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Autore: Lumik Lovefood    10/11/2016    1 recensioni
Il problema di entrambi era l'orgoglio. Arricchito con un pizzico abbondante di testardaggine, diventava un cocktail perfetto per il caratteraccio dei caratteracci, e la Signora Rukawa era riuscita a partorire non uno, ma ben due individui muniti di ciò, e non sapeva se esserne fiera o più spaventata.
Di tutto ciò, il Signor Rukawa non era di certo immune.
Adorava i suoi gemelli, come li chiamava affettuosamente in loro assenza, ma spesso subiva il loro caratteraccio taciturno e scontroso e si ritrovava a guardare con uno sguardo allibito la moglie, che invece si scioglieva in una risata cristallina, ormai conscia dei due adorabili mostri che aveva partorito.
Spesso, il povero Nobuo Rukawa cercava di interagire con i suoi figli, alle volte fallendo miseramente, altre stupendosi lui stesso di aver fatto con loro un discorso più lungo di cinque sillabe.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaede Rukawa, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Portraits





Family

1977 - 1978
Blood, 180cm x 168cm x 187cm x 162cm

House Rukawa, Kanagawa





Se qualcuno gli avesse chiesto qual'era il primo ricordo che aveva di Keiko, sapeva cosa rispondergli.
Ovviamente, non l'avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura che con la sorella gemella avesse un rapporto che andava bene oltre la normale fratellanza e tolleranza.
Già, loro si tolleravano, e molto anche.
Il fatto che avessero, bene o male, lo stesso identico carattere, li portava a discutere silenziosamente anche per le piccolezze, ed erano seguiti da un giorno di musi lunghi e mugolii, per poi riparlarsi a monosillabi come se nulla fosse successo.
La Signora Rukawa aveva perso le speranze a cercare di far instaurare tra di loro un minimo di dialogo costruttivo, ma si risolveva sempre con un “va' a cagare!” da parte di uno verso l'altro. Sapeva benissimo che tra i due, quello più taciturno e distaccato era il suo figlio maschio e che doveva puntare sul senso di colpa della figlia femmina.
Il problema di entrambi era l'orgoglio. Arricchito con un pizzico abbondante di testardaggine, diventava un cocktail perfetto per il caratteraccio dei caratteracci, e la Signora Rukawa era riuscita a partorire non uno, ma ben due individui muniti di ciò, e non sapeva se esserne fiera o più spaventata.
Di tutto ciò, il Signor Rukawa non era di certo immune.
Adorava i suoi gemelli, come li chiamava affettuosamente in loro assenza, ma spesso subiva il loro caratteraccio taciturno e scontroso e si ritrovava a guardare con uno sguardo allibito la moglie, che invece si scioglieva in una risata cristallina, ormai conscia dei due adorabili mostri che aveva partorito.
Spesso, il povero Nobuo Rukawa cercava di interagire con i suoi figli, alle volte fallendo miseramente, altre stupendosi lui stesso di aver fatto con loro un discorso più lungo di cinque sillabe.
E dire che quando erano piccoli, era il loro punto di riferimento, specialmente per Keiko!


Il primo ricordo che Kaede aveva di Keiko era collegato, molto probabilmente, alla culla. Ricordava a tratti questo fagottino rosa che veniva poggiato al suo fianco, con i pugnetti stretti e una piccola chiazza di capelli scuri sulla testa, gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta per catturare l'aria e trasferirla nei polmoni. Era solo un flebile flash che la sua mente gli riportava di tanto in tanto, specialmente quando con la gemella aveva un collegamento più forte, ad esempio se uno dei due era sotto pressione per qualcosa, anche se la maggior parte delle volte era lei a far scattare la scarica elettrica, semplicemente guardandolo negli occhi.
Il primo vero ricordo che aveva di sua sorella risaliva al primo giorno di asilo.


