchio importanti.
Faccio pena a scrivere trame e questa è pure la mia prima storia in questo fandom, ma spero di avervi incuriosito almeno un pochino.
Dal primo capitolo:
Adorava il corso d’arte. Adorava il silenzio. Adorava alla follia ciò che studiava, ma lei. Lei, che diamine.
Nelle sue vite precedenti doveva aver fatto qualcosa di terribile per meritarsi una compagna così.
[...]
Come aveva pensato quell'idiota di ficcarlo in una situazione del genere? Con lui, poi? Il cervello doveva esserselo bevuto al posto della prima minestrina.
«Clary Fray, un giorno ti ucciderò con le mie stesse mani. È una promessa»
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Clarissa, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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1.
Prendi l’arte e mettila da parte.
 

     Svegliarsi presto la mattina non era mai stato un problema, o almeno non per lui. Sin dai tempi del liceo era abituato ad andare a correre, farsi una doccia veloce ed entrare a scuola. Da sempre era una persona puntuale, e questo comportava svegliarsi ad una certa ora per poter fare il tutto. Quindi no, svegliarsi presto non era un problema, a meno che il proprio fratellastro e la dolce sorellina non decidessero di fare un mega festino nel salotto della loro casa. A quel punto un po’ di problemi iniziavano ad esserci. Sentiva ancora la musica ticchettante risuonare nelle orecchie, mentre si levava le coperte di dosso. Non ricordò quante ore – non era certo nemmeno che fossero ore, in realtà – avesse dormito, ma il dolore alla testa era abbastanza forte da farlo imprecare mentalmente. Dopo essersi sciacquato la faccia si guardò attentamente allo specchio.

    Alexander Gideon Lightwood, venticinque anni, capelli di un nero che più nero non si può, occhi chiarissimi e pelle pallida, quasi eterea, ora rovinata da due profonde borse colme di stanchezza accumulata. Sbuffò, pensando alla mattinata che avrebbe trascorso. Sarebbe andato al corso, avrebbe corso fino ad arrivare a casa per poi mettere due cosette sotto i denti, avrebbe svolto i suoi compiti e guardato con gioiosa vendetta i suoi fratelli pulire casa. Alec – così come preferiva farsi chiamare – frequentava la facoltà di Arte e delle Scienze della NYU (New York University), la più prestigiosa università di New York. La sua famiglia godeva di grande notorietà grazie al suo cognome, in quanto i suoi genitori – specialmente sua madre – gestivano l’Istituto di cultura di New York, fondato da lontani parenti italiani e che al momento spiccava come uno degli istituti più importanti della metropoli.

    Probabilmente era grazie alle sue radici genealogiche – quelle italiane – che l’arte cominciò ad essere fondamentale nella sua vita. Da piccolo si divertiva a ritrarre i personaggi preferiti dei fumetti che leggeva – da Steve Rogers a Tempesta degli X-Men – e poi, crescendo, si cimentava in ritratti ed esperimenti con colori, acquerelli e stili tutti differenti l’uno dall’altro. Le matite, i pennelli, i pennarelli, erano tutti diventati prolungamenti naturali del suo braccio. Fare delle bozze, sporcare il foglio e successivamente ritrovarsi con le dita tutte sporche di colore era una sensazione così piacevole da far contorcere lo stomaco. Essere un artista è uno dei mestieri più difficili del mondo, era questo che pensava, nonostante nessuno desse così tanta importanza ad un lavoro come quello.

    I primi erano i suoi genitori che, come da programma, esigevano il suo allontanamento repentino dall’arte. Lui, il maggiore della famiglia Lightwood, l’erede con la E maiuscola, colui che avrebbe sicuramente diretto l’istituto dopo di loro, non avrebbe mai potuto andare in giro come un poveraccio a vendere qualche disegnino fatto ad olio su tela. Convincerli a farlo iscrivere alla facoltà di Arte era stato quasi un suicidio. Aveva passato così tante serate ad ingoiare il rospo che una sera aveva creduto di soffocare. Se non ci fosse stata Isabelle probabilmente non ce l’avrebbe mai fatta, e un po’ se ne vergognava. Toccava a lui aiutare lei, a darle il buon esempio, non il contrario.

