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Autore: Winchester_Morgenstern    08/11/2016    0 recensioni
La vera difficoltà non sta nel cambiare se stessi, ma nel riconoscere ciò che si è realmente e, soprattutto, nell'accettarlo.
IN REVISIONE - CAPITOLI RISCRITTI 4/X (DA DEFINIRE).
POST COG, POSSIBILE RIVISITAZIONE DELL'INTRODUZIONE.
Genere: Azione, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Clarissa, Izzy Lightwood, Nuovo personaggio, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Veritas filia temporis'
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XXXIV - EPILOGUE 
 
Isabelle spinse via il piatto con una mano, rifiutando quella delizia di cioccolato con uno sguardo spento. 
Capiva perché avevano voluto allestire tutto quello così in fretta, davvero, dopo tutte le orrende cose accadute Clary e Jace sentivano di dover trovare un appiglio in quel mare agitato, un faro nella tempesta per evitare di affogare o di perdersi, qualcosa che li tenesse a galla. 
Era partita come una cosa intima e semplice, in famiglia, poi in qualche modo la voce del matrimonio del decennio si era sparsa e i Cacciatori erano sembrati disposti a far di tutto pur di ottenere un invito. 
Così un grande giardino era stato messo a disposizione dei nuovi coniugi Herondale, una mastodontica tendostruttura era stata montata all'interno di esso con drappi dorati al posto del soffitto, piccole cupole al contrario che si agitavano al minimo alito di vento. 
Era davvero bellissimo, c'erano tavoli avvolti in stoffe pregiate sui toni dell'oro, composizioni floreali degne d'essere immortalate come nature morte, un quartetto d'archi allietava gli ospiti ed alti e viventi muri verdi circondavano l'evento, snodandosi in dedali e dedali di corridoi naturali in cui i quasi cento invitati potevano imboscarsi tranquillamente e, perché no, anche gli sposini. 
Eh be', sì, come tutti avevano notato anche la cucina era fantastica, ma Isabelle non riusciva a godersi né quella né tutto il resto.
Contrariamente a quel che aveva sempre immaginato da quando era divenuto chiaro che suo fratello adottivo e la sua unica amica stabile si sarebbero sposati, non aveva nemmeno tentato di organizzare il ricevimento. No, a dire la verità non aveva mosso un dito, ed aveva passato tutto il suo tempo avvolta alternativamente tra le braccia di Alec, di Jonathan o di Jace. 
— Vuoi allontanarti da qui, Iz? — si sentì domandare con tono sorprendentemente soffice per appartenere ad un Morgenstern. 
— Magari tra un po' — rispose, sorridendogli debolmente: — Voglio dire, mio fratello si sta sposando. Ed è anche il tuo. Di fratello, intendo. E Clary è tua sorella. Non dovremmo perderci questi momenti. — osservò, prendendo un profondo respiro e recuperando il suo piccolo cucchiaino dal piatto. 
Raccolse un piccolo pezzo di torta e lo avvicinò alle labbra di Jonathan, che si dischiusero per permetterle di imboccarlo: — Potevi semplicemente chiederla, se la volevi, sai? Te la stai mangiando con gli occhi da un quarto d'ora, almeno. 
All'inizio era stato difficile. Le prime ventiquattr'ore dopo la fine sembravano essersi dilatate all'infinito, le avevano passate a impilare cadaveri, fare condoglianze e tracciare rune, fino a quando non erano scivolate via dalle loro mani tutte d'un colpo, improvvise come un lampo nel cielo. 
Non aveva trovato lei corpo, non ricordava il nome dello Shadowhunter che l'aveva fatto, ma non era quello l'importante. 
In seguito a quella che era stata una colluttazione fra due angeli, a quanto le avevano detto, una gigantesca onda d'urto luminescente si era scatenata dal loro scontro facendo sprofondare di un metro il lago nel terreno, radendo al suolo tutto quello che c'era nel raggio di venti metri da esso. 
Centinaia di guerrieri di entrambi gli schieramenti erano crollati al suolo, alcuni quasi del tutto carbonizzati, altri soltanto ustionati, ma tutti morti. 
