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Autore: Tickle Tomo    06/11/2016    2 recensioni
[In completa riscrittura, a breve tutti i capitoli saranno sostituiti]
Tra di loro si era instaurato uno status quo dalle caratteristiche ambigue, una perfetta linea di confine tra amicizia e amore. Dopo cinque anni non si erano ancora rivelati le rispettive identità, ma alla fin fine Chat aveva anche finito per non sentirne più il bisogno: andava bene anche così, in fin dei conti poteva accontentarsi di essere suo amico ma non poteva di certo esimersi dal testare i limiti che la ragazza aveva posto per vedere cosa ne sarebbe venuto fuori.
E un giorno, nel caos del combattimento (forse per caso o forse per volontà divina), succede quel che in passato non era mai successo prima.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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4.

Adrien non ricordava bene cosa fosse successo, sapeva solo che un attimo prima stava soffrendo le pene dell’inferno e quello dopo tutto era svanito in un accecante turbine rosso, un’esplosione, e si era sentito tirar via tutta l’aria fuori dai polmoni.

Aveva riaperto gli occhi pensando di essere ancora sull’asfalto, appena caduto dal suo bastone, non aveva percepito lo scorrere del tempo. Ritrovarsi invece in un ambiente a lui solo vagamente familiare gli aveva consentito di ricostruire più dettagliatamente gli eventi.

Era svenuto?

Sembrava di sì.

Per quanto tempo?

Provò a guardarsi intorno, ma un dolore alla base del collo gli rendeva difficile voltare il viso e il resto dei suoi arti sembravano pesanti come piombo.

Chiuse gli occhi, serrandoli con forza.

Qualcuno doveva averlo trovato e portato in quel luogo chiuso tremendamente familiare, non sentiva l’odore tipico di disinfettante degli ospedali nell’aria, quindi escluse di trovarsi in quel luogo. Pregò di essere stato rinvenuto dopo lo scioglimento della sua trasformazione e non prima, se qualcuno avesse scoperto la sua identità non aveva idea di ciò che sarebbe potuto succedere. Notò poco dopo di essere disteso sullo stomaco, e non sulla schiena e si corrucciò un po’: di solito nei film quando il protagonista veniva rinvenuto svenuto veniva disteso di schiena su un comodo materasso di piume. Dalla consistenza su cui poggiava la sua guancia gli sembrava di essere invece disteso su una coperta molto ruvida o un asciugamano.

Macchinoso, il suo cervello cominciò a generare un’ipotesi delirante dopo l’altra: qualcuno lo aveva riconosciuto e lo aveva rapito? Avevano scoperto la sua identità e l’avevano rinchiuso? E se fosse stato Papillon?

Una paura irrazionale cominciò ad avvolgergli il petto, sentì distintamente un tremolio cominciare a diffondersi in tutti i suoi arti e in quel momento si accorse di non avere più la familiare presenza dell’anello suo anulare destro. Terrorizzato esalò tutta l’aria che aveva nei polmoni, lottando poi per riacciuffarla quando li sentì avvampare e bruciare dolorosamente. Doveva mantenere la calma, abbandonarsi al panico non era la soluzione giusta. Continuò a respirare lentamente, cercando di calmare il ritmo frenetico del suo cuore. Passarono pochi secondi, quasi un minuto, e decise di riprovare a muovere i suoi arti, uno alla volta, riuscì nell’impresa, anche se con molto dolore e arrivò alla conclusione che, decisamente, qualcosa non quadrava. Si sentiva diverso, come se avesse acquisito improvvisamente una conformazione del corpo differente: mentre si muoveva era riuscito a posizionarsi in una posizione raggomitolata che mai avrebbe potuto assumere normalmente. Aveva sicuramente qualche arto dislocato, non c’era altra spiegazione, probabilmente era successo a seguito della caduta ma non sentiva il dolore tremendo che avrebbe dovuto conseguirne… gli avevano dato degli antidolorifici, non c’era altra spiegazione.

