Giochi di Ruolo > Vampiri: la masquerade
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Autore: Nemainn    08/11/2016    4 recensioni
Andrea non sa cosa si cela dietro il fascino delle sue amate calli, tra i palazzi di Venezia, oltre le sue acque che placide riflettono la luna.
Il mistero di ciò che sta oltre il velo gli viene svelato e tutto quello che conosceva, o credeva di conoscere, diventa un ricordo.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 
- 1 -
- Venezia -



«Quindi ti dedicherai agli studi classici...»
Andrea, togliendo gli occhi dalla televisione, annuì verso il padre. Quella sera, a cena, l'uomo tornato dall'ennesimo viaggio di lavoro lungo settimane aveva guardato i fogli di iscrizione alla Cà Foscari, una delle più antiche università di Venezia. Aveva scorso le pagine, guardando la facoltà scelta dal figlio, e aveva storto le labbra.
«Storia.» 
Andrea posò la forchetta, nel piatto c'era ancora un po' di purè. Fissò il cibo e decise che non aveva più fame. «Lo sapevi che non avrei mai scelto economia o cose così. Non mi interessano.»
«All'azienda servirebbe quello, Andrea. Hai già un futuro, così, la famiglia..»
«Possono morire tutti.»
Il padre s'incupì. «Non dirlo mai, Andrea, mai! La famiglia è importante, io sono sempre via per lavoro e ho preferito non farti coinvolgere troppo, siamo, beh... non sono stati molto felici del mio matrimonio.»
«Non ricominciare con questa storia, che ce l'hanno con noi perché non hai sposato chi dicevano loro. Cazzo, dai, non siamo più nel medio evo da un po'!»
Guglielmo sospirò. Se solo avesse potuto parlargli davvero della loro famiglia... lui era tra i pochi che sapevano davvero quello che accadeva a Venezia, dove i Giovanni erano la forza che muoveva meccanismi che suo figlio non poteva neppure immaginare. Anzi, lo avrebbe probabilmente preso per pazzo. Da un lato era lieto di aver perso ogni prestigio, questo aveva risparmiato lui, e suo figlio, da un destino simile a quello di suo padre: servo di creature antiche e spaventose, così assoggettato da vederne solo il fascino e il potere, dimenticando ogni altra cosa mentre inseguiva un sogno che non si era mai realizzato. Il padre di Guglielmo era morto, e tale era rimasto, parecchi anni prima quando Andrea era piccolo. Fortunatamente aveva solo tre anni all'epoca e non aveva memoria delle storie che gli erano state raccontate, anche se sospettava che la naturale tendenza della famiglia verso certe arti avesse messo già da tempo radici nel giovane.
«Posso non ricominciare, ma rimane la verità. Non siamo più andati a una cena di Natale in famiglia da quando il nonno è morto. Tutti della famiglia ci vanno, nella grande casa storica ci sono tutti. O almeno tutti quelli che non hanno portato vergogna o fallimenti sulla famiglia.»
Andrea rimase in silenzio, scoccando un'occhiata piena di scetticismo al padre. L'uomo sbuffò e riprese in mano le carte, prendendo tra le dita la penna e iniziando a firmare in silenzio.
«Andrea, se è questo che vuoi, la vita è la tua. Sei intelligente, magari cambierai idea o prenderai una seconda laurea in qualcosa di utile.» Guglielmo posò la penna e guardò intensamente il figlio, apparentemente annoiato dal discorso. «Sarebbe la scelta migliore.»
«Piacere e dovere, storia per il mio piacere, economia per il dovere? Verso la famiglia?» il tono del giovane gocciolava, letteralmente, ironia. «E se volessi invece insegnare storia?»
«Tu? Con la pazienza che hai a spiegare uccideresti qualunque studente in tre minuti, anche meno! Vedi di essere serio, hai diciott'anni, Andrea, e adesso devi iniziare a smettere di puntare i piedi per il gusto di farlo. La zia Sofia comincia a interessarsi di te.»