Keiko aveva un delizioso vestitino con una gonna scozzese di un rosso accesso che faceva venire il mal di testa non appena lo si guardava, con le maniche corte e lievemente gonfie sulle spalle, mentre lui indossava una semplice T-shirt con lo scollo a V e dei pantaloncini che arrivavano sotto al ginocchio. Keiko si teneva stretta alla lunga gamba di Nobuo Rukawa, guardando coi suoi occhioni blu le figure degli altri bambini che giocavano a rincorrersi sul prato verde brillante. Kaede si limitava ad osservare quegli stessi bambini con indifferenza e le mani affondate nelle tasche dei pantaloncini. Suo padre cercava, con poca convinzione a dir la verità, di staccare la gemella dalla gamba, imbarazzato davanti alla figura della maestra che guardava incuriosita quella bambina con dei lunghi capelli neri legati in due codine alte, frutto di quindici minuti di tempo persi.
“Avanti Keiko, non vuoi giocare con gli altri bambini?”
Kaede guardò la maestra, per poi rivolgere gli occhi verso la sorella, che scuoteva il capo freneticamente e rintanando maggiormente gli occhi dietro il completo grigio del padre, che s'imbarazzò ancor di più.
“Keiko...” sospirò, passandole delicatamente una mano sotto un braccio, cercando di staccarsela.
Avrebbe avuto al limite quattro anni, ma Kaede decise che ne aveva abbastanza di quella sceneggiata e si avvicinò alla sorella, prendendole una mano e stringendogliela leggermente. Si guardarono negli occhi, così simili ma nello stesso momento così differenti: Keiko aveva delle sfumature azzurrognole vicino all'iride e gli occhi più dolci del fratello, che al contrario erano di una sfumatura blu elettrico e dal taglio affilato e freddo.
Sentì le dita della mano di sua sorella stringere lievemente le sue, il suo corpo rilassarsi e far capolino da fuori la gamba del padre pian piano, sempre con più sicurezza, finché non venne completamente allo scoperto e rivolse un timido sorriso ai due adulti, che le ricambiarono in fretta, loro padre con una punta di sollievo. I due bambini si allontanarono da loro, avvicinandosi ad un albero di ciliegio, non in fiore, per sedersi all'ombra di esso e continuare a guardare quei vivaci bambini rincorrersi a vicenda.
La maestra gli sorrise lieve “E' tutto l'impatto iniziale, Signor Rukawa. Vedrà che se la caveranno bene.”
Il padre sospirò “Meno male che c'è il fratello...”
Era stato risoluto quella volta, ma più che altro perché si era scocciato abbastanza di quella situazione e voleva togliersi di torno quella maestra rompiscatole.



Le giornate in casa Rukawa erano pressoché simili, ma quella sera fu diverso. Molto diverso, nonostante la Signora Rukawa aveva iniziato a preparare la cena allo stesso orario di sempre e con la stessa calma di sempre.

Suo figlio era tornato a casa per primo, con un umore nero come il carbone e sapeva benissimo che ogni minima azione o parola poteva scatenare il suo fiume infinito di “va' a cagare”.
Aveva perso.
Lo capiva dalle mani serrate a pugno all'interno delle tasche della sua tuta, dagli occhi più freddi e distanti e dal viso duro ed inespressivo, ovviamente più del solito. Lo vide varcare la porta di casa con la schiena ritta, con il benché minimo cenno di orgoglio o narcisismo e buttare il borsone con la divisa da basket sporca e zuppa di sudore sul divano, salendo poi nella sua stanza in religioso silenzio e meno colorito di grugniti ed altro.
Con uno sospiro, la Signora Rukawa lasciò perdere il bollitore del riso ed afferrò la borsa del figlio, tirandoci fuori i panni sporchi per poi inserirli nella lavatrice dello stanzino lì vicino ed avviare il programma veloce, inserendo un misurino di detersivo, tornandosene poi alle sue faccende.

