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Autore: charly    06/11/2016    1 recensioni
In questo libro conclusivo assisteremo ai primi anni di matrimonio di Deja e Zaron, in cui lei si renderà conto di provare qualcosa per suo marito, qualcosa di profondo, che la spingerà a cercare con insistenza la compagnia di suo marito e la passione che scopre tra le sue braccia. Saranno anni turbolenti: le avances non richieste di un terzo incomodo, la gelosia e due attentati. Riuscirà Deja a conquistare il cuore di Zaron?
Estratto:
Deja aveva atteso con trepidazione l’arrivo del suo quindicesimo compleanno. […] Presto sarebbe stata un’adulta e di sicuro suo marito l’avrebbe vista con occhi diversi. Di sicuro.
-
Avrebbe voluto che le cose tornassero a com’erano prima, a quando lei aveva avuto dodici anni e il loro rapporto era stato semplice, […], quando l’aveva considerata una bambina graziosa e la sua vicinanza tra le lenzuola non l’aveva mai turbato.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il cuore di un drago'
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NOTE INIZIALI. Bentornati per l’ultimo libro di questa mia storia: “Il cuore di un drago”. Questo, visto che Deja cresce e alla fine avrà 18 anni, mi è venuto un peletto più esplicito e lo sto censurando senza pietà, comunque c'è una versione con rating rosso, cercatela se vi interessa!
Buona lettura!

AGGIORNAMENTO FEBBRAIO 2017: ho sistemando errori e impaginatura. I cambaimenti sono minimi

I. BONACCIA E MAREGGIATA
 
 
Deja aveva dormito poco sull’aeronave, girandosi e rigirandosi tra le lenzuola, tale era stata l’eccitazione e il desiderio di rimettere piede sulla terra natia e rivedere l’amato padre. Suo padre che non vedeva da quasi cinque mesi e che le era mancato terribilmente. Ne aveva sentito la mancanza come un vuoto nel cuore che si acuiva ogni qualvolta aveva avuto l’impulso di riferirgli qualcosa, o per cercare tra le sue braccia conforto, le era mancato il suo calore, il suo profumo, il suo bacio della buonanotte, il suono della sua voce e il tempo che aveva trascorso sull’aeronave da sola, senza la presenza di Zaron o di Perla a distrarla, era stato un’agonia passata nel ricordo di lui. Si era vestita di azzurro per l’arrivo indossando, oltre alla collana con zaffiro, anche i braccialetti che erano stati di sua madre e che aveva recuperato dal tesoro di Zaron, a cui erano stati aggiunti come dono di nozze. Larissa, eccitata quasi quanto lei, le aveva raccolto i capelli e li aveva legati in tante piccole trecce a sostegno della corona. Quando Zaron venne a prenderla, nel primo pomeriggio del secondo giorno di viaggio, per scortarla a terra, sorrideva così tanto che le dolevano i muscoli delle guance.
- Mia signora, sei davvero radiosa.
Aveva commentato lui, poggiandosi la mano della ragazzina sull’incavo del braccio.
- Sono molto felice, mio signore, grazie di avermi riportata a casa per il mio compleanno, è il regalo più bello che potessi mai farmi.
Deja rivolse il viso verso di lui, stringendogli il braccio e Zaron fu incantato da come i suoi occhi brillavano animati da un’incontenibile gioia.
- Sono molto lieto di averti resa felice, mia piccola regina.
Sussurrò lui, indirizzandole un caloroso sorriso.
Il luogo dove avevano attraccato non era un campo, ma uno spiazzo che era stato approntato espressamente per permettere l’atterraggio delle aeronavi e si trovava in vista delle mura basse di Issa. Ad accoglierli c’erano numerosi rappresentanti della nobiltà issiana e tutti gli uomini rakiani che Zaron si era lasciato alle spalle per controllare che Issa si assestasse nel suo nuovo ruolo di regno annesso all’impero. Davanti a tutti c’era il padre di Deja. Vedendola scendere per la passerella un sorriso commosso incrinò la sua espressione serena, che assumeva in ogni occasione pubblica, si inchinò a Zaron e poi, più profondamente, verso sua figlia.
- Sire, mia regina. Permettetemi di darvi il bentornato a Issa. Siamo onorati della vostra presenza e oltremodo felici che abbiate scelto di festeggiare in patria il compleanno della nostra beneamata sovrana.
Deja lasciò il braccio del marito e allungò entrambe le mani verso il padre, che le prese, stringendole con affetto.
- Grazie padre, è bello essere tornati a Issa, anche se la visita è breve.
Si rivolse ai nobili e alla popolazione che se ne stava assiepata ai margini del campo, dietro un cordone di guardie issiane e rakiane.
- Grazie a tutti voi per essere venuti qui ad accoglierci.
I nobili si inchinarono con deferenza, a lei e a Zaron, i rakiani portandosi le mani al petto, mentre la popolazione issiana esplodeva in un boato di gioia.
Aborn aiutò la regina a salire sulla carrozza aperta che li attendeva e su cui era salito pure lui, dopo aver ceduto il passo a Zaron che lo aveva fissato con espressione distesa ma non amichevole prima di sedere al fianco della moglie lasciando all’altro solo il posto difronte.