    Si ritrovò fuori dalla porta in un batter d’occhio, mentre prendeva la macchina per poter raggiungere la sede della facoltà. Quella mattina avrebbe avuto copia dal vero – di nuovo. Non che gli dispiacesse, ma le statue greche non erano mai state il suo forte e il professor Fell ne sembrava ossessionato. Per lo più avrebbe dovuto sopportare quell’odiosa ragazzina dai capelli rossi con cui condivideva l’attrezzatura e collaborava, e la voglia di ficcarle i pennelli negli occhi era davvero tanta, delle volte. Quando entrò in aula la vide seduta su uno sgabello, mentre mangiucchiava le unghie e distrattamente si passava tra le dita una ciocca di capelli color rosso fuoco. Sarebbero stati dei bei capelli da ritrarre, se solo non fossero stati i suoi. «Sei in anticipo, meno male» si diresse da lui in fretta e furia. «Ragnor ha detto che dobbiamo esercitarci sull’ombreggiatura. Tu sai scurire molto bene mentre io ho bisogno di pratica. Tu devi migliorare il punto luce e io posso aiutarti, quindi facciamo squadra» «Non dovresti chiamare il tuo professore con il nome proprio» borbottò lui, sistemando la sua cartella vicino alla sua postazione. «Dio, Alec, non cominciare. E poi è anche il tuo professore» alzò gli occhi al cielo, lei.

       Adorava il corso d’arte. Adorava il silenzio. Adorava il mischiare colori completamente diversi per formare opere sempre più originali e magnetiche. Adorava essere attratto talmente tanto da un’opera da non poter smettere di guardarla, e il suo sogno era riuscire a crearne una del genere. Adorava alla follia ciò che studiava, ma lei. Lei, che diamine. Nelle sue vite precedenti doveva aver fatto qualcosa di terribile per meritarsi una compagna così. La cosa che più lo infastidiva, poi, era che insieme facevano davvero un’ottima squadra. Si completavano a vicenda e le collaborazioni risultavano capolavori. Aveva sempre immaginato di lavorare con persone colme di rispetto nei suoi confronti e che lui stesso avrebbe ricambiato, ma quell’impertinente ragazzina era così chiacchierona e aveva quello stupido modo di parlare così veloce e lo sguardo così stupidamente luminoso che- «Ma mi ascolti? Non abbiamo l’eternità, Lightwood, vediamo di sbrigarci!» la sentì dire. Sospirò. Era troppo giovane per compiere un omicidio. E il suo sangue addosso non lo voleva: avrebbe potuto essere tossico.

    «Oggi dobbiamo ritrarre la venere di Botticelli, solamente il suo primo piano. Una passeggiata, insomma» continuò, mentre prendeva l’occorrente. Era davvero bassa rispetto a lui: uno scricciolo tutto pepe che sembrava un angelo all’esterno tanto quanto un demone all’interno. «Allora, da dove vuoi iniziare?» chiese lui con fare sbrigativo. Prima avrebbero iniziato meglio sarebbe stato. Sentiva le punte delle dita fremere all’idea di mettere mano su un’opera simile tanto da renderla propria. «Stai avendo gli spasmi alla mano, sei impossibile» lo prese in giro, passandogli dei pennelli. «Non è il momento di scherzare, Clarissa. Da dove vuoi iniziare?» «Ti ho detto mille volte di non chiamarmi così. Inizia pure a sistemare la tavola, io vedo di ricordare dove Ragnor ha messo il quadro» e poi, ad un’occhiataccia del più grande, si corresse: «Sì, sì, del signor Fell, come vuoi tu».

