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Autore: lodoredelmare    06/11/2016    6 recensioni
Se Inuyasha fosse un mezzo demone del XXI secolo e se Izayoi ed Inu No Taisho non fossero morti, come sarebbe stata la sua vita?
Con le mani tremanti lo afferrò e se lo avvicinò, gli occhi lucidi dove delle lacrime prepotenti desideravano lasciarsi andare. Sei il Grande Demone Cane, datti un contegno si disse. Ma al diavolo l’orgoglio e la virilità, tra le mani sorreggeva suo figlio.
“é bellissimo!”
[...] “Benvenuto al mondo, Inuyasha”.
Genere: Erotico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando hai due ore di vita… (LA NASCITA)

 

Correva frenetico lungo i corridoi sterili dove l’aria era impregnata di disinfettante, se finiva addosso a qualcuno si scusava frettolosamente mentre il mal capitato come di consuetudine finiva per rimproverarlo.

Era in giacca e cravatta, l’abito grigio chiaro indossato apposta per lavorare, e in mano ancora reggeva la sua ventiquattrore di pelle nera che sbatacchiava sulla sua gamba recandogli male, ma non importava. Aveva atteso con ansia quel giorno, se lo sognava ormai la notte ed era terribilmente emozionato. Ancora non riusciva a crederci.

Gli ritornò in mente la chiamata di qualche ora prima mentre era nel bel mezzo di una riunione e anche se qualcuno di quei uomini in giacca e cravatta lo aveva guardato male a lui non era interessato. 

Gli ritornò in mente la voce concitata di gioia del vecchio Myoga, suo consulente da quando ne aveva memoria, “Vieni, ce l’ha fatta” aveva detto ed era subito corso via, si era catapultato nella macchina ed era partito, sfrecciando via infilandosi nel tipico traffico di mezzogiorno di Tokyo.

E adesso era lì, finalmente l’avrebbe potuto vedere con i suoi occhi.

Entrò come una furia all’interno della stanza che la vecchia al bancone gli aveva indicato e per poco non svenne.

Lei era lì, bella come non l’aveva mai vista totalmente esausta. I lunghi capelli neri lisci ricadevano scomposti attorno a lei, il viso delicato e gli occhi dolci, terribilmente stanchi ma anche incredibilmente felici. Come a lui, nemmeno a lei sembrava vero.

Le si avvicinò con cautela, piano con il respiro affannato il cuore che gli sembrava voler uscire con prepotenza dalla gabbia toracica e quel sorriso che non voleva assolutamente svanire dal suo volto.

Izayoi alzò lo sguardo e lo inchiodò su quello del marito e gli rivolse un ampio sorriso caldo e dolce che sapeva di famiglia.

Reggeva tra le braccia un fagotto di coperte azzurro chiaro e quando le fu finalmente al suo fianco comprese come in mezzo a tutte quelle morbide copertine di spugna si trovasse lui.

“Cavolo…” sussurrò solamente, la voce tremante così come le sue mani mentre il suo sorriso divenne ancora più ampio se possibile.

Izayoi gli rivolse uno sguardo carico di amore e gli porse facendo attenzione quel fagottino di tenerezza ed innocenza.

Con le mani tremanti lo afferrò e se lo avvicinò, gli occhi lucidi dove delle lacrime prepotenti desideravano lasciarsi andare. Sei il Grande Demone Cane, datti un contegno si disse. Ma al diavolo l’orgoglio e la virilità, tra le mani sorreggeva suo figlio.

“é bellissimo!” esclamò con felicità, scoppiando poi in una risata di gioia coinvolgendo anche la sua dolce metà comoda nel suo lettino.

L’intera stanza, Inu lo sapeva bene, odorava di felicità, di purezza e di quel classico odore che fanno i neonati e non poteva essere più felice.

Come conscio della presenza del padre, il neonato si mosse tra le sue braccia mostrando un visetto imbronciato ed emettendo un piccolo gemito.

Inu gli accarezzò piano i capelli, scintillanti fili d’argento che coprivano l’intero capo da cui spuntavano due minuscole orecchiette da cane, adorabili e tenere proprio come quel bambino.

Il neonato spalancò gli occhi mostrando due pozze d’orate, luminose ed un po’ impertinenti proprio come quelle del padre che scoppiò in un’altra risata.

In quel momento subentrò nella stanza il medico di turno, avvolto nel suo camice bianco mentre sorreggeva un cartello.

“Come lo volete chiamare?” domandò quello.

“Inuyasha” rispose Inu automaticamente.

Vide il medico trascrivere il nome sul cartello per poi voltarsi verso la moglie, ancora il piccolo tra le braccia che sembrava ritornato in un sonno profondo.

Si sedette sul lettino affianco ad Izayoi e le lasciò un dolce bacio sulle labbra, quella si accoccolò poi sul suo petto mentre osservava quel fagotto nato dall’amore e dalla lotta contro tutti i pregiudizi.

“Si chiamerà Inuyasha” sussurrò poi Inu.

Izayoi annuì “Benvenuto al mondo, Inuyasha”.

 

 

 

Quando hai cinque anni… (ORGLOGLIO DI PAPÁ)

 

Con il naso rivolto al cielo limpido, annusava l’aria indispettito. Era parecchio indispettito.

Quel brontolone di suo fratello si era nascosto portando con sé la palla che sua mamma gli aveva regalato qualche giorno prima quando aveva fatto particolarmente il bravo.

Senza perdere la speranza continuò la sua ricerca, annusando l’aria attorno a lui cercando di individuare quella particolare scia che caratterizzava ogni singolo demone.

Era primavera e l’aria era intrinseca di quel buon odore che hanno le belle giornate, il sole splendeva alto nel cielo e non si vedeva nemmeno una nuvola, mescolato con quello dolce dei fiori di ciliegio appena sbocciati. Nel suo giardino ce n’erano davvero tanti, sua mamma li adorava.

Sbuffò spazientito, gonfiando le guance e mettendo in mostra quel solito broncio che lo caratterizzava, ogni volta la mamma gli pizzicava sempre le guance dicendo che era tenero. Ma lui non voleva essere tenero, era un demone per tutti i Kami!, cioè non proprio. Desiderava tanto essere un po’ più simile a suo fratello maggiore, Sesshomaru, lui sì che non era tenero anzi era un brontolone di prima categoria, noioso e poco propenso al gioco.

Inuyasha zampettò un altro po’ nel giardino sempre alla costante ricerca del fratello maggiore quando poi alzando lo sguardo dorato notò una figura particolare. In piedi sul ramo più alto di un abete si stagliava in tutta la sua magnificenza Sesshomaru con i lunghi capelli argentati simili ai suoi che brillavano ai raggi del sole.

Nonostante la corporatura ancora acerba del fratello, Inuyasha poté percepire anche a distanza la potenza che il demone emanava e che a volte gli incuteva un po’ timore, ma non si sarebbe scoraggiato.

“Sesshomaru!” gridò a gran voce correndogli incontro.

Dal basso Inuyasha poté notare come il fratello si rigirava fra le mani la sua palla colorata. 

Era certo che quello lo avesse sentito, l’udito di un demone cane era molto fine e nettamente superiore a quello di un normale essere umano così come il fiuto, tuttavia era rimasto impassibile al richiamo, lo sguardo ancora puntato sulla palla. Allora provò a chiamarlo nuovamente e poté vedere come gli occhi del fratello si alzarono al cielo come annoiati.

“Che vuoi?” rispose infine con freddezza.

“Fammi giocare anche a me con la palla” borbottò Inuyasha sbattendo un piede sul terreno erboso, il broncio ancora sul volto.

Allora Sesshomaru con un balzo atterrò davanti al fratello minore nettamente di altezza inferiore nonostante si passassero solo tre miseri anni.

Sesshomaru storse bocca e naso in un segno di disgusto.

“C’è puzza” disse allora.

Inuyasha sgranò gli occhi con ingenuità “Dove? Io non la sento” disse allora annusando intorno a sé.

“C’è puzza di mezzo demone” E il cuore del piccolo Inuyasha non poté fare a meno di fermarsi per qualche secondo e il proprietario era quasi sicuro di aver sentito provenire da quell’organo così umano un secco crack.

“Io non puzzo” sussurrò posando gli occhi color dell’oro sui suoi piedi nudi.

“Vuoi la palla?” domandò Sesshomaru “Allora prenditela” e senza neanche compiere un grande sforzo, il demone cane lanciò la palla lontano creando una traiettoria ad arco perfetta.

La palla parve spiccare il volo sotto lo sguardo dei due bambini per poi infine posarsi proprio lassù, sul tetto in tegole rosse della loro casa.

Inuyasha guardò disperato il giocattolo che tanto desiderava riavere, era pronto ad infuriarsi con il fratello ma quando si voltò verso di lui notò che era sparito. L’aveva lasciato da solo.

La palla era sua e se la sarebbe ripresa.

 

Izayoi appoggiò al centro del tavolo un piatto di dorayaki fumanti al cioccolato come piaceva ai bambini, appena sfornati cucinati proprio da lei.

Sorrise soddisfatta del proprio lavoro. Su ogni pancake aveva disegnato con della glassa al cioccolato i volti dei due bambini che abitavano in quella casa.

Entrò in cucina Sesshomaru, sicuramente attratto dall’odore dei dolci, ed infatti si sedette sulla sedia prendendo in mano un pancake nonostante questo fosse ancora caldo.

“Attento a bruciarti” si raccomandò Izayoi non ricevendo però risposta.

Non si stupì più di tanto, Sesshomaru era un bambino taciturno e sicuramente vivere assieme alla seconda moglie del padre non lo aveva reso di certo più docile. Tuttavia non era di certo colpa di Inu se la sua prima moglie lo aveva abbandonato, lasciandogli anche il figlio.

La presenza del marito la riscosse dai pensieri. Bello e fiero come solamente un demone può essere, Inu scompigliò i capelli a Sesshomaru con un sorriso ed addentò un dolce.

“Dov’è Inuyasha?” domandò allora. I due adulti spostarono lo sguardo sul bambino dai capelli come la luna che non rispose senza neanche alzare lo sguardo dal suo dorayaki.

Ed in quel momento l’udito fine del Grande Demone Cane captò un grido in lontananza e famigliare. Vide Sesshomaru sorridere quasi impercettibilmente e allora comprese.

Si alzò rapido dalla sedia e corse via sotto lo sguardo preoccupato della moglie.

Arrivato al luogo d’origine dell’urlo Inu vide il figlio più piccolo in una situazione pericolosa. 

Appeso alla grondaia Inuyasha gridava aiuto, scalciando con terrore mentre le piccole manine sudate gli rendevano instabile la presa sul metallo.

Izayoi era corsa al fianco del marito e notò con terrore il figlio appeso in un baratro, una mano portata davanti alla bocca spalancata e gli occhi lucidi di paura e preoccupazione.

“Papà” gridò il bambino notando dall’alto la figura dei due genitori “Ho paura”.

“Inuyasha è normale avere paura ma cerca di stare tranquillo” Izayoi guardò il marito come se fosse impazzito.

“Inuyasha cerca di tirarti sù”.

Il bambino ci provò con tutte le sue forze ma il suo corpicino era troppo pesante per lui rischiando, inoltre, di perdere completamente la presa dalla grondaia.

“Non ce la faccio” piagnucolò.

“Sì che ce la fai. Inuyasha ricordati che dentro di te scorre il sangue di un demone, non puoi non farcela. Fidati di me, ti fidi del tuo papà?”.

Il bambino annuì mentre piccole lacrime desideravano uscire ardentemente dai suoi occhi.

“E allora forza, tirati sù! Sei un Taisho e noi Taisho non ci facciamo sconfiggere così facilmente, vero?”.
“Vero”.

“Rendi fiero tuo padre Inuyasha, rendilo più fiero di quanto non lo è già” e il bambino incoraggiato dalle parole del padre digrignò i denti, corrucciò le sopracciglia e ci mise tutta la forza che aveva nelle braccia. Sentì il sangue ribollirgli nel corpo e una strana sensazione di potenza travolgerlo completamente. Si sentì in quel momento imbattibile, forte quanto Sesshomaru, quanto il suo papà.

Con una presa ferrea sulla grondaia riuscì a fare leva sulle sue braccia portando il suo corpo al sicuro sul tetto di mattonelle rosse.

“Bravissimo!” esclamò il padre prendendo a saltare sul posto assieme ad Inuyasha che prese la palla tanto ricercata e senza conoscere la paura e il timore saltò dal tetto della sua casa, atterrando in piedi davanti al padre sotto lo sguardo terrorizzato della madre.

“Ti prego Inuyasha non lo fare mai più” disse lei portandosi una mano al petto, il cuore che le batteva veloce.

Carico di adrenalina Inuyasha si buttò sul padre che lo prese in braccio e compì una piroetta gioiosa e carica di risate.

“Sono forte come te, papà” esclamò Inuyasha ancora tra le braccia possenti dell’adulto.

“Come me? Di più”.

Izayoi si avvicinò alla coppia padre e figlio e si unì al loro abbraccio carico di affetto e di amore.

Non importa se non sei un demone, Inuyasha, sarai sempre più forte di me ed io non potrò far altro di essere orgoglioso di te.

 

 

Quando hai undici anni… (IL PRIMO GIORNO)

 

A svegliarlo è il forte odore di caffè, il borbottio lieve della macchina dove la bevanda americana bolliva. Il leggero rumore delle posate e delle frasi pronunciate dai suoi genitori. Parlano a bassa voce perché sanno che due ragazzini sono ancora nel letto e dormono.

Poco dopo arrossisce fino alla punta delle orecchie e con un movimento rapido si nasconde sotto le coperte, la sua camera da letto ancora nell’oscurità.

Lievi schiocchi giungono fino al suo udito, rumori di baci e basse risate. 

Vedere o sentire i suoi genitori baciarsi gli provoca un forte imbarazzo, tuttavia lo rende anche estremamente orgoglioso che nonostante gli anni si amino ancora con la stessa forza e passione come la prima volta.

Lo schiocco dei baci viene coperto dall’improvviso trillo della sveglia che lo fa imprecare sotto voce, un dolore acuto alle orecchie canine.

Scosta le coperte con un calcio e con la solita energia che da sempre lo ha caratterizzato esce dalla stanza con in dosso un pigiama azzurro con disegnate delle pokéball e qualche pikachu.

Corre diretto verso la cucina, lungo il corridoio si imbatte in suo fratello maggiore già vestito della divisa della sua scuola. Il solito noioso.

Sesshomaru gli lancia una lunga occhiata di rimprovero e disgusto e Inuyasha ribatte mostrandogli la lingua.

Si siede affianco alla madre intenta a bere una tazza di tè ed inizia a trafficare con il latte e la scatola dei cereali.

Di fronte a sé suo padre in giacca e cravatta beve un enorme tazza di caffè nonostante Izayoi gli continua a ripetere che bere tutto quel caffè gli farà male ma Inu allora le ricorda che è un demone e quindi non può ammalarsi, tuttavia Izayoi non può fare a meno di preoccuparsi.