Aborn non riusciva a staccare gli occhi da sua figlia né a smettere di sorriderle. Nonostante le assicurazioni dell’imperatore, era stato certo che sarebbe passato moltissimo tempo prima di rivederla. Le lettere che si erano scambiati, e che erano state caute e superficiali pur piene d’amore, non erano state sufficienti per la sua anima ferita dal distacco dalla sua bambina. Ora lei era lì. Forse era la sua impressione, ma lei sembrava cresciuta, il viso più fanciullesco che infantile; aveva scrutato con discrezione ogni parte di lei che l’abito lasciava scoperto, in cerca di lividi o altri segni di abuso. Lei gli aveva scritto che si trovava bene a Halanda e che era in salute, ma Aborn si era tormentato per tutti quei mesi, come se fosse stato steso su braci ardenti, incapace di trovare pace al pensiero di quello che poteva esserle capitato. I primi messaggi ricevuti da lord Ostin e lady Asill, a cui aveva chiesto di riferirgli ogni cosa riguardante la regina, erano stati allarmanti, soprattutto quelli del soldato. L’idea che il khan rakiano avesse relegato Deja nel suo harem e il racconto angosciante del suo primo giorno a Palazzo Reale lo avevano impietrito, per contro il resoconto della nobile guaritrice, giunto alcuni giorni più tardi, era stato più cauto e ottimista e aveva riferito che la regina non aveva mai richiesto la sua assistenza e che pareva serena e in salute.
Ora, sulla carrozza che li conduceva a palazzo, Deja appariva radiosa, gli sorrideva e salutava la folla festante scesa in strada ad accoglierla. Aborn era felice, l’unica ombra la figura impassibile del sovrano straniero seduto accanto a sua figlia, che la teneva per mano. Lui non volle lasciarla andare neanche quando scesero davanti alla scalinata, Aborn aveva teso la mano verso la figlia ma l’imperatore aveva insistito per essere lui ad aiutarla a scendere e per scortarla all’interno. Mentre camminavano per i corridoi si rivolse prima a Zaron e poi a sua figlia.
- Ho fatto preparare gli appartamenti reali per voi, sire.
Zaron annuì, altero.
- Per te, mia cara, ho fatto preparare la tua vecchia stanza.
Il sovrano rakiano si fermò di botto, con espressione tempestosa. Deja guardò prima lui poi il padre, allarmata.
- Mia moglie risiederà con me per tutta la durata della visita. Mi spiace che la tua servitù abbia preparato una stanza in più per niente.
La voce di Zaron era minacciosa e non lasciava possibilità di replica.
- Fa come dice, padre. Onestamente, perché hai fatto preparare la mia vecchia camera da letto? Sono sposata adesso, è giusto che stia con mio marito.
Deja aveva cercato di assumere un tono allegro, come se fosse stato tutto un malinteso divertente, ma la tensione che poteva percepire tra suo padre e suo marito era preoccupante e la riempiva di inquietudine.
- E dimmi, padre, hai modificato gli appartamenti reali o sono ancora com’erano quando li occupavi tu?
La regina si era buttata sull’argomento in preda alla disperazione, desiderosa di riempire il silenzio opprimente che si era creato. Non aveva neanche immaginato che suo padre potesse aver lasciato gli appartamenti che aveva sempre occupato da quando era divenuto re, ma la cosa aveva senso: lui non era più il re e ora che lei era regina quelle stanze erano sue di diritto. A dire la verità non aveva neanche considerato che Zaron avrebbe voluto dormire con lei per la durata del loro soggiorno a Issa ed era stata anche lei, come suo padre, sicura che avrebbe nuovamente occupato gli appartamenti che erano stati suoi prima del matrimonio.
- Nulla è cambiato, mia signora. Sono solo più spogli: le mie cose e i miei libri non ci sono più.
Zaron aveva ripreso a camminare.
- Immagino, suocero, che avrai già organizzato i festeggiamenti per il compleanno di mia moglie.
L’altro aveva annuito, cercando di riprendersi.
- Sì. Cominceranno nel primo pomeriggio, con gli auguri e la consegna dei doni, ci sarà un banchetto nel parco e una festa danzante che proseguirà fino alla mezzanotte quando…
- Bene, bene.
Lo interruppe distrattamente Zaron.
- Desidero vedere i ministri rakiani il prima possibile.
Aborn fece un respiro profondo per calmarsi.
- Ci stiamo proprio dirigendo alla sala delle riunioni, dove ci raggiungeranno anche i suoi… amministratori.
- Se è così, io gradirei ritirarmi.
Si intromise Deja.
- Se per il mio signore va bene, vorrei visitare il palazzo e i suoi giardini e conversare con mio padre.
Zaron si fermò nuovamente e annuì con riluttanza. Si portò alle labbra la mano di Deja e le baciò le nocche.
- Finché non saremo nuovamente insieme, mia signora. Sentirò la mancanza della tua presenza al mio fianco.
Poi proseguì verso l’incontro con i suoi uomini, lasciando padre e figlia da soli.
