Videogiochi > Dragon Age
Segui la storia  |       
Autore: Walking_Disaster    13/11/2016    1 recensioni
{ Medieval!AU, M!HawkexAnders }
Anders viene accusato di stregoneria, arrestato ed incarcerato. Hawke è la sua guardia. Hawke ha un debito nei confronti di Anders e solamente di una cosa è certo: non può lasciarlo morire.
Dal testo: “Hai sete?”
La voce fu dolorosamente famigliare. Anders sussultò: tutto, andava bene tutto, la morte e la tortura, ma non quello. Farsi vedere in quelle condizioni dal proprietario di quella voce sarebbe equivalso a buttarsi nel fuoco fingendo anche di desiderarlo – ed Anders forse era un folle, ma non un masochista.
“Anders? Hai sete?”
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Anders, Hawke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La porta di legno venne tartassata di colpi, che si intrecciavano ad urla dal sapore urgente. Anders ci mise un istante a comprendere cosa stesse dicendo la voce che penetrava nella malmessa casupola sul fiume – ma tese l'orecchio mentre si puliva le mani con un pezzo di stoffa laida e strappata.
“Per favore! Mio fratello è in pericolo, ha bisogno d'aiuto!”
E poi ci fu un singhiozzo ed altri pugni alla porta.
Il mago strinse le labbra tra loro, decidendo di aprire alla donna che stava implorando assistenza.
Anders discostò appena la porta, osservando guardingo dietro il legno la scena che gli si stava parando davanti: una giovane donna dai folti capelli color di pece aveva le guance arrossate e la veste sporca di sangue. Dietro di lei, un uomo alto, occhi azzurri, ne sosteneva un terzo – più possente di questo ed evidentemente incosciente. Non furono le diverse corporature ad attrarre l'attenzione di Anders, però, quanto piuttosto la maschera cremisi che pareva indossare lo svenuto.
“Per favore! So che siete un guaritore, vi supplico-- è nostro fratello, si chiama Philippe! È stato attaccato da un bandito e Carver l'ha soccorso, ma--”
La donna non poté finire, perché Anders l'aveva già scostata dall'uscio per far poi cenno all'uomo di entrare – trascinandosi dietro Philippe. L'uomo, una folta barba nera lorda di sangue, era totalmente abbandonato contro il corpo del giovane ragazzo, che era evidente stesse facendo molta fatica.

Fatelo stendere qui.”
Ordinò con voce ferma e decisa, scostando con una manata alcune pergamene fittamente scritte dal tavolo.
Carver adagiò il fratello dove gli fu ordinato, ma nella mente di Anders tutto sfumò non appena la sua attenzione si fu focalizzata su quell'improvviso paziente.
Lei, a quanto pareva, si chiamava Bethany e continuava a dare spiegazioni che il mago non stava ascoltando. Il ragazzo invece si terse il sudore dalla fronte, ma solo il labbro inferiore stretto tra i denti tradiva il suo animo.
Il biondo analizzò con occhio esperto e distaccato ciò che gli era davanti, i rumori annullati e risucchiati altrove: Philippe era giovane – doveva essere poco sotto la trentina. Il corpo sembrava in forze, i muscoli ben torniti e sodi – e tuttavia il volto era invisibile, sotto il mare di sangue, fango e sudicio che lo copriva.
Anders fece schioccare la lingua contro al palato: “Non posso lavorare in queste condizioni. Dovete prendermi una bacinella d'acqua pulita – laggiù, nell'angolo. Dopodiché, uscite. Vi chiamerò io quando sarò pronto.”
Se non muore prima, concluse con tono amareggiato nella sua testa.
Carver, rimasto in silenzio fino a quel momento, contrasse l'espressione in ciò che – Anders intuì – doveva essere il principio di un'animata protesta. Bethany, però, fece scattare la mascella e bloccò ogni parola del fratello sul nascere. Andò quindi a recuperare ciò che il mago aveva chiesto e poi, insieme al ragazzo, uscì dalla casupola senza proferire parola.