Tremando per l’improvviso brivido di freddo che l’aveva scosso, riaprì gli occhi che aveva tenuto chiusi fino a quel momento e finalmente cominciò a vedere qualcosa.

Rosa.

Rosa pastello.

Ovunque.

Batté confuso le palpebre più e più volte, la realizzazione lo colpì con la forza di un treno in corsa: era la stanza di Marinette Dupain-Cheng, la ricordava nitidamente.

La realizzazione divenne perplessità quando notò a pochi metri da lui una foto incorniciata con la sua faccia. Non poté far altro che corrugare le sopracciglia, il suo cervello non riusciva a formulare alcuna spiegazione coerente alla nuova scoperta, era ancora impostato sulla generazione di ipotesi tragico-disfattistiche che contemplavano in tutto e per tutto la sua morte definitiva senza possibilità di salvataggio.

Pochi secondi dopo l’angoscia e il terrore che gli attanagliavano lo stomaco cominciarono a dissolversi, lasciando posto al sollievo, alla tranquillità e a una pesante sonnolenza. Era sveglio da meno di dieci minuti e lo stress lo aveva già quasi completamente annientato. Valutò che non sarebbe stato tanto male farsi un altro sonnellino, magari quando si sarebbe svegliato Marinette sarebbe stata lì accanto a lui pronta a spiegargli la situazione con calma e nei minimi dettagli.

Sì, pensò stremato, un pisolino poteva concederselo.

Nemmeno il tempo di abbassare le palpebre che qualcosa attirò la sua attenzione: il rumore di una porta che si apriva. Pochi secondi dopo vide comparire davanti ai suoi occhi una figura… “Marinette” chiamò mentalmente registrando solo successivamente il fatto di non aver aperto bocca.

Ci riprovò, ma le sue labbra sembravano sigillate, incollate l’una all’altra. Tutto quel che riuscì a produrre fu un suono frustrato mentre cercava di riposizionarsi al meglio lì dove si trovava, riuscì ad alzare il mento dall’asciugamano concentrando sul collo tutta la forza che aveva.

Marinette.

Marinette era davanti a lui e aveva addosso un accappatoio. Aveva appena finito di assimilare le conseguenze logiche del fatto che la ragazza se lo tolse con noncuranza, facendolo scivolare sullo schienale di una sedia.

Marinette.

Marinette era completamente nuda davanti a lui.

Si sentì arrossire profondamente, una parte della sua coscienza gli urlava di chiudere gli occhi e di rimettersi a dormire per far finta di non aver visto nulla, il resto invece era troppo stranito e confuso per pensare alcunché.

E quindi rimase immobile a fissarla.

“Non è colpa mia” pensò “una persona normale non girerebbe mai nuda per casa con un ospite presente”. Non avevano la complicità adatta e sufficiente per fare una cosa del genere.

Aguzzando gli occhi osservò la fisionomia della ragazza che incurante della sua presenza si strofinava di spalle i capelli con un altro asciugamano. Aveva una pelle chiarissima, appena scurita da una spruzzata di lentiggini in corrispondenza delle spalle e delle natiche. Si sbagliava o quelli erano muscoli? Era la prima volta che vedeva delle gambe così toniche in una ragazza, gli ricordavano quelli delle giocatrici di pallavolo che si allenavano nella palestra accanto alla sua quando sua madre lo aveva iscritto alle lezioni di scherma. Allora era solo un bambino e le ragazze che osservava erano prossime ai venti anni di età, ma era rimasto molto affascinato dai loro corpi, dai loro movimenti e dai salti che riuscivano a compiere.