- Vieni, figlia mia. Hai fame? Sete? Ho fatto preparare un piccolo rinfresco per due nella mia anticamera.
Deja annuì e si strinse al suo braccio e insieme si diressero verso i nuovi appartamenti di Aborn in silenzio, consci delle guardie rakiane che non avevano proseguito con il loro khan ma si erano accodate alla scorta issiana che accompagnava la regina e il Lord Protettore.
Aborn aveva davvero fatto preparare un rinfresco nel salottino, con tartine, dolci e succhi di frutta. Deja si fece servire del thè dopo essersi seduta e lo sorseggiò mentre suo padre licenziava la servitù, dicendo che di lì in poi avrebbero fatto da soli.
Poi si sedette dirimpetto a lei, con espressione ansiosa.
- Deja, piccola mia. Dimmi la verità: stai bene?
Lei gli sorrise e annuì, poi poggiò la tazza con mano tremante.
- Papà, mi sei mancato tanto.
Disse prima di alzarsi e buttarsi in braccio a lui. Gli strinse spasmodicamente il collo con entrambe le braccia e teneva premuto il viso contro la sua spalla, singhiozzando. Anche Aborn si mise a piangere tenendola al sicuro tra le sue braccia e depositando baci leggeri sui suoi capelli intrecciati.
- Bambina mia, bambina mia…
A Deja ci volle un po’ per calmarsi.
- Ti ho bagnato la camicia.
Osservò con occhi arrossati e voce rauca.
- Non è niente, adesso vedrai che si asciuga.
Deja rise per l’assurdità della situazione e si alzò in piedi. Aborn cercò debolmente di trattenerla ma lei volle tornare a sedere al suo posto. Bevve un altro sorso di thè, ormai a malapena tiepido, per cercare di ridarsi un contegno. Aborn era angosciato e la sua ansia era chiaramente riflessa sul suo viso.
- Deja, ho bisogno di saperlo, ti prego, sii sincera. Lui, lui… ti ha…
Sua figlia divenne scarlatta in viso.
- Padre!
Esclamò, imbarazzata.
- Zaron ha mantenuto la promessa, padre. Non devi essere preoccupato.
Aborn si accasciò di sollievo, poi ribatté.
- Però vuole dividere gli appartamenti reali con te per i prossimi dieci giorni, Deja! C’è un letto solo…!
La ragazzina sbuffò, roteò gli occhi e fece un gesto disdegnoso con la mano. Suo padre rimase interdetto da tale comportamento.
- Nulla di strano, padre. Siamo sposati, dopotutto. Se ti può essere di conforto non è la prima volta che dividiamo un letto: dormo regolarmente negli appartamenti di Zaron e lui non mi ha mai toccata.
Poi aggiunse con una smorfia.
- Credimi, non è interessato a me.
- Ma ho saputo di quello che è successo la mattina dopo il matrimonio. Mi hanno riferito che lui ti aveva lasciato dei lividi.
Deja si portò una mano alla gola, arrossendo nuovamente e abbassando lo sguardo, piena di imbarazzo ma un attimo dopo sollevò nuovamente gli occhi, pieni di stizza.
- È stato tutto un malinteso. È stato lord Ostin a riferirtelo, o lady Pastis? Sono due impiccioni! Zaron non mi ha fatto nulla, servivano prove che avesse… fatto… qualcosa. Quindi le abbiamo fabbricate. Avresti dovuto vedere come gli ho graffiato io la schiena!
Suo padre era impallidito mentre lei arrossiva: quel gesto, quel rossore… gli lasciarono chiaramente intuire la natura del livido di cui Ostin e lady Asill gli avevano parlato nelle loro lettere. Emise un verso strozzato mentre immaginava quello che doveva essere successo e l’atto a cui il marchio, lasciato presumibilmente dalla bocca di Zaron, e i graffi, di cui Deja aveva parlato, avrebbero dovuto implicare.
- Voglio cambiare argomento padre, sono stanca di dover difendere mio marito contro tutti, almeno tu dovresti sapere che non mi ha toccata. Ho imparato a conoscerlo in questi mesi: è un uomo d’onore e noi abbiamo sbagliato a dubitare di lui e della sua parola.
Deja trasse un profondo respiro.
- Parlami ora dell’accordo commerciale con Valturq, negli ultimi rapporti che ho ricevuto avevi detto che il governatore della regione faceva resistenza. Avete risolto la questione?
 
Verso sera Zaron entrò per la prima volta negli appartamenti reali, che prima della sua conquista di Issa erano stati di re Aborn. Erano aerati, ben illuminati e ammobiliati secondo il gusto issiano che preferiva le linee semplici ma raffinate. Nell’anticamera, seduta a un tavolo con la schiena rivolta a una finestra aperta da cui entrava una brezza che sapeva di mare, sedeva Deja. Davanti a lei, sulla sua destra, vi era un’alta pila di documenti, alla sua sinistra una pila più bassa. La regina con uno stilo faceva piccoli appunti a margine del documento che stava studiando.
Zaron si avvicinò lentamente e lesse alcune parole al contrario. Era il rapporto di una seduta del consiglio che si era tenuta settimane prima.
- Sto cercando di mettermi in pari.