«Fino a praticamente ieri non facevi altro che sputare veleno sulla famiglia! Cosa diavolo è successo, papà? Fino a qualche anno fa eri tutto “meglio che non ci invitano, sta lontano dagli zii, sono brutta gente”, adesso ci muori dietro la loro approvazione!»
«Facciamo parte di una famiglia antica, Andrea.» Guglielmo palesò un certo disagio giocando con la forchetta nel piatto. Nella grande cucina erano soli, la donna di servizio che si occupava della casa e dei pasti se n'era andata da tempo, lasciando la cena in caldo per loro. La televisione era ormai solo un sottofondo inascoltato. «Ci sono cose che, beh... insomma, hanno iniziato a volerti conoscere. Io non ero molto d'accordo, ma non ho potuto chiudere le porte in faccia agli zii e ai cugini.»
Non aveva potuto era un eufemismo.
Aveva sperato che Andrea crescendo si rivelasse assolutamente normale, invece la sua passione per la storia, la filosofia, le cose più strane, oltre a un'intelligenza notevole, avevan fatto sì che non passasse inosservato. Certo, amava i videogiochi e ogni altra cosa amassero i suoi coetanei, ma si era accorto troppo tardi della sua passione per le cose oscure che contraddistinguevano i Giovanni. La storia, la filosofia, tutto il resto non era che un contorno e lui era stato l'ultimo ad accorgersene. Se si fosse interessato di economia, di numeri, probabilmente sarebbe stato visto in modo diverso. Temeva per Andrea, eppure era conscio di non poter fare nulla, assolutamente nulla.
Aveva tentato già una volta di non seguire il sentiero tracciato dai Giovanni per lui, aveva sposato la donna che amava. Sembrava che con Clara al suo fianco nessun problema fosse insormontabile, che neppure la felicità fosse un traguardo irraggiungibile. Era una seconda cugina che viveva fuori Venezia, veniva dall'altra parte dell'Italia e nulla sapeva delle ombre che infestavano la famiglia. Era bella, pura, con gli occhi di un azzurro così limpido da rivaleggiare con il cielo e con il mare, occhi che Andrea aveva ereditato.
Ed era stato Andrea a far rimandare la sua morte... che lo sapesse o meno, era solo perché aspettava lui che avevano atteso a eliminarla: nessuno poteva disubbidire. Era stata lei a traviarlo, lei avrebbe pagato e, con la sua morte, anche lui.
Controllò l'odio che gli divorava l'anima, evitò di farlo trapelare, ma la sua mano lo tradì e la forchetta stridette contro il piatto.
Fissò i rebbi con aria trasognata, rivivendo per un istante ancora la gioia di loro due che tenevano tra le braccia Andrea.
Poi lei era stata portata via dalla morte. Una fine decisa da qualcuno della famiglia, da qualcuno che lui non conosceva, almeno direttamente. Un nuovo Giovanni era sempre prezioso e avevano atteso vedesse la luce, lasciandolo in pace mentre lo cresceva; poi anni prima, nella grande villa storica di famiglia tra le calli della città, era stato convocato.
Ogni Giovanni era membro della famiglia, ogni Giovanni era fedele a essa, o era morto.
Lui era un Giovanni, suo figlio anche, avrebbe dato ascolto a ciò che gli veniva detto o sarebbe stato inutile e Andrea sarebbe stato cresciuto da qualcun altro, in modo più affine a ciò che ci aspettava da un membro della famiglia.
Lo sguardo di Andrea si fece chiuso, mentre allungava la mano e raccoglieva le carte firmate.
«Già, sì, come dici tu. Però la vita è mia, no? Quindi per ora studio quello che voglio.»
«Mi pare di aver firmato, Andrea. Ho solo detto che spero cambierai idea, non posso neanche più parlare, adesso?»
Il giovane sbuffò, alzandosi. «Tu vuoi che io faccia economia. Punto. Non ti interessa neanche il perché ho scelto storia, tanto tra qualche giorno partirai di nuovo e starai via quanto, quindici giorni anche stavolta?»