    La vide sparire per un paio di minuti, per poi sentire un rumore fastidioso di qualcosa che si rompeva e la sensazione di panico mista al totale nervoso assalirgli lo stomaco. Aveva combinato qualcosa, ne era certo. Sperò fosse caduta e che almeno avesse sbattuto la testa, ma le sue preghiere morirono nel sentirla scoppiare a ridere. «Dio, che imbecille che sono, era da tutt’altra parte» borbottò silenziosamente. «Sto bene comunque, non preoccuparti!» E chi si preoccupa, pensò Alec. Scoprì poco più tardi che l’intelligentissima ragazzina aveva cercato di prendere un quadro nascosto da un lenzuolo in un punto un po’ troppo alto per la sua misera statura, scoprendo poi che il quadro a lei assegnato era da tutt’altra parte. Dopo essersi garantito che la rossa non avesse combinato nulla di catastrofico, iniziò – finalmente – a disegnare.

    La bozza era inizialmente qualcosa di indefinito, di grezzo. Delle linee continue e sparse sulla tela a rappresentare in modo bonario e a volte un po’ osceno quello che sarebbe stato il risultato finale nonché capolavoro. Il polso si muoveva molto velocemente, mentre con cura osservava la riproduzione del dipinto e tracciava, tracciava, tracciava. Sentire la tela grattare sotto le sue dita era una sensazione assurdamente unica.  A bozza terminata, si perse a guardare quei lineamenti così ricurvi e storpi, cominciando ad immaginarsi ciò che sarebbe venuto dopo. «Bene, ottimo lavoro. Solo una cosa» Clary – come preferiva essere chiamata – si sporse un poco per modificare l’occhio destro. Disegnare gli occhi perfettamente identici era un problema davvero grosso, e se si può dire per lui un vero e proprio tabù. Ma se lui non riusciva negli occhi, Clary era capacissima di aggiustarli, e se lei faceva pena con le labbra e i denti, Alec migliorava il tutto con il suo tocco. Questa collaborazione ad incastro perfetto lo faceva uscire fuori di testa, ma la parte fondamentale era il raggiungimento di un’opera valida e per quello non poteva di sicuro lamentarsi.

    Clarissa Fray era una ragazzina tremendamente bassa, con capelli color rosso fuoco acceso, un paio di occhi verde prato perennemente illuminati, un sorriso sbarazzino e una spruzzata di lentiggini su tutta la faccia. Nonostante avesse un viso angelico, il suo comportamento la faceva sembrare tutto fuorché una creatura perfetta e mistica. Parlava continuamente e di cose inutili, faceva paragoni non pertinenti, si prendeva una confidenza che non doveva prendersi, gesticolava troppo e aveva la voce acuta. Inoltre, solo in pochi sapevano che tutto le passasse per la testa. E Alec, in fondo, pregava per quei pochi. Non avrebbe mai voluto essere tra loro, nemmeno per tutte le opere d’arte del mondo. Però, un pregio unico e puro di quella ragazza era il fatto che fosse terribilmente intelligente in fatto di arte. Faceva commenti pertinenti e usava il cervello sono in pochi casi, ma la storia dell’arte era uno di quelli. Era molto portata, sapeva sfruttare colori e stili con giusto carisma e forza di volontà. Un pochino – ma pochino pochino – l’ammirava per quello.

     «Molto meglio rispetto a quello che pensavo. Stendo la prima base di colore e poi inizi con le ombre. I miei complimenti, specie perché insomma, la donna non è proprio il tuo genere» ridacchiò, facendogli sentire caldo dalle spalle in giù: Alec sentiva il nervoso salire e scendere pian piano dal suo corpo. «Che diavolo intendi? Credi di essere spiritosa? Solo perché esci con mio fratello non significa che tu sia in grado di prenderti così tante libertà con me. Stai al tuo posto, ragazzina» la gelò, volendo chiudere il discorso. «Il mio nome non è ragazzina. E comunque non devi prendertela così a cuore, sei tu che dovresti-» «Quando avrò bisogno di un tuo consiglio te lo verrò a chiedere, va bene? Non che succederà mai, in ogni caso, ma basta che stai zitta ora» la interruppe con uno sguardo così di ghiaccio che il pennello tremò dalle mani di Clary. Sussurrò solo un: «Che insopportabile».