Lei era stata fortunata, l'unica cosa che aveva sentito da dove si trovava, nascosta dietro i primi lembi della foresta con il corpo allora inanimato del suo ragazzo sulle ginocchia e il suo futuro figlio al fianco, era stato un improvviso quanto effimero aumento della temperatura. Sua madre, però, non era stata altrettanto favorita dalla sorte. 
Era riversa su una roccia, le braccia aperte a formare una croce ed il capo reclinato verso sinistra, gli occhi azzurri alzati verso il cielo, del tutto inanimati. 
Fu come se le avessero strappato improvvisamente il terreno da sotto ai piedi, come quando Ian impilava i blocchi di legno uno sopra l'altro a formare una torre e poi decideva di sfilare proprio quello che era alla base, facendo crollare tutto. 
Tre settimane e mezzo erano passate da quel giorno, ma non erano abbastanza per elaborare un altro lutto nella sua famiglia. 
Prima se n'era andato Max. I due giorni immediatamente successivi alla morte di Maryse Lightwood Isabelle si era rifiutata completamente di vedere Jonathan, assillata notte e giorno dal fantasma del suo fratellino che l'accusava di infangare la sua memoria. 
Era stato come ripetere tutto da capo, venire schiacciata ancora una volta dal peso della morte, questa volta doppiamente devastante.
Aveva passato duemilaottocentottanta minuti della sua vita senza mangiare e senza bere, serrata nelle lenzuola nonostante delle goccioline di sudore le scendessero lungo la spina dorsale. Un calore innaturale, dovuto più ai tremori che la scuotevano a causa degli incubi che al clima, considerando che la finestra era rimasta sempre spalancata e libera di far entrare l'impetuoso e gelido vento di fine febbraio. 
— Pensavo la volessi tu. — rispose il Cacciatore, leccando il cucchiaino d'argento e sfiorandole appena il dito con la lingua. 
Le cose erano ancora un po' tese fra loro, sebbene stessero cercando di ricominciare dagli ultimi momenti relativamente innocui che avevano vissuto, ovvero la fuga dal covo di Melchizedeck. Ovviamente, in quella frase la parola chiave era relativamente
Lei sapeva che, almeno un po', Jonathan c'era rimasto male, specie dopo avergli assicurato che voleva ricominciare a vivere dal presente, e non da quello che avevano fatto quando si conoscevano a stento. A discapito di questo, nessuno dei due era nel torto, e nessuno dei due si sarebbe scusato per ciò che aveva fatto, sebbene fosse stato lui a fare il primo passo avanti. 
La seconda notte si era svegliata urlando, tormentata dai corpi senza vita, e la prima cosa che aveva sentito erano due salde braccia attorno a lei, che la stringevano abbastanza da impedirle di dimenarsi ed allertare gli altri. 
Sssh — le aveva sussurrato in un orecchio, accarezzandole il volto nonostante lei lo stesse tempestando di pugni ovunque riuscisse ad arrivare: — Va tutto bene, Isabelle. Va tutto bene, era soltanto finzione. — 
L'aveva graffiato e graffiato, cercando solo un colpevole per tutto quello che era successo, per la sua vita che era stata ancora stravolta e calpestata, fino a quando aveva perso la forza di reagire ed era scoppiata a piangere, seppellendogli il volto nel petto muscoloso, coperto da una sottile maglietta nonostante fosse inverno. 
In quel momento si era resa conto che Jonathan era davvero molto caldo, anche con tre gradi e la finestra spalancata sulla notte come un occhio cieco. 
Fa male. Fa così male. — Aveva sussurrato sommessamente, mentre sentiva le sue mani accarezzarle i capelli. 
Passerà. Passa sempre. — Non era stato particolarmente rassicurante, ma aveva aiutato. Aveva aiutato abbastanza da farla rilassare, dopo qualche minuto, fino a crollare addormentata. 
Jonathan si morse le labbra: — Non hai toccato nemmeno le altre portate. Che ne dici se facciamo un boccone a testa? — chiese retoricamente, perché le aveva già sfilato il cucchiaino di mano e, dopo averlo riempito di nuovo, lo stava protendendo verso di lei: — Andiamo, nessuno può resistere al cioccolato! 