Quel giorno Inu era nervoso dato che prima di mezzogiorno avrebbe avuto un importante riunione di lavoro che avrebbe potuto dare una svolta alla sua vita.

Quello è il primo giorno di scuola alle medie per Inuyasha ed è emozionato. Purtroppo ha scoperto che nella sua classe sarà l’unico mezzo demone.

Izayoi è così contenta perché vedrà Inuyasha con una divisa scolastica, segno che sta diventando un ometto.

“Inuyasha muoviti a prepararti altrimenti perderete la metropolitana” lo sgridò sua madre e sbuffando il figlio terminò in fretta la sua tazza di cereali e correndo come il padre gli aveva insegnato tempo addietro, si infilò in camera sua per lavarsi e vestirsi.

Sesshomaru con calma e pacatezza era ancora in procinto di terminare la sua colazione all’inglese, uova bacon e salsiccia. 

Inu si alzò dalla tavola dopo aver dato l’ultimo boccone alla sua brioche alla marmellata, si avvicinò poi a Sesshomaru che non si degnò nemmeno di guardarlo.

“Sesshomaru ho bisogno di un favore” parlò il padre. Anche Izayoi abbandonò la tavola lasciando i due da soli. Ultimamente Sesshomaru era diventato ancora più schivo e a stento rivolgeva la parola al padre per questo Inu desiderava sempre che quando avesse avuto l’opportunità di parlare con il suo figlio più grande fossero da soli.

Sesshomaru alzò lo sguardo verso l’uomo, lo sguardo gelido e il volto imperturbabile.

“Oggi è il primo giorno di scuola per Inuyasha ed è anche il primo giorno che prende la metro da solo, perciò ti vorrei chiedere di stargli vicino. So che non andate molto d’accordo ma è soltanto per il primo giorno. Non vorrei che Inuyasha si sentisse a disagio, sapere che gli starai accanto mi fa sentire un po’ più sollevato. Lo fai per me?”.

Sesshomaru si limitò ad annuire sorseggiando il suo succo d’arancia. Inu sorrise al figlio e gli diede una pacca sulla spalla.

In quel momento arrivò come un terremoto Inuyasha stretto nella sua divisa scolastica e la borsa a tracolla lungo il fianco.

“Io sono pronto” esclamò lui. 

I due fratelli uscirono di casa senza prima aver ricevuto le solite raccomandazioni da parte di Izayoi. Inuyasha inoltre ricevette un bacio sulla guancia da parte della madre e una scompigliata di capelli da parte del padre.

 

La metropolitana era sottoterra e piena di gente. Sesshomaru gli stava affianco e al contempo cercava di stargli il più lontano possibile.

Dentro il mezzo Inuyasha venne infastidito dalla puzza di sudore e di chiuso, diverse voci che ciarlavano in continuazione, udì anche il flebile suono di una musica attraverso delle cuffie.

Vide Sesshomaru allontanarsi da lui per poi sedersi da solo, il volto rivolto verso il finestrino.

Inuyasha sbuffò spazientito e con lo sguardo si mise alla ricerca di un posto dove sedersi anche lui tuttavia notò su di sé numerosi sguardi. 

Questi lo guardavano insistentemente totalmente incuranti nel non farsi notare e per la prima volta Inuyasha si sentì veramente a disagio. Lesse in quegli sguardi curiosità, disgusto, paura, terrore.

Si sentì come un animale da circo e si domandò perché. Quella gente lo fissava senza vergogna come se fosse un qualcosa di strano e mai visto prima, come se fosse un alieno eppure era come loro, si sentiva come loro. Respirava, mangiava, pensava, provava sentimenti proprio come loro.

Scrollò le spalle e trovò finalmente due posti liberi. Si sedette su uno di questi, quello più vicino al finestrino e come il fratello portò il viso verso di questo.

La metropolitana sfrecciava veloce sottoterra, alle volte sostava qualche minuto, le porte si aprivano e c’era chi scendeva e chi saliva. Persone di tutti i tipi e di tutte le età. C’era chi andava a lavoro, chi stava tornando a casa e chi invece andava a scuola. Gruppetti di ragazze e ragazzi in divisa chiacchieravano amabilmente con quella spensieratezza tipica dei giovani prima di entrare a scuola.

La metro si fermò nuovamente e fu in quel momento che lo sentì. L’odore più buono del mondo. Ispirò profondamente, riempiendosi i polmoni con quell’odore che gli ricordava la mamma. Fiore di ciliegio, sole, belle giornate ed allegria, questo pensò Inuyasha mentre contemplava quell’odore ad occhi chiusi.

Quel profumo gli arrivò dritto al cuore, scaldandogli l’anima.

Aprì gli occhi e vide un piccolo gruppetto di ragazze con la gonna della divisa verde che poco prima non c’era.

Quattro ragazze della sua stessa età, i visi dolci e rotondi ancora infantili, corpi in piena pubertà non ancora sviluppati. Ma tra le quattro una attirò l’attenzione del mezzo demone.

Del gruppetto era la più bassa, i capelli neri erano mossi arrivandole alle spalle, occhi grandi di ghiaccio ancora non deturpati, esprimevano gentilezza ed innocenza, le labbra rosso ciliegia morbide e con un leggero strato di lucida labbra.

Vide le sue amiche sedersi nella fila affianco a quella di Inuyasha lasciando la ragazza da sola in piedi.

“Mi avete lasciata da sola” si lagnò quella finta offesa.

“Dai Kagome, ti troverai un’altro posto” disse una.

Kagome, Inuyasha lo trovò il nome più bello del mondo. La ragazzina si mise al suo fianco, guardando indispettita le sue amiche, e Inuyasha fu travolto dal suo odore.

Era lei, era lei la portatrice di quel profumo così buono!

“Guarda Kagome, c’è un posto proprio dietro di te” disse una ragazza dai capelli ricci legati con una molletta.

Inuyasha vide la ragazza voltarsi e vide il suo volto illuminarsi dalla contentezza tuttavia quando i suoi occhi grigi si posarono su di lui, si spensero improvvisamente.

La vide impallidire e con un gesto fulmineo si allontanò il più possibile.

“N-non fa niente. Me ne starò in piedi” disse in un sussurrò guardando Inuyasha con occhi impauriti.

Inuyasha fu sorpreso dalla reazione della ragazza. Perché aveva reagito così? Non l’avrebbe mica mangiata.

La risposta gli arrivò subito dopo dalle sue amiche.

“Cavoli, non l’avevo visto che era un mezzo demone” sussurrò la riccia.

“Ma i mezzi demoni possono andare in giro liberamente?”.

“Che impressione, ma li avete visti i suoi occhi? E le orecchie?”.

“Mi fa senso”.

Inuyasha si sentì colpito da quelle frasi non sussurrate, totalmente disinteressate dal non farsi sentire. Vide la proprietaria di quel buon profumo guardarlo di sottecchi taciturna, sempre impaurita.

Si voltò nuovamente verso il finestrino con uno strano dolore al petto.

La metropolitana si fermò ancora per poi ripartire, Inuyasha non ci fece caso.

Venne scosso da un picchiettio sulla spalla. Con le sopracciglia corrucciate si voltò verso colui che osava disturbarlo.

Si presentò un ragazzo poco più grande di lui. Indossava la sua stessa divisa con lo stesso logo della scuola, come Inuyasha lungo un fianco portava la cartella di pelle marrone. Aveva dei lunghi capelli che alcuni gli finivano sul viso e degli occhiali da vista.

“Posso?” chiese quello indicando il posto vuoto accanto al mezzo demone.

Inuyasha grugnì un consenso e il ragazzo si sedette. Probabilmente non si era accorto che era un mezzo demone come avevano fatto quelle ragazze. 

Annusò il suo odore e comprese che era un semplice essere umano.

Mosse rapido le orecchie canine avvertendo poi il ragazzo umano voltarsi verso di lui per poi porgerli la mano “Io sono Miroku, tu?”.

Inuyasha passò lo sguardo sorpreso dal ragazzo di nome Miroku alla sua mano e titubante gliela strinse “Inuyasha” si presentò infine.

“Che figo! Sei un mezzo demone” esclamò sorridendogli poi quello facendolo arrossire.

C’era chi lo disprezzava e chi invece non lo temeva e Inuyasha non capì più nulla.

La gente era proprio strana…

 

 

 

Quando hai sedici anni… (LA PRIMA VOLTA)

 

Odiava la sua natura di ibrido, lo faceva sentire a disagio ed inadeguato, non appartenente a nessun posto. Non era né un uomo e né un demone, né l’uno e né l’altro. Era un mezzo demone, una via di mezzo inutile ed insignificante e come tutte le cose inutili ed insignificanti non si sentiva apprezzato, non veniva nemmeno considerato.

I demoni lo ritenevano troppo debole, scadente per i loro intaccabili e perfetti geni di demoni super forti e gli esseri umani erano invece terrorizzati dal suo lato demoniaco. 

Ma la cosa che odiava ancora di più del suo essere mezzo demone era quel fottuto momento che coincideva con la notte di novilunio dove il suo lato demoniaco sembrava svanire e prendeva il sopravvento invece il suo animo umano.

Per quanto amasse sua madre la riteneva anche la causa principale per quella sua dannazione e a volte la odiava. Era consapevole delle sofferenze che in quel periodo affliggeva ad Izayoi che si colpevolizzava per il lato umano di suo figlio che disprezzava e disgustava.

Inuyasha si odiava quando era un ragazzo qualunque perché si sentiva debole e fragile, facile preda dei bruti, inoltre il suo animo veniva tormentato da strane emozioni che quando era un mezzo demone era più facile mettere a tacere.

Al contrario di Miorku, che con la crescita era diventato uno stupido donnaiolo depravato, Inuyasha non aveva mai avuto una ragazza e tanto meno non aveva mai scambiato nemmeno un bacio e la causa era sempre la sua mezza natura.

Le ragazze non gli si avvicinavano, erano impaurite anche se allo stesso tempo affascinate dato che per natura sia demoni che mezzi demoni erano dotati di una bellezza terribilmente ammaliante ed affascinante, in poche parole Inuyasha non aveva mai avuto un nessun tipo di esperienza con l’altro sesso se vogliamo tralasciare sua madre.

Eppure era desideroso di sperimentare, di subentrare anche lui in quel mondo fatto di passione e perversione che aveva trascinato da poco anche il suo migliore amico.

Già da qualche anno aveva avuto il piacere di fare la conoscenza con il suo amico dei piani bassi, infondo era un maschio e gli istinti erano sempre gli stessi, e gli era piaciuto molto tuttavia non aveva più voglia di accontentarsi solamente di Federica la mano amica, ma desiderava condividere il suo piacere anche con qualcun altro.

Per questo motivo Miroku lo aveva costretto a sgattaiolare nel cuore della notte all’infuori della sua camera dalla finestra cercando di non farsi scoprire dall’udito super sensibile di suo fratello e di suo padre per poi sfrecciare via per le strade di Tokyo in sella al motorino del migliore amico.

Miroku alla guida era un folle. Superava di gran lunga il limite massimo di velocità, guidava con il casco slacciato e da quando aveva preso il vizio di fumare, tendeva sempre ad accendersi una sigaretta proprio durante la guida facendo impazzire Inuyasha che come di consuetudine gli ripeteva che anche se era un mezzo demone, non desiderava avere uno scontro faccia a faccia con l’asfalto. 

Miroku era totalmente un menefreghista, si disinteressava delle regole e di ciò che la gente pensava di lui facendo e dicendo qualunque cosa gli passasse per la testa e Inuyasha lo invidiava per questo, che desiderava godere anche lui quella libertà che sembrava non appartenergli.

Tuttavia per quanto il ragazzo dai capelli perennemente legati con una bassa coda e numerosi cerchi alle orecchie fosse uno stupido sconsiderato depravato e con una bassa considerazione per le ragazze era il migliore amico di Inuyasha e al contrario di molti lo aveva accettato senza paura del suo lato demoniaco anzi, lo considerava un gran figo.

Era una notte priva di luna tuttavia per le strade di Tokyo pareva ancora giorno. La città era illuminata dai numerosi lampioni, dai ristoranti, dai negozio e dagli enormi cartelloni pubblicitari digitali tappezzati per tutta la città.

Ancora rombando tra le auto arrestate in fila, Inuyasha si scostò i fili di capelli neri che gli andavano sul volto osservando la città in pieno movimento con i suoi profondi occhi neri.

Niente zanne, niente artigli, niente colori strani ma soprattutto niente odiose orecchie da cane. Era soltanto lui e la sua umanità.

 

Miroku lo aveva portato in un bar e gli aveva detto “Bevi, ubriacati e trovati una ragazza. In queste condizioni nessuna ti dirà di no, Inuyasha è la volta buona che proverai il piacere del sesso” e stranamente così era stato.

Poco lucido, le gote rosse e gli occhi languidi per il troppo alcol Inuyasha brindava con un altro bicchiere di sakè assieme a Miroku in compagnia di due sorelle di nazionalità coreana in vacanza a Tokyo assieme alla famiglia.

Si stava divertendo e per la prima volta aveva il cervello totalmente annebbiato, nessun pensiero coerente si formulò nella sua mente, nessuna preoccupazione, soltanto gran divertimento.

Una delle due sorelle, Mayko, aveva preso in simpatia Inuyasha e per sorpresa di quest’ultimo lo trovava assolutamente attraente e sempre con sua enorme sorpresa fece lei la prima mossa.

Si buttò alle sue braccia e appiccicò la sua bocca velata di un rossetto troppo forte per la sua età a quella del mezzo demone che preso contropiede non sapeva cosa fare.

Alla fine prese coraggio e appoggiò le mani sui fianchi morbidi della ragazza, era un po’ in carne ma aveva un bel viso e delle belle tette, e aprì piano la bocca dando libero accesso alla sua compagna che gli circondò il collo con le braccia e si lasciò trascinare dalla passione.

La testa gli vorticava furiosamente, totalmente perso per quelle sensazioni mai provate prima. Un profumo femminile, labbra morbide, linee curve e sinuose e mani delicate, credeva di impazzire.

Non seppe come ma si ritrovò nel cubicolo stretto di uno dei bagni degli uomini del pub, la schiena appoggiata alla porta, rigorosamente chiusa a chiave, il viso totalmente sconvolto e le mani che arpionavano e tiravano i capelli della ragazza coreana che inginocchiata tra le sue gambe sembrava condurre un lavoretto di bocca che Inuyasha non credeva così fantastico.

Miroku gliene aveva parlato del suo potere eccitante ma non credeva così parecchio eccitante.

Le guance rosse per l’eccitazione, la bocca semi aperta rossa e gonfia per i numerosi baci da cui fuggivano via sospiri pesanti e veloci. Aveva terribilmente caldo, desiderava spogliarsi della camicia rossa che portava e non aveva mai sentito il suo cuore battere così veloce nemmeno quella volta quando aveva fatto la lotta con Sesshomaru e credeva di morire.