Non appena la porta venne chiusa, Anders si mise al lavoro: un pezzo di stoffa immerso nell'acqua servì a detergere con delicatezza il volto sfigurato dell'uomo – la mascella volitiva, il naso dritto e la folta barba nera. Individuò una cicatrice vecchia di chissà quanti anni su di un sopracciglio e studiò con attenzione il grosso e profondo taglio che campeggiava nel bel mezzo del volto. Gli attraversava il naso e gli arrivava fin poco sotto gli zigomi. Causato certamente da una spada, decretò.
Poi si ritrovò per le mani un'altra ferita, stavolta alla tempia. Nonostante il posto, era decisamente meno grave e profonda della prima – e sarebbero bastati un paio di incantesimi per risolvere.
Il passaggio successivo all'analisi, più rapida possibile, fu il fermare l'emorragia che continuava a insozzare il volto di Philippe. Anders non sapeva quanto sangue avesse perso, ma non si muoveva mai se prima non capiva ciò con cui aveva effettivamente a che fare – e perciò aveva atteso. Sperò solo che non avesse aspettato troppo.
Una luce azzurrognola gli sfrigolò dalle dita; il calore gli si irradiò giù per le falangi, a partire dal centro del palmo. Impose le mani sul grosso taglio e recitò in un soffio poche parole arcane. E così pura energia fluì, riversandosi sul bel volto virile, arricciolandosi ai capelli, alla barba, attorno alle ciglia. Il mago smise solo quando la ferita non apparì come seccata – la carne viva ed esposta prosciugata. L'aspetto, ad un occhio qualunque o di un normale guaritore, sarebbe sembrato alieno – ma lui sapeva ciò che faceva.
Si disse soddisfatto e si concesse addirittura un mezzo sorriso quando vide il petto ampio alzarsi ed abbassarsi, come sollevato. Forse era la sua immaginazione ed il suo desiderio di rimetterlo in piedi, ma si crogiolò comunque in quell'azione magari mai avvenuta.
Poi si mosse: individuò e prese alcuni vasetti pieni di erbe che lui stesso raccoglieva. Ufficialmente, il suo ruolo cominciava e finiva con quelle. Altrettanto ufficialmente, però, senza la magia i morti avrebbero decisamente attraversato in numero maggiore la porta di Anders. Ed invece, con quello che per i profani non era altro che vomito del diavolo fluito direttamente dall'Inferno, riusciva a guarire. E tanto bastava.
Si infilò un paio di foglie ampie in bocca e cominciò a masticare, impastando il boccone. Non appena il bolo fu sufficientemente umido, spalmò sulla gobba del naso e sulle guance l'impiastro verde, riempiendo il solco di quella pasta.
Anders rimaneva cauto nei pronostici, mentre all'azione dell'impacco univa un ulteriore incantesimo, recitato a voce bassa e con gli occhi chiusi. Le palpebre di Philippe tremavano, come se il bulbo coperto si muovesse frenetico e quello – decise il mago – era un buon segno.
Con una carezza delicata discostò i ciuffi di capelli incrostati dalla fronte, misurando la temperatura: era caldo, quello sì, ma non in maniera tale da allarmarlo.
Prese degli stracci e glieli infilò sotto la testa, dopodiché gli versò un decotto giù per la gola, atto a calmare il dolore ed evitare l'insorgenza di possibili infiammazioni od infezioni alla ferita. Per concludere, dopo aver curato con un paio di incantesimi blandi il taglio alla tempia, fasciò la ferita sul volto e gli posò una coperta addosso, sperando sinceramente che si fosse ripreso più presto possibile.


Ho fatto tutto ciò che potevo”, annunciò, passandosi le mani macchiate di sangue sui capelli biondi. I due fratelli si voltarono verso Anders, l'espressione di Carver evidentemente animata dalla preoccupazione e quella di Bethany da una forte determinazione.
“Non posso ancora dirlo fuori pericolo, ma... sono ottimista” e si concesse addirittura un pallido sorriso. Il gemello distolse lo sguardo, i pugni stretti, mentre la donna si portava le mani tremanti alla bocca e si appoggiava a Carver, che le cinse la vita con un braccio dopo un attimo di esitazione.
“Vi ringraziamo, signore. Senza di voi sarebbe sicuramente morto. Possiamo vederlo?” Queste furono le prime parole che il maschio pronunciava, i piccoli occhi azzurri che indagavano il viso di Anders.
“Andate, ma per pochi minuti. Dovrà rimanere qui: stanotte avrà bisogno di ulteriori cure. Ed io aspetterei a ringraziare, se fossi in voi.” Soffiò il mago, facendo cenno ad entrambi di entrare in casa.
Lui rimase fuori, volendo concedere quel momento solo a loro tre; si osservò le mani, rosse e bianche, la veste sporca ed un fiato di vento che fece agitare i fini capelli come tentacoli. Non doveva essere un bello spettacolo – col naso pronunciato e dritto e il volto un po' scavato. Mentre si carezzava l'accenno di barba sfatta, non pregò – perché Anders non credeva. Però sperò come raramente aveva fatto di riuscire a salvare quel giovane uomo. Poco tempo bastò perché un colpetto di tosse lo avvertisse del fatto che i due fratelli erano dietro di lui – e così si voltò per tre quarti, osservandoli da sopra la spalla.
“Possiamo tornare domani?”
Anders annuì, stiracchiando il volto in un sorriso timido: “Sarò sempre qui. Domani dubito che sarà già in piedi, se dovesse riprendersi, e comunque non sarebbe prudente farlo spostare. Se resterà vivo, si fermerà qui almeno per tre giorni.”
E il mago seppe di essere stato quello che doveva: non brutale, non lapidario e disinteressato, ma ugualmente chiaro. Le occhiate sgranate che gli vennero rivolte, però, gli perforarono lo sterno: fin troppe volte se le era viste addosso.
Vide Bethany abbassare lo sguardo, la mandibola serrata, e Carver salutarlo con un cenno millimetrico del volto. Solo quando posò lo sguardo sulle loro schiene riuscì a tirare un sospiro di sollievo.

La cena fu a base di un pesce pescato quello stesso pomeriggio, prima dell'arrivo del suo paziente, e di un tozzo di pane nero un po' duro. Stette in silenzio, solo il rumore dei ciottoli e lo scoppiettio di un fuoco bluastro avvolsero la serata.
Anders si adoperò, con Philippe: gli cambiò la fasciatura e l'impiastro, all'occhio aranciato delle candele sparse per la stanza. Le forbici rugginose tagliarono la camiciola ormai insalvabile, concedendogli lo spettacolo di un ampio petto muscoloso e coperto da una fitta peluria nera. Si ritrovò ad ammirarlo, nonostante le macchie di sangue vecchio e secco: l'uomo che gli stava davanti era bello anche così conciato. Somigliava molto alla sorella, notò.
Presa una bacinella d'acqua pulita e cominciò a detergere la pelle fin dove riusciva a raggiungere – con una delicatezza che solo chi guariva e accarezzava possedeva. Nonostante la bruttezza delle sue mani (macchiate, le dita grosse e perennemente tagliuzzate), erano lievi.
“Mi dispiacerebbe molto se tu morissi, Philippe. Ci sono troppe cose brutte al mondo e – tu potresti bilanciare. Sarebbe un peccato perderti” mormorò tra sé, lanciando un'occhiata al volto tagliato a metà dalla benda fresca. Chiaramente Anders sapeva che non poteva essere sentito, ma (forse scioccamente, visto il suo mestiere) pensava che chi non riusciva a tornare al sole non avrebbe disprezzato un incoraggiamento. Si soffermò un istante a scostargli le ciocche di capelli incrostate dalla fronte, approfittando anche per monitorargli la temperatura. Una volta appurato che non c'era di che preoccuparsi, decise di cucinare del brodo per l'indomani, nella prospettiva che vedeva il suo assistito sveglio e moderatamente affamato.
Seduto su una sedia, stava davanti al tavolo che ospitava Philippe, e al lume di un mozzicone di candela scribacchiava su una pergamena simboli arcani e fitti in quella sua grafia sgraziata e piccola.
Fu dopo un lasso di tempo imprecisato che si addormentò, la guancia premuta sul legno rozzo su cui giaceva il suo paziente.

Fu un tramestio non meglio precisato a ridestarlo. La posizione gli aveva indolenzito il collo e le spalle e ci mise un istante di più a comprendere di essere sveglio, dato lo stordimento.
Nel sollevare il viso, la pergamena gli rimase appiccicata alla guancia e Anders fu veloce a togliersela dal viso per guardarsi intorno: davanti a lui c'era Philippe che gli dava la schiena. Una larga cicatrice sulla scapola catalizzava l'attenzione, la testa abbassata e un'imprecazione arrochita che fece sussultare il mago.
“Ma cosa diavolo state facendo, Philippe!? Rimettetevi immediatamente giù! Non voglio che il mio lavoro si rovini!”
Abbaiò Anders, seppur in modo poco convincente, dato il tono biascicato e insonnolito. Si diede dello sciocco per essersi fatto sfuggire il risveglio dell'uomo, dato che senza dubbio doveva essere stato intontito; tirò ugualmente un sospiro di sollievo, però, quando lo vide obbedire, e valutò rapidamente che doveva stare decisamente meglio di quanto lui stesso si fosse aspettato. Gli pose con delicatezza la mano sulla fronte, ancora una volta per controllare la temperatura; era piacevolmente fresco, nonostante il pallido grigiore diffuso sul suo viso. Gli occhi (ed Anders notò immediatamente il loro colore indefinito) si volsero verso di lui, vigili anche se stanchi. Esitò un attimo prima di prendere la parola, distratto dal rossore che sentì montargli lungo il collo: “Perdonatemi: non volevo essere brusco. Siete stato portato qui dai vostri fratelli, nel tardo pomeriggio di ieri. Avete avuto un incontro con un bandito, da che mi è stato riferito, e questi vi ha causato una bella ferita proprio sulla metà del viso – e gli passò l'indice su tutta la lunghezza del taglio coperto dalla benda -; io mi chiamo Anders, e sono colui che vi ha guarito.”
Spiegò brevemente, il tono basso e calmo e la sensazione di miele nello stomaco che non pareva volersene andare. Era senza dubbio un bellissimo uomo, chi gli stava difronte, nonostante le condizioni non fossero delle migliori.
“Hawke.”
Era stata una singola parola stentata e rotolata a forza fuori dai denti. Philippe chiuse gli occhi con un grugnito di sofferenza – e Anders si chinò di più verso di lui, per farlo sforzare meno: “Come?”
“Non Philippe: Hawke. Ed hai la guancia macchiata di inchiostro.”
Il mago rimase un solo momento interdetto, a guardare con la coda dell'occhio il viso contratto di Philip-- di Hawke. Fu inspiegabile, poi, come la mano di Anders fosse corsa agli sbafi neri sulla gota ed un sorriso fosse sbocciato, caldo e meravigliato, sulle sue labbra.



*



L'odore prendeva alla gola. Ogni scintilla e crepitio erano una conferma: Hawke – il suo Hawke – era morto.
Anders era troppo vicino alla pira, sulla sponda del fiume, e sentiva le ondate di calore raggiungergli le gote e mordicchiargli il viso. A questo si univa la pesante cappa d'umidità e i sottili aghi che le nubi lasciavano cadere, compartecipi del denso dolore che sapeva di perdita e abbandono.
La notte era passata in modo impercettibile. Era passata in modo sciocco – come se la morte non facesse differenza, per lei. Come se il mondo non avesse smesso di girare.
Anders non era sicuro neanche di aver battuto le palpebre – per ore e ore. Era rimasto lì, il volto cereo, la sete a soffiargli direttamente in bocca e il corpo bloccato in una sorta di rigido stallo – come se qualcuno l'avesse murato in quella posizione. Era lì che l'aveva rivisto, con la benda sul viso e i capelli sporchi di sangue. L'aveva sentito dirgli di non chiamarlo Philippe, ma Hawke – e Anders si diede dello stupido nel realizzare che non aveva mai saputo il motivo di quella preferenza. Sembrava così importante, ora. E non l'avrebbe mai più scoperto.
Rifletté di come la sua vita si fosse capovolta – rapida e caotica come una moneta lanciata per aria. Il problema era che quella moneta ora si era schiantata a terra: nessuno l'aveva salvata dalla sua caduta. E così, a quella realizzazione, un ennesimo singhiozzo strozzato e secco gli uscì dalle labbra. Anders si tappò la bocca, premendo forte la mano, imponendosi il silenzio mentre lacrime calde – lacrime che aveva creduto fossero terminate – gli rotolavano giù per le guance scavate e ispide di barba. Sentì le gambe tremare, le spalle scosse, il mondo risucchiarlo. E non cadde a terra solo a causa del tanfo del cadavere bruciato sulla pira. A quanto pare, la morte si rifiutò di vederlo cedere. Come se ci fosse qualcosa di ancora integro, dentro Anders. Qualcosa che ancora valeva la pena essere sbriciolato.
“Mi hai lasciato con dei cocci, amore mio. Ma io non so neanche da dove cominciare per rimetterli insieme...” Si ritrovò a sillabare, muto. Per la prima volta, dalla notte precedente, si concentrò: non guardava più solamente la pira, ma ora l'osservava. Osservava quelle mani ondeggianti e crepitanti purificare ed estinguere ciò che era stato Philippe Hawke – ciò che era stato Amore. In mezzo a quella trama arancione, rossa e gialla, le sagome nere della legna e di Hawke erano un profilo indistinguibile che davano vita ed alimentavano le fiamme.
La faccia di Anders era di cera: un quadro dipinto sui toni di un grigio malsano. I capelli fradici erano ormai appiccicati alla fronte e la pioggia creava rivoli giù per il volto e per il collo del guaritore. Se ne stava là, immobile. E tuttavia, niente venne in suo soccorso: non il sole, non un fiato di vento, non un uccello a razzolargli tra i piedi. Perché – ormai era chiaro: Dio, per l'ennesima volta, si era coperto gli occhi.
Le dita, ad un certo punto, si strinsero attorno ad un ciondolo (una semplice moneta forata) che Hawke gli aveva donato: “Forse è vero, che abbiamo sbagliato. Forse è vero che siamo abomini – creature impure meritevoli solamente di un castigo. Lo dicono loro, inneggiando al loro Dio. Però una cosa è certa: non smetterò di chiamarti “amore mio” e di amarti – perché, in fondo, è ciò che so fare meglio. Non rinnegherò un solo istante, non rimangerò nessun fiato e nessuna parola e non cancellerò mai dalla mia memoria le notti che solo io e te abbiamo vissuto. E se questo significa essere un mostro, sarò lieto di chiamarmi tale.”
Quella di Anders era stata una preghiera mormorata tra le pieghe di un sorriso amaro.
Poi rimise in tasca la sua moneta, da cui non si sarebbe mai separato. Estrasse il suo coltello e si prese i capelli, sudici e bagnati, raccolti nel solito codino. Fu netto il taglio, mentre le ciocche gli ricadevano sul viso e si chiudevano all'altezza delle tempie come un sipario. Si avvicinò quel tanto che bastava per gettare nel fuoco quei fili biondi e spenti e lo fece ingoiando un'altra ondata di dolore e pianto e nausea. Lo fece ricordandosi il volto del suo uomo quando si studiò per la prima volta con la sua cicatrice, rossa e gonfia. Ricordò se stesso che diceva: “sei sempre molto bello”, guadagnandosi per la prima volta il bene più prezioso: il suo sorriso.
“E' così, amore mio. Non avresti voluto morire da solo e così è stato. Dio si è coperto gli occhi, non ti ha guardato; sono i miei occhi, Hawke, quelli a rimanere aperti.”
E non disse, mentre voltava le spalle alla pira e se ne andava, che sempre i suoi occhi sarebbero stati aperti. E non disse neanche, mentre le fiamme si estinguevano quiete, che lo amava.
Perché, in fondo, questo, anche Dio lo sapeva. 

Walking_Disaster's corner: 
E' stata dura, ma ce l'abbiamo fatta. Sono molto contenta di questa mia storia e per me spuntare "completa" è una piccola vittoria ogni volta. Spero piaccia a voi com'è piaciuta a me.
Lasciatemi un commento, se vi va :)
Alla prossima,
WD

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Dragon Age / Vai alla pagina dell'autore: Walking_Disaster