Si ritrovò a pensare che quei muscoli tonici gli piacevano, anzi, li adorava. L’imbarazzo ormai era diventato qualcosa di completamente sconosciuto per lui, si limitava ad apprezzare le forme della ragazza cercando semplicemente di tenere a bada il gorgoglio nel fondo dello stomaco che sembrava stesse per far scoppiare un incendio. Perché le chiamavano “farfalle nello stomaco”? Non era una definizione adatta, assolutamente. Troppo riduttiva, superficiale, vaga.

Deglutendo rumorosamente fece sfilare nuovamente gli occhi sulla schiena della ragazza, ancora imperlata di piccole gocce d’acqua qua e là.

Solo in quel momento registrò la presenza di larghe ombre scure, violacee, disseminate lungo la schiena e le braccia della ragazza. Tra le scapole, in particolare, i lividi si dipanavano tondeggianti intorno a quattro segni rosso carminio, sembravano quasi punture d’insetto. Seguì il livido sulla schiena dipanarsi lungo il suo fianco, e quando la ragazza si voltò apprese che continuava lungo la sua gamba sinistra, arrestandosi poco prima del ginocchio. Inutile a dirlo, ma anche le sue braccia e i suoi avambracci erano disseminati di ombre scure, con un importante addensamento nella zona dei polsi dove sembrava indossare quasi dei bracciali. Poi Marinette si era voltata del tutto e aveva incatenato insieme i loro occhi.

Si era aspettato una reazione di vergogna, un urlo, una corsa disperata per mettersi qualcosa addosso, oppure tutto l’opposto, un’espressione beffarda e seducente, nulla l’aveva preparato al sorriso angosciato che la ragazza gli aveva rivolto.

«Ti sei svegliato piccolino?» aveva mormorato avvicinandoglisi lentamente, Adrien aveva cercato di distogliere lo sguardo dal suo corpo ma si era rivelata un’impresa quasi impossibile: la ragazza si muoveva a passo quasi di danza e ad ogni movimento i suoi seni chiari tremolavano e si muovevano vivaci, erano movimenti ipnotici. Deglutì nuovamente mentre gli occhi cadevano sul suo stomaco perfetto, presentava appena un accenno di addominali e poco più giù cominciava una rada peluria scura che andava a perdersi tra le sue gambe. I suoi occhi ripercorsero più e più volte la sua figura, poi Adrien capì che non poteva farcela.

Sconfitto poggiò la testa sulla coperta, cercando di fermare il rimescolio che gli stava incendiando il viso e il basso ventre.

Quando riaprì gli occhi Marinette era di fronte a lui, e c’era decisamente qualcosa di strano: era gigantesca. Gli bastarono pochi secondi per notare il fatto che in proporzione alla ragazza anche il resto della stanza sembrava essere gigantesca, o era lui che era diventato piccolissimo?

In un battito di ciglia si sentì sollevare, Marinette l’aveva letteralmente preso sotto le ascelle e alzato da terra con una facilità disarmante. Poco dopo si ritrovò raggomitolato tra le braccia nude della ragazza, il viso premuto contro i suoi seni morbidi.

«Povero micio, ti sarai spaventato tantissimo…» sussurrò facendogli un grattino dietro l’orecchio «ti fa male la ferita?» gli passò una mano sulla spalla e conseguentemente sulla gamba stringendogli teneramente tra le dita una zampa.

Adrien sgranò gli occhi, colpito dalla potente forza della realizzazione: aveva le zampe di un gatto.

Un lamento acuto si levò dalla stanza di Marinette Dupain-Cheng, infiltrandosi fin nella cucina della pasticceria due piani più sotto, dove due genitori indaffarati alzarono gli occhi al cielo pentendosi immediatamente della decisione presa poche ore prima.




NOTE:

Ed eccoci al nuovo capitolo! Finalmente il quadro generale è completo, da qui comincerà la storia vera e propria. Non durerà molto, come avevo già accennato, credo arriverò massimo a 10-12 capitoli.

Come sempre se trovate errori siete liberi di segnalarmeli, così come eventuali critiche e consigli.

Buona lettura!

   
 
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