“S-sto…sto per…” si sentiva di scoppiare, non ce la faceva più faceva quasi male. Aveva bisogno di liberarsi, di sfogare la sua eccitazione arrivata al culmine e cercò di avvertire la ragazza scuotendole piano la testa.

“Ehi…” disse poi in un sussurro strozzato e Mayko comprese la situazione. Si allontanò da Inuyasha, il rossetto completamente sbavato, si asciugò con il dorso della mano il rivolo di saliva che pendeva in un angolo delle labbra e gli rivolse un sorriso malandrino e riprese da dove si era fermata utilizzando però le mani. Inuyasha sussultò al sentire il contatto freddo dell’anellino che portava la ragazza sulla sua pelle per poi venire con un gemito strozzato.

“Hai resistito abbastanza per essere la prima volta” disse lei, la voce un po’ rauca e l’accento tipicamente coreano.

Inuyasha si sentì improvvisamente imbarazzato ed umiliato “Come fai a sapere che era la mia prima volta?”.

“Eri sorpreso mentre ti facevo stare bene. Davvero era la tua prima volta?” disse poi e vedendo il ragazzo di fronte a lei annuire sospirò “Peccato. é piacevole sentirti venire”.

Inuyasha con ancora i pantaloni e le mutande calate non seppe se ritenerlo un complimento o no, intanto la ragazza coreana si era alzata e continuò a squadrarlo quasi mangiandoselo con gli occhi, un labbro torturato dai suoi denti piccoli e candidi.

Mayko decise di togliersi allora il maglioncino nero buttandolo per terra, al lato del gabinetto e Inuyasha sgranò gli occhi nel vedere quelle due sode meraviglie pararglisi davanti.

Era la prima volta che vedeva un seno dal vivo. 

La coreana al di sotto del maglioncino non portava nulla e Inuyasha fu davvero lieto di poter vedere quelle due belle mele sode nella loro più rosea natura.

“Posso…?” chiese inuyasha imbarazzato allungando la mano. Mayko rise dolcemente per poi annuire ed Inuyasha prendendo un profondo respiro poté finalmente sentire col proprio tatto la loro consistenza.

Erano morbide, sembrava di toccare qualcosa di gommoso ma era una sensazione piacevole. Passò un dito sul bottoncino rosa scuro proprio al centro del seno e la ragazza sospirò piano, gli occhi chiusi ed il capo gettato all’indietro. Inuyasha sentì la propria virilità indurirsi nuovamente.

La mano abbandonò il seno e percorse con lentezza il ventre morbido della ragazza leggermente sporgente. Quella si ritrovò appoggiata ad una parete in plastica che delimitava il piccolo cubicolo del bagno mentre la mano del ragazzo continuava il suo percorso, andando sempre più giù giungendo poi sulla gonna a pieghe scozzese che la ragazza indossava. Alzò la gonna mostrando un paio di gambe sinuose e morbide come piacevano a lui e non troppo magre che sembravano essere composte solamente da ossa, e tra le gambe delle mutandine in cotone bianco.

Inuyasha alzò lo sguardo di pece sulla ragazza come per chiederle il permesso che non arrivò mai, ma bastò invece vedere il volto della compagna rosso e sconvolto per l’eccitazione, i capelli a caschetto che ricadevano scomposti sul suo viso, il petto che si abbassava ed alzava frenetico ed una chiazza più scura che spiccava sulle sue mutandine. Ed allora ebbe la più assoluta certezza.

Si levò rapido la camicia levandola dal capo senza nemmeno sbottonarla completamente, totalmente sopraffatto dall’emozione. Avrebbe avuto la sua prima volta, finalmente. Tra poco si poteva considerare un uomo a tutti gli effetti.

Prese un enorme respiro come per incanalare dentro di lui una buona dose di coraggio e con un secco gesto diede il via ad una danza erotica antica come il mondo, una danza che tutti hanno provato e sono rimasti sopraffatti dalla sua bellezza e dal suo coinvolgimento.

Inuyasha prese in braccio la ragazza e questa attorcigliò le gambe sui suoi fianchi, il capo gettato all’indietro e la schiena inarcata.

Mayko gemeva incessantemente, le mani affondate nei capelli neri dell’amato che le baciava con assiduità il collo e il seno mentre con movimenti precisi fletteva il proprio bacino affondando sempre più nell’antro caldo della ragazza.

Inuyasha comprese una cosa. Il sesso non era come quello che ti fanno vedere in televisione e soprattutto non è mai come te lo aspetti. Il sesso è molto di più. Il sesso è sporco, volgare, sudato ed appiccicoso, non c’è niente di decoroso nel sesso, non è gentile, non è attento, non è giusto, non è educato, non è pudico e se è invece una di queste cose vuol dire che lo si sta facendo nel modo sbagliato.

 

 

 

Quando hai diciotto anni… (IL PRIMO AMORE)

 

 

Si poteva dire che Tokyo in quegli ultimi giorni di marzo fosse piuttosto fredda, il vento continuava a soffiare con costanza seguito anche da abbondanti piogge che avevano costretto numerosi studenti a passare le loro appena incominciate vacanze estive in casa, tuttavia questo poteva essere considerato un bene per quegli studenti che, come Inuyasha, dovevano ripassare per gli esami che avrebbero seguito.

Era l’ultimo anno di quella tortura e avrebbe potuto dire addio finalmente agli appunti e ai libri di testo, addio all’odiosa matematica ma anche addio all’inglese che aveva da sempre detestato perché non troppo capace.

Quella mattina nella scuola media superiore di Nerima avrebbe detto addio definitivamente a tutto quello sopra citato.

Facendosi largo tra la folla di studenti della sua età cercò il suo nome tra quelli dei compagni ed un largo sorriso si fece spazio sul suo volto quando lo trovò: No Taisho Inuyasha Amesso (72).

Un urlo di vittoria si sollevò dalla sua gola e prese a saltare sul posto con energia tra gli studenti che come lui morivano dalla voglia di conoscere l’esito.

Si ritrovò poi travolto da una furia codinata umana che si aggrappò sulla sua schiena prendendo ad urlare esclamazioni ed imprecazioni di gioia.

“Siamo passati, cazzo! Ce l’abbiamo fatta” gridò la furia iniziando a cavalcare Inuyasha che scoppiò stranamente a ridere, era un giorno di festa e non se lo sarebbe rovinato per nulla al mondo.

“Sì cazzo!” rise poi il mezzo demone. Miroku scivolò dalla sua schiena per poi prenderlo a braccetto ed improvvisando un ballo fatto di gambe che si sollevavano ad un ritmo immaginario che esisteva solo nelle sua testa.

“Novantasette. Sono uscito con il novantasette” Miroku guardò il suo migliore amico con incredulità, il volto ancora illuminato da un enorme sorriso “Sono un genio. Te con quanto sei uscito?”.

“Settantadue” rispose il mezzo demone.

“Ti rendi conto che questo lungo percorso infernale neanche fosse Dante e la sua Divina Commedia chiamato scuola è finalmente terminato? Possiamo fare quello che vogliamo. Innanzitutto ci faremo un bel viaggio ad Ibiza per poi volare via a New York, ci faremo tutte le belle pollastrelle che vedremo e ci sfasceremo come se non ci fosse un domani anche se poi bestemmieremo perché il domani purtroppo esiste e tra una vomitata e l’altra cercheremo di riprenderci con una bottiglia di tequila e poi stalkerò Kyle Jenner perché porca puttana, ha un culo da far paura e me la voglio scopar…”.

“Miroku anche in una giornata come questa riesci ad essere sempre il solito porco maniaco?” una voce femminile riscosse l’umano con il codino dalle sue fantasie erotiche per poi voltarsi verso la voce sotto lo sguardo divertito di Inuyasha.
“Mia dolce Sango, il più bel ricordo che avrò di questa maledetta scuola sarai proprio tu. Come farò senza il tuo dolce sedere a mandolino?” Miroku si asciugò una finta lacrima con un dito sotto lo sguardo scettico della ragazza e le risate di Inuyasha.

Sango scosse la testa facendo volteggiare i lunghi capelli lisci castani che per l’occasione erano stati legati da una morbida treccia che terminava con un nastrino a fiocco rosa.

“Ciao Inuyasha” salutò la ragazza rivolgendogli un dolce sorriso. Ad Inuyasha Sango piaceva dato che come Miroku non si faceva problemi a stare affianco ad un mezzo demone, era simpatica ed ironica ma la cosa più importante era che riusciva a tenere testa ad un idiota come Miroku e non cascava mai alle sue solite moine, anche se…

In quel momento si avvicinarono al trio due figure adulte vestite elegantemente per l’occasione.

Inu No Taisho indossava un abito grigio scuro con una cravatta azzurra obbligata dalla sua adorata moglie Izayoi che indossava un lungo abito a kimono rosa confetto con motivi floreali che risultava in contrasto con i suoi lunghi capelli neri che le ricadevano sulle spalle.

Inuyasha corse ad abbracciare i suoi genitori che lo strinsero forte a sé mentre Izayoi cercava di reprimere un singhiozzo di commozione. Aveva promesso al marito quella mattina che non avrebbe pianto, ma come poteva? Quello era suo figlio, il suo piccolo bambino che era cresciuto e che presto avrebbe abbandonato per sempre il nido per condurre una vita lontana da quelle di mamma e papà.

“Siamo orgogliosi di te” gli sussurrò in un orecchio Inu per poi scompigliare con un gesto i capelli del figlio che ridacchiò una protesta.

Inuyasha sentiva dentro di sé un dolce calore che si irradiava in tutto il petto e che per poco non lo faceva piangere. Non avrebbe mai amato nessuno come amava i suoi genitori, ringraziò qualsiasi entità divina ad averglieli concessi.

“Siete pronti per la festa?” domandò Izayoi muovendo il bacino in un misero tentativo di un ballo improvvisato.

“Non vediamo l’ora!” esclamò Miroku circondando Inuyasha con un braccio e i due mostrarono agli adulti due sorrisoni malandrini e furbi che li fecero ridere per la loro spensieratezza e giovinezza.

“Sango, ci vediamo direttamente alla festa?” chiese Miroku ricevendo il consenso dalla ragazza che dopo un breve inchino di fronte ai coniugi Taisho si congedò correndo via verso le sue amiche.

“Bene Inuyasha, vogliamo andare? Il pranzo famigliare ci attende” disse Inu accogliendo nella sua ala protettiva il figlio minore.

Inuyasha sospirò affranto, avrebbe dovuto affrontare un pranzo con tutti i parenti che sarebbe durato un’eternità e in più avrebbe dovuto sorbirsi tutte le solite domande che gli facevano ogni volta che lo vedevano: quanto sei alto?, fai al bravo?, hai studiato bene quest’anno?, come sono andati gli esami?, cosa farai dopo la scuola?, andrai all’università?, lavorerai o continuerai a farti mantenere dai tuoi genitori?, e la fidanzatina? Di certo l’ultima era la peggiore e solamente il pensiero gli procurava brividi di terrore.

Salutò Miroku con la promessa di sentirsi per la festa di quella sera per poi abbandonarlo affiancato da mamma e papà.

 

“Mi sento una botte, ho mangiato un casino” si lagnò Inuyasha reclinando il capo sul poggiatesta, l’aria fresca primaverile della sera ed il finestrino calato dove poteva tranquillamente far uscire il fumo grigio della nicotina senza contaminare l’auto.

Appoggiò nuovamente sulle labbra la sigaretta, una delle ultime del suo pacchetto da venti, ed attendeva che il suo migliore amico al suo fianco terminasse di sistemarsi. Con la coda dell’occhio osservò Miroku mentre si passava il gel sui capelli guardandosi attraverso lo specchietto retrovisore, scosse il capo indignato alle volte il suo amico era peggio di una donna.

Terminata l’accurata operazione si legò i capelli nel suo solito basso codino che da qualche anno lo contraddistingueva, si spruzzò una gran quantità di profumo che fece tossire Inuyasha per poi lanciare un sorriso soddisfatto al suo specchio.

“Dovevi per forza metterti il profumo?” continuò a tossire Inuyasha sporgendo poi il capo all’infuori del veicolo alla ricerca di aria pulita, la sigaretta ancora accesa tra le dita.
“Non rompere. È One Million, con questo si va a caccia di figa”. Il mezzo demone gli tirò un pugno giocoso che tuttavia fece dolere l’umano.

“Abbiamo finito, prima donna?”. I due uscirono dall’abitacolo dando via alla loro serata che avrebbe dichiarato la fine della loro vita a scuola e della loro spensierata adolescenza.

 

L’interno del Shikon era una moltitudine di colori ed una cascata di lustrini, le luci psichedeliche illuminavano ritmicamente l’immensa sala gremita di ragazzi e ragazze che danzavano vicini, affiatati da sembrare un unico corpo in movimento.

All’inizio di un drop particolarmente carico di un dj americano, l’immensa sala venne coperta da una patina di nebbia profumata e numerosi brillantini caddero dal soffitto atterrando sulla pelle sudata dei giovani, da qualche parte un gruppo di ragazze si fecero immortalare da un fotografo.

Per Inuyasha era sempre un problema andare nelle discoteche, la musica troppo alta recava spesso fastidio al suo udito troppo fine così come l’incredibile puzza di chiuso, fumo e sudore che cercava di tenere fuori dai suoi polmoni con un colpo di tosse.

Appena arrivati avevano incontrato Sango stretta in un vestitino a spalline sottili in velluto di varie sfumature di rosa, i lunghi capelli raccolti in un’ordinata coda di cavallo. Come tutte le volte che Miroku incontrava Sango, il ragazzo provò ad allungare una mano sul fondoschiena della ragazza ma quella fu pronta a colpirlo con uno schiaffo sul viso seguito poi dal solito rimprovero, ma tanto tutti sapevano che Miroku non avrebbe mai imparato.

Inuyasha faceva da spettatore alla comica scenetta e sorseggiando con calma il suo drink ridacchiò divertito, il suo sguardo poi si spostò dai due amici ad una ragazza che come lui era lasciata in disparte ad osservare la scena.

Aguzzò la vista osservando meglio la ragazza, gli sembrava di averla già vista. 

Passò il suo sguardo dalle toniche gambe che terminavano con un paio di sandali stringati in oro con il tacco, il corpo longilineo e sinuoso dal ventre piatto era fasciato da un morbido abito in seta nera  mono spalla, semplice ma elegante. I capelli erano stati legati in una morbida crocchia scombinata ad arte che lasciava cadere due ciocche laterali ai lati del suo viso rotondo e delicato, lasciando scoperto il lungo collo sottile abbellito da un semplice nastrino nero. Inuyasha notò che ai lobi portava due perle rosate che illuminavano il viso della ragazza. 

Il volto era dolce, tondo con labbra piccole ma piene con le guancia rosee e gli occhi a mandorla finemente truccati con un ombretto perlato ed una sottile linea di eye-liner che rendevano gli occhi grigi ancora più grandi e luminosi.