Senza dare tempo di replicare al genitore se ne andò dalla cucina, andando in camera sua e chiudendosi la porta alle spalle si buttò sul letto, la faccia sul cuscino.
Possibile che parlare con il padre fosse così difficile?
A volte gli sembrava ci fosse un muro tra loro, cose non dette. Lui non era certo particolarmente loquace ed era certo il padre non avrebbe apprezzato molte cose che faceva a sua insaputa, ma qualcosa gli diceva che neppure lui era esattamente un libro aperto. I suoi cambi di idee, il continuo silenzio su sua madre, sui parenti... non aveva mai visto praticamente nessuno al di fuori di lui della famiglia Giovanni, solo zia Sofia l'anno prima per Santo Stefano. L'aveva sentita discutere con il padre che le diceva che non era ancora pronto per le cene di famiglia. Non che ci tenesse particolarmente, ma cazzo, erano solo cene di famiglia, no?
Cosa diavolo c'era di così terribile in una cena?
Si alzò, andando alla libreria contro il muro, mentre la luna iniziava a intravedersi dalla finestra che dava sul mare Andrea spostò i libri ammucchiati sullo scaffale più alto, rivelando tomi di altro genere. Erano i suoi tesori; il libro dei morti egizio, alcuni volumi di magia Gadneriana, un volume che aveva trovato in una libreria dell'occulto un giorno che era andato a Milano; era un volume del cinquecento, una sua ristampa per l'esattezza, che si chiamava “Rituali Proibiti”. Scritto in latino, senza traduzione, era pieno dei suoi appunti ed era stato lì che aveva ringraziato il padre per averlo spinto a fare il classico.
Quel libro era il più prezioso della sua piccola collezione dell'occulto. Da un lato diceva a se stesso che erano tutte cazzate, eppure avevano su di lui un fascino, una presa che non riusciva a capire. Si trovava spesso a cercare le cose più strane, affascinato dalla morte e dai suoi misteri, ripetendosi che era tutta una sua fissa malata per via della madre morta.
Aveva iniziato molti anni prima, chiedendosi dove andavano a finire i morti, dov'era sua mamma.
I pensieri di un bambino, di un ragazzino troppo solo che aveva troppo tempo per sé, forse.
Si domandava se lo vedeva, se lo sentiva, e le risposte della cattolicissima tata non erano mai riuscite a soddisfarlo. Un angelo che dal cielo lo guardava era certamente bello e poetico, ma possibile fosse tutto lì? Che i morti andavano all'inferno, o in paradiso o, nel caso si dovesse scontare qualcosa di non troppo grave, in purgatorio?
Allora aveva iniziato a cercare nella mitologia e nelle varie religioni antiche e moderne cosa accadeva ai defunti, scoprendo una quantità di posti più o meno credibili, credenze, teorie, e iniziando a naufragare tra di esse attanagliato da quel fascino dai risvolti macabri che avevano.
Aveva cercato di scavare sempre più a fondo, la sua passione per la storia e, in parte, l'antropologia, nasceva da lì. Il mondo era pieno di misteri antichi che erano ancora irrisolti, come la morte.
Il velo che separava i mondi esisteva? O erano lì, in mezzo a loro, invisibili?
Era come dicevano certe mitologie, in cui il confine esisteva e non esisteva allo stesso tempo, o era come sostenevano altre filosofie, che parlavano di luoghi di riposo più o meno sereni e pacifici, separati dal mondo mortale?
Accarezzò il dorso del libro, era una stampa del 1912, probabilmente fatta appositamente per qualcuno e che era giunta fino a lui più di cent'anni dopo. Ancora si chiedeva come fosse possibile averlo trovato in quel buco pieno di libri e soprattutto averlo pagato quella miseria.
L'idea iniziale di continuare la traduzione, però, lo abbandonò. Lo rimise via, celandolo dietro romanzi e libri di genere decisamente diverso, tra cui fumetti e libri di illustrazioni.