Gli sorrise debolmente, come a scusarsi: — Non ho fame. Che ne dici di un ballo? — propose, cercando di fargli capire che no, non stava lentamente scivolando anche lei nel mondo dei morti. Aveva solo... solo bisogno di tempo per riprendersi.
Lo faceva sempre, alla fine. Doveva farlo.
Si alzarono insieme, avviandosi verso la pista da ballo. Riusciva a sentire gli sguardi degli altri invitati sulle sue scapole, sulla sua nuca, ovunque sul suo corpo. 
Si chiese se fosse per la recente perdita di sua madre o perché il suo cavaliere era Jonathan Morgenstern. Alla fine sbuffò: era ovvio che la stessero guardando tutti per il suo fantastico vestito! 
Era davvero bello, in effetti, sebbene fosse proprio quello il punto: per una volta, non era lei a far brillare l'abito, ma esso ad illuminarla. Non aveva la forza di risplendere da sola, non in quel momento.
— Isabelle... Forse questo sarebbe il momento giusto per confessarti una cosa... — Le sussurrò il Nephilim da sopra la sua spalla. 
— Cosa? 
— Ecco... Non ho la più pallida idea di come si balli un lento. — bisbigliò lui in risposta, imbarazzato. 
La ragazza si lasciò sfuggire una piccola risatina, attirandosi ancora qualche altro sguardo: — Sfortunatamente per noi, sono sempre stata un tipo da discoteca. Che ne dici di limitarci a dondolare in giro e sperare di farlo passare per un valzer? 
— Dico che è un'ottima idea. 
Solo a posteriori Isabelle si rese conto che Jonathan era un ballerino provetto, e che aveva messo su tutta quella farsa - e molte altre - solo per farla sorridere. 
Rimasero ad oscillare sul posto in un angolo della sala per un bel po', e si resero conto che la musica era finita soltanto quando qualcuno alle loro spalle tossicchiò e li indicò, per di più nemmeno tanto discretamente. 
Isabelle alzò gli occhi al cielo: — Tesoro, mi rendo conto di essere favolosa, ma al posto di mangiarmi con gli occhi, non potresti farmi una foto? Eviteresti di consumarmi, sai. — si lamentò, prendendo Jonathan per mano e riconducendolo al tavolo. 
Okay, più che ricondurlo dovette trascinarlo, perché fosse stato per lui sarebbe morto dalle risate proprio nel punto in cui avevano tentato di ballare, a discapito della tizia che stava arrossendo con ventisei sfumature diverse dopo le sue parole. 
— Idiota!
— Cioè, fammi capire, tu fai battute e la colpa è mia?! 
 
 
 
— Dico che è un'idea assurda! Cosa credi di risolvere, così facendo? 
— Potrebbe farti bene! Dimenticare la battaglia, non pensare più a... 
Isabelle alzò gli occhi al cielo, la rabbia trattenuta a stento nei pugni serrati: — Cosa, papà? Jonathan? Oppure la morte di tua moglie, che tra l'altro sembra non averti nemmeno scalfito?! — Prese un profondo respiro, ringraziando il cielo di essere abbastanza lontani dal ricevimento: — Sei un pazzo se credi che dopo tutto quello che è successo io me ne vada in Spagna a fare uno stupido anno all'estero. Al momento, renderti fiero di me è l'ultima cosa nella mia scala di priorità. — Incrociò le braccia al petto, già mezza voltata: — Anzi, direi che non vi rientra proprio. 
Senza attendere risposta, s'incamminò lungo il sentiero erboso costeggiato da due muri di labirintiche piante. Non era mai stata in quei giardini, nelle sue precedenti visite a Idris, ma probabilmente dipendeva dal fatto che, a discapito dei suoi genitori, ci andava di rado. 
Come diavolo poteva suo padre pensare di spedirla via come un pacco postale? Non era riuscita nemmeno a rimettersi in piedi del tutto, e lui già pensava di separarla dai suoi appigli? Era l'unica ad aver sofferto per la morte di sua madre, forse?! 