Era certo di averla già vista e cercava di spremere il cervello proprio per ricordarsi il dove e chi diavolo fosse quella ragazza di cui non riusciva a distogliere lo sguardo, ammaliato dalla sua bellezza così dolce e gentile quando poi all’improvviso, in mezzo a tutto il fumo ed il sudore, ecco che captò un odore familiare che aveva il potere di farlo sentire a casa, al sicuro nel nido d’amore che erano i suoi genitori e fu allora che si ricordò. La ragazzina della metro! Aveva solamente undici anni quando l’aveva vista, una ragazzina bassa e gracile dal corpo ancora acerbo ed infantile, totalmente diverso da quello che poteva notare con piacere in quel momento, che anche tempo addietro aveva avuto il potere di stregarlo. Kagome, era il suo nome. Ancora se lo ricordava. Tuttavia gli ritornò alla mente anche la sua reazione quando aveva visto che era un mezzo demone.

I suoi pensieri svanirono improvvisamente quando sentì la voce di Sango chiamarlo ripetutamente a volume elevato cercando di sovrastare l’alta musica.

“Ti ho chiamato mille volte. Ti volevo presentare una mia amica, si chiama Kagome Higurashi e ha frequentato la Shonan Senior High School” annunciò sorridente Sango e vide la ragazza fare un sorriso tirato e porgergli la mano, Inuyasha rispose al sorriso e le strinse la mano così piccola e fredda rispetto alla sua che ritirò subito dopo come se si fosse scottata. Notò nel suo sguardo del timore che lo fece sospirare.

“Andiamo a ballare con queste due meravigliose donzelle, Inuyasha?” domandò Miroku, una mano posata sulla schiena nuda di Sango.

Inuyasha scosse il capo già sapendo che avrebbe fatto la fine del terzo incomodo. Con Miroku e Sango era sempre così, nonostante quelli non facessero altro che bisticciare e ripetere che tra di loro non c’era nulla se non una lunga amicizia continuavano a frequentarsi, ad essere gelosi se qualcuno ci provava ed andare a letto insieme. 

“Passo. Vengo più tardi se ti trovo ancora in giro” disse e Miroku mise un piccolo broncio cercando di far cambiare idea al suo migliore amico che tuttavia era irremovibile.

Rimasto solo terminò di bere il suo drink per poi appoggiarlo su un tavolino lì affianco e si incamminò alla ricerca di uno spazio dove poter respirare aria pulita e dare pace alle sue orecchie, zigzagando tra la folla che al contrario di lui desiderava andare a ballare.

Trovò infine un balcone e sorrise quando notò che era desolato. Avrebbe avuto la sua pace.

Aprì la porta che dava sul bancone e venne investito dall’aria fresca di marzo che l’avrebbe fatto rabbrividire se fosse stato un debole umano che non era. Sorrise al pensiero e tirò fuori dalla tasca dei pantaloni neri un pacchetto di sigarette. Lo aprì e tirò fuori una stecca osservando però con rammarico che quella fosse la penultima del pacco.

Si tastò il petto e le gambe alla ricerca di un accendino invano, imprecò a bassa voce maledicendosi per la sua dimenticanza. Era possibile che perdeva tutti gli accendini che comprava? Già si stava rassegnando alla sua impossibilità di fumare.

“Ti serve un accendino?” Inuyasha si voltò al suono della voce femminile, totalmente sorpreso di non aver avvertito la presenza già da prima.

Di fronte a lui c’era una ragazza. Era molto alta, quasi quanto lui, e portava dei lunghi capelli lisci neri come la pece che le ricadevano sulle spalle e sulla schiena. Indossava un lungo abito liscio rosa antico che si allacciava dietro al collo lasciando scoperta la schiena, ai piedi un paio di sandali neri con il tacco a spillo che riprendevano il colore della piccola pochette quadrata che reggeva con una mano.

Era bella, molto bella, probabilmente molto più bella di quella Higurashi, con le labbra carnose e piene colorate di una tonalità più scura della sua pelle che era chiara e sembrava brillare nella notte, gli occhi a mandorla erano sottili e scuri, truccati con abilità e maestria rendendo il suo sguardo ancora più profondo e sensuale.

La ragazza gli porgeva un accendino rosso ed Inuyasha lo prese ringraziandola con un sorriso. Con la mano sinistra chiusa a coppa si accese la sigaretta dando una profonda tirata. Un’intensa nuvola di fumo si sollevò nell’aria tra i due.

“Ne vuoi una?” gli chiese lui.

La ragazza scosse la testa “Io non fumo” e notando lo sguardo perplesso del ragazzo continuò “Mi porto sempre dietro un accendino nel caso servisse a qualcuno, specialmente se questo qualcuno è piuttosto bello” La ragazza si appoggiò alla ringhiera del balcone e Inuyasha fece altrettanto, lo sguardo rivolto verso la notte priva di stelle e le guance lievemente colorate.

“Io sono Kikyo” disse lei porgendogli la mano. Inuyasha notò come quella era la seconda volta nel giro di pochi minuti che stringeva la mano di una bella donna. 

“Inuyasha” si presentò lui “Non frequenti la Sengoku Senior”.

Kikyo scosse il capo “No, frequento la Ishikawa Senior. é una scuola femminile”.

Inuyasha annuì per poi rimanere in silenzio senza avere la più pallida idea di come continuare il discorso.

“Come mai sei qui tutto solo?” domandò allora Kikyo.

“Sinceramente questi non sono i luoghi che preferisco. E tu?”.

“Questi non sono i luoghi che preferisco” i due ragazzi ridacchiarono piano, il rimbombo della musica e delle urla dei ragazzi a fare da sottofondo.

“Preferisco di gran lunga stare a casa a leggere o a vedermi un bel film e se proprio devo uscire…”.

“…allora preferisco farmi una passeggiata in città o al parco, incontrarmi con gli amici al bar a chiacchierare e a divertirmi tranquillamente”.

“Vedo che la pensiamo allo stesso modo” disse poi Kikyo sorridendo ad Inuyasha.

“Credevo di essere l’unico a preferire le cose semplici alle serate in discoteca a sfasciarsi e a bere in quantità industriali. Il mio migliore amico è così, è un festaiolo”.

“A me mi hanno obbligata a venire le mie compagne di classe, altrimenti a quest’ora sarei rimasta in camera a continuare a piangere con Grey’s Anatomy”.

Inuyasha storse la bocca “Preferisco i telefilm come Supernatural”.

“Sei un mezzo demone?”.

Inuyasha si voltò verso la ragazza senza rispondere. Aveva il timore di affermare anche se la sua natura era piuttosto evidente, non voleva che quella ragazza come Kagome scappasse via intimorita di lui.

Annuì piano, quasi impercettibilmente e si sorprese quando Kikyo al posto di guardarlo inorridita gli sorrise teneramente.

“Hai dei bei capelli” gli prese una ciocca e se la portò vicino al braccio “é dello stesso colore della mia pelle”. 

Inuyasha ridacchiò “Effettivamente sei un po’ pallidina”.

Vide Kikyo avvicinarsi a lui, spostandosi con un delicato gesto della mano una ciocca di lunghi capelli corvini che le ricadevano sul bel viso di donna. Nonostante avesse la sua età sembrava molto più grande e questo lo affascinava.

“Ti va di andare via? In un posto un po’ più tranquillo e meno caotico di questo” chiese lei attorcigliandosi alle dita una ciocca dei capelli del ragazzo bianchi come la luna.

Inuyasha annuì silenziosamente, ammaliato dalla ragazza bella come una divinità e terribilmente sensuale con le sue labbra piene e i capelli lunghissimi. Aveva una terribile voglia di assaggiare quelle labbra e di passare una mano in quei capelli per avvertirne la consistenza.

Kikyo gli sorrise sensuale e gli prese la mano per poi trascinarlo all’interno della sala colma di ragazzi e sudore.

Al bar intravide Miroku ancora affiancato da Sango e Kagome,si avvicinò al trio ed avvertì l’amico del suo programma indicando poi la ragazza con cui se ne sarebbe andato via.

Miroku lanciò un’occhiata verso Kikyo per poi fare un lungo fischio di apprezzamento che fece ridacchiare Inuyasha ed infastidire Sango che gli diede un pizzico sul braccio facendolo sussultare.

“Va bene, ci vediamo domani” lo congedò Miroku per poi spingere via il mezzo demone verso la ragazza dai lunghi capelli corvini, intanto Kagome aveva assistito alla scena in completo silenzio e totalmente impassibile ma con un groppo alla gola e la pesantezza nel cuore.

Inuyasha aspettò che Kikyo si riprendesse la sua giacca di pelle nera e la aiutò ad indossarla dato che per gli esseri umani quella era una notte piuttosto fredda.

“Dove andiamo?” domandò lei.

“Conosco un posto davvero niente male dove fanno dei dolci fantastici. é sempre aperto, fino alla mattina successiva ma fanno dei cupcakes eccezionali” esclamò Inuyasha, la mente già in direzione dei dolci americani.

Kikyo ridacchiò “E allora portami da questi cupcakes, mio bel mezzo demone” disse aggrappandosi al suo braccio facendo arrossire Inuyasha mentre il suo cuore prendeva a battere furiosamente ed una strana emozione si fece largo in lui, per la prima volta si sentiva accettato da una donna nonostante la sua visibile stranezza.

Dopo tutto non era stata una cattiva idea partecipare ad una festa di cui gli interessava ben poco.

 

 

 

 

Quando hai ventiquattro anni… (SENTIRSI SOLI)

 

“Non potete farmi questo” esclamò Inuyasha sbattendo i pugni sul ripiano del tavolo, totalmente alterato con i suoi genitori e sulla loro folle idea.

“Voi non potete lasciarmi da solo in questa casa” continuò.

“Inuyasha, ti rendi conto che hai ventiquattro anni e ti stai comportando come un bambino?” domandò il padre, un sopracciglio inarcato guardando scettico il proprio figlio minore.

“é soltanto per qualche giorno e poi non sei da solo, c’è Sesshomaru con te” disse la madre cercando di rincuorare il figlio.

“Appunto!”.

“Ti stai comportando da egoista infantile, Inuyasha. Io e tua madre abbiamo già prenotato per il volo e l’alloggio, non stiamo chiedendo il tuo consenso ma ti stiamo solamente avvisando che da domani non ci saremmo per un po’”.

Inuyasha sbruffò incrociando le braccia e lasciandosi cadere sulla sedia, il viso voltato da un lato e sentendosi terribilmente tradito dai suoi genitori.

“È solo per una settimana” Izayoi si sedette affianco al figlio prendendogli le mani “Vedrai che non ti accorgerai nemmeno della nostra assenza”.

“E cerca di non litigare con Sesshomaru mentre noi non ci siamo. Non fate come l’altra volta che avete distrutto il divano e il mio televisore”.

Inuyasha sbuffò sonoramente alzando gli occhi al cielo. Odiava quando i suoi genitori gli parlavano come se fosse ancora un bambino “E dov’è che andrete di grazia?”.

“Andremo in Italia!” esclamò Izayoi alzandosi in piedi ed andando ad abbracciare il marito, visibilmente contenta ed emozionata “Faremo uno scalo a Mosca per poi ripartire per l’Italia”.
“Andremo a Roma e poi a Napoli” continuò Inu.

“Visiteremo ogni singolo monumento, poi mangeremo sempre italiano e faremo shopping”.

“Andremo al mare, compreremo tanti souvenir per te e Sesshomaru e poi…”.

“E poi ci rotoleremo tra le lenzuola come ai bei vecchi tempi” Izayoi approfittò del rossore del marito per baciarlo con trasporto, aggrappandosi a lui come una bambina nonostante la sua non più giovinezza di un tempo.

“Che schifo!” sbottò Inuyasha alzandosi in piedi cercando di non guardare i proprio genitori mentre amoreggiavano “Se proprio ci tenete a fare cose zozze fatele in camera vostra, non in cucina, ma in silenzio che non mi va di sentirvi”.
“Come se tu e Kikyo siete silenziosi mentre lo fate” rimbeccò Izayoi mostrando al figlio la lingua sotto lo sguardo divertito del marito.

Inuyasha terribilmente imbarazzato scappò dalla cucina borbottando insulti verso la madre impicciona.

 

Da quando Inu e Izayoi No Taisho avevano lasciato la propria abitazione con vari bagagli, un sorriso sulle labbra e le solite raccomandazioni, la casa era stranamente silenziosa.

Inuyasha non era abituato a tutto quel silenzio, in qualsiasi momento della giornata c’era sempre un vociare concitato e rumore di stoviglie e padelle in sottofondo accompagnate dalla musica rock che proveniva dalla sua camera oppure c’erano le urla e i suoni di lotta tra lui e Sesshomaru mentre la loro madre dalla cucina gli urlava di smetterla altrimenti avrebbero saltato la cena, lo ripeteva sempre anche se ormai non erano più tanto piccoli da rimanere terrorizzati da quella minaccia.

Faceva zapping al televisore, sdraiato sul divano con in dosso una tuta ed una felpa rossa mentre sgranocchiava cibi poco sani, l’aria di chi si stava annoiando a morte.

Alzò lo sguardo verso l’orologio a muro e notò come fossero quasi le sei del pomeriggio, mamma e papà dovevano essere in aereo già da tre ore e già sentiva la loro mancanza.

Sbuffò annoiato, in tv come al solito non veniva trasmesso nulla di decente tranne programmi scemi e anime ancora più scemi. Non c’erano più gli anime di una volta.

Recuperò allora il suo computer portatile, togliendo il volume al televisore, intenzionato a guardarsi un film per passare il tempo. Aveva optato per Scary Movie per farsi un po’ di risate.

Era solo quel giorno, Miroku aveva da fare con Sango mentre Kikyo era impegnata con il lavoro. Era appena entrata nel suo ruolo di avvocatessa di successo e stava lavorando ad un caso di pluriomicidio con una motosega e dell’acido muriatico, avrebbe dovuto essere l’avvocato difensore dell’assassino e doveva trovare un modo per scagionarlo dall’imminente ergastolo nonostante quella situazione le facesse ribrezzo.

Stavano insieme da cinque anni lui e Kikyo, dopo quell’incontro alla festa dei diplomati erano usciti spesso insieme ma solamente dopo quasi un anno di frequentazione si erano decisi ad ufficializzare la cosa. Con Kikyo stava davvero bene, gli piacevano le stesse cose ed amavano le cose semplici ma la cosa più importante era che per la prima volta si sentiva finalmente a suo agio con sé stesso e con la sua natura. Non disdegnava più i suoi artigli o le sue orecchie canine e non si vergognava più di mostrarsi alle persone come mezzo demone, con Kikyo poteva comportarsi come il suo istinto di mezzo animale gli chiedeva. Alle volte capitava che addirittura giocassero a palla insieme, lei gli lanciava una pallina e lui correva a riprenderla per poi riportargliela ai suoi piedi come un bravo cane fedele e Kikyo gli passava una mano tra i capelli e lui non poteva fare altro che godersi quella bella sensazione.