Mezz'ora dopo, anche sua figlia tornò a casa, chiudendo la porta con meno forza rispetto al fratello, ringraziando i Kami. La sentì togliersi le scarpe all'ingresso e camminare lentamente verso il salone, buttando la cartella di scuola malamente sul divano, dirigendosi poi in cucina.
“Ciao cara.” esclamò la donna, rivolgendole un sorriso.
Keiko la guardò, allungando gli occhi sulla pietanza che stava cucinando e dando una rapida occhiata alla tavola già imbandita per quattro “Pollo al curry?”
La donna le diede le spalle, sospirando “Pollo al curry.”
Lasciò la madre alle sue faccende, salendo al piano superiore da suo fratello. Sapeva che lo avrebbe trovato steso sul letto in ordine, con la benché minima voglia di farsi un bagno. E così fu. Non si prese nemmeno la briga di bussare alla porta della stanza del gemello, visto che non le avrebbe risposto, e si fermò alla soglia, aggiustandosi distrattamente il fiocco rosso della sua divisa scolastica, che ancora toglieva.
“Non mi conviene chiederti com'è andata, vero?” chiese.
Dal letto, non provenne ne uno sguardo ne un'occhiataccia, che solitamente erano il cavallo di battaglia di Kaede in ogni tipo di situazione. Si appoggiò allo stipite della porta. Non era poi cambiato molto da quando era bambino... Guardando meglio il letto su cui era steso, lo poteva vedere con lo sguardo d'acciaio fisso sul soffitto e le braccia incrociate dietro la testa, le lunghe gambe stese su un letto che nonostante fosse della sua misura, sembrava sempre troppo corto per la sua continua crescita.
Sospirò e si aggrappò lievemente alla maniglia della porta, iniziando a chiudersela alle spalle “Questa sera c'è il pollo al curry”. Sapeva che era il suo piatto preferito.