— Cosa speri di ottenere, Isabelle, crescendo un figlio non tuo con l'assassino di tuo fratello? Andando via potresti rifarti una vita! Metterti tutte queste brutte esperienze alle spalle! — Avrebbe voluto poter dire che suo padre le stava urlando contro, ma non era vero. Era fermo all'inizio del vialetto, l'aria impassibile ed il tono pacato, come se le sue parole non gli fossero nemmeno arrivate al cervello. 
— Ho diciotto anni. Non puoi più decidere per me. — rispose, cercando di abbassare a sua volta il tono della voce. Figurarsi se intendeva rovinare la festa a Clary e Jace. 
Forse lui disse qualcos'altro, ma semplicemente non ci prestò attenzione: aveva fin troppi pensieri per la testa, non poteva permettersi di prestare attenzione anche ad un padre assente e troppo esigente. 
S'inoltrò quanto più poteva nei verdi dedali, non abbastanza da perdere il senso dell'orientamento ma sicuramente da non farsi trovare al primo colpo. 
Si fermò soltanto di fronte ad uno spiazzo particolarmente più grande degli altri, circondato da muri di foglie, con al centro una fontana di marmo rialzata da blocchi dello stesso materiale. L'acqua sgorgava limpida e cristallina, probabilmente il tutto era stato rimesso a nuovo solo per quell'occasione, perché a terra c'erano ancora i resti di tralci rampicanti che una volta erano avvolti attorno alla base e si arrampicavano su di essa, fin dentro la vasca, a giudicare dai segni. 
— Diciotto anni... Mi sento improvvisamente vecchio. 
La Cacciatrice alzò lo sguardo, incontrando quello protetto dalle lentine chiare di Ian: era appoggiato al retro della fontana, ed aveva appena iniziato ad aggirarla per arrivarle di fronte. 
— Non ne dimostri più di me — rispose, avvcinandosi a lui. Non avevano davvero avuto modo di parlare dopo quel salvataggio rovinoso, anche perché tra le ferite che Ian aveva riportato e che l'avevano costretto a letto e il suo carattere chiuso che era improvvisamente diventato ancor più schivo, be'... Non c'era stato molto da dire, soprattutto considerando che anche lei non era stata molto di compagnia, in quegli ultimi tempi. 
— No, ma tra poco ne compirò ventiquattro. Sette di differenza. — spiegò, bagnando appena un dito. Con esso tracciò dei ghirigori sul pelo dell'acqua, sorridendole distrattamente: — Immagina quanto dev'essere strano per me.
Isabelle aggrottò appena la fronte, avvertendo l'assurdo impulso d'incominciare a schizzarlo soltanto per ridere entrambi - non che sarebbe successo, probabilmente -: — Sei e mezzo, e non sono così tanti, dai. 
Ian sorrise: — Ho due cugini della tua stessa età, e non fanno che ripetermi la stessa cosa. 
Non ebbe bisogno di ulteriori dettagli per capire a chi si riferisse: — Stai parlando dei figli di Jace e Clary. 
— Sì — Il ragazzo si passò una mano fra i capelli tinti di scuro, che non gli stavano poi così bene. Era vero che non dimostrava più della maggiore età. 
— Puoi... dirmi qualcosa di loro? 
Lui sembrò rifletterci su: anche lei era memore delle parole di Noah - distrattamente, si chiese se Ian non si fosse fatto vedere a causa di quel lutto -, parlare del futuro lo incideva su pietra, a meno che qualcuno non apportasse un grande cambiamento, ma dire due nomi e qualche tratto caratteriale non le pareva un gran problema. 
— Loro... sono due, due gemelli. Si chiamano Will e Val. Okay, in realtà William e Valentine, ma tutti usano i diminutivi. 