Ma, c’era un ma, capitava alle volte che mentre erano insieme a letto in intimità il lato demoniaco di Inuyasha, durante un amplesso piuttosto sentito ed eccitante, prendeva il sopravvento cambiandogli il suo aspetto e questo terrorizzava Kikyo. Quando ciò accadeva la ragazza si allontanava e si rannicchiava in un lato del letto, totalmente avvolta dalle lenzuola, lasciando il proprio fidanzato eccitato e rammaricato.

Kikyo gli aveva spiegato che nonostante non avesse nulla contro i demoni o i mezzi demoni, i primi la terrorizzavano poiché spesso agivano senza alcuna ragione commettendo anche atti terribili ed aveva paura che ad Inuyasha potesse accadere la stessa cosa.

Inuyasha si sentiva terribilmente in colpa e da quando questo era accaduto per la prima volta era passato da odiare la sua natura umana a disprezzare invece quella demoniaca.

Aveva confessato a Kikyo che a volte desiderava diventare un essere umano cosicché lei non avrebbe più avuto paura di lui ed avrebbero potuto continuare a vivere insieme con tranquillità ed armonia.

Sentì dei passi scendere frettolosamente la scala a chiocciola per poi far comparire la figura di Sesshomaru vestito con un abito da sera e profumato di colonia maschile che per poco ad Inuyasha non gli venne da vomitare.

“Esci?” gli chiese, gli occhi puntati sullo schermo del computer dove si svolgeva il film.

Il fratello maggiore rispose con un solo grugnito e si rimirò allo specchio affianco alla porta di ingresso, si aggiustò la giacca blu che indossava eliminando le probabili pieghe presenti.

Probabilmente suo fratello sarebbe uscito con Rin, una ragazza umana di vent’anni che frequentava l’università di lettere e che stranamente adorava Sesshomaru, compreso il suo temibile gelo. Quando scoprì che suo fratello si sentiva con una ragazza per poco non gli venne un infarto.

Inuyasha esultò mentalmente, avrebbe avuto la casa tutta per sé.

Dovette stoppare il film poiché il telefono di casa incominciò a squillare ininterrottamente.

Con uno sbuffo si alzò dal comodo divano, scostando da sé il computer e il contenitore di plastica che conteneva degli onigiri surgelati ormai vuoto.

“Poi pulisci il divano dalle eventuali briciole” borbottò Sesshomaru facendo roteare gli occhi al fratello minore. Era sempre così maledettamente preciso, ordinato e perfetto.

Con il telefono in mano, rispose in malo modo al disturbatore della sua quiete.

“Sto parlando con Taisho?” una voce maschile roca e tremante rispose dall’altro lato della linea.

Inuyasha corrucciò le sopracciglia “Chi sta cercando di preciso?”.

“I familiari di Inu ed Izayoi No Taisho”.

Inuyasha si fece attento, incuriosito da quella strana ricerca “Sono il figlio” rispose, allora.

Ci fu un cambiamento nell’aria che Sesshomaru captò immediatamente, affinò l’udito cercando di concentrarsi sul mittente della chiamata e sulle emozioni del fratello che divenne agitato.

Vide Inuyasha spostare gli occhi su di lui, due occhi dorati spalancati e tremanti, lucidi di probabili lacrime, una mano stringeva la stoffa della sua felpa all’altezza del cuore che batteva veloce, pompando sangue senza freni.

Se non sapeva che era un mezzo demone, Sesshomaru era convinto che avrebbe avuto a momenti un attacco di panico.

Corrucciò anche lui leggermente le sopracciglia, una sottile e piccola ruga che deturpava il suo bel viso perfetto e delicato.

Inuyasha balbettò dei ringraziamenti, terminò la chiamata per poi accasciarsi a terra in un pianto disperato fatto di grida e di maledizioni, Sesshomaru gli si avvicinò totalmente insofferente alla reazione del fratello.

Inuyasha alzò il capo, il viso sconvolto e distorto dalla sofferenza, le guance bagnate di lacrime, una mano che passava incessantemente con nervosismo tra i lunghi capelli argentei mentre invocava il nome di un dio che probabilmente non l’avrebbe mai ascoltato.

Guardandolo dall’alto, Sesshomaru toccò piano il fratello con un piede per incitarlo a parlare e quello che sentì successivamente gli sconvolse la vita.

“Sono morti. Tutti e due”.

 

Erano passati tre giorni da quella fatidica chiamata, tre giorni di continue ricerche e dopo di questi finalmente il ritrovamento di quei due corpi tra tanti con gravi bruciature dal colore cianotico, labbra bianche e mani raggrinzite.

Una strana esplosione, un mal funzionamento del motore molto probabilmente, aveva avvolto l’aereo diretto a Mosca con una lingua di fuoco che lo fece precipitare da quindici mila metri di altezza per poi sprofondare in mare a pochi chilometri dal confine con la Russia. Molti morti e dispersi, pochi ritrovamenti. Famiglie a pezzi, grida di dolore, volti sconvolti dalla disperazione.

La polizia aveva consegnato i corpi di mamma e papà ai figli per potergli dare una degna sepoltura, sotto lo sguardo sconvolto di Inuyasha e quello impassibile di Sesshomaru.

Quello era un giorno dove il sole splendeva alto in un cielo limpido e privo di nuvole, quella era la vita che si prendeva gioco delle persone che soffrivano per la perdita dei loro cari in modo così inaspettato ed improvviso da sconvolgerli. Non si riesce mai ad accettare una morte prematura.

Un gruppo di persone vestite di nero, le mani chiuse in una preghiera ed il capo chino erano in piedi attorno ad una grande fossa riempita con una grande bara candida dalle rifiniture dorate. Lì giacevano per l’eternità Inu ed Izayoi No Taisho, insieme nella vita così come nella morte per sempre.

Il sacerdote che predicava la sua messa per il lutto sotto gli occhi lucidi dei presenti, i pianti ed i singhiozzi, sotto il sole che non cessava di splendere.

Erano presenti amici e conoscenti di mamma e papà, i nonni e le sorelle di mamma, ex compagni di classe, colleghi di lavoro.

Sesshomaru indossava il suo abito nero migliore, i lunghi capelli svolazzavano spinti da una leggera brezza autunnale, il volto totalmente indecifrabile affiancato da Rin che indossava un kimono grigio e nero e si aggrappava alle possenti braccia del demone, gli occhi nocciola tremolanti puntanti sulla bara.

Inuyasha sembrava non essere nel presente, la mente che volava via chissà dove, il volto freddo ed imperterrito di chi aveva versato tutte le sue lacrime, ancora sconvolto dalla perdita che non riusciva ad accettare, che non voleva farlo.

Chiuso in sé stesso erano tre giorni che non mangiava e non parlava nonostante l’affetto degli amici e della fidanzata che gli erano vicini.

Kikyo era affiancata da Sango che pianse lacrime silenziose, Miroku appoggiò una mano sulla spalla dell’amico mezzo demone senza rivolgergli la parola e né osservarlo, un semplice gesto per fargli capire che se aveva bisogno lui c’era, era lì al suo fianco. Ma in quel momento l’unica cosa di cui aveva bisogno era l’abbraccio caloroso di mamma e papà, delle loro risate e del loro amore. Voleva rivedere sua madre ai fornelli intenta a cucinare i migliori dorayaki che avesse mai assaggiato, solo per far felice lui e Sesshomaru, voleva rivedere suo padre tornare dal lavoro stanco ma felice, voleva vederli mentre si baciavano e si abbracciavano, scambiandosi quelle effusioni così preziose dopo tutti quei anni di matrimonio, voleva sentire la voce calda di sua madre che lo faceva sempre sentire meno solo e meno inadeguato, voleva sentire l’orgoglio di suo padre e della sua mano che gli scombinava i capelli, voleva parlare con loro, cenare tutti insieme, guardare con loro un film. Ma non avrebbe più potuto fare nessuna di quelle cose. Si ricordò che non li aveva nemmeno salutati quando erano partiti, erano così felici ed entusiasti per quella vacanza per i loro venticinque anni di matrimonio. Venne percosso da una dolorosa stretta al cuore.

Intanto il prete stava terminando la sua funzione mentre i presenti gettarono sulle bare bouquet di fiori splendidi e colorati tra i singhiozzi e i gemiti. Vide Sesshomaru affiancato da Rin, gettare un ramo di fiori di ciliegio e gli venne da ridere, lui che aveva sempre dimostrato di non tollerare sua madre si era ricordato dei suoi fiori preferiti.

Anche Miroku e Sango lanciarono sulla bara due mazzi di fiori lilla così come Kikyo. Lui invece non si mosse, le braccia conserte e lo sguardo perso nel vuoto, la mente lontana dal presente.

I suoi genitori gli avevano mentito, se lo ricordava benissimo quel giorno. Fu come un flashback, l’immagine di lui da bambino con il volto dolce ed infantile i capelli corti e le maledette orecchie in perenne movimento, le guance bagnate di lacrime e un dolore all’altezza del cuore perché Sesshomaru gli aveva raccontato che i mezzi demoni non li voleva nessuno, che nessuno li avrebbe amati e che avrebbero vissuto per sempre da soli, cattiverie che portarono il piccolo Inuyasha in un pianto disperato e preoccupato.

Era accucciato nel suo letto, le lenzuola tirate fino al mento e il corpicino ancora scosso dai singhiozzi mentre la mamma gli era seduta accanto a parlargli con quella voce dolce che tanto amava, con il suo profumo che lo rassicurava, gli occhi belli e luminosi e gli infiniti capelli neri che le ricadevano sempre sul viso. Dietro di lei era presente la figura autoritaria di suo padre, lo sguardo serio e le braccia conserte, gli sembrava l’essere più forte del mondo, imbattibile che nemmeno Goku e Vegeta sarebbero riusciti a sconfiggerlo. E allora sua madre accarezzandogli il capo gli aveva sussurrato che Sesshomaru si sbagliava, che ci sarebbe stato qualcuno disposto ad amarlo, che non sarebbe mai stato da solo perché anche se tutti gli avrebbero voltato le spalle, mamma e papà sarebbero stati sempre al suo fianco ad incoraggiarlo e sostenerlo perché lo amavano tantissimo. Non lo avrebbero mai abbandonato. Gli avevano mentito perché se n’erano andati, lo avevano lasciato da solo in mondo crudele e spietato dove non si sentiva accettato e amato abbastanza, dove chiunque gli poteva voltare le spalle e loro non sarebbero stati lì per lui perché se n’erano andati, questa volta non li avrebbe rivisti mai più e il dolore al petto si intensificò facendolo crollare in ginocchio tra l’erba brillante e le margherite sotto lo sguardo di tutti i presenti ma non importava, nessuno poteva comprendere il suo dolore. Poi chiuse gli occhi, Miroku e Kikyo che chiamavano il suo nome a gran voce, ma non interessava poiché nella sua mente comparvero i bei volti sorridenti di mamma e papà e questo bastava.

 

 

 

 

Quando hai ventisei anni… (RINCONTRARSI)

 

Si svegliò nuovamente, la schiena che gli faceva male per via della posizione scomoda e cercò di allungare il proprio corpo per quanto gli concedeva lo spazio ristretto in cui si ritrovava. Al suo fianco russava una vecchia giapponese a bocca aperta, gli occhialini appesi alla sua maglia floreale e il libro chiuso sulle sue ginocchia, un dito che teneva il segno.

Spostò il suo sguardo fuori dall’oblò, era sera inoltrata e in mezzo a tutta quell’oscurità brillavano infinite luci giallastre, fari di macchine in coda e poi le luci della torre di Tokyo che si ergeva con fierezza e maestosità nella città.

Gli era mancata Tokyo, la sua Tokyo, e non vedeva l’ora di rimetterci piede dopo tanto tempo, di gustarsi degli oden decenti e un vero anime inoltre gli mancava la sua cultura e la sua lingua e potersi comportare come un vero giapponese in mezzo a tanti giapponesi. Gli mancava addirittura il suo amico Miroku. Gli scappò una piccola risata al pensiero che a momenti lo avrebbe rivisto, lo aveva stressato con chiamate e messaggi per sapere con precisione quando sarebbe ritornato dato che voleva festeggiare come se avessero ancora dieci anni di meno.

Era passato un anno da quando aveva preso la decisione di partire, di respirare un’aria diversa e di condurre per un po’ di tempo una vita differete lontano dalla sua quotidianità e di tutti i problemi che essa comportava. Dopo la morte dei suoi genitori le cose non erano andate molto bene, chiuso in sé stesso non faceva altro che litigare con tutti, la sua acidità lo portava ad attaccare anche le persone a lui più care per cose di poco conto. Litigava con Sesshomaru e la situazione in casa era insopportabile, litigava con Miroku ed erano finiti con l’alzare le mani ed infine aveva litigato con Kikyo che stanca della sua depressione lo aveva abbandonato rendendolo più amareggiato ed afflitto.
New York era stata la scelta migliore, un’altra metropoli dall’altra parte del mondo dove non conosceva nessuno ed avrebbe potuto ricominciare da capo. Aveva amato New York, si era divertito molto ma niente è come casa, si era riconciliato con Miroku e sperava che il rapporto con Sesshomaru sarebbe presto cambiato dato che ora erano rimasti soli, aveva provato a contattare Kikyo e farla ragionare spiegandole come si sentiva e quello che stava passando ma la ragazza non aveva voluto sentire ragioni, inoltre aveva detto di essere troppo impegnata con il lavoro per pensare anche ai suoi di problemi. Gli era crollato il mondo, era l’ultima certezza che gli era rimasta, l’ultima che gli dava la sicurezza che anche lui poteva essere amato e invece come tutti se n’era andata lasciandolo solo come un cane ma New York gli aveva tirato su il morale e l’aveva reso più forte e più indifferente alle delusioni.

L’aereo si preparò al decollo, una voce meccanica consigliò ai passeggeri di allacciarsi le cinture di sicurezza e di spegnere i cellulari ed altri eventuali apparecchi elettronici, Inuyasha fece come detto mentre nel petto una strana agitazione nasceva.

L’atterraggio fu tranquillo suscitando numerosi sospiri di sollievo da parte dei passeggeri entusiasti di poter finalmente abbandonare il proprio posto e sgranchirsi le gambe dopo tante ore di volo, il secco rumore delle ruote per l’atterraggio che venivano azionate fecero sobbalzare la signora accanto ad Inuyasha che fece cadere ai suoi piedi il libro perdendo così il segno.

Una volta fuori dall’aereo un vento freddo colpì in pieno viso il mezzo demone che si strinse meglio nel suo cappotto, camminò tra futuri passeggeri o quelli che erano appena tornati e familiari e amici, con una mano trascinava il suo trolley nero pesante per la grande quantità di indumenti che conteneva, per pochi grammi non aveva pagato la penale.

Con lo sguardo cercò di individuare il proprio migliore amico mentre il continuo vociare di persone gli occupavano l’udito. Ed eccolo lì, in jeans e cappotto avvolto in una sciarpa bianca reggeva tra le mani un cartello su cui era scritto Cercasi Cucciolo di Mezzo Demone Disperso a New York, scosse il capo esasperato. Miroku non sarebbe mai cambiato, era sempre il solito scemo ma in fondo gli voleva bene così com’era.