Si mise alla finestra, spalancandola e guardando il mare oltre i pochi tetti che lo separavano da esso, la luce della luna che si rifletteva in frammenti sull'acqua nera e il cielo in cui poche nubi vagavano pigre. L'odore salmastro gli riempì le narici e lui respirò profondamente, mettendosi a canticchiare e prendendo in mano un fumetto continuò la lettura da dove si era fermato per cena.


 


L'anno accademico era iniziato da pochi giorni in un Ottobre decisamente caldo e che non voleva abbandonare le ultime luminose giornate autunnali.
Andrea aveva scoperto che la biblioteca dell'ateneo chiudeva poco prima di mezzanotte e, ciliegina sulla torta, la parte umanistica era piena di libri che lo interessavano. Aveva impiegato meno di un minuto a capire che studiare in biblioteca era meglio: certo, all'orario di punta un posto per stare tranquilli era difficile da trovare, ma praticamente nessuno rimaneva fino all'orario di chiusura e lui amava quel luogo. La sua aria antica, l'odore dei libri, il silenzio a volte non era proprio il protagonista delle sale, ma quell'aspetto non lo aveva disturbato poi molto. Amava vagare nella sezione dei libri più antichi, tenuti dietro bacheche di vetro, chiusi a chiave, mentre cercava di capire come poteva ottenere i permessi necessari a prendere in mano quelli che gli interessavano. Per il momento si accontentava di guardare ciò che era accessibile e i file ricavati dalla trascrizione digitale dei libri più delicati. Non c'erano tutti, purtroppo. Alcun erano lì come se fossero solo in mostra e la trovava una cosa offensiva. Aveva però trovato sperduta tra le sale dagli alti soffitti una zona che poteva definire affine all'occulto. Libri che parlavano del culto dei morti, riti di popolazioni ormai perdute dai risvolti necromantici, dei piccoli gioielli a cui si dedicava un po' ogni giorno.
Fu lì che iniziò a rendersi conto che non era l'unico che prendeva volumi da quella sezione, per consultarli in un angolo tranquillo. All'inizio pensò a un altro studente, ma guardandolo con attenzione, attraverso i tavoli che li separavano, Andrea si era reso conto che era molto più probabile fosse l'assistente di un professore.
Non gli diede mai peso, pur vedendolo giorno dopo giorno, mentre novembre arrivava e le giornate diventavano più corte e buie quella biblioteca era diventata la sua seconda casa. Frequentava le lezioni, studiava diligentemente e poi arrivava lì.
Era ormai fine novembre quando andò a sbattere, letteralmente, contro lo sconosciuto compagno di biblioteca.
Stava indietreggiando, con il naso puntato verso gli scaffali più alti, quando gli sbatté contro. Non si era assolutamente reso conto che fosse lì, dietro di lui. Era certo fosse seduto al suo solito tavolo.
«Scusa!» disse imbarazzato. Per evitargli di cadere l'altro lo aveva afferrato per un braccio e, per la prima volta, Andrea lo vide da vicino. Dimostrava una trentina d'anni e in quel volto maturo uno sguardo divertito incontrò il suo, con iridi di un colore così scuro da essere quasi indistinguibile dalla pupilla.
«Tranquillo, ero distratto e non ti ho notato neanche io, o mi sarei spostato.» L'uomo mollò la presa e Andrea annuì, guardandosi attorno, ancora in parte imbarazzato. «Ti vedo qua spesso, anzi più che spesso. Ogni giorno.»
«Beh, se mi vedi sei qua anche tu, no?» borbottò con un sorriso storto.
«Touché. Mi chiamo Federico, tu?»
Guardando la mano tesa, Andrea la prese. Era ghiacciata, ma del resto in biblioteca non faceva caldo, quello era poco, ma sicuro.
«Andrea.»
«Che libro volevi?»
Il giovane riportò lo sguardo sulla mensola. «Cercavo la versione che hanno qua del libro dei morti, a quanto ho capito è una delle prime traduzioni ed è un po' diversa dalle più recenti...»