Disse Deja sollevando lo sguardo e stropicciandosi gli occhi prima di poggiare il capo contro lo schienale della sedia. Zaron fece il giro del tavolo e le carezzò con leggerezza la fronte.
- Sembri stanca, mia piccola regina.
Le sussurrò. Era innervosito quando era entrato negli appartamenti, ancora infastidito per il comportamento del padre di lei, ma vederla china sui documenti, intenta a svolgere diligentemente l’attività amministrativa che era la parte più noiosa del comando, lo aveva intenerito e le parole che aveva inteso pronunciare e che di sicuro l’avrebbero fatta irritare gli erano morte in gola.
- Mi sono presa la libertà di ordinare una cena per tre da consumare qui in camera, se Perla ci vuole raggiungere…?
Zaron scosse il capo.
- Perla cenerà da sola. Dopo passerò a visitarla, per vedere come si è sistemata, prima di ritirarmi.
Deja annuì.
- D’accordo, avviserò la servitù.
Si alzò e uscì per un attimo, rientrando subito dopo.
- Ho detto di far portare subito la cena. Sono davvero stanca, ma prima di andare a letto volevo finire il rapporto e farmi un bagno. Seguimi, ti mostro le stanze.
Deja mostrò a Zaron la sala da pranzo privata, con la tavola apparecchiata da cui una cameriera stava togliendo un coperto, uno studio completamente spoglio che fece realizzare a Zaron che lei si era messa nell’anticamera apposta per intercettarlo al suo ingresso, e poi lei gli indicò la sala da bagno, piccola come quella degli appartamenti che gli erano stati assegnati durante la sua prima permanenza a Issa, e vedendo la sua faccia Deja gli sorrise stancamente.
- Lo so, è piccola! Mi hai viziato con la vasca interrata che ho a Halanda, in compenso qui c’è l’acqua calda!
- Come arriva?
Chiese incuriosito Zaron. Deja entrò nella sala da bagno e si mise vicino a un profondo lavabo di marmo, indicando i due beccucci con manopole che Zaron sapeva servivano per far uscire acqua calda e acqua fredda.
- Ci sono delle tubature installate nel muro. Mi ricordo quando le hanno messe, avevo circa sette anni, gli operai sono andati avanti mesi a rompere i muri e a ricostruirli. I tubi dell’acqua fredda c’erano già ma hanno dovuto istallare una nuova condotta appositamente per quella calda. Parte dalle cucine, dove l’acqua viene riscaldata dai forni che sono sempre accesi e poi è spinta in alto, in tutto il palazzo, grazie alla pressione. L’unico intoppo è che i tubi devono essere piccoli per far arrivare l’acqua all’ultimo piano e le stanze che sono più lontane dalle cucine ricevono acqua meno calda di quelle che vi sono vicine.
- Affascinante. Prima di andar via voglio fare un giro per vedere come funziona.
Mormorò Zaron e Deja gli rivolse un’occhiata incuriosita. Poi uscì dal bagno e lo condusse nella camera da letto.
- Questa è la camera, ovviamente. Da quella porta si entra nello spogliatoio del re, e da questa in quello della regina.
Deja indicò le due porte ai lati del letto, più piccolo di quello che Zaron aveva a Halanda.
- Sai,
Proseguì Deja con voce nostalgica.
- Quando ero bambina venivo a giocare qui, entravo nello spogliatoio che era stato di mia madre, toccavo i suoi abiti, che mio padre non aveva voluto togliere, e mi mettevo i suoi gioielli preferiti, che lei aveva tenuto sul suo mobile per il trucco.
Si toccò i braccialetti.
- All’epoca non pensavo che un giorno avrei occupato queste stanze e che i miei abiti sarebbero stati appesi dove un tempo erano i suoi.
Prima che Zaron potesse dire niente Deja si riscosse e gli sorrise.
- Mi sembra di aver sentito entrare la servitù con la cena.
Deja non aveva esagerato dicendo di essere stanca. Al suo ritorno dalla camera di Perla, Zaron la trovò già a letto, addormentata. Si mosse silenziosamente, per non svegliarla. Si tolse gli abiti nello spogliatoio, indossando i pantaloni larghi e la camicia che portava sempre quando divideva il letto con lei e mise alcuni coltelli in giro per la stanza e uno sotto il suo cuscino prima di spegnere il lume che lei gli aveva lasciato acceso. La luce della luna, grande e argentea pur non essendo ancora piena, che si rifletteva nella baia entrava dalle finestre lasciate aperte, filtrata dalle leggere tende bianche che si muovevano per la brezza. Si stese a letto lentamente, per non scuotere il materasso; tuttavia, mentre poggiava il capo sul cuscino, lei emise un gemito e rotolò a pancia in giù, tirandogli un calcio allo stinco. Zaron sobbalzò: Deja si agitava parecchio nel sonno, rivoltandosi numerose volte nel corso della notte e solo la larghezza del letto impediva che loro si toccassero e che Zaron fosse preso a calci e schiaffi. Tallia era l’unica delle sue concubine ad agitarsi allo stesso modo. Mira e Cara amavano essere strette tra le sue braccia e dormire raggomitolate sul suo petto, Perla e Tallia odiavano essere toccate nel sonno, Oscia invece stava incollata al suo fianco ma non voleva essere abbracciata. Deja di sicuro non avrebbe gradito svegliarsi premuta contro di lui, anche se Zaron era fortemente tentato di immobilizzarle gambe e braccia per salvarsi da lei. Rassegnato, le diede la schiena e si mise il più possibile sul bordo del letto.