Appena l’umano si accorse della presenza di Inuyasha gridò un’esclamazione di gioia per poi corrergli incontro, gli saltò in braccio neanche fosse la sua amante e lo baciò per tutto il viso, si sentiva terribilmente imbarazzato ma sembrava che questo a Miroku non interessasse nonostante un gran numero di persone li stessero guardando tra risatine e rimproveri, alcuni invece scattavano fotografie.

“Amore mio, sei ritornato! Come mi sei mancato, non stare mai più così tanto tempo lontano da me” disse Miroku parlando con un tono più acuto ed effeminato, Inuyasha lo gettò per terra facendolo imprecare.

“Cosa diavolo stai combinando, tesoro?” disse poi il mezzo demone, le braccia incrociate ed un sopracciglio inarcato guardando l’amico dall’alto al basso.

Miroku si massaggiava il proprio sedere addolorato “Questo culo è patrimonio nazionale, è reato danneggiarlo in questo modo” Inuyasha alzò gli occhi al cielo esasperato.

Il ragazzo umano con un sorriso recuperò la valigia di Inuyasha, portò un braccio attorno il collo dell’amico prendendo poi a camminare in direzione dell’uscita dell’aeroporto tra racconti di aneddoti simpatici e risate, finalmente riconciliati dopo un anno di separazione.

Inuyasha si rese conto che nonostante il passare del tempo le cose non erano affatto cambiate. Tokyo era rimasta la caotica città che ricordava, talmente ricca di luci e rumore da far fatica anche a pensare, ancora persisteva quel ristorante di okonomiyaki all’angolo della stazione dove si recava sempre assieme a Miroku quando ancora erano entrambi liceali. Il suo amico umano non era affatto cambiato, era rimasto il solito festaiolo amante delle belle donne e le belle cose, super ordinato e pulito da risultare quasi maniacale e ciò lo si poteva constatare dallo splendore della sua macchina che nonostante abbia qualche anno odorava di nuovo e fresco.

“Non si fuma nella mia macchina” sbottò infatti quando vide Inuyasha prendere una stecca dal suo pacchetto americano.

“Apro il finestrino”.

“Non se ne parla. Sango odia la puzza di fumo e non mi va di discuterci per una scemenza del genere”.

Inuyasha sbuffò scocciato, ripose il proprio pacchetto e mostrò un sorriso malizioso all’amico che seduto sul posto del guidatore ingranava la marcia per poi sfrecciare via, superando qualche taxi e ragazzini sui motorini con la sua guida spericolata che spaventava un po’ il mezzo demone.

“Allora con Sango le cose si stanno facendo serie” disse allora Inuyasha passandosi una mano tra i capelli argentei molto più corti rispetto ad un anno prima.

“Ti sei tagliato i capelli” osservò Miroku guardando l’amico per qualche secondo per poi spostare gli occhi nuovamente sulla strada “E comunque tra me e Sango non c’è niente di serio. Siamo ancora come quando frequentavamo il liceo”.

“Sono anni che state sempre insieme, lei conosce tua madre e te conosci la sua famiglia, andate a letto insieme da una vita e ancora non avete deciso di mettervi insieme? Insomma, la tua regola numero uno è sempre stata mai la stessa donna più di una volta, è chiaro che Sango è la tua eccezione quindi deve per forza significare qualcosa”.

Miroku sospirò piano scuotendo la testa, lo sguardo sempre puntato sulla strada per poi imprecare calorosamente contro un vecchio in bicicletta che gli aveva tagliato la strada.

Era quasi notte, il cielo si stava oscurando e il sole tramontava verso l’orizzonte, fuori il freddo era pungente colpendo tutti i cittadini che si apprestavano a camminare lungo i marciapiedi di Tokyo avvolti in pesanti cappotti e sciarpe. La grande metropoli era decorata in festa dato che Natale era vicino, numerosi luci bianche illuminavano la strada e si avvolgevano attorno ai tronchi degli alberi, le vetrine dei negozi erano tutte abbellite con neve finta e lustrini dorati e rossi mentre dai balconi delle palazzine erano appesi Babbi Natale, renne e altre luci donando alla città ancora più luce ed uno strano calore che riempiva i cuori e che rendeva felici. Fin da bambino aveva sempre amato il Natale, anche se la sua famiglia non era cristiana, tuttavia era una festività dove tutti diventavano più buoni ed amava vedere la propria città diventare così illuminata e colorata. Il Natale lo metteva di buon umore e amava passarlo assieme alla propria famiglia anche con quell’odioso di Sesshomaru, amava scartare i regali e mangiare fino a scoppiare. Per quell’occasione sua madre preparava un brodo caldo con una strana pasta chiamata passatelli e poi seguiva un grande e grasso tacchino arrosto condito con patate al forno, rosmarino e qualche spicchio di aglio per dare maggiore sapore e ovviamente non poteva mancare il dolce, il dolce più buono che avesse mai assaggiato in tutta la sua vita, un tortino ripieno di caldo cioccolato fondente che gli bruciava sempre la lingua. Sorrise a quel dolce ricordo.

Il Natale che era seguito dopo la perdita dei suoi genitori non era stato di certo uno dei migliori. La famiglia di Kikyo non festeggiava il Natale ma lei aveva proposto di passare comunque la giornata insieme, intuendo che il ragazzo in quell’occasione si poteva sentire più solo del solito ma avevano finito con il litigare ed alzare la voce. Kikyo se n’era andata gridando che non sopportava più il suo comportamento scorbutico e pessimista, lasciandolo da solo nella sua casa piena di ricordi felici ma priva dei suoi amorevoli genitori.

Sesshomaru non c’era dato che festeggiava assieme a Rin e finì per ubriacarsi da solo nel salone di casa sua, sdraiato sul divano ascoltando canzoni deprimenti e una bottiglia di sakè in mano con una pesantezza sul cuore. Si sentiva incredibilmente solo.

“Stiamo bene così, non vogliamo complicare la nostra relazione con qualcosa di più grande ed impegnativo” la voce di Miroku lo risvegliò dai suoi pensieri che lo avevano reso malinconico e triste.

“L’hai più sentita?” domandò ancora l’amico e Inuyasha già sapeva a chi si riferisse quindi scosse il capo silenzioso creando uno sbuffo da parte di Miroku.

“Non importa. Ho detto a Sango che appena saresti tornato saremmo andati al Yoro Pub il pub di Koga, ha preso un pub sai?, le ho detto di portarsi un’amica in modo tale da non farti fare il terzo incomodo che odi”.

“A chi piace fare il terzo incomodo? Comunque in verità volevo riposarmi dato che ho fatto quasi tredici ore di volo accanto ad una vecchia che ha sempre russato e non so se hai mai provato l’ebbrezza del fuso orario. Sono partito che a New era sera e arrivo a Tokyo che è sera. In tredici ore non ho ancora visto il sole”.

“Ripeti con me Inuyasha: Carpe Diem. Si vive una volta sola e ci si riposa solamente quando si arriva alla tomba perciò starai con me, Sango e la misteriosa ragazza che ti vogliamo fare conoscere. Mi ha detto che è molto bella anche se è un po’ bassina”.

“Non ho bisogno di una ragazza”.

“Ma hai bisogno di scopare. Da quanto tempo non vai a letto con una?” Inuyasha fece per pensarci. A New York si era divertito ma non in quel senso, dopo Kikyo faticava ad avvicinarsi ad una donna tranne quando era nella sua forma umana.

“Ci stai pensando ciò significa che è passato troppo tempo. Te la porti a letto e poi non la vedrai mai più, che ti frega?”.

Inuyasha sospirò, con Miroku era una battaglia persa.

 

Il Yoro Pub era un locale dalle luci soffuse, i tavoli erano in legno con poltroncine rosse, alle pareti erano esposte scene di film esteri famosi e personaggi altrettanto famosi, alcune colonne sorreggevano il soffitto ed erano decorate con scritte di frasi celebri con una tinta bianca. Era un luogo tranquillo nonostante i numerosi clienti, dove ci si poteva rilassare con una birra alla spina, qualche panino americano e le chiacchiere con gli amici accompagnati da una lieve musica di artisti degli anni passati che hanno formato la storia. 

Il proprietario era Koga, un demone lupo che Inuyasha e Miroku conoscevano dai tempi del liceo. A quei tempi lui ed Inuyasha non andavano molto d’accordo a causa della loro natura che li portava sempre a litigare ed alzare le mani, a causa sua Inuyasha aveva ricevuto due sospensioni al secondo ed al quarto anno tuttavia con la crescita i bollenti spiriti si erano acquietati ed erano finiti con l’essere amici anche se discutevano spesso comunque.

“Inuyasha!” esclamò Koga intento a servire due birre a due ragazzi seduti ad un tavolo, sorridendo dalla sorpresa al mezzo demone.

Inuyasha gli sorrise di risposta andando ad abbracciare l’amico seguito da Miroku che si guardava intorno cercando qualcuno.

“Quando sei tornato?” gli chiese il demone lupo.

“Mezz’ora fa”.

“Bisogna festeggiare. Ordinate quello che volete, offro io”.

Intanto Miroku aveva trovato quello cercava, prese Inuyasha per un braccio e lo trascinò verso un tavolo occupato da due ragazze.

“Inuyasha!” esclamò una delle due ragazze dai lunghi capelli castani raccolti in una coda di cavallo, un paio di jeans larghi terminanti con un piccolo risvolto e consumati abbinati ad una maglietta bianca dallo scollo profondo ed un blazer del medesimo colore, ai piedi un paio di scarpe argentate.

Sango più bella di come se la ricordava si alzò dalla sua postazione e corse ad abbracciare il mezzo demone che se non fosse stato per i suoi riflessi soprannaturali si sarebbe ritrovato per terra con il sedere dolorante.

“Ti sei tagliato i capelli, sei più figo di quanto ricordassi e ti sei anche abbronzato, sei vestito bene, hai un orecchino e sei informa. New York ti ha fatto bene”. Inuyasha ridacchiò mentre Miroku lanciava occhiate gelose verso la ragazza.

“E mi sono fatto anche un tatuaggio” esclamò Inuyasha soddisfatto.

“Dove? Fammelo vedere”.

“Non posso, è in un posto segreto” ammiccò il mezzo demone strizzandole l’occhio, Sango sorrise guardandolo con malizia.

“Ciao anche a te, Sango” si intromise Miroku, stufo di non essere preso in considerazione.

“Ci sei anche tu? Non me n’ero accorta” Sango gli mostrò la lingua mentre Miroku finse una risata per poi mettere il broncio. Inuyasha per poco non scoppiò a ridere.

“Inuyasha ti voglio presentare una mia amica, non so se te la ricordi ma vi siete visti anni fa alla festa dei diplomati” e mentre diceva questo la seconda ragazza che per tutta la scena del riconciliamento era rimasta seduta al suo posto continuando a sorseggiare una birra media chiara mostrando loro solamente le spalle e dei capelli corvini lunghi poco più delle spalle, si voltò verso i due ragazzi mostrando loro il suo viso. Inuyasha perse un battito alla vista di quel volto già conosciuto e che da sempre lo aveva attratto, tuttavia non aveva riconosciuto l’odore probabilmente coperto da uno di quei prodotti chimici di qualche marca famosa che va tanto di moda.

Kagome Higurashi puntò i suoi grandi occhi grigi su di lui truccati con un semplice mascara, le labbra piccole ma piene si estesero in un dolce sorriso e le guance si colorarono di un chiaro rossore, due piccole fossette comparvero ai lati della bocca rendendo quel viso ancora più dolce e delicato. La ragazza era avvolta in una pelliccia grigio perla ed indossava un paio di jeans strappati con un paio di basse Dr. Marteins nere.

Kagome porse la mano ad Inuyasha e quello titubante la prese continuando ad osservare la ragazza con un certo sospetto aspettando quasi con timore quella smorfia di disgusto e terrore che aveva sempre mostrato in sua presenza tuttavia questa non venne mai mostrata, continuò a persistere quel dolce sorriso e le fossette sul suo viso lasciando Inuyasha in uno stato confusionale.

Sango riprese posto accanto a Kagome e Miroku la seguì posizionandosi di fronte a Sango lasciando a Inuyasha l’unico posto libero davanti alla nuova ragazza.

Ordinarono panini americani accompagnati da patatine fritte e alette di pollo con un boccale di birra artigianale da dividere insieme chiacchierando di argomenti divertenti e simpatici, Inuyasha raccontò della sua vita a New York e delle numerose esperienze che aveva vissuto, della confusione della metropolitana e della sua multi etnicità, dei numerosi Mc Donald e Starbucks, dell’ Empire State Building, del panorama visto dalla cima della Statua della Libertà, della bellezza di Central Park e dei numerosi musei che aveva visitato, dell’inglese che finalmente era riuscito ad imparare e tanto altro mentre i suoi amici lo ascoltavano con attenzione come rapiti dai suoi racconti.

“Deve essere stata una bella esperienza” disse Kagome gli occhi puntati su Inuyasha che, un po’ a disagio, con un espressione seria annuì facendo sorridere la ragazza.

“Ho finito la birra. Ne vado ad ordinare un’altra” disse Sango alzandosi.

“Ti accompagno” Miroku si alzò di conseguenza seguendo Sango verso il bancone del pub dove un sorridente Koga si destreggiava tra i cocktail per far colpo su una ragazza dai capelli rossi, lasciando soli Inuyasha e Kagome. Tra i due calò un pesante silenzio dovuto dall’imbarazzo di lei ma anche dalla diffidenza di lui.

Lui e Kagome si erano visti solamente due volte ed in entrambe la ragazza aveva fatto capire di non apprezzare i mezzi demoni e di avere paura di loro, invece ora era lì di fronte a lui con un piccolo sorriso sulle labbra, le guance ancora rosse e avvolta nella sua pesante pelliccia, e per tutto il tempo non aveva mostrato alcun segno di paura o disprezzo nei suoi confronti. Era confuso e non la capiva.

“È vera?” chiese infine lui, interrompendo finalmente quel pesante silenzio indicando la pelliccia della ragazza.

Kagome sembrò risvegliarsi dai suoi pensieri e puntò i suoi occhi chiari sul mezzo demone “Ovvio che no. Sono contraria alle pellicce vere”.

Inuyasha annuì piano per poi dare un sorso alla sua birra e fregare qualche patatina dal piatto di Miroku ricoperte di ketchup e maionese.

Inuyasha stava ancora masticando quando la ragazza lo chiamò, lo sguardo basso e le dita che giocherellavano con il ciondolo attaccato al suo cellulare.

“Ti volevo chiedere scusa. Non so se ti ricordi ma volevo comunque chiedere il tuo perdono”.
“Per cosa?” sbottò infine lui dopo un attimo di silenzio “Per esserti comportata come una stupida, per avermi guardato come se fossi l’essere più schifoso e terrificante della Terra?”.