«Non lo trovi lì, lo ho preso io mezz'oretta fa.» Federico indicò il tavolo dove era stato seduto fino a poco tempo prima. «È lì, vieni? Se aspetti che finisco una cosa te lo lascio.»
«Oh, grazie, ma non ho fretta...»
«Sicuro? Trovo che la traduzione, che a posteriori han definito sbagliata, sia in realtà molto più precisa in certi passaggi di quelle più moderne...» Federico sorrise notando gli occhi del giovane illuminarsi.
«Aspetto che hai finito, allora.»
Si diressero al tavolo e Andrea osservò Federico scrivere degli appunti su un quaderno. Una scrittura ordinata, quasi artistica, come quelle che si vedevano nelle lettere del rinascimento. Guardò l'altro prendere appunti con velocità, in quel modo ordinato e preciso, aspettando.
«Ascolta,» Federico alzò gli occhi dal libro, chiudendolo e porgendoglielo. «Non sono in tanti quelli che apprezzano questo genere di letture e io non ho mai nessuno con cui chiacchierare. Ogni tanto prendiamoci una pausa e andiamo al bar della facoltà, che ne dici?»
Andrea aprì la bocca per dire un no deciso. Non lo conosceva e non ci teneva a conoscerlo, ma nel guardarlo quelle iridi magnetiche sembrarono annodargli la lingua.
«Sì, va bene, volentieri.»
«Allora domani ti offro il caffè!»
Federico mise le sue cose in una borsa mentre Andrea lo fissava come instupidito. Perché diavolo aveva detto sì? Lui voleva dire no... ma in fondo era davvero un problema?, si chiese, guardando l'altro andarsene.
Scuotendo la testa andò a raccogliere i libri e metterli via. Spense il portatile, ficcò tutto nella tracolla e se ne andò, sentendosi in un certo qual modo confuso.


 


Era davanti alla porta della biblioteca, indeciso. Poteva ancora tornare indietro, non farsi trovare, evitarla per qualche giorno e poi declinare il prossimo invito, nel caso ci fosse stato.
Sì, avrebbe fatto così.
«Andrea!» No, lo aveva visto, Federico era comparso da oltre la soglia, con un sorriso sul volto. «Vieni, dai, prendiamoci sto caffè.»
Il ragazzo annuì, seguendo l'altro. «Sì. Tu non sei uno studente, no?»
«Esatto, sono un assistente. Allora, hai dato un'occhiata a quel libro?»
Andrea avrebbe voluto sapere altro di Federico, almeno di chi era l'assistente, ma in pochissimo la conversazione con lui si fece coinvolgente a tal punto da assorbirlo completamente. L'altro era divertente, dissacrante, geniale. Aveva una conoscenza enorme e si trovò presto a pendere dalle sue labbra. Esponeva i suoi pensieri con una libertà mai provata prima, le sue teorie sui collegamenti che le varie usanze avevano, mille cose di cui non aveva mai parlato a nessuno. Quella sua passione era un segreto anche per i suoi amici, in realtà: le poche volte che accennava a certe cose erano prese come la stupidaggine del momento e aveva smesso di parlarne.
Quella libertà d'espressione lo infiammò, mentre discuteva con l'altro che sembrava sinceramente interessato, il tempo passò in un attimo e li buttarono fuori dal bar all'ora di chiusura.
Il giorno seguente si trovarono in biblioteca, ma Federico non gli propose un caffè rimanendo intento alla lettura al suo tavolo. Neppure il giorno seguente, o quello dopo ancora, fin quando non fu Andrea ad andare a cercarlo con una certa timidezza, offrendogli un caffè.
La storia si ripeté e, per i seguenti mesi, i due divennero abituali frequentatori del bar della facoltà almeno una, o due volte la settimana, parlando fino all'ora di chiusura.