 
La mattina seguente Deja la spese con suo padre e i consiglieri, a occuparsi delle questioni di governo più urgenti che erano state messe in sospeso in previsione del suo ritorno. Fece un pranzo leggero, portandosi avanti con la lettura dei rapporti e poi prese la carrozza per recarsi a casa di Anka. La famiglia della sua amica fu estremamente deferente e solo quando Anka la portò in camera sua e Deja intimò alle sue guardie del corpo, due issiane e due rakiane, di rimanere fuori dalle porte della camera da letto privata della sua amica, che le due ragazzine si rilassarono e si abbracciarono con trasporto, non più regina e suddita, ma due semplici amiche che si incontrano nuovamente dopo mesi di lontananza. Si sedettero sul letto di Anka e cominciarono a parlare, tenendosi per mano.
Anka era visibilmente turbata.
- Lo so che ormai sarai stanca di sentirtelo chiedere, Deja. Ma come stai?
La regina le strinse la mano e le sorrise.
- Bene, benissimo adesso che sono a casa. Non sai quanto tutto mi sia mancato! Papà, tu, la città… Lo sai che il cielo è diverso a Halanda? Sembra più lontano...
Anka fece una smorfia.
- Io intendevo con tuo marito. Mamma si è sentita male quando lo ha saputo. Anche io, ho pianto tanto! È terribile quello che ti è successo. Fa tanto… male?
Deja abbassò lo sguardo sul copriletto rosa e seguì con un dito i ricami di fiori viola che lo decoravano.
- Il mio matrimonio non è stato… orribile.
Anka era la sua migliore amica, quando era stata piccola suo padre l’aveva circondata di altre bambine della sua età, per farla giocare con delle coetanee ma quando era cresciuta solo Anka era rimasta; con le altre Deja non era mai riuscita a legare altrettanto strettamente e i loro interessi erano divenuti via via troppo diversi, solo con Anka si era trovata a suo agio a fare discorsi “da grandi”; mentre le altre volevano solo giocare con le bambole, con Anka poteva parlare di politica e letteratura. Non sempre l’amica riusciva a seguirla, ma almeno stava ad ascoltare e crescendo aveva cominciato a partecipare apportando le sue idee. Le sarebbe stato impossibile dire quando e perché Anka fosse diventata la sua migliore amica, da che aveva memoria lei era sempre stata lì, come una sorella, tanto che quando erano piccole giocavano a fingere di esserlo per davvero, dato che avevano entrambe gli occhi azzurri e i capelli lisci e castani, e quindi volle metterla a parte del segreto che riguardava il suo matrimonio.
Si chinò leggermente su di lei, che era di qualche centimetro più bassa, e le sussurrò all’orecchio.
- Non è un matrimonio vero, Anka. Lui non mi ha sfiorata, ma non deve saperlo nessuno, capito? Nessuno, devi giurarlo.
Lei aveva spalancato la bocca e gli occhi per la sorpresa e poi l’aveva abbracciata, stringendola forte.
- Lo giuro! Oh, Deja, sono così contenta…!
Dopo, sempre sussurrando, le chiese arrossendo.
- Ma allora perché ti ha sposata se non voleva, beh, quello? Ho sentito papà dire alla mamma, quando pensavano che non sentissi, che doveva essere un pervertito perché gli piacevano le bambine. I miei genitori erano contenti di essere riusciti a fuggire dalla città, prima che cadesse. Erano preoccupati per me, per quello che avrebbe potuto succedermi, avevano paura che potesse capitare a me quello che era capitato a te. Hanno detto che i rakiani sono dei barbari. Erano molto arrabbiati e molto spaventati, Deja.
Deja si sentì sconfortata al pensiero che la reazione dei genitori di Anka dovesse essere quella della maggioranza della popolazione.
- Si sono sbagliati, Zaron è molto diverso da come appare. Almeno lo è con me.
Deja parlava a bassa voce. Era la prima volta che si confidava con qualcuno: non aveva voluto parlare del suo rapporto con Zaron neanche con il padre, che le era apparso subito ostile nei confronti di suo marito, come d’altra parte Zaron era parso inspiegabilmente ostile con lui.