     La vide poi stendere la prima base di colore sui capelli color oro, facendo molta attenzione ad ogni ciocca, ad ogni onda. La sua mano si muoveva veloce, guizzando da una parte all’altra del capo della donna raffigurata. D’un tratto lo squillo improvviso del suo cellulare la fece distrarre, provocando una linea dorata su buona parte della tela – dove non doveva esserci. Clary imprecò ad alta voce, mentre ripulendosi le mani rispondeva al telefono. Come da programma il mittente era Simon, il suo migliore amico: petulante ragazzino con una insulsa passione per la musica punk e dotato della lingua più lunga e noiosa del mondo. La rossa parlava delle loro avventure per tutto il tempo, come se a lui potesse davvero importargliene qualcosa, di quei due. Decise che era meglio non incrementare il nervoso con l’ennesimo istinto omicida di quella mattina, così cercò di rimediare all’errore appena compiuto dalla sua carissima collega.

       «Cosa diavolo significa che è scappato? Sei fuori di testa?» aveva alzato un poco la voce, lei, mentre fissava con gli occhi verdi sbarrati un lato della stanza. «Simon non puoi farmi questo, devi trovarlo, dobbiamo fare qualcosa. Serviva per il suo regalo di compleanno, diamine» pestò un piede a terra, ricordando ad Alec una bambina di cinque anni a cui veniva negato un leccalecca appena visto in una bancarella. Sarebbe sembrata tenera, con le codine scombinate all’aria e le guance piene. Sbuffò mentalmente, pensando a quanto sprecato fosse il suo aspetto per poi concentrarsi al quadro. Inutilmente, dato che la ragazza continuava a sbraitare accanto a lui. «E allora vedi di fare qualcosa, diamine! È importantissimo per lui, non possiamo averlo perso» piagnucolò, persino. Alec continuò a stendere il colore dopo aver rimediato allo scempio da lei compiuto, cercando di concentrarsi su ciò che stava facendo e non sulla voce stridula della ragazza al suo fianco. Era impossibile starle accanto, davvero impossibile. Pensò che dovesse chiedere a Jace cosa diavolo ci vedesse in lei. Non che non glielo avesse mai chiesto in precedenza, ma in quel momento gli sembrava difficile anche solo guardarla, mentre dimenava gambe e braccia e passeggiava compulsivamente intorno a lui, formando un cerchio sul pavimento.

      «Dio, che casino» si mise una mano nei capelli, dopo aver chiuso la chiamata. «Non puoi capire che-» «Non mi interessa» la fermò in anticipo, borbottando; la voce camuffata dalla vicinanza del suo viso alla tela: stava tracciando un particolare piuttosto complicato, al momento. «Te lo dico lo stesso. Questo fine settimana è il compleanno di un caro amico di famiglia e come regalo avevo pensato di regalargli un ritratto del suo gatto. Ci tiene tantissimo, è come se fosse il suo migliore amico e, bé, Simon lo ha perso» accompagnò il movimento con un grande gesto delle mani, esasperata. Alec si accigliò. Se il gatto era di un amico di famiglia perché lo aveva quell’idiota? No, si disse, non aveva tempo per le cavolate della ragazzina. «Lo abbiamo portato a casa sua in modo che potessi fare il ritratto una volta uscita da qui, ma a quanto pare è scappato e non so come fare. Magnus mi ucciderà, me lo sento. Charmain Meow è importantissimo e -Oddio, mi sta venendo da piangere» sussurrò alla fine. «Non provarci, Fray» sibilò lui, con lo sguardo più minaccioso – per quanto lui potesse fare sguardi minacciosi – del solito.