Alle otto e tredici, puntuale come sempre, Nobuo rientrò a casa dopo una lunga giornata di lavoro come impiegato. Come sempre, posò la sua ventiquattrore su un bancone della cucina e si slacciò lievemente la cravatta che aveva addosso e che gli stringeva il collo dalle nove di quella stessa mattinata. La cucina era satura di vapori ed odori vari, in particolare del curry. Probabilmente, sua moglie aveva di nuovo cucinato il pollo. Era il piatto delle partite: sia che suo figlio vinceva o perdeva, la madre gli propinava sempre quel dannatissimo pollo al curry, il suo piatto preferito, sia per festeggiare sia per tirarlo su di morale.
Vide la donna di spalle, indaffarata sui fornelli mentre la televisione era sintonizzata su un canale che stava trasmettendo il telegiornale, anche se non lo stava seguendo da un po'. Forse era quello ed il fatto di stare attenta a non bruciare la cena, che non le fece sentire suo marito che rientrava.
“Satsuki.” la chiamò l'uomo, avvicinandosi al televisore e pigiando il tasto di spegnimento.
Come se fosse stata punta da un spillo, la donna sussultò e si voltò alle sue spalle “Nobu... Non ti avevo sentito.”
“Pollo al curry?” chiese l'uomo, sedendosi pesantemente a tavola, già apparecchiata per quattro.
“Pollo al curry.” affermò Satsuki, spegnendo il fornello ed agguantando due pattine, per poter afferrare la pentola senza scottarsi e metterla in tavola. Disse a suo marito di iniziare a servirsi e si precipitò alla fine delle scale, per poter richiamare i suoi gemelli “E' pronto.”, per poi sedersi a tavola e riempirsi un bicchiere con dell'acqua.
Dopo circa cinque minuti, il primo a scendere fu Kaede, che nel frattempo si era fatto una doccia e si era cambiato, nonostante avesse ancora un po' i capelli umidi. Si sedette anche lui e, aspettando che sua madre finisse col mestolo, si servì una dose abbondante di pollo al curry, ignorando l'occhiata sottecchi che essa gli aveva rivolto. Vide suo padre passarsi una mano stanca sui capelli neri, che iniziavano a sbianchirsi un po' sulle tempie, ed afferrare un bicchierino di saké bianco e portarselo in bocca.
Poco dopo scese anche Keiko, ancora in divisa scolastica, che prese posto affianco al gemello, agguantando velocemente la brocca dell'acqua per riempirsi il bicchiere anche lei. Salutò il padre con un accenno di sorriso e prese il mestolo del riso per mettersi la sua porzione di cibo nella ciotola.
“Com'è andata la partita, Kaede?” esclamò improvvisamente il padre, guardandosi complice con la moglie.
Keiko, per poco non si strozzò col riso e si voltò immediatamente a guardare il fratello. Aveva alzato uno sopracciglio e rivolto un'occhiata di ghiaccio al suo vecchio, ma continuò a mangiare, senza rispondere alla domanda.
Suo padre capì, e passò a sua figlia “E a te, Keiko? Oggi non avevi da fare un compito?”
La ragazza abbozzò una smorfia con le labbra, mettendosi una ciocca corvina di capelli dietro l'orecchio e mescolando con le bacchette il suo riso “E' andato bene. Tra una settimana dovrebbe uscire la graduatoria di metà trimestre.” rispose tranquilla.
Nobuo lanciò prima un'occhiata alla moglie, poi guardò i volti dei suoi figli chini sulla loro cena e fece un sospiro stanco. Più crescevano e più si accorgeva che si somigliavano sempre di più, ogni giorno. Quando erano usciti entrambi dal grembo della madre, si era stupito che per quanto potessero essere gemelli, non si assomigliavano affatto, anche se erano nati l'una a distanza di sette minuti dall'altro. Mentre il maschio era nato piangendo anche l'anima e con le mani aperte in cerca di afferrare qualcosa, la femmina era nata più tranquilla, coi pugnetti rosa chiusi stretti, tanto che l'ostetrica le dovette darle uno schiaffo sul sedere per vedere se fosse tutto apposto. Ogni volta che Nobuo ricacciava quella storia, aveva sempre un po' esagerato col saké e Kaede si ritrovava a lanciare un'occhiata sprezzante alla sorella, che sbuffava. Alla nascita, erano più o meno simili nelle proporzioni, soltanto che Kaede superava Satsuki di parecchi grammi. Entrambi erano nati con una zazzera di capelli corvini sul capo e le pelle chiara. Quando finalmente aprirono anche gli occhi, rivelarono quattro perle blu elettrico, che fece felice loro padre come mai prima d'allora: era il colore degli occhi di Satsuki.
Col tempo e crescendo, iniziarono a differenziarsi per fisico. Kaede si era alzato moltissimo ed aveva superato il metro e settanta già dal primo anno di medie, mentre Keiko era ferma al metro e cinquanta, per poi superare il metro e sessantadue al suo ingresso alle superiori, mentre il fratello arrivava bellamente al metro e ottantasette. Anche i tratti del viso di diversificarono: Kaede si era ritrovato con un viso e con degli occhi dal taglio affilato, mentre Keiko aveva dei tratti morbidi e degli occhi dolci. L'unica cosa che gli accomunava era il tono della pelle, il colore degli occhi e dei capelli ed il naso.
Eh si, il naso.
Avevano lo stesso naso.
E la gente glielo facevano notare. Sempre.
Inoltre, crescendo, avevano sviluppato diversi interessi. Alle medie, Kaede si avvicinò al mondo del basket, praticandolo amatorialmente già da un paio di anni in un campetto vicino casa, coinvolgendo ogni tanto anche Keiko, e rivelando man mano un vero talento naturale, sbocciato definitivamente alle medie, diventando il giocatore di punta del Tomigaoka, fama che poi si portò anche allo Shohoku.
Se suo figlio era un genio nello sport, sua figlia lo era nello studio.
Keiko era intelligente e frequentava sia il corso di letteratura che quello di lingua giapponese, rientrando sempre nelle prime cinque posizioni delle graduatorie che venivano effettuate ogni metà trimestre a scuola. In realtà, lei non era un genio per talento, solamente le piaceva leggere ed aveva un'ottima memoria, che l'aiutava non poco nello studio e nella vita extrascolastica.
Nonostante fossero gemelli, l'uno non si era mai sentito inferiore all'altra, ne viceversa. Entrambi i genitori sapevano che i gemelli avevano degli interessi diversi, ed ogni tanto cercavano di aiutarsi a vicenda, anche se quello che alle volte doveva essere aiutato di più era Kaede, dato che la sua media era sempre in bilico tra le insufficienze e le sufficienze e perciò, quando si avvicinavano dei test o altro, riluttante andava a bussare alla stanza della gemella per chiedergli di spiegargli qualche algoritmo o qualche passo di giapponese antico. Avevano sempre frequentato le stesse scuole, ma classi diverse. Era Keiko a scegliere la scuola e Kaede la seguiva a ruota, appurando però prima quanto distanziasse da casa. La madre era conscia della pigrizia del figlio, ma sapeva anche bene che lui sceglieva la stessa scuola di Keiko per controllarla. Non avrebbe mai ammesso che era geloso o che soffrisse del complesso della sorella minore, tuttavia voleva avere la certezza di avere la gemella a portata d'occhi, e più o meno era sempre stato così da quando frequentavano le scuole pubbliche.
Inspiegabilmente, a Satsuki venne in mente che anche Nobuo Rukawa era simile ai figli, specialmente a Kaede, sia per aspetto che per carattere, inizialmente. Dall'alto dei suoi quarantadue anni, suo marito aveva imparato un po' a relazionarsi con le persone e perciò aveva abbandonato quella cortina di freddo che lo caratterizzava quando frequentava il liceo, dove aveva conosciuto lei e dove si erano anche innamorati. Satsuki sorrise a quel pensiero: quanti anni erano passati?
Guardò il volto dell'uomo che aveva sposato e, nonostante un po' di rughe e qualche capello grigio che spuntava ribelle, poteva riconoscere l'uomo di cui si era innamorata a sedici anni come se fosse passato solo ieri. Scosse un po' la testa, sorridendo sotto i baffi e continuò a mangiare.
Nobuo finì la sua porzione di pollo al curry e mise le proprie scodelle sporche nel lavello, congedandosi dalla famiglia per finire del lavoro arretrato e togliendosi completamente la cravatta dal collo.
A tavola rimasero solo Satsuki, Kaede e Keiko intenti a finire la propria cena, in religioso silenzio, spezzato ogni tanto dal rumore delle bacchette che si scontravano con la ceramica. Il figlio fu il primo ad alzarsi, lasciando la scodella sul tavolo ed avviandosi verso le scale.
“La prossima volta li batterai.” esclamò improvvisamente la madre, alle sue spalle. Si voltò a guardarla e la ritrovò con un lieve sorriso delineato sul viso, così simile a quelli che ogni tanto spuntavano sul volto della gemella quando leggeva il suo nome alla cima della graduatoria scolastica di metà trimestre. Anche Keiko lo guardava, ma se sua madre sorrideva, lei aveva un boccone di pollo al curry in bocca.
“Batterò Sendoh.” grugnì duro, scomparendo poi al piano di sopra.
Satsuki sospirò rassegnata, per poi voltarsi verso la figlia, che nel frattempo aveva ingoiato il boccone.
Keiko sbuffò “Chi?”