- Zaron è divertente, cortese. Molto sollecito, pensa che ha preso nota dei miei cibi preferiti e quando mangiamo da soli li fa preparare apposta per me. Vuole che passiamo del tempo insieme e, soprattutto, ha fatto numerose concessioni alla mia cultura a discapito della sua. A Rakon le donne non hanno molta libertà, Anka. Una ragazza non sposata non esce quasi mai di casa, a meno che non sia accompagnata da un parente. Anche le donne sposate non escono quasi mai senza i mariti, solo per andare a trovare un familiare e di certo non viaggiano: nessuna è venuta con noi a Issa. Alle feste che Zaron ha dato a Palazzo Reale uomini e donne siedono a due tavoli separati, ma Zaron ha fatto preparare un tavolo appasta per noi, così che possiamo sedere vicini. I suoi ministri sono tutti uomini ma Zaron mi fa partecipare alle sedute del suo governo, anche se non posso prendere la parola e avresti dovuto vedere le facce dei suoi ministri le prime volte che ho seduto con loro. Lo sai che a Rakon per uomini e donne è sconveniente toccarsi in pubblico? Ma Zaron mi offre sempre il braccio e mi tiene la mano. Non è un barbaro, è molto intelligente e curioso, tra i doni di nozze quello che ha preferito di più è stato il fonografo.
Anka la guardò con un’espressione incuriosita.
- Sei sicura che non ti stia corteggiando? Perché da come lo descrivi, a me sembra che si comporti come un innamorato che corteggia la fidanzata. E tu sembri, non so… Non è che a te lui piaccia?
Deja era violentemente arrossita.
- No, ti sbagli, su entrambe le cose. Lui non mi sta corteggiando. È che... lui ha detto che deve far vedere a tutti che mi preferisce a qualunque altra. Ma la verità è che ha già una preferita. Io non gli interesso. Dovresti vedere le sue concubine: sono tutte donne bellissime e sono tutte grandi, la più giovane avrà di sicuro almeno dieci anni più di me. Sono… molto diverse da me. E poi c’è lei. Io credo che lui l’ami.
Deja si era fatta incredibilmente triste.
- Chi è lei?
- La sua concubina preferita. Sono coetanei e si conoscono da prima che io nascessi. Lui non si separa mai da lei ed è l’unica che abbia voluto con sé durante questa visita.
Anka le poggiò entrambe le mani sulle spalle.
- Deja, sei sicura che lui non ti piaccia, almeno un pochino? Sarebbe normale, sai? E poi non ti ho mai sentita parlare così mai di nessun ragazzo, neanche Ostin.
Deja fece una smorfia infelice.
- No! Non sono innamorata di lui, Anka, che discorsi fai? Ostin poi, cosa c’entra?
- Mi pare solo buffo il fatto che ti dia fastidio che lui abbia una favorita e che quella favorita non sia tu!
Deja sospirò.
- Ha trentasei anni, Anka. Trentasei! Cosa vuoi che gli importi di una ragazzina di tredici? È ovvio che preferisca una donna matura, della sua età. Non è un pervertito a cui piacciono le bambine, come invece pensa tuo padre!
Deja si lasciò cadere sul letto, guardando il soffitto, e Anka si distese al suo fianco.
- Quindi… non ti ha sfiorata neppure. Niente?
- No!
Deja asserì con fermezza, poi si bloccò, arrossendo fino alla radice dei capelli.
 - Ah!
Esclamò vittoriosa la sua amica.
- Allora qualcosa è successo.
Deja si portò una mano al collo, carezzandosi un punto sotto l’orecchio sinistro.
- Mi ha baciato, in un certo senso. La mattina dopo il matrimonio lui ha detto che doveva sembrare che avessimo, lo sai… consumato… E così mi ha baciato il collo, lasciandomi un’ecchimosi scura che ci ha messo più di una settimana a sparire. Ma è successo una volta sola, poi a parte baciarmi la mano quando siamo in pubblico e sfiorarmi la schiena o la testa ogni tanto, non mi tocca mai.
- Sembri quasi delusa…
Deja ci rifletté un attimo. Era delusa del fatto che suo marito non dimostrasse nessun interesse fisico nei suoi confronti? Era stato piacevole quando lui le aveva usato la bocca per lasciarle quel livido, ma voleva che la cosa si ripetesse? Voleva che lui la baciasse sulla bocca, che la toccasse altrove? Un brivido d’ansia le percorse la schiena e le fece chiudere la bocca dello stomaco. No, non lo voleva, le andava benissimo che per il momento Zaron non l’avesse mai guardata o toccata come un’adulta. Ma Anka aveva anche lei ragione. Se non lo voleva, allora perché era delusa che lui non la volesse?
- No, non è che voglio che lui, che lui… No. Non so spiegarmi, Anka, sono confusa… Forse… forse è perché siamo sposati e l’idea che lui non mi amerà mai è… triste.
Le due amiche rimasero in silenzio per un po’, poi Anka spezzò l’atmosfera seria che si era venuta a creare.
- Guardaci: l’imperatrice di tutta Zabad e la sua migliore amica, che spettegolano di uomini! Adesso magari ci faremo le trecce a vicenda e discuteremo di qual è il colore più alla moda di quest’anno!
Deja scoppiò a ridere e le diede una spinta scherzosa che Anka restituì, ridendo anche lei.
 
Si soffermò a casa di Anka più del previsto ed era quasi sera quando rientrò a palazzo. Trovò una guardia rakiana ad attenderla che si inchinò con deferenza e, senza incrociare il suo sguardo, le riferì che il khan l’attendeva e che doveva scortarla da lui.
La portò in giardino, dove Zaron stava duellando con una guardia issiana. Deja attese pazientemente che terminassero.
- Desideravi parlarmi, mio signore?