      «Senti, ti dispiace se terminiamo un’altra volta? Ragnor e gli altri non sono ancora arrivati, non penso sia un problema se per oggi salto la lezione. Potresti dire che ho avuto un impegno? Devo trovare quel gatto il prima possibile a costo di fare New York – Brooklyn avanti e indietro» prese tutte le sue cose e uscì dal portone lasciandolo solo, con un pennello e le dita sporca di tempera dorata e lo sguardo più accigliato del secolo – in quello era veramente bravo, invece. Mentre la vide uscire si chiese se avesse avuto scelta, sbuffando qualcosa di incomprensibile. «Donne, e chi diavolo le capisce»

       Notò solo dopo che la ragazza aveva dimenticato buona parte del suo materiale. D’altronde loro due arrivavano in aula mezz’ora prima rispetto al resto dei compagni proprio per quel motivo: erano tremendamente lenti a sistemare il proprio occorrente. Un altro punto che li rendeva simili ma che sicuramente non giocava a favore di Alec. Salutò borbottando i suoi compagni di corso che pian piano che questi entravano e si radunavano intorno a lui, accomodandosi nelle proprie postazioni. Vide dopo poco il professor Fell entrare, seguito da quella testa rossa che era la sua collaboratrice. Si chiese cosa diavolo ci facesse ancora lì.

        La vide avvicinarsi in fretta e furia, con il fiatone. «Cambio di programma, è un codice rosso che più rosso di così si muore. Oggi ci resto secca sul serio, me lo sento» iniziò a sputare parole su parole, ottenendo come risultato lo sguardo perplesso e le sopracciglia che quasi si toccavano di Alec. «Sono nella merda, per la miseria!» continuò. Non che aiutasse a migliorare la situazione. «Okay, va bene, allora. Devo pensare a qualcosa. Forza Clary, pensa, pensa pensa» ripeté come un mantra, mentre gli camminava in tondo. Il ragazzo sentì di nuovo la fitta allo stomaco e l’ipertensione del nervoso scorrergli su e giù lungo tutto il corpo. Le avrebbe volentieri dato una testata.

       Si spaventò quando la ragazza urlò di scatto. «Magnus! Che bello vederti, che ci fai qui?» era tesa come una corda di violino e lui si ritrovò ancora più confuso.  «Buongiorno biscottino, non sei felice di vedermi?» questo sorrise. Ad Alec per poco non venne un colpo. Avrebbe voluto scavare una voragine sotto le piastrelle del pavimento e sistemarsi lì, le ginocchia strette al petto e la testa fra le mani. Quell’uomo era senz’altro uno degli uomini più belli che avesse mai visto, con degli occhi verdi così magnetici da far girare la testa, un sorriso tutto denti e un fascino bizzarro ma piacevole da guardare. Tutti quei pensieri gli fecero incrementare il mal di testa, seguiti da una spiacevole sensazione nella bocca dello stomaco che decise di ignorare. «Meches blu stavolta, mh?» chiese la ragazza, cercando evidentemente di non sembrare così spaventata – e sperando che Magnus non le chiedesse del suo gatto.

        «Variare fa sempre bene. Simon mi ha detto che ha avuto dei problemi con il piccolo Charmain, sta per caso facendo i capricci? Solitamente sta molto per conto suo, in realtà. Spero solo che stia bene» missione fallita Fray, adesso sì che capisco tutto, pensò Alec, che da spettatore seguiva battuta per battuta. Gli venne quasi da ridere. «Oh, ma certo che sta bene! Emh, anzi, st-sta benissimo. Alla grande!» Clary ridacchiò, incespicando su alcune parole. «Anzi, non è più da Simon perché sua madre ha avuto qualche problema con lui. Abbiamo scoperto che lei e il pelo del gatto non vanno molto d’accordo e-e-bé, ecco, ti presento Alexander!» si schiarì la gola, cercando di mantenere lo sguardo fermo sugli occhi del suo ormai complice assicurandosi che non la tradisse. Il ragazzo cominciò a sudare, pregando ancora di poter sparire da qualche parte. Cosa diavolo stava facendo, quella stupida? «D-Devi sapere che lui è di fondamentale importanza! Sì, ecco. Infatti A-Alec sta ospitando Charmain in modo tale che, bé, che io possa restituirtelo prima di questo sabato!» sorrise con apparente genuinità: in fondo a quei denti bianchi e le guance tirate c’era qualcosa di spietato, lui ne era sicuro. Allo sguardo dell’uomo rivoltò a lui, Alec pensò di sentirsi male. Voleva uccidere Clary così come voleva poche cose dalla vita.