Quando le giornate iniziarono ad allungarsi Federico iniziò a presentarsi sempre meno alla biblioteca fino a scomparire. Andrea sentì la sua mancanza, si era abituato ai loro discorsi, a vederlo in biblioteca poco lontano da lui, a un paio di tavoli di distanza, chinato sul suo quaderno. In quei mesi il padre era stato poco a casa e qualche volta aveva pensato di parlargli di Federico, ma ogni volta si bloccava. Come poteva spiegargli di cosa parlavano? In realtà, poi, non sapeva davvero nulla dell'altro, nulla oltre la passione che avevano in comune.
Diede gli ultimi esami, mantenendo la media più che eccellente che lo contraddistingueva, mentre l'anno accademico terminava e lui si trovava a girare con gli amici tra le calli, passando le serate in qualche locale a parlare, ma più spesso a leggere, a casa, studiando gli appunti e le informazioni che aveva raccolto con certosina attenzione. Si trovava sempre più spesso a pensare a Federico, chiedendosi se con il nuovo anno accademico l'avrebbe visto ancora alla biblioteca, quando, una sera, il suo telefono squillò.
Il numero era sconosciuto e perplesso rispose, riconoscendo immediatamente la voce.
«Andrea? Ciao! Sono Federico.»
«Ohi, ciao, ma come fai ad avere il mio numero? Non te l'ho mica dato mi pare...» Andrea si domandò perché mai non li avessero mai scambiati, ma in effetti non ci aveva mai pensato, stupidamente.
«Beh, ho chiesto in segreteria. Mi conoscono, pensavano fosse per cose della facoltà e visto che lo avevano me l'hanno dato. Solitamente non lo hanno, ma credo tu lo abbia dato a qualche docente.»
«Già, non pensavo lo mettessero in segreteria...»
«Un caso, semplice fortuna. Ci ho provato e mi è andata bene. Ma ascolta, se non hai nulla da fare stasera ti va di vederci per quattro chiacchiere?»
«Stasera proprio?»
«Hai da fare?»
«Beh, no, ma sono già le dieci di sera, se vuoi facciamo domani subito dopo cena, così abbiamo più tempo.»
«Cos'è, hai il coprifuoco? Il locale che volevo proporti chiude praticamente all'alba, dai!»
Andrea prese un lungo respiro. Non aveva il coprifuoco, non esattamente visto che il padre, al solito, era all'estero per lavoro. Si erano sentiti già, quindi non avrebbe mai saputo di quell'uscita.
«No, arrivo, dove?»
Federico gli diede le indicazioni per un locale che lui non aveva mai sentito, era in una zona che non aveva mai frequentato e ci mise un attimo a capire come arrivare. Non era lontano, tra piedi e traghetto in meno di mezz'ora sarebbe stato lì.
Si rimise le scarpe, una felpa leggera, e si avviò, infilando le mani nelle tasche mentre tra sé canticchiava. La sera Venezia si svuotava di turisti, le acque finalmente iniziavano a calmarsi e, alla luce di luna e lampioni, i riflessi dei palazzi nei canali creavano l'illusione di un mondo parallelo e magico. Gli piaceva la sua città, l'amava. Nonostante l'odore non sempre buonissimo, le masse di turisti ignoranti e l'ottusità dei concittadini, la trovava stupenda.
Arrivò al locale, trovandolo poco affollato. Sembrava uno di quei pub che ricalcavano un'atmosfera medievaleggiante, con un arredamento a tema. L'insegna recitava “Il dardo e la rosa”, entrando si guardò attorno notando Federico a un tavolo. L'altro nel vederlo si alzò, andandogli incontro.
«Hai fatto in fretta. Vieni, andiamo di sopra, c'è meno casino.»
La musica in effetti era un po' troppo alta per poter parlare tranquillamente e lo seguì lungo delle scale strette, arrivando al piano superiore semi deserto, dove la musica era decisamente meno invadente.
Arrivò una cameriera dagli occhi pesantemente truccati con un sorriso di circostanza sulle labbra e segnò le due birre, tornando poco dopo con l'ordinazione.
Il tempo sembrò non essere mai passato e, dopo poche parole di circostanza, si tuffarono nell'argomento che entrambi amavano.