Zaron si asciugò il viso e le braccia madidi di sudore, le rivolse uno sguardo cupo e annuì, senza parlare. Le prose il braccio e insieme rientrarono.
- Vieni con me, mia signora, desidero discutere con te di una questione. Accompagnami alle nostre stanze, presto sarà ora di cena ed è il caso che mi cambi.
Lui sembrava adombrato, ma forse era solo la fatica causata dallo sforzo fisico. Comunque, rifletté Deja, era strano che si stesse allenando a quell’ora: Zaron preferiva farlo al mattino.
Una volta entrati nei loro appartamenti e rimasti soli, Zaron le afferrò il polso con forza e la trascinò velocemente in camera da letto, chiudendo tutte le porte che li separavano dalle guardie appostate in corridoio. A Deja balzò il cuore in petto: l’espressione di lui era mutata dopo che la prima porta si era chiusa alle loro spalle, si era rabbuiata, le labbra strette in una smorfia inflessibile e la mano sul suo polso la stringeva crudelmente. Con un gemito spaventato gli afferrò il braccio.
- Zaron, rallenta, aspetta! Cosa succede?
Lui la spinse nella camera da letto facendole quasi perdere l’equilibrio e chiuse la porta, appoggiandovi la schiena contro e afferrando con entrambe le mani la maniglia. Respirava quasi affannosamente e quando parlò lo fece con voce tonante, furiosa.
- Dove sei stata tutto il pomeriggio?
Deja lo guardò, incredula.
- Dalla mia amica Anka! Mio padre sapeva dov’ero! Non sono sgattaiolata via in segreto!
Si massaggiò il polso, con occhi velati di lacrime. Lui le faceva improvvisamente molta paura e non c’era modo di sfuggirgli se fosse divenuto violento.
Lui ringhiò, dando uno strattone alla maniglia.
- Ti avevo detto di non uscire mai senza di me! Ti avevo detto che se volevi vedere qualcuno dovevi farlo venire da te chiamandolo a palazzo. Cosa ti è saltato in mente di uscire, senza dirmi nulla?
Deja tremava e le sfuggirono alcune lacrime.
- Ma… ma…
Lui la interruppe, alzando ulteriormente la voce.
- Tuo padre sapeva dov’eri? Te lo immagini che figura che avrei fatto se avessi dovuto chiedere ad Aborn se per caso sapesse dov’era finita mia moglie, perché io non lo sapevo?!?
Deja si mise a singhiozzare e Zaron diede un altro strattone alla maniglia. Lei si chiese se lo facesse per impedirsi di usare quelle mani su di lei. La paura si trasformò in indignazione e poi in rabbia.
- Come osi!
La voce le uscì stridula e sembrò sorprendere Zaron, che evidentemente non si aspettava una replica del genere.
- Questa non è Halanda. Qui siamo a Issa, qui io sono la regina! Mi sposto dove e come voglio, non sono tenuta a richiedere prima la tua approvazione, capito? E tu non mi trascinerai mai più in giro, come se fossi una bambina disubbidiente, sono stata chiara?
Così dicendo agitò nella sua direzione l’avanbraccio sinistro, che lui aveva stretto con violenza.
- E adesso togliti di lì, voglio uscire. Oppure sono tua prigioniera?
Zaron si fece da parte, impassibile e silenzioso e Deja ne approfittò, spalancando la porta, tremando di paura all’idea che lui avrebbe potuto fermarla e si rifugiò nello studio, sbattendo con forza il battente, sentendo che Zaron faceva lo stesso con quello della camera da letto e che poi lo colpiva, ripetutamente, con calci e pugni. Si rannicchiò sotto la scrivania, reggendosi le ginocchia e piangendo.
Quando lui bussò, molto tempo dopo, Deja aveva finito di piangere, anche se singhiozzava ancora, ogni tanto. Sentì che lui la chiamava, con voce sommessa.
- Che vuoi?
Gli urlò da sotto il tavolo.
- Deja, posso entrare?
- No!
Ci fu un tonfo sordo dall’altra parte della porta, poi un sospiro.
- Ti prego, Deja perdonami. Apri la porta, permettimi di parlarti faccia a faccia.
Lei uscì dal suo nascondiglio e gli aprì, strofinandosi gli occhi arrossati. Lui se ne stava fermo sulla soglia, con le mani poggiate sullo stipite.
- Mi sono comportato in maniera indegna e riprovevole. Ti prego, perdonami, non sei la mia prigioniera, non sei una mia proprietà e io non avevo nessun diritto di metterti le mani addosso. Ti ho fatto male?
Deja, senza parlare, gli offrì il braccio sinistro, rivolgendo l’interno del polso verso l’alto, mostrandogli le quattro macchie scure che erano comparse, dove le sue dita si erano piantane nella carne.
- Oh, dei…
Zaron si coprì il volto con le mani.
- Pensavi sarebbe stato… cosa? Umiliante? Chiedere a mio padre dov’ero andata? Pensa a come mi sentirò io domani quando tutti vedranno questo. Quando mio padre lo vedrà. Come lo spiegherò? Cosa dirò? Ti ho sempre difeso…
La voce di Deja cominciò a tremare.