Non credeva che sarebbe potuto accadere, ma dopo parecchi giorni a quella parte Isabelle scoppiò a ridere: — ... Hanno chiamato uno dei loro figli Valentine?! — esclamò, appoggiandosi contro la vasca e rischiando quasi di finirci dentro. Ian le afferrò il polso, tirandola in avanti: — Fa un po' freddino per un bagno, non credi? — La lasciò, ridacchiando a sua volta: — Suppongo si sentisse in debito. Clarissa, intendo. Il nonno le ha salvato la vita non troppo tempo fa, e per questo l'ha portata all'altare. Okay, credo che in realtà sia più per tutta la storia di Lucian. Ma ci saranno altri avvenimenti. E Jace ha una passione per il tramandare i nomi. 
La Nephilim stava cercando di immagazzinare quelle informazioni e metterle in ordine, quando un pensiero piuttosto scioccante le passò metaforicamente davanti agli occhi: — Aspetta... ne hai parlato prima... tu hai... hai dei fratelli! — Praticamente lo strillò, con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata in una gigantesca O. 
Questa volta fu il turno dell'ibrido di scoppiare a ridere: — Sì, ne ho tre. E non c'è bisogno di dire che certamente non sono figli della gallina bianca, giusto? — disse, ed Isabelle poteva quasi avvertire il sarcasmo grondare dalla sua voce. 
— T-tre... — balbettò, chiedendosi se quello non fosse il momento giusto per tuffarsi nella fontana. Sarebbe stato un ottimo diversivo. 
— Be', due programmati. A quanto pare le coppie di gemelli sono comuni, in famiglia, stando ai fatti. 
— G-gemelli...
— Saresti un ottimo pappagallo — La prese in giro, sorridendole anche con gli occhi. Era la prima volta che lo faceva, almeno a lei, da che ricordasse. 
Non poteva dire che tutto quello non fosse strano o imbarazzante, ma... ma era qualcosa, no? 
— Comunque, sì. Ci sono Regina e Christopher, che hanno quattro anni di differenza con me, e Sebastian, e qui invece sono dieci. — spiegò, staccandosi dal bordo di pietra e facendole cenno col mento di seguirlo. Imboccò uno dei sentieri a passo moderatamente veloce, conducendola alla fine del labirinto in miniatura. Da lì potevano scorgere la tendostruttura, ma essendo coperti da dei cespugli gli invitati non potevano fare altrettanto con loro. 
Ian indicò alcune panchine: — Così puoi sederti. — mormormò, distogliendo lo sguardo. 
Stava arrossendo? Stava arrossendo! 
Di profilo, assomigliava davvero tanto a suo padre, ed era ugualmente adorabile. In realtà di più, perché a differenza sua dava più l'aria di essere gentile e premuroso. 
Non riusciva a capire come fosse possibile, considerando che lei era una pazza e Jonathan anche di più. Da chi diavolo aveva preso? 
— Tu no? — domandò, suo malgrado obbedendo alla proposta. 
Lui s'imporporò ancor di più e piegò le labbra in una smorfia: — Non sono un grande fan delle... piante. E questa cosa ne ha un sacco alle spalle. 
Isabelle sbatté le palpebre per qualche attimo: — Delle piante. Questo posto dev'essere il tuo incubo, allora. 
Ian alzò gli occhi al cielo: — Non proprio le piante piante. Più degli insetti sopra di esse, in realtà. 
La Shadowhunter tentò di restare impassibile. Ma ci provò davvero, eh, solo che era più forte di lei: in meno di dieci minuti, era riuscito laddove molti altri avevano fallito, in quei giorni. Se la sua compagnia portava sempre così allegria, quando non sembrava essere un ghiacciolo terrorizzato di sciogliersi, allora l'avrebbe pedinato, o qualcosa del genere. 
— Scusa — ansimò, tentando di fermare le risa. Non era nemmeno così divertente, ma aveva le lacrime agli occhi, forse perché aveva semplicemente bisogno di sfogarsi e quello era il metodo migliore per farlo: — È che... gli insetti!
L'ibrido incrociò le braccia al petto: — Sì, quelli! Non ti ci mettere anche tu, o non ti parlo degli altri. 
Isabelle alzò le mani: — Per carità. Allora, cosa puoi dirmi di loro? 
— Tu cosa vuoi sapere? 
— Non lo so, qualunque cosa. 