Kagome alzò lo sguardo incatenando i suoi occhi su quelli dorati del ragazzo di fronte a lei che ancora mangiava le patatine rimaste all’amico assente “Ero solo una ragazzina…” incominciò a dire.

“Anche io ero solo un ragazzino. Tuttavia il tuo comportamento mi ha fatto stare male, davvero. Per la prima volta ho iniziato a sentirmi inadeguato arrivando ad odiare me stesso e la mia natura e tutt’ora condivido la mia vita con questo odio. Ovviamente la colpa non è solo tua, non sei l’unica a disprezzare i mezzi demoni”.

“Io non disprezzo i mezzi demoni”.

“E allora perché mi hai sempre guardato in quel modo? Con quel terrore e quella paura. Perché non ti sei seduta al mio fianco in metropolitana, il primo giorno alle medie tanti anni fa?”.

Kagome era titubante ed agitata, non sapeva come rispondere. Quando Sango le aveva proposto di andare a mangiare al Yoro Pub inizialmente non aveva accettato, era da poco uscita da una lunga relazione con Hojo e non aveva voglia di vedere nessuno, tuttavia l’amica le aveva detto che era per festeggiare il ritorno di un amico di Miroku, un certo Inuyasha che per un anno era stato a New York, solo in quel momento aveva accettato. Ci teneva davvero a farsi perdonare da quel ragazzo che non aveva mai avuto modo di conoscere ma che tuttavia sapeva di essersi sempre comportata male nei suoi confronti ma non poteva dirgli la verità, l’avrebbe presa per pazza.

“Non lo so…” sussurrò poi.

Inuyasha prese un sorso dalla sua birra per poi sbatterla rudemente sul tavolo facendo sussultare la ragazza.

“Scusami” sussurrò ancora.

“Le tue scuse non cambieranno la mia natura” Kagome guardò sorpresa Inuyasha.

Sapeva di essere stata fortunata, era sempre stata una bella ragazza simpatica e gentile con chiunque per questo non era mai stata vittima di prese in giro o brutte parole al contrario di Inuyasha che invece ne aveva dovute subire tante da farlo addirittura odiare di essere nato mezzo demone.

“Non dovresti disprezzare la tua natura” disse lei, Inuyasha sbuffò una risata divertita distogliendo lo sguardo dalla ragazza cercando di individuare Sango e Miroku. Dove diavolo erano finiti?

“Essere mezzo demone fa parte di te definisce ciò che sei e dovresti accettarlo, imparare a conviverci. Non è un difetto da odiare o cercare di cambiare”.

“Tutti però mi guardano come se fossi un fenomeno di un circo compresa te” sospirò “Mi sento così sbagliato”.

In quel momento giunsero finalmente Miroku e Sango con le guance arrossate e le labbra rosse e gonfie a spezzare l’aria pesante che si era creata fra i due e fra le risate si sedettero nuovamente ai loro posti posando sul tavolo due nuovi bicchieri di birra già quasi terminati.

“È successo qualcosa?” domandò Miroku notando il pesante silenzio.

Kagome fece cenno di no con il capo sorridendo al ragazzo, Inuyasha rimase in silenzio con le braccia incrociate continuando a mantenere gli occhi dorati fermi sull’esile figura femminile di Kagome.

 

Il cielo è terso di pesanti nuvole cariche di pioggia che impediscono il passaggio anche al più timido raggio di sole rendendo l’aria umida e pesante, buia e fredda.

Le temperature quella mattina tendono a vacillare poco più sopra dello zero e sembrano non avere nessuna intenzione di aumentare, probabilmente nevicherà ricoprendo ogni superficie con un sottile manto freddo e candido.

Un anziano signore dalla schiena ricurva è intento a spazzare con pacata lentezza l’entrata dello spazio religioso disteso su una collina che in primavera si costellava di piccole margherite bianche rendendo l’ambiente un po’ più accogliente e meno deprimente di quanto nella realtà dovrebbe essere.

Il cimitero di Tokyo era a dir poco enorme, la sua grandezza e il suo numero di abitanti poteva equivalere a quello di una grande città dove però regnava la calma e la tranquillità.

Inuyasha abbottonò il proprio cappotto grigio scuro tralasciando i primi due bottoni aperti, calato sulle candide orecchie canine vi era un cappello di lana bordeaux che risaltava tra i suoi argentei capelli, salutò con un piccolo inchino l’anziano signore che ricambiò al saluto con un debole sorriso, probabilmente non era il tempo ideale per un uomo della sua età ma scrollò le spalle e proseguì lungo il suo cammino.

Per ben orientarsi il cimitero possedeva numerose vie con nomi di uomini celebri ed importanti oppure di avvenimenti o festività rilevanti, Inuyasha aveva chiesto tramite un messaggio in quale via si trovassero loro e Sesshomaru gli aveva risposto con un secco e freddo Hinamatsuri, la festività delle bambole.

Una volta seguito le indicazioni date dai cartelli Inuyasha si ritrovò in cima ad una collinetta umida e fangosa che sporcò i suoi jeans chiari dove si ergevano numerose lapidi di varia grandezza ed importanza che a discapito delle differenze tutte contenevano le anime di persone che un tempo erano state amate ed avevano vissuto ma che ora non c’erano più. In lontananza vide una donna matura che pregava silenziosa di fronte ad una piccola lapide su cui era ritratta una foto di un giovane ragazzo, attorno era ricoperta di bouquet di vari fiori.

Di fronte a lui si ergeva una grande statua in marmo bianco, una copia ben riuscita di Amore e Psiche, che appoggiava su un podio dello stesso materiale e colore dove erano incisi due nomi e quattro date.

Inu No Taisho 1961-2016 Izayoi No Taisho 1966-2016.

Si inginocchiò davanti al marmo freddo, gli occhi dorati posati sui bei volti sorridenti dei suoi genitori. Lui, fiero e forte come solo un demone può essere ma con un amore incondizionato verso la sua famiglia. Lei, dolce e amorevole come solo una madre può essere, gentile e premurosa dall’odore inconfondibile che tanto amava e che lo faceva stare bene.

Perse un battito alla vista di quei due volti a lui tanto familiari che da subito aveva amato ed adorato, sognava di diventare un giorno forte come papà e docile come la mamma e di trovare un’amore simile al loro che nonostante il tempo non era mai diminuito e non era scemato con i problemi e i difetti ma era diventato sempre più forte ed imbattibile. Erano il suo orgoglio.

Perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi la passione (Apuleio).

L’aveva scelta lui quella frase da incidere sul marmo, si ricordava di averla letta una volta mentre cercava di studiare storia dell’arte che all’epoca non apprezzava e la riteneva inutile.

Si sedette di fronte ai visi sorridenti ed amati con le gambe incrociate incurante del fango e della sporcizia che sicuramente lo avrebbero sporcato ed incominciò a pensare, una comunicazione mentale tra lui e i suoi genitori raccontandogli tutto quello che era accaduto dalla loro scomparsa, del dolore e della sofferenza che avevano lasciato in lui, dei litigi con Sesshomaru e Kikyo, della sua fuga a New York e della sua vita nella Grande Mela per poi ritornare al presente, il suo ritorno in Giappone e del suo trasferimento a casa di Miroku dato che per nulla al mondo avrebbe convissuto ancora con suo fratello per poi giungere ad oggi.

Si concentrò su piccoli aneddoti divertenti e dettagli all’apparenza inutili ma desiderava condividere con loro tutto come faceva in passato quando dopo una lunga giornata si sedeva a tavola e parlava con sua madre intenta a preparare la cena o qualche dolce speciale. Gli mancava terribilmente quella quotidianità dove loro erano sempre presenti in qualsiasi situazione e si insultò malamente di quei periodi in cui aveva fatto soffrire sua madre e l’aveva fatta piangere perché la riteneva responsabile di tutti i suoi problemi sociali in quanto era metà umano, avrebbe dato tutto ciò che aveva per poter ritornare indietro e cancellare quegli orribili ricordi.

Chiese loro perdono per tutti gli errori che aveva commesso nella sua breve vita, la voce tremava e il petto si muoveva in movimenti frenetici e spastici mentre cercava di reprimere i singhiozzi e le lacrime. 

Buttò via un mazzo di rose ormai vecchie ed appassite, tolse via tutti i petali caduti e le foglie secche per poi poggiarci sopra un nuovo e grande bouquet di fiori di ciliegio ripensando al sorriso di sua madre che si apriva ogni qualvolta vedeva quei particolari fiori.

Fu pronto per alzarsi ed andarsene, cercò di pulirsi il più possibile il jeans dallo sporco della terra, si sgranchì la schiena con movimenti precisi e poi la vide. Era distante da lui, indossava un cappotto rosso e un paio di jeans neri, sul capo un morbido cappello di lana bianco calato sui suoi capelli scuri mossi che le ricadevano scomposti lungo la schiena. La vide intenta in una preghiera di fronte ad una piccola lapide, le mani congiunte gli occhi chiusi e le guance arrossate dal freddo totalmente estraniata dalla realtà.

Non seppe bene il motivo, fu come se le sue gambe avessero vita propria, si accorse troppo tardi di stare camminando piano verso di lei cercando di non disturbarla nella sua silenziosa preghiera.

Kagome si accorse della sua presenza poiché aprì gli occhi ed alzò lo sguardo, quegli occhi caramellati così dolci inchiodati nei suoi, le mani ancora unite. Ora che le era vicino venne investito dal suo profumo di fiori di ciliegio rassicurante e dolce, notò come anche il naso fosse rosso, probabilmente aveva il raffreddore, e di come le sue labbra fossero screpolate per il freddo e gli occhi non erano decorati con nessun trucco e si sorprese nel pensare quanto ugualmente belli fossero. Con quel cappello pareva più piccola della sua età, sembrava una ragazzina appena uscita dalle scuole ed era così piccola ed esile che gli venne un’incredibile voglia di stringerla a sé.

Scosse il capo e si diede mentalmente dell’idiota chiedendosi qual era l’origine di quegli strani pensieri ma dopotutto Kagome era una bella ragazza.

Lei gli sorrise dolcemente portando le mani all’interno delle grandi tasche del cappotto, probabilmente troppo infreddolite.

“Ciao” salutò lui e lei parve stupirsi dalla sua iniziativa.

“Ciao”.
“Cosa ci fai qui?” domandò allora lei notando come il discorso sembrava non proseguire.

Inuyasha si dondolò sul posto, lo sguardo basso e le mani affondate nelle tasche dei jeans.

“Sono venuto a salutare i miei” disse allora indicando con il capo la lontana statua di Amore e Psiche che si ergeva maestosa tra le numerose lapidi.

Kagome si morse il labbro improvvisamente imbarazzata, si portò una ciocca di capelli dietro all’orecchio mostrando un brillantino bianco sul lobo.

“Avevo saputo. Non serve a niente dirti che mi dispiace, vero?” domandò visibilmente in imbarazzo.

Inuyasha scosse il capo con un piccolo sorriso “Credo proprio di sì. E tu come mai sei qui?”:

“Sono venuta a salutare mio padre” rispose lei utilizzando le stesse parole dette dal ragazzo poco prima indicando poi la piccola lapide davanti ai suoi piedi.

Il nome di Eiji Higurashi era inciso nella pietra sopra alla data di nascita e di morte.

“Avevo quattro anni quando se n’è andato”.

“Non serve a niente dirti che mi dispiace, vero?” Kagome lo guardò rivolgendogli un ampio sorriso.

“Fa freddo. Mi va una cioccolata calda, vuoi venire?” si allontanò dalla tomba di suo padre per poi voltare di poco il capo guardando Inuyasha che ancora rimaneva ritto immobile, le mani nelle tasche dei jeans.

Allora annuì piano con il capo e si mise al fianco della ragazza che parve incredibilmente più piccola e minuta al suo cospetto, gli arrivava a malapena alle spalle e il corpo era così piccolo ed esile che era certo che sarebbe scomparso se lui avesse provato ad abbracciarla.

Uscirono quindi dal cimitero salutando con un piccolo inchino il vecchietto ancora intento a spazzare e una coppia di anziane signore vestite in kimono nero che erano appena giunte.

Si rifugiarono all’interno di una tavola calda che al pomeriggio serviva dolci americani, cioccolate calde e the fumanti. Inuyasha si sorprese nel trovare un menù di quattro pagine dedicato interamente alle varie tipologie di cioccolata presenti e fu preso dall’imbarazzo della scelta tanta era la varietà ma alla fine fu costretto ad optare per una cioccolata al mou con affogati due morbidi marshmallow, Kagome gli aveva assicurato la sua bontà.

La ragazza seduta di fronte a lui aveva posato il cappello di lana al suo fianco per poi ravvivare i lunghi capelli di pece tuttavia rimasero ugualmente un po’ elettrizzati, poi ordinò un the al vaniglia con dei biscotti al cioccolato.

“é un bel posto”.

“Lo adoro. é tranquillo ed è confortevole. Hai visto quanta cioccolata calda ti propongono? Le ho assaggiate tutte e sono tutte molto buone”.

“Vieni qui da molto”.

“Dai tempi delle superiori. Venivo spesso con Sango”.

La cameriera arrivò immediatamente con le ordinazioni posando una tazza di the rosa a pois bianchi davanti a Kagome ed un’ampia tazza bianca con delle decorazioni di renne stilizzate nere di fronte ad Inuyasha che si compiacque della fantasia.

Kagome pretese di poter assaggiare la sua calda bevanda con incluso anche il marshmallow e nonostante l’iniziale resistenza alla fine Inuyasha fu costretto a cedere poiché non poteva sostenere quel visino imbronciato dal naso rosso.

“Sembri Rudolf, la renna di Babbo Natale” la prese in giro mostrandole un ghigno giocoso.

“Ho il raffreddore da tre giorni e sembra non volermi passare” e per confermare la sua frase Kagome si soffiò il naso con un fazzoletto per poi riporlo all’interno della tasca del cappotto rosso.

“Rudolf e cappuccetto rosso, una bella combinazione”.

“Cretino” Kagome gli lanciò una pallina di carta che però finì oltre la spalla del ragazzo che prese a ridacchiare e continuarono così per un po’, comportandosi come dei bambini a lanciarsi palline di carta sotto lo sguardo allibito dei camerieri e quello un po’ divertito dei clienti, ridendo e prendendosi in giro.

Inuyasha prese l’ultimo biscotto con gocce di cioccolato che comportò una Kagome alterata che per vendicarsi gli terminò gli ultimi sorsi della cioccolata calda per poi mostrargli una piccola lingua rosea.

Inuyasha decise di prendere dei macarons che erano la specialità del momento, prendendone due per ogni gusto. Cioccolato, caffè, vaniglia, pistacchio e noce di cocco.

Si gustarono quei dolcetti francesi raccontandosi frammenti di vita passata, Kagome gli chiese di New York e lui incominciò a raccontarle aneddoti dell’anno precedente che non aveva avuto modo di dire qualche giorno prima quando si erano incontrati al Yoro Pub.

Kagome poi gli diede una notizia che lo sorprese al quanto.