Andrea parlò senza cognizione del tempo, fino a quando non si rese conto che erano completamente soli nella stanza. Le luci erano basse e solo in quel momento fece caso a come le finestre fossero oscurate. Guardò l'ora sul telefono: erano le due passate.
«È tardi, inizio a essere cotto. Dai, ti saluto.»
«Aspetta, Andrea, prima devo parlarti di una cosa.» Federico gli fece cenno di tornare a sedersi e Andrea ubbidì. «Sai come faccio di cognome?»
«No, in effetti no...» il tono perplesso di Andrea fece sorridere l'altro.
«Mi chiamo Federico di Giovanni.»
«Ah. Cioè, bello... ma perché me lo dici?»
«Ho passato gli ultimi mesi a studiarti per conto della famiglia, tua zia Sofia ha parlato così bene di te che hai attirato l'attenzione di Diego abbastanza da spingerlo a chiedermi di darti un'occhiata e devo ammetterlo, quello che ho visto mi ha piacevolmente soddisfatto. Sei promettente, un fiore raro anche nella nostra famiglia.»
«Tu, tu cosa? Ma cos'è, uno scherzo? E chi è Diego?»
«Diego è... diciamo che è il nostro capo famiglia.» Federico si sporse verso Andrea, quegli occhi così neri da sembrare inchiostro lo catturarono. «Mi hai colpito, Andrea. Mi hai colpito tanto da spingermi a decidere di volerti. Ora, però, lascia che ti racconti la vera storia, quella che solo i migliori della nostra famiglia sanno.
Tu sei un Giovanni, la nostra stirpe è antica, potente, ricca. Ma non è solo questo che ci contraddistingue. La tua passione per ciò che si trova oltre il velo, quello è la nostra peculiarità: siamo necromanti, conoscitori dell'Arte Nera.»
«Me ne vado.» Quella frase costò un enorme sforzo al giovane, deciso ad alzarsi e andarsene, ma quando l'altro parlò, ancora una volta, dovette ubbidire.
«Oh, no, ragazzo. Tu rimarrai qua, ascolterai e infine prenderai la tua decisione.» Federico sorrise, un piegarsi delle labbra predatorio e distante che gelò il sangue al ragazzo. «Vediamo da dove iniziare... ecco. Guardami, guardami bene, non hai mai notato il mio pallore? Le mani fredde? Mi vedi sempre e solo con il buio e questo perché il confine che tu vuoi conoscere a ogni costo io l'ho attraversato e sono tornato. Ma è inutile girarci attorno, sono un vampiro. I migliori della famiglia vengono scelti per ricevere l'abbraccio, così lo chiamiamo, e diventare uno di noi. Tu mi hai colpito così tanto che ti ho voluto. Non passerai del tempo da ghoul, con te sarebbe sprecato. Sei brillante, insaziabile di conoscenza e hai cercato da solo la via della necromanzia. Un ago magnetico che punta verso il suo polo. Sorprendente. Tuo padre ha cercato di proteggerti tenendoti lontano, non pensa che quello che ti offro sia un onore. Non solo la vita eterna, ma la possibilità di apprendere, Andrea. Conoscerai la vera Arte Nera, potrai vedere oltre il velo e conoscere la via che da mortale ti sarebbe preclusa. Certo, qualche piccolo svantaggio c'è, ma lo trovo decisamente inferiore ai vantaggi.»
«Quante stronzate.» Andrea, con uno sforzo di volontà che lo fece sudare copiosamente, si alzò dalla sedia. «Non so che cazzo mi hai fatto, avrai messo qualcosa nella birra. Ma non sono così idiota da credere a queste puttanate!»
La risata di Federico riempì la stanza.
«Sono ammirato, hai una forza di volontà notevole, un umano qualunque sarebbe ancora lì seduto, pendendo dalle mie labbra. Tu, invece, mi stai pure rispondendo. Bene, passiamo a una dimostrazione pratica.»