- Ti ho sempre difeso, quando tutti pensavano che tu mi facessi del male, quando mi guardavano le braccia e il collo, in cerca dei segni evidenti dei tuoi a-abusi… Come farò a guardarli in faccia e dire che tu non mi picchi, che sei rispettoso e corretto nei miei confronti?
Zaron cadde in ginocchio difronte a lei. Con esitazione e delicatamente le prese la mano sinistra, chinandovi sopra il viso.
- Ti prometto Deja che non succederà mai più. Te lo giuro!
Lei sfilò la mano dalla sua debole stretta e lo afferrò per il mento, sollevandoglielo fino a incrociare il suo sguardo.
- Sarà meglio così, Zaron. Non sei mai venuto meno a una tua promessa fino ad oggi. Vedi di non cominciare con questa.
Lui annuì, chiudendo gli occhi. Dopo che lei era scappata via, dopo che aveva sfogato la sua frustrazione contro la porta, si era calmato e la vergogna per il suo atteggiamento lo aveva travolto. Quando si era reso conto che Deja non era più a palazzo, quel pomeriggio, si era irritato e mentre le ore passavano e lei non tornava, l’irritazione era montata in rabbia. Non aveva voluto chiedere al suocero dove lei fosse, il suo orgoglio non glielo aveva permesso e così si era arrabbiato con lei, che non era rimasta al suo posto, come avrebbe dovuto, come una brava, sottomessa moglie rakiana avrebbe fatto. Quando lei era infine rientrata Zaron aveva avuto ore in cui la sua rabbia era cresciuta fino a raggiungere il limite del suo autocontrollo. Aveva tenuto stretta quella dannata maniglia per non mettersi a colpire i mobili, per non spaventarla ulteriormente. L’idea di colpire lei non lo aveva neanche sfiorato ed era ora umiliato dal fatto che quella era l’impressione che lei aveva avuto: che quell’orribile livido sul suo polso fosse voluto, che lui avesse inteso arrecarle dolore. La paura sul suo viso, le sue lacrime, i suoi singhiozzi… come durante la loro prima notte, mai più avrebbe voluto vederli, ma era successo e questa volta lei aveva avuto una buona ragione per piangere, per avere paura. Mai più, giurò a sé stesso. Mai più Deja avrebbe avuto motivo di avere paura di lui.
La sua piccola regina si appoggiò alla porta, passandosi le mani sulle guance arrossate, un’espressione sfinita sul viso.
- Mi dispiace di essere uscita senza dirti niente. Avrei dovuto farlo, mandarti un messaggio non mi sarebbe costato nulla, appena un attimo. Non ci ho pensato. Non era mia intenzione farti adirare.
Zaron scosse il capo.
- Tu non hai colpa. Ho reagito in maniera spropositata. Hai ragione: non siamo a Halanda. Non devi sottostare agli usi rakiani quando sei in patria. Il mio atteggiamento è stato imperdonabile, e tuttavia ti chiedo di perdonarmi.
Lei annuì e poi, sorprendentemente, sorrise anche se era un sorriso debole e stanco.
- Abbiamo appena litigato?
Lui sorrise a sua volta, parte della tensione che lo attanagliava al pensiero di aver incrinato la sua fiducia lo abbandonò.
- Credo di sì.
Deja si sedette per terra e gli poggiò il capo sul petto, lasciando che Zaron l’abbracciasse e le carezzasse i capelli, con mano tremante.
- Non fare mai più una cosa simile, d’accordo? Mi hai fatto quasi morire di paura.
Sussurrò lei. Lui la strinse un po’ più forte e poi confermò la sua risoluzione.
- Mai più.


 
NOTE DELL’AUTRICE: E così li ho fatti litigare per la prima volta! Il prossimo capitolo sarà Deja a mostrare i denti e Zaron a essere quello perplesso che si chiede che diavolo succede. Vi prego non odiatelo, è sempre stato così gentile e premuroso con lei ma non è normale e non è realistico non arrabbiarsi mai. E’ naturale e sano litigare, solo discutendo delle nostre differenze e delle nostre opinioni possiamo farci capire dagli altri. Quello che non è MAI scusabile è l’utilizzo della violenza. Usare la forza bruta, che sia fisica o psicologica per sopraffare qualcuno non è mai un comportamento accettabile. Picchiare qualcuno per costringerlo a sottomettersi non è “averla vinta” ma ammettere di essere un fallimento come essere umano su tutti i fronti. Asimov ha scritto che “la violenza è l’ultima risorsa delle sciocco”. Chi è vittima di abusi dovrebbe sempre ribellarsi e denunciare, perché se pensa che vada bene così, che tanto la cosa si risolverà da sola, sbaglia di grosso: un uomo che picchia la moglie/compagna/membro della famiglia, lo fa una volta e lo farà sempre, non importa quanto contrito possa essere dopo o quante volte chieda scusa. MAI subire in silenzio, perché gli fai credere che sia lecito rifarlo.
Detto questo, Zaron non è un uomo violento, lo vedrete nel prossimo capitolo quando sarà Deja a saltargli alla gola e lui non alzerà un dito per difendersi.
 
  
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