Ian si voltò verso il punto da cui erano arrivati: — Tu non hai nessuna domanda particolare, invece? 
Solo in quel momento lei si accorse che Jonathan era lì, con due calici di champagne in mano: — Ho lasciato Ian a fare amicizia con Octavian Blackthorn — le disse a mo' di spiegazione, per poi voltarsi verso la versione adulta del suddetto figlio: — A parte "sul serio, insetti", intendi? — sogghignò, avvicinandosi ai due per poi porgere uno dei bicchieri alla ragazza. 
— Insomma! A parte quello, sì! 
— Va bene, va bene — Isabelle represse un altro attacco di ridarella: — Non lo so, mi basta qualunque cosa. Quello che gli piace, qualche storiella... 
Al suo fianco, Jonathan annuì: — Qualcosa di divertente — aggiunse, anche se non c'era troppo bisogno della precisazione. Ma dato che erano riusciti a risollevare l'umore generale, meglio non rischiare di perderlo per strada. 
— Okay... — Ian prese a camminare avanti e indietro ed iniziò a parlare, gesticolando per enfatizzare le parole: — C'era questa volta in cui... Era il mio sedicesimo compleanno, credo, ed avevano tutti deciso di farmi una sopresa, di cucinarmi la colazione. — Si leccò le labbra con fare scherzoso: — C'era solo un piccolo problema, però. 
— Ovvero? 
— L'unico a saper accendere i fornelli ero io. Che ho recuperato il talento culinario da non si sa dove, considerando che voi due non siete capaci di fare un uovo al tegamino, e che i miei fratelli hanno ereditato questa vostra... mancanza. — spiegò, producendosi in uno strano suono buffo alla vista delle loro facce oltraggiate: — Comunque, ci misero tutto il loro impegno. Presero padelle e pentole, tra l'altro soltanto per fare dei pancake avevano usato l'intero servizio, ma dettagli, e Christopher e Val si appropriarono dei fornelli, mentre Sebastian giocava con l'impasto e Regina  e Will tentavano di mangiarlo. Almeno, questo è quello che mi è stato raccontato. Da qualche parte a casa c'è anche conservato un video, credo. Solo che, come già detto, erano piccoli e non proprio chef provetti, allora innanzitutto misero il sale al posto dello zucchero e lo zucchero a velo al posto della farina. Non un grande mix, se chiedete il mio parere. — continuò, con un'espressione rilassata in volto. Intimamente non era del tutto a suo agio, ma era facile dimenticare di essere indietro nel passato e credere di star rivangando il passato con un amico a caso, o col suo elìos. 
— Ma fosse niente! No, dopo iniziarono a litigarsi per decidere chi doveva versare l'impasto, e stabilirono che il modo migliore per farlo era, be', non ne sono del tutto certo, ma fatto sta che rovesciarono qualunque cosa gli capitò sotto mano, e i campi di battaglia non potranno mai reggere il confronto con lo stato della cucina di quel giorno. Poi... — Ian s'interruppe, mordendosi le labbra. 
Scosse il capo: — Scusate, è che... Se per voi è difficile accettare la mia identità, be'... Pensate a me. L'ultima volta che vi ho parlato eravate delle persone diverse, e continuo a rivedervi nella mia testa, più grandi, loro... È strano essere qui e fingere che vada tutto bene. 
— IZZY! 
 
 
Magnus si appoggiò ad una delle colonne portanti della tendostruttura, sorseggiando il suo calice di vino. 
Dall'inizio del matrimonio, era la prima volta in cui si ritrovava da solo, e semplicemente perché Alec stava ballando con la sposa. 
Aveva passato gli ultimi giorni a cercare di rimettere insieme i pezzi del suo ragazzo, o meglio, di farlo crollare e poi ricostruirlo, perché con quell'atteggiamento stoico non sarebbero andati da nessuna parte. Prima o poi tutti scoppiavano, ed Alexander non faceva eccezione. Sperava solo che non succedesse in quel momento... 
E gli faceva bene concentrarsi su di lui. Gli impediva di pensare a tutti gli altri morti che c'erano stati. 