Come se fosse stato un segnale dalle scale spuntò la cameriera che si avvicinò a Federico, sorridendogli. Lui si alzò in piedi, avendo cura di fare in modo che Andrea vedesse per bene aprì la bocca, dove dei lunghi canini scintillarono. Li affondò nel collo di lei che si irrigidì, trattenendo un grido, mentre il sangue iniziava a macchiarle la pelle. Un sorso, uno solo, poi Federico leccò la ferita, che scomparve.
«Vattene, Chiara.»
La ragazza chinò il capo e se ne andò, mentre Andrea con gli occhi sgranati fissava l'altro, che si leccava le labbra.
«Un trucco, non esistono i vampiri, cazzo...» mormorò con voce che danzava sulle note del panico. Doveva essere stato un trucco. Doveva.
«Cominci a essere irritante, con la tua cocciutaggine, ragazzo. Io ti sto offrendo di essere il mio... apprendista. La vita eterna. Ovviamente è giusto che tu sappia che, nel caso tu declinassi l'offerta, non uscirai mai vivo da qua. Se l'accetterai sarai morto per chiunque. Ho faticato molto a convincere Diego per poterti abbracciare personalmente, troverei estremamente scocciante il tuo rifiuto.»
Una serie di brividi paralizzavano il giovane. L'odore del sangue della ragazza era stato percepibile, ferroso, per un attimo. Non era un trucco, qualcosa dentro di lui lo urlava a pieni polmoni.
La morte o quello che gli veniva offerto? Se era vero, beh... avrebbe rinunciato solo a suo padre. Non che cambiasse molto i loro rapporti, alla fine.
«Non mi stai mentendo.»
«Era ora lo capissi.»
Andrea annuì, mentre l'idea di studiare la necromanzia, di vedere davvero quello che c'era oltre, metteva radici in lui. Aveva voluto quello, da sempre. Così l'avrebbe potuto conoscere...
«Tutto quello che si dice dei vampiri, il sangue, l'aglio, cose così?»
«In gran parte frottole, bugie, stupidaggini. Sì, ci nutriamo di sangue, ma non dobbiamo per forza uccidere. L'aglio, le chiese, in gran parte sciocchezze. Solo i luoghi pieni di vera fede e chi è mosso da essa possono avere qualche potere su di noi e, te lo assicuro, è davvero rara. Tanti blaterano di fede, pochi la hanno. Quindi, Andrea? Accetti?»
Era una cosa stupida, un'idea assurda. Federico era pazzo, oppure era uno scherzo ben architettato.
Doveva andarsene, e subito.
Una parte della sua mente diceva quello, mentre l'altra gli sussurrava, suadente, di accettare. Cosa aveva, davvero, da perdere? Se gli stava mentendo, beh, sarebbe stato lo zimbello per un po', ma se diceva la verità e rifiutava da lì non sarebbe uscito vivo. In nessun caso... solo che in una delle possibilità era meno morto.
«Sì.» 
Federico sorrise, avvicinandosi e scostando con la mano il bordo della felpa gli sussurrò all'orecchio: «Mi sono scordato di avvisarti, il morso di uno di uno della nostra famiglia è maledetto... farà un po' male.»
Con la stessa mano scostò i capelli di un castano scuro, il tocco gelido, mentre Andrea si chiedeva perché non stesse scappando. Perché rimaneva lì, con la paura che gli faceva galoppare il cuore e la mente che gli urlava quanto era stupido, di scappare.
Sentì i denti di Federico affondare nel suo collo e un'ondata di dolore si propagò come fuoco lungo ogni nervo. Non si trattenne, urlò, mentre ogni goccia del suo sangue veniva bevuta dall'altro, prosciugandolo nel tormento, portandolo oltre quel velo che aveva sempre voluto alzare, studiare, conoscere.
Mentre moriva, gridava.
Mentre la vita lo abbandonava dolorosamente, goccia a goccia, riusciva solo a pensare al perché aveva accettato, aggrappandosi a quel desiderio di conoscenza che gli infiammava l'anima.
Poi fu nero.

 

 


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