Capitolo
25
“
Ascolta…posso capire che non ti fidi di me, dato che non sai
chi sono. Forse
quello che sto per dirti per te non avrà alcun significato,
ma mi chiamo Mimi
Tachigawa e sono una digiprescelta.”
Rumiko si
era irrigidita istintivamente. Aveva capito perfettamente chi fosse
quella
ragazza e le sue parole avevano per lei più significato di
quanto immaginasse.
Serrò
la
mascella: il Destino sembrava averci preso gusto a giocare con lei,
facendo sì
che il suo unico appiglio al Mondo Reale fosse proprio colei che
l’aveva
mandata nel posto in cui ora si trovava. A pensarci quasi le venne da
ridere:
che situazione assurda!
Fu tentata
di liquidarla in tono sprezzante, ma preferì non
risponderle. Che se ne andasse
al Diavolo quella maledetta Prescelta e tutti i suoi compagni bugiardi!
Vide sua
madre scuotere il capo, ma la ignorò. Erano loro la fonte di
tutti i suoi guai
e della sua sofferenza, non li avrebbe perdonati tanto facilmente.
Si chiuse
in un ostinato silenzio.
“ Sei
sempre stata piuttosto cocciuta, come tuo padre…”
le si avvicinò la madre.
“ Tu
li
perdoneresti tanto facilmente?!”
Emi le
sorrise dolcemente e Rumiko sbuffò.
“ Che
domanda idiota: ovvio che tu li
perdoneresti. Ma io no. Non posso
dimenticare quello che mi hanno fatto, quello che ti
hanno fatto.”
“
Nessuno
ha parlato di dimenticare. Ma credevo che fossero tuoi
amici…”
“ Lo
credevo anche io…” le rispose in tono sarcastico.
“
Rumiko…”
l’ammonì gentilmente la donna.
“
Sì sì lo
so, loro non hanno colpa per quanto è successo a New
York…risparmiami, l’ho già
sentita.”
“ Non
siamo in un tribunale, non ci sono giudici che possano sentenziare chi
ha colpa
di cosa” la redarguì severamente Emi “
Tu vuoi bene ai tuoi amici, lo so, e
loro ne vogliono a te. Ostinarti a odiarli è ingiusto nei
loro confronti…e
anche nei tuoi, che così facendo ti fai solo del
male.”
“ Cosa
ti
fa credere che la cosa mi sia dannosa?”
“ La
solitudine ti rende forse felice?”
Rumiko non
rispose.
“
Tesoro…pensa a tuo padre, ai tuoi amici…non ti
mancano? Preferisci stare in
questo luogo informe e incolore piuttosto che tornare a
riabbracciarli?”
Rumiko
pensò a suo padre. Lo immaginò sofferente e
inconsolabile seduto a tavola nella
loro cucina. Era solo, in un appartamento deserto e silenzioso, il
volto stanco
e scavato, sul piatto una cena misera preconfezionata e riscaldata al
microonde
dopo una dura giornata di lavoro. Sembrava incredibilmente invecchiato.
Sulle
pareti gli aloni bianchi ricordavano che una volta lì vi
erano appese delle
fotografie, raffiguranti splendidi paesaggi, scorci di città
e scatti a
sorpresa della figlia ormai scomparsa.
La sua
mente volò a una foto in particolare, una volta appesa nel
corridoio
d’ingresso. Quello scatto immortalava una parte di quella
figlia, una parte
oscura ai più, connessa a un profondo legame di amicizia,
fratellanza e
fiducia.
Ripensò
a Foxmon, il suo amato digimon, la sua compagna di tante avventure, la
sua
migliore amica, l’altra metà della sua anima. Ne
avevano passate tante insieme,
eppure le aveva voltato le spalle, cacciandola malamente.
Perché aveva paura e
il suo cuore era pieno di rabbia e dolore. Non tanto verso Foxmon,
quanto verso
se stessa. Inconsciamente aveva preso a considerare il suo digimon il mezzo tramite cui aveva compiuto quel
massacro, un’arma pericolosa che lei non aveva saputo
utilizzare con dovuta
cautela. Solo più tardi si era accorta dell’errore
madornale di giudizio che
aveva commesso: era stata crudele a definire il suo digimon
un’arma di
distruzione, sebbene l’avesse fatto perché
l’amava troppo per dividere la sua
terribile colpa con la sua compagna. Ma ormai il danno era stato fatto
e non
sapeva come porvi rimedio. La testardaggine e il timore di sbagliare
nuovamente, ferendola più di quanto avesse già
fatto, l’avevano frenata dal
fare marcia indietro e rimangiarsi le parole.