        «Oh, scusami, non mi sono nemmeno presentato. Magnus Bane» gli porse la mano. Alec pregò cinque divinità diverse che le sue guance non prendessero fuoco, così quando le sentì pizzicare si morse la lingua. «A-Alec Lightwood» balbettò. «Quindi tu sei il collaboratore di Clary e anche colui che si è preso il mio gatto?» l’uomo rise, mostrando la dentatura perfetta. Alec non seppe cosa dire, sperò solo che qualcuno lo tirasse fuori da quella storia il prima possibile, l’istinto omicida primordiale che di nuovo incombeva su di lui. Come aveva pensato quell’idiota di ficcarlo in una situazione del genere? Il cervello doveva esserselo bevuto al posto della prima minestrina. Avrebbe voluto sparire e invece eccolo qui, a raccontare balle su balle per “coprire” una stupida ragazzina viziata che non sapeva farsi gli affari suoi e che doveva per forza seccare le vite altrui.

        «Dovresti piantarla di disturbare i miei alunni, Magnus» il professor Fell si fece strada tra loro e ad Alec quasi vennero le lacrime agli occhi per la commozione: doveva ringraziare quell’uomo. La situazione stava degenerando. «Non mi permetterei mai, lo sai. Se siamo sicuri che Charmain stia bene allora sto bene anch’io. Di che parlavamo, prima che vada?» si rivolse al professore che, prendendolo sotto braccio, lo avviò verso il portone dell’edificio. Magnus se ne andò proprio com’era arrivato: in silenzio. Notò solo dopo il suo abbigliamento non indifferente e le ciocche striate di blu cosparse di glitter nei suoi capelli.

       Alec guardò la rossa balbettante al suo fianco mentre cercava di dirgli qualcosa. Di ringraziarlo, forse. Avrebbe voluto prendere tutte le tempere disposte sul bancone e fargliele mangiare fino a morire. Fra tutte le situazioni in cui si poteva cacciare, proprio quella? Per Dio.
«Clary Fray, un giorno ti ucciderò con le mie stesse mani. È una promessa»







Angolo di una persona uscita totalmente di senno:
buon pomeriggio, pargoli. Questa è la prima storia che scrivo in questo fandom, è un AU senza pretese (così com'è riportato in quella schifezza che è la trama) che tratta di un Alec Lightwood circondato da colori e ragazzine dai capelli rossi pronte a tutto pur di farlo uscire di testa.
Questo primo capitolo è solo un assaggio di quello che succederà, diciamo. Ho sempre pensato che il rapporto fra Clary ed Alec fosse interessante (non nel senso amoroso per carità divina, odio la gente che scrive storie su un presunto Alec etero perché insomma non si fa, se poi con Clary ancora peggio). Ho pensato fosse divertente vedere come in una situazione simile si sarebbero comportati, tutto qui.
Vorrei sapere qualche vostro parere, se continuarla o meno, se può sembrare interessante, se ci sono cose da migliorare o se il metodo di scrittura è troppo noioso e ci sono parti da tagliare. Anche le critiche costruttive sono più che accettate!
Essendo il primo non ci rivela tantissimo, se non che Alec vorrebbe ammazzare Clary 24/7 e che adesso si trova in una situazione abbastanza scomoda. Nei prossimi parleremo di Isabelle e Jace, del suo rapporto con Clary, di Simon e di un piccolo Charmain che deciderà di mostrare al nostro protagonista chi comanda.
Spero davvero di poter leggere qualche commento e che questa storia possia piacervi almeno un minimo!
Un bacione,
Charlie;
   
 
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