Salve a tutti
Sono "relativamente" nuova in questo fandom, anche se è uno dei primi che seguo da quando mi sono iscritta la prima volta su EFP.
Dai meandri del mio computer, ho trovato una cartellina minuscola con ben cinque diverse varianti di questa storia, alcuni scritti in maniera massiccia, altri semplicemente abbozzati. Non so precisamente cosa mi è preso, ma grazie a due storie di questo fandom, che ho letto in pressapoco un giorno, mi è venuta voglia di riprendere in mano questa storia e di farla diventare qualcosa di concreto  e non semplici bozze. Ci sto lavorando da un paio di giorni, nel tempo libero e nei buchi che ho sul lavoro, anche perché dovevo ricordare che cavolaccio volevo scrivere ed a cosa volevo arrivare alla fine, anche perché era scritta anche un pochino da cani, ma capitemi: il più vecchio documento che ho trovato risale al 2009!
Detto ciò, spiego brevemente il titolo della "raccolta", il perché e la fascia temporale a cui faccio riferimento.

"Portraits", "ritratti", perché ogni capitolo avrà un titolo ben preciso, non ci sarà nessuno collegamento temporale tra un capitolo e quello successivo, a meno che non ve lo scriva, e verranno pubblicati così come mi sono venuti in mente, anche se temporalmente saranno sconessi tra di loro. I titoli dei capitoli saranno come le descrizioni che potrete trovare sotto una fotografia di un dipinto in un libro di storia dell'arte. Perché questa scelta? Non lo so sinceramente, ma mi è sempre piaciuta come idea e volevo sfruttarla prima o poi.
Temporalmente parlando, la storia è ambientata nel 1993 ed i ragazzi del primo anno di liceo avranno quindici anni e così via... La data riportata in questo ritratto è quella in cui i cogniugi Rukawa si sono sposati (non c'era da specificarlo, ma vabbè...)

Non credo che ci sia altro... Non so quando aggiornerò, ma spero di poterlo fare il prima possibile...
Ringrazio anticipatamente chiunque si fermerà a leggere questa raccolta e chiunque abbia voglia di recensire, anche solo per evidenziare degli errori (che sicuramente ci saranno)...

Vostra, Lu.

   
 
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