Avendo un seggio nel Consiglio come Stregone, be'... Aveva avuto fra le mani resoconti specifici, liste. Liste di persone che non c'erano più, e se anche avrebbe dovuto essere abituato alla perdite, quella era stata del tutto inaspettata. 
Aveva visto i Blackthorn riunirsi e piangere Helen, compattarsi fra loro e farsi forza. Andrew Blackthorn sembrava essere appena stato investito da un treno, ma era ugualmente seduto lì ad uno dei tavoli, con il figlio Mark al fianco. C'erano anche gli altri, sparsi fra loro, riusciva a vedere il piccolo Octavian giocare con Ian... Non si sarebbe ricordato di nulla. 
Le fate erano piombate nel più completo caos, la Regina Seelie era caduta e con lui uno dei suoi più fidati cavalieri, Meliorn... 
Sapeva che, poco prima dell'alba, Jace era andato a visitare la tomba di Amatis Greymark.
Certamente, era positivo che Melchizedeck fosse caduto. Nel momento in cui l'onda d'urto che era stata provocata dallo scontro dei due Angeli si era sprigionata, lui era proprio in prima linea. Ne aveva risentito così tanto da rimanere carbonizzato.
E quella era una grande, grande notizia, perché da quel che gli aveva confidato Ian questo sottintendeva un temporaneo cessate al fuoco, ma... ma gli Shadowhunter non erano gli unici ad aver sofferto. 
L'aveva vista di sfuggita, prima, tra i cespugli, guardava Jace e Clary. L'aveva salutata, ma non aveva risposto. 
Non gliene aveva fatto davvero una colpa, anche se avrebbe gradito scambiare qualche parola con lei. Certo, Tessa era riuscita a conoscerlo meglio, e lui col passare delle decadi si era distaccato da entrambi, ma... ciò non voleva dire che Magnus non fosse rimasto scalfito dall'accaduto. 
Jem... Jem Carstairs era caduto in battaglia. Non c'era più, la sua salma di Fratello Silente era stata cremata e riportata alla Città di Ossa. 
— Magnus! — Si voltò di scatto, incontrando gli occhi sbarrati di Alec: — Sì? — chiese. Era la prima volta da giorni in cui Alexander si mostrava così reattivo. 
— Hanno portato la torta. — sussurrò il Nephilim, indicando qualcosa alle sue spalle. Lo Stregone stava quasi per protestare, gli aveva fatto prendere un colpo,  ma...
Avrebbe dovuto essere un dolce bellissimo. A più piani, interamente ricoperto di foglie d'oro finemente lavorate, rune tutt'intorno, eppure... Le statuine degli sposi erano cadute sul vassoio. Al loro posto, proprio in cima, c'era la testa del neo eletto Inquisitore, Kadir Safar. 


 
 
A/N: Vorrei avere qualcosa di davvero significativo da dire, ma la realtà è che davvero, davvero non ci credo. 
Da una parte, sono felice di essere arrivata alla fine di questa prima avventura. Dall'altra, cavolo, ci ho lavorato per tanto tempo e adesso ci sto mettendo la parola fine... Be', relativamente, perché ci sono ancora capitoli da revisionare, ma avete capito quel che intendo. 
Le buone notizie: City of Lies, ovvero il sequel di questa storia, è già in fase di scrittura, ed in realtà il primo capitolo è già pronto, quindi potete aspettarvelo molto presto, appena finirò di revisionarlo. E niente, spero che tutti quelli che mi hanno accompagnato fin qui passino a dare un'occhiata anche a COL, perché è proprio lì che la vera storia inizia. 
Detto questo, ancora una volta un gigantesco grazie a tutti coloro che hanno letto e a quelli che hanno commentato, a quelli che hanno dato solo un'occhiata e a quelli che sono arrivati fin qui. 
Infine, ancora, un ringraziamento speciale a Marty Evans, senza la quale COM non sarebbe quel che è, e a proudtobea_fangirl, per così tante cose che è impossibile elencarle tutte e renderle il giusto merito. 
Grazie mille, e spero a presto,

Winchester_Morgenstern
   
 
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