“Sei stata con Koga?” la guardò con gli occhi dorati spalancati e la bocca semi aperta.

“Siamo stati insieme due anni durante le superiori. Mi veniva dietro già da tempo e allora mi sono arresa, ci siamo lasciati e siamo rimasti molto amici. Adesso lui sta con una demone lupo tutta pepe ed allegria di nome Ayame. Stanno insieme davvero da tanto, convivono sai?”.

E allora Inuyasha decise di porle una domanda un po’ scomoda per scoprire come la ragazza avrebbe reagito.

“Ma Koga è un demone. Da quel che mi ricordo ti facevano schifo i demoni”.

Kagome sospirò pesantemente abbassando lo sguardo all’interno della tazza di the oramai vuota che stringeva tra le mani.

“Ero una ragazzina, te l’ho già detto. E poi…”.

“E poi?”.

Kagome sospirò di nuovo, Inuyasha percepì il suo profumo mutare diventando un po’ più frizzante, la ragazza si stava agitando ed ebbe la conferma quando puntò gli occhi su di lui ora improvvisamente lucidi.

“Non mi avresti creduto” sussurrò piano ma Inuyasha riuscì a sentirla comunque.
“Che intendi dire?”.

“Intendo che è una cosa troppo strana da spiegare, mi prenderesti per pazza. Sembra folle ma è la verità”.

“Prova a spiegarti”.

Kagome prese dal piattino dei dolci l’ennesimo biscotto e se lo mise in bocca ruminando nervosa distogliendo lo sguardo dal mezzo demone cercando di puntarlo ovunque ma non sulla sua figura. Alla fine sembrò trovare pace su un bricco di latte.

“Ti ho sempre sognato, Inuyasha. é da quando ero bambina che ti sognavo e tutt’ora mi capita ancora. All’epoca non ci davo molto peso, credevo che era solamente un bel sogno e nulla di più, poi ti ho visto quella volta sulla metro e tu non eri più un sogno ma eri lì davanti a me, in carne ed ossa. Eri reale. Mi sono spaventata, non ci potevo credere ed era tutto totalmente assurdo. Come si può sognare assiduamente una persona che non si ha mai visto?” Kagome riportò lo sguardo su di lui, Inuyasha era totalmente immobile gli occhi fissi su di lei che non la perdevano di vista nemmeno un attimo. “Mi prendi per pazza, vero?”.

Lui scosse la testa muovendo di conseguenza piano anche le orecchie canine.

“No, anzi ti credo”.

“Come mai mi credi?”.

“Non dev’essere solamente un caso che nonostante gli anni ci siamo comunque incontrati più volte e per puro caso. Deve pur significare qualcosa”.

“E cosa può significare?” lo sguardo di Kagome si fece più intenso mentre la sua piccola mano si appoggiò delicata sopra quella di lui così grande e forte.

“Non ne ho idea”.

“Potremmo scoprirlo insieme”.

“Va bene”.

 

 

 

Quando hai ventisette anni…( WOULD YOU STILL LOVE ME THE SAME?)

 

Non sapeva bene che ore fossero, aveva perso la cognizione del tempo da un po’. Era mattino o era sera? Non ne aveva idea. La stanza era immersa in una semi oscurità che rendeva quasi indistinguibili i contorni degli oggetti, era illuminata solamente da un piccolo aboutjour.

Era sdraiato su quel letto da non sapeva nemmeno lui quanto tempo, totalmente rilassato e in pace con sé stesso addirittura poteva giurare di aver raggiunto il nirvana mentre un esile corpo faceva pressione su di lui che caduto in un sonno profondo non accennava a muoversi.

Tirò un profondo respiro, inalando così quel dolce odore che da tempo lo faceva impazzire e le immagini delle precedenti ore ritornarono con prepotenza nella mente risuscitandogli così le forti emozioni che dilaniavano il suo cuore.

Gli ritornò in mente ogni cosa anche il più futile dettaglio, gli ritornarono in mente le belle labbra di lei che si appoggiavano con delicatezza sulle sue, quelle mani delicate che corsero dirette alle sue orecchie sfiorandole piano e con dolcezza facendogli perdere un battito. Si ricordò della sua improvvisa impazienza che lo portò a sollevarla da terra con irruenza, totalmente assuefatto dal suo profumo e dal suo sapore, continuando a baciarla con passione ed in quel momento gli sembrò di tornare a respirare dopo numerosi anni vissuti in completa apnea, le mani si serrarono sui suoi glutei facendola sospirare pesantemente mandandolo in estasi. Gli avvenimenti successivi furono totalmente confusi e disordinati e non riusciva nemmeno a collocarli con ordine, un insieme di movimenti frenetici e di respiri affannosi, nomi sussurrati piano e pelli sudate ed appiccicose che si toccavano e si strusciavano.

Ricordava perfettamente il dolcissimo suono che fuoriuscì dalle morbide labbra di lei quando premette con due dita il capezzolo sinistro continuando però a lambire e venerare con labbra e lingua l’incavo del suo lungo collo dove il suo profumo era maggiormente collocato, ricordava la sorpresa di vederla intraprendente ed affamata mentre lo costringeva a sdraiarsi di schiena sul materasso mentre lei seduta sulle sue cosce spalancava le gambe affatto imbarazzata nel mostrarsi in tutta la sua nudità e con le guance arrossate prese in mano la sua virilità per appoggiarla nella sua apertura e rimembrava il gemito soddisfatto che emanò una volta accolta tutta.

Rimembrava i suoi dolci suoni, il piccolo seno che si muoveva ad ogni suo movimento, ricordava le sue mani artigliate che vagavano con bramosia sul suo corpo affusolato, sulle sue morbide gambe e sui fianchi rotondi, sui glutei pieni ed alti e sulla pancia morbida dove spiccava vicino all’ombelico una voglia caffè latte ovale che venerò con i suoi tocchi per poi passare sui suoi seni che inglobò con le sue mani e li strinse coccolandoli. Ricordava la sua schiena inarcata, il volto arrossato lievemente gettato all’indietro e sudato, le labbra piene spalancate in una O indecente, i capelli scombinati che le ricadevano un po’ sulle spalle coprendo in parte i seni e la schiena, ricordava di come lei poi lo baciò con una tenerezza tale che lo fece tremare e il cuore gli prese a battere ancora più velocemente, con una mano gli accarezzò una guancia mentre con l’altra giocava con un suo orecchio canino e lui non poté fare a meno di immergere le sue di mani artigliate nella sua moltitudine di morbidissimi capelli neri. Lo baciò con dolcezza e passione muovendo piano la lingua e le labbra come se si volesse gustare tutto di lui, continuando a muoversi lentamente e gli sembrò di sentirla ovunque, dappertutto. Erano insieme, erano un’unica cosa e solo ciò importava, con le labbra di lei sulla sua pelle il mondo gli sembrò svanito. Solo lui e lei; avrebbe voluto che questo durasse per l’eternità.

Una volta arrivato al culmine si lasciò andare in un gemito strozzato, il volto nascosto sui suoi morbidi seni e le dita dotate di artigli che si aggrappavano sulla sua schiena provocandole rossi graffi, lei venne poco dopo esclamando il suo nome e tirandogli i capelli per poi abbandonarsi totalmente su di lui, esausta e soddisfatta. 

Erano sdraiati sul materasso completamente nudi ancora sudati ed affannati, lei era sopra di lui con i seni che premevano sul suo petto, gli occhi chiusi ed un sorriso sulle labbra che fece nascere due piccole fossette sulle guance. Le scostò una ciocca corvina che le ricadeva sulla bocca con delicatezza ed attenzione e le baciò piano quei piccoli buchi ai lati delle labbra che tanto amava, le guance ancora  accaldate e rosse, il piccolo naso era costellato di lentiggini marroncine. 

“Alla fine ho scoperto dove si trova il tatuaggio” disse lei piano ridacchiando mentre con la mano gli     accarezzò l’interno coscia facendolo sobbalzare, sfiorando i contorni di quel tribale che si era fatto fare due anni prima quando ancora era in America in un momento di pura follia.

“Non ci credevi?” la vide scuotere piano il capo per poi lasciargli dei baci sul petto sinistro all’altezza del cuore “Non mi avevi mai detto di averne uno anche tu”.

“Non me l’hai mai chiesto”.

Fu per lui una sorpresa quando una volta sfilatole il reggiseno privo di spalline azzurro era comparsa una piccola frase tatuata in un corsivo delicato e raffinato proprio sotto al seno destro che seguiva la sua curva. Orietur in tenebris lux tua, era scritto. Gli aveva detto che era latino per poi spiegargli il significato, lui non pretese le motivazioni di quella particolare scelta dato che non era quello il momento troppo preso dalla voglia e dalla passione, lo avrebbe fatto più avanti.

Ora lei dormiva profondamente ancora appoggiata sul suo petto un po’ sbavandoci sopra, coperta dal candido lenzuolo con le gambe intrecciate alle sue ed un braccio che gli circondava il torace, una mano che stringeva piano una ciocca di argentei capelli.

Nel silenzio della stanza tendeva l’orecchio attento ai leggeri e profondi sospiri della ragazza per poi ricordare come in un film con successione tutti gli avvenimenti che lo avevano portato poi a quel momento.

Dopo aver chiarito al dinner, lui e Kagome presero a frequentarsi assiduamente come se lo facessero da una vita, facendola sembrare una cosa normale. Non si annoiava mai con Kagome, la ragazza riusciva sempre a trovare qualcosa di nuovo da fare ed era risultata essere parecchio interessante con una grande sensibilità che la portava a piagnucolare davanti ad una scena dolce di un film o davanti un dipinto particolarmente coinvolgente. Appassionata di arte Kagome era una restauratrice sia di dipinti che di sculture, amava Klimt e Bernini ed in casa teneva sparse numerose tele di sue opere meravigliose ma tutte incompiute, era eccellente con i colori ad olio e gli aveva regalato un suo lavoro per il suo compleanno dato che si frequentavano da poco e ancora non conosceva tutti i suoi gusti.

A Kagome piaceva mangiare, prediligeva ogni tipo di cucina dalla tradizionale giapponese a quella greca o thailandese anche se aveva un debole per gli spaghetti alla matriciana, purtroppo non era affatto un’abile cuoca e non aveva mai avuto la possibilità di fargli assaggiare quel piatto italiano dal nome impronunciabile; Kagome non sapeva giocare alla playstation ma gli faceva comunque compagnia quando ci giocava ed il suo gioco preferito era Crash perché le ricordava i pomeriggi passati a giocarci assieme a suo fratello; Kagome amava la mamma il nonno e Sota, era molto legata alla famiglia soprattutto dopo la perdita del padre che aveva lasciato un segno indelebile in tutti i familiari, la mamma di Kagome era dolce e tenera, un po’ imbranata ma un’ottima cuoca al contrario della figlia, il nonno era un po’ folle e fissato con le tradizioni e le antiche culture del Giappone mentre il fratello aveva una vera adorazione nei suoi confronti facendolo spesso sentire in imbarazzo.

Kagome era bella ed intelligente e non lo faceva sentire inadeguato, dimostrando di amare ogni singola cosa di lui compresi suoi artigli e le sue orecchie canine, lo riteneva ugualmente bello nella sua forma umana e non la terrorizzava il suo lato demoniaco che spesso prevaleva in momenti di travolgente passione.

Fare l’amore con Kagome era la cosa più eccitante che gli fosse mai capitata nella sua intera vita, riusciva ad essere dolce e passionale in contemporanea stupendolo sempre con proposte allettanti ed eccitanti non tirandosi mai indietro. Non aveva paura di lui, non arretrava o irrigidiva se emetteva un ringhio un po’ più forte del solito, non si lamentava se le graffiava la schiena e le gambe e non si arrabbiava se le lasciava spesso marchi violacei su tutto il suo corpo, adorava marchiarla in quel modo sul suo collo, sul seno, sul costato, sulla pancia, nell’interno coscia.

Non lo riteneva strano se lo trovava ad annusarla, ridacchiava e lo baciava sentendosi onorata che gli piacesse davvero così tanto il suo odore.

Si era reso conto di amare Kagome all’improvviso, in una giornata nuvolosa dove tirava un forte vento nonostante fosse quasi estate, si era reso conto di adorare e venerare ogni più piccola cosa di lei dai suoi piccoli nei che le costellavano il corpo ai suoi bronci teneri che faceva quando non era soddisfatta di una cosa. Kagome era riuscita a farlo riconciliare con il fratello, adesso il loro rapporto era decisamente migliore rispetto al passato, Kagome era riuscita a farlo svegliare con un sorriso ed apprezzare ogni giornata che gli era stata concessa. Era riuscita a farlo sentire amato come solamente i suoi genitori avevano fatto. 

A mamma e papà sarebbe piaciuta, ne era convinto.

Kagome si mosse sul suo petto per poi alzare piano le palpebre ancora pesanti dal sonno, facendo così apparire due pozze argentate in cui amava perdersi.

Sbadigliò sonoramente senza mettere una mano davanti alla bocca facendolo ridacchiare mentre lei si strofinava con una mano un’occhio. La stanza era ancora celata nella semi oscurità.

“Che ore sono?” chiese lei ed Inuyasha scosse piano il capo facendole intendere che nemmeno lui ne era a conoscenza.

Kagome si mosse su di lui alla ricerca di una posizione un po’ più comoda che non le facesse venire le formiche al braccio ed anche Inuyasha si mosse, credendo che la ragazza volesse allontanarsi da lui forse stufa di stargli addosso con le pelli ancora sudate ed appiccicose. 

Cercò di scivolare da sotto il corpo della ragazza ma quella lo fermò, una mano posata sulla sua spalla.

“Dove vai?” chiese lei mostrandogli un tenue sorriso.

“Mi sposto” rispose con ovvietà.

La vide scuotere il capo, i capelli totalmente in disordine che ricadevano scomposti sulle sue esili spalle.

Rimani” sussurrò. Appoggiò nuovamente il capo sul suo petto, una mano appoggiata all’altezza del suo cuore con quel sorriso che lo aveva fatto capitolare e scivolare lungo quel tunnel di immenso e profondo amore.

Allora non poté che sorridere di rimando, annusando l’aria e percependo il buon odore di Kagome mischiato con quello che gli ricordava la felicità e le diede un bacio sul capo tra tutti quei capelli.

“Sempre, amore mio”.

 

 

FINE.


 

Finalmente sono riuscita a finirla ma soprattutto ho trovato il coraggio di pubblicarla. Questa one-shot l’ho iniziata ad agosto e, ehi!, ci troviamo a novembre! È stata un vero e proprio parto…

Personalmente mi ritengo davvero soddisfatta e mi sento molto legata a questo racconto dove ho messo davvero tutta me stessa, anima e corpo; ma a giudicarla siete voi e sparo che sia stata di vostro gradimento e che vi siate emozionati almeno un pochino come mi sono emozionata io.

Lascio a voi i commenti e ringrazio tutti coloro che hanno avuto il coraggio di arrivare fin quaggiù.

Un bacio,

Lodoredelmare

 


   
 
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