Le aveva
quindi manifestato il suo disprezzo, sebbene le volesse molto bene.
Così come
aveva fatto coi Prescelti, sebbene non conoscesse la dinamica esatta
degli
eventi. Ma era più semplice così:
l’odio poteva essere un’utile valvola di
sfogo per la sofferenza. Probabilmente Angstmon si era trovato
piuttosto a suo
agio in un corpo tanto ribollente di rancore.
Poi
però
il Destino aveva voluto beffarsi di lei e Rumiko si era affezionata,
senza
saperlo, proprio a quelle persone che tanto s’era ostinata a
odiare per tutto
quel tempo.
Ripensò
a
Sora, Taichi, Daisuke e tutti gli altri. Da quando li aveva incontrati
ne
avevano passate di tutti i colori, tra risate, litigi, incomprensioni,
abbracci
e lacrime. Lei li aveva aiutati quando poteva e loro
l’avevano sostenuta nei
momenti di sconforto, con preoccupazione e affetto sincero. Yamato le
aveva
persino dedicato una splendida canzone…
Già,
Yamato…
Ripensò
ai suoi occhi azzurri e penetranti come lame, ma capaci di scioglierla
come
neve al sole. Qualche volta l’aveva scoperto a guardarla di
nascosto, ma senza
malizia, e aveva finto di non accorgersene. Le piaceva il modo in cui
la
guardava, come se la volesse accarezzare con lo sguardo. Ricordava il
brivido
lungo la schiena quando le sue mani la sfioravano gentili, a volte del
tutto
casualmente. Erano grandi, le dita lunghe e il tocco incredibilmente
delicato.
Ripensò alla sua voce vellutata mentre cantava la canzone
che le aveva
dedicato, il trasporto e la delicata passione che imprimeva in quelle
parole.
Ricordò i suoi sorrisi: ne aveva tanti, uno per ogni
occasione, alcuni
riservati solo a poche persone. Prediligeva quello ironico, ma mai
maligno. Poi
c’era quello divertito, che spesso si apriva in presenza di
Taichi o Daisuke.
C’era quello gentile, che tanto spesso aveva rivolto a Sora.
C’era quello
comprensivo e compassionevole che gli aveva visto indirizzare al padre
mentre
tentava inutilmente di districare la matassa dei lumini per
l’albero di Natale.
E
poi ce n’era un altro, uno che non aveva mai visto rivolgere
ad altri, nemmeno
a Takeru. Un sorriso tutto per lei, che esprimeva il meglio di lui: la
dolcezza, il riguardo nei suoi confronti, la preoccupazione per quando
stava
male, la felicità per quando la vedeva serena, la pace di
quando stavano
insieme. Rumiko aveva imparato ad apprezzare e a voler bene a quel
ragazzo
all’apparenza tanto distaccato e pungente, ma dallo sguardo
attento a tutto ciò
che lo circondava e sempre pronto a farsi in quattro per coloro cui
teneva.
Certo, non lo avrebbe mai ammesso, cocciuto e orgoglioso
com’era! Ma ciò
dimostrava quanto il suo animo fosse in realtà semplice e
generoso.
E
prima che se ne rendesse conto, i suoi sentimenti erano mutati ancora,
diventando qualcosa di più profondo e intimo, qualcosa cui
non sapeva o forse
non osava dare un nome. Ma una cosa era innegabile: quando lui
l’aveva baciata,
la notte di Natale, il cuore aveva preso a batterle furiosamente nel
petto e,
per la prima volta da tanto tempo, si era lasciata completamente andare
a sensazioni
fortissime e sconosciute.
Con
la mente tornò a quei brevi attimi di intimità,
ricordando la sensazione delle
sue labbra sulle sue, del suo odore tranquillizzante, delle sue braccia
forti
che la stringevano contro il suo petto caldo. Ricordò la sua
schiena spaziosa e
le sue ampie spalle. Ricordò la sua voce roca mentre le
sussurrava all’orecchio.
Però
tutto ciò cominciava già ad apparirle lontano e
sfocato. Possibile che il tempo
stesse già sbiadendo i suoi ricordi?
Ripensò
ai momenti passati insieme. Quante volte avevano litigato? Tante,
troppe… eppure
lei non aveva mai smesso di pensare a lui.
Strinse
i pugni, desiderando improvvisamente di esser stata meno orgogliosa. Se
fosse
stata solo un po’ più comprensiva e
accondiscendente, se gli avesse dato modo
di spiegarsi, anziché voltargli le spalle, lui in quel
momento non la
odierebbe…
Quel
pensiero la fece tremare. Era la prima volta, da quando era relegata in
quel
posto sconosciuto, che pensava a lui e a quello che era accaduto poco
prima
della sua dipartita. Era stata crudele nei suoi confronti,
l’aveva attaccato senza
pietà, indifferente a ciò che lui avrebbe potuto
dirle. L’aveva aggredito e poi
era fuggita. Naturale che lui ora la detestasse… avrebbe
dovuto farsene una
ragione…
Ma
per quanto se lo ripetesse, il suo cuore si dimenava furiosamente,
incapace di
accettarlo. Yamato era importante per lei. Non sapeva quando lo era
diventato,
ma ora sentiva che la sua vita non sarebbe stata la stessa senza di
lui. Senza
i suoi sorrisi, i suoi profondi occhi blu, le sue mani gentili, i suoi
baci, le
sue battutine sarcastiche e i suoi silenzi pieni di comprensione le sue
giornate sarebbero state…
“
Vuote…”
Una
volta tornata nel Mondo Reale gli avrebbe rivelato tutto, finalmente,
senza
giri di parole o omissioni. A partire dall’inizio, gli
avrebbe raccontato la
sua storia e gli avrebbe chiesto di fare lo stesso. Lui
l’avrebbe capita,
l’avrebbe stretta dolcemente tra le sue braccia e le avrebbe
regalato uno dei
suoi sorrisi più belli.
Ma
se non avesse funzionato? Se il risentimento nei suoi confronti fosse
troppo
grande e questa volta non fosse disposto ad ascoltarla e a permetterle
di
rimediare?
“
Ancora non ci capisco nulla in questa storia, lo ammetto, ma se me lo
concederai farò di tutto per aiutarti. Fidati di
me!”
Sì,
si sarebbe fidata di lei, della ragazza che in passato
l’aveva abbandonata al
suo Destino. E se lei fosse stata in grado di perdonare quella
Prescelta,
allora anche Yamato l’avrebbe perdonata, ne era sicura.
L’avrebbe
ascoltata, le avrebbe concesso la sua comprensione e lei avrebbe
dimenticato
ogni sconforto. Le loro vite sarebbero tornate a scorrere serenamente,
come
prima, tra battibecchi e piacevoli momenti passati insieme.
Suo
padre l’avrebbe riaccolta con gioia, così come i
suoi amici, ne era certa. Ma
se lui, anche solamente lui, le avesse voltato le spalle, allora lei si
sarebbe
sentita perduta. Aveva bisogno del perdono di quel ragazzo freddo ma
sincero,
aveva bisogno della benedizione di quegli occhi color del cielo, aveva
bisogno
dell’assoluzione da tutte le sue colpe e i suoi errori da
parte di quella voce
vellutata. Ma se non l’avesse avuta, se non avesse riavuto lui accanto a sé,
allora…
“…mi
chiamo Rumiko Kitamura…”
Yamato
s’abbandonò sconfortato allo schienale della
sedia, chiudendo con un gesto
secco l’ennesimo libro. Non era mai stato un topo di
biblioteca, preferiva gli
spazi aperti all’aria stantia di quei luoghi chiusi e pieni
di volumi
impolverati. Ma aveva deciso che se voleva capirci qualcosa in quella
storia
sarebbe stato opportuno informarsi.
Tuttavia
dopo diverse ore di ricerche non era ancora riuscito a trovare una
risposta
alla domanda che lo assillava.
Si
portò un braccio sul volto stanco, reclinando il capo
all’indietro.
-
Dove
sei, Rumiko? – chiese al soffitto senza guardarlo.
-
Yamato?
–
Il
biondo quasi cadde dalla sedia per la sorpresa.
-
Koushiro?!
–
Per
un attimo credette di essersi addormentato: che ci faceva lui
là?
Da
canto suo, il rosso sembrava più che altro turbato.
-
Il
Sacerdote mi ha detto che avrei trovato uno dei suoi due ospiti
qua… -
Yamato
si ricompose, studiando l’espressione lugubre del ragazzo.
-
Tutto
bene, Koushiro? Hai avuto difficoltà a raggiungere il
Tempio? –
-
Io
no… - rispose, chinando il capo.
Il
biondo lo studiò un attimo. Il suo fisico era emaciato e il
volto un po’ più
scavato dall’ultima volta che l’aveva visto
all’ospedale degli Svegli. Ma
intuiva vi fosse dell’altro, che quegli occhi scuri non
fossero solo stanchi,
ma anche preoccupati. Capì.
Si
alzò per prendere un libro su uno scaffale accanto a
Koushiro.
-
Mimi
sta bene. – gli disse, senza guardarlo.
Avvertì
la tensione abbandonare in parte il rosso e le sue spalle rilassarsi.
-
Non
capisco perché sia dovuta venire fin qua, correndo tanti
rischi… senza dirmi
nulla… - lo sentì bisbigliare.
Capì
che Koushiro non sapeva nulla del nuovo potere della castana. Forse
avrebbe
dovuto dirglielo. Ma intuì che se Hisashi non
l’aveva fatto era stato per non
dare altre preoccupazioni al ragazzo, che senza dubbio avrebbe fatto di
tutto
per aiutarla. Dopotutto era giusto che Mimi se la cavasse da sola e che
glielo
dicesse quando e come ritenesse più opportuno.
-
Per
lo stesso motivo per cui sono venuto io… e presumo anche tu:
trovare delle
risposte. –
Koushiro
annuì tetro: aveva capito che per il momento nessuno gli
avrebbe rivelato nulla
di più. E, conoscendolo, Yamato intuì che questo
era uno dei motivi del suo
cattivo umore: il Prescelto della Conoscenza non poteva sopportare di non sapere.
Sorrise
dell’ironia di quella situazione e gli mise un braccio
attorno alle spalle.
-
Tu
a quali domande sei venuto a cercare risposta, amico mio? –
gli fece
l’occhiolino.
Il
rosso gli sorrise un poco imbarazzato: non aveva mai passato molto
tempo con
Yamato e quel improvviso cameratismo era una novità per lui.
-
Voglio
scoprire quanto più possibile su Alptraumon. –
Il
cantante notò il debole sfavillio che accese quegli occhi
scuri: sete di
conoscenza.
Sorrise
al ragazzo, ammirando la sua risolutezza.
-
Conosci
il tuo nemico… - citò il Prescelto
dell’Amicizia.
-
Esattamente.
E tu, Yamato? Non sei mai stato un frequentatore di biblioteche. Posso
aiutarti? –
-
Non
saprei, Koushiro… - si grattò il capo imbarazzato
– Il tuo aiuto potrebbe
essermi davvero utilissimo, visto che questo non è
esattamente il mio ambiente
naturale… ma se ti dicessi l’argomento delle mie
ricerche mi prenderesti per
matto. –
-
Prova.
– lo esortò l’amico.
Il
biondo fece una pausa, soppesando mentalmente le parole.
-
Devo
scoprire dove vanno le anime di persone non completamente
morte… e come
riportarle in vita. –
Koushiro
spalancò gli occhi.
Si
era ripromesso di non manifestare meraviglia per qualsiasi cosa gli
avesse
rivelato Yamato. Ma una volta udite le sue parole, la mente razionale
del rosso
aveva avuto la meglio.
Ovviamente
non aveva dubbi su quale anima interessasse a Yamato. Da quando si era
risvegliato in ospedale gli altri Prescelti gli avevano raccontato dei
vagheggiamenti del cantante. Voci di corridoio dicevano che il ragazzo
avesse
perso il lume della ragione, ma Koushiro non era mai stato un amante
dei pettegolezzi,
quindi non vi aveva dato retta, preferendo occuparsi del soggetto della
sua
ricerca.
Ora
però si chiedeva se non fossero state fondate.
Un’occhiata
al volto di Yamato mise a tacere i suoi pensieri.
Scosse
il capo, sconfitto.
-
Tu
sai bene che questo va contro le mie idee razionali. – gli
disse con onestà –
Credo nella scienza e nella verità dimostrabile, non alle
superstizioni… -
-
A
chi lo dici! – sbuffò il biondo, sorprendendo
Koushiro – Mi conosci, ho sempre
considerato queste cose nulla più di fandonie ideate da
religiosi troppo fantasiosi!
–
-
Yamato…
- lo ammonì gentilmente l’altro.
-
Lo
so, lo so, non sono discorsi da fare in un Tempio. E, credimi, non ci
sarei mai
venuto in questo posto polveroso e pieno di muffa se avessi avuto
scelta! –
Koushiro
sorrise, riconoscendo in lui il ragazzo cinico e sospettoso che era
sempre
stato.
-
Ma
questa volta non ho alternativa… - abbassò il
tono, perforando il rosso con lo
sguardo – Non sono pazzo, al contrario di quello che si dice
in giro, e la
prova di quello che pensavo l’ho avuta proprio quando siamo
arrivati in questo
Tempio. Lei c’è ancora,
ha comunicato
con noi. Non posso dirti come, non ancora, ma non mi riferisco a
stupide sedute
spiritiche, bensì qualcosa di decisamente reale. Ha detto
che non sa dove si
trova. Ha chiesto aiuto. E io intendo dargliene quanto più
possibile. –
Fece
una pausa, senza scostare gli occhi dall’amico.
Koushiro
non fiatò, guardandolo rapito e attento: per qualche strana
ragione non
riusciva a dubitare delle sue parole.
-
Per
quanto mi scocci ammetterlo, questo
credo che sia l’unico luogo in cui possa trovare delle
risposte. E non solo
perché è la biblioteca di un
Tempio,
ma perché si tratta del
Tempio che
più la può riguardare. –
-
Che
vuoi dire? -
-
Questo
Tempio è dedicato al dio Inari, cui sono sacre le kitsune. E
indovina quali
sembianze ha il digimon di Rumiko? Ma non si tratta solo
dell’aspetto
esteriore: così come le volpi leggendarie, anche Kitsunemon
può piegare lo
spazio, viaggiando attraverso i mondi… -
Koushiro
annuì pensieroso, mentre la sua mente elaborava.
-
I
miti e le leggende hanno spesso un fondo di verità
– ragionò ad alta voce,
ripensando all’oggetto della ricerca che era venuto a
condurre – Il fatto che
si tratti di creature digitali non deve trarci in inganno: è
possibile che la
loro origine sia antecedente all’avvento
dell’informatica nel nostro mondo. Con
le nuove tecnologie siamo in grado di trasportarci nel loro mondo,
convertendo
i nostri corpi in dati, ma ciò non significa che loro non
fossero in grado di farlo
già tempo fa, forse addirittura secoli prima. –
Yamato
non distolse lo sguardo dal Prescelto della Conoscenza.
-
Se
così fosse, può darsi che le kitsune dei miti
siano molto meno leggendarie di
quello che si è portati a pensare. Allora questo Tempio
sarebbe stato dedicato
proprio al digimon Kitsunemon. –
Aggrottò
le sopracciglia.
-
Il
Sacerdote Hisashi – riprese il rosso – mi ha
riferito che in passato le kitsune
hanno protetto questo luogo dalla guerra. Non è da escludere
che quei digimon
abbiano preso a cuore le sorti del Tempio a loro dedicato: il rischio
di esser
visti materializzarsi in un luogo in cui la loro presenza era
considerata quasi
normale lo rendeva un porto sicuro. E può darsi che abbiano
lasciato una
traccia del loro passaggio… o forse anche di
più… –
Prese
a passeggiare avanti e indietro, sotto lo sguardo del biondo.
-
Secondo
le leggende, tra le capacità delle kitsune vi era quella di
potersi trasformare
in esseri umani, di solito delle bellissime donne. E se anche in questo
vi
fosse un pizzico di verità, avrebbero potuto sostare in
questo Tempio in veste
di sacerdotesse e lasciare una traccia scritta del loro passaggio,
magari delle
descrizioni dei luoghi che avevano visitato, delle
illustrazioni… -
Yamato
si tirò uno schiaffo alla fronte e Koushiro
sobbalzò per la sorpresa.
-
La
fotografia! –
-
Quale
fotografia? –
-
Rumiko
teneva in casa una fotografia scattata da suo padre. Ritraeva uno
scorcio della
New York notturna e, in cima a un palazzo, c’era una sagoma
femminile: aveva i
capelli lunghi, delle orecchie a punta sul capo e teneva una specie di
lungo
bastone in mano… -
-
Le
superdigievoluzioni di alcuni dei nostri digimon hanno sembianze umane,
non è
da escludere che valga lo stesso anche per Kitsunemon…e se
quelle orecchie
fossero solo un copricapo o potesse celarle, potrebbe forse
mimetizzarsi nel
nostro mondo quanto basta… -
Yamato
avrebbe voluto mangiarsi le mani per non avere quella fotografia
lì con lui in
quel momento. Ma se non altro, grazie a Koushiro ora aveva
un’ipotesi cui
aggrapparsi.
-
Grazie,
amico mio… Non vorrei però distoglierti dal
motivo per cui sei venuto fin qua…
-
-
Non
hai nulla da farti perdonare, Yamato, anzi: ho idea che un diario di
viaggio di
una di queste kitsune potrebbe essere parecchio utile anche a me.
D’altronde
Rumiko e il suo digimon hanno già affrontato Alptraumon in
passato, con un
discreto successo, direi. Sono sicuro che fossero molto più
preparate di noi
sull’argomento. Quindi le cose sono due: o trovo qualcosa in
uno scritto
lasciato ai posteri, oppure dovrò rivolgermi direttamente a
Kitsunemon e Rumiko.
–
Yamato
gli sorrise, colmo di gratitudine.
Taichi
avrebbe voluto avere accanto a sé Takeru, il Prescelto della
Speranza: forse
lui avrebbe saputo infondergli un po’ di fiducia. Ma, ironia
della Sorte, la
Speranza si era assopita nel momento in cui
l’oscurità era scesa sulla città,
senza accennare a risvegliarsi.
La
situazione all’ospedale degli Svegli stava degenerando sempre
più. Poche decine
di persone riuscivano ancora a tenere le palpebre aperte, ma a caro
prezzo:
molti praticavano l’autolesionismo, altri attaccavano rissa
perché l’adrenalina
della sfida permetteva loro di non assopirsi. Ma non era solo la paura
del
Sonno a muoverli: i corridoi puzzavano di diffidenza, rancore e morte.
Il
silenzio era spesso spezzato da pianti e lamenti, grida di rabbia e di
terrore.
Alcune persone avevano tentato di togliersi la vita, soccorse appena in
tempo
dai Prescelti e i loro digimon.
Diverse
volte al giorno l’aria veniva spezzata dalle urla infernali
di Angstmon e di
tanto in tanto potevano scorgerlo volare sulle loro teste. Avevano
tentato un
paio di attacchi, ma il cavallo infernale aveva riso crudelmente dei
loro
sforzi, scomparendo tra le nubi indenne.
Sandmannmon
aveva un’indole altrettanto sadica, ma più
dispettosa. Spesso s’intrufolava
all’interno dell’ospedale per mettere a soqquadro
le cucine o appollaiarsi sul
ventre dei Dormienti distesi nei loro letti. Aveva anche fatto incetta
delle
provviste, ma i Prescelti sospettavano che lo facesse per prendersi
gioco di
loro, non per cibarsene.
Era
stata Sora a suggerire l’ipotesi che il digimon avesse una
dieta particolare,
dopo che aveva sorpreso Sandmannmon accucciato sul corpo di una ragazza
addormentata. Ne aveva fatto parola solo con Taichi, Daisuke, Mei e i
digimon,
per evitare di diffondere il panico tra gli Svegli già
terrorizzati.
Taichi
rabbrivì, al ricordo delle parole della rossa.
-
Credo
– aveva detto – che Sandmannmon si nutra dei sogni
delle persone. –
Inorridì,
come due giorni prima nell’udire quella rivelazione. Che
essere disgustoso.
Da
allora avevano fatto il possibile per tenerlo lontano dai Dormienti,
soprattutto dalle donne, per cui pareva avere una certa predilezione.
Ma
l’orrenda creatura era astuta e spesso riusciva a giocarli,
comparendo e dileguandosi
come nulla fosse.
Taichi
pensò a Hikari e ai suoi genitori, a tutti gli abitanti
della città che
giacevano ignari nei loro letti. Se la dieta di Sandmannmon era
costituita di
sogni, sicuramente aveva già fatto loro visita. Ma con quali
risultati? Cosa
accadeva ai Dormienti quando quel digimon divorava i loro sogni? Un
anno prima
quella creatura si era insinuata nella mente di Mimi, dapprima
controllandola
dall’esterno, poi insinuandosi dentro di lei e possedendola.
Se solo la
Prescelta fosse stata lì avrebbe potuto interrogarla
meglio…
-
Maledizione!
– afferrando con rabbia la balaustra del parapetto della
tromba delle scale.
Aveva
bisogno dell’esperienza diretta avuta da Mimi, della
razionalità di Koushiro
per analizzare le informazioni e della determinazione di Yamato, che
l’avrebbe
rassicurato e aiutato a tenere i nervi saldi.
Ma
Koushiro era partito alla volta del Tempio e Mimi e Yamato erano
scomparsi nel
nulla coi loro digimon.
Avrebbe
voluto andare a cercarli, ma sapeva di non poter abbandonare
l’ospedale. Tutto
ciò che poteva fare, dunque, era pregare che non fosse
successo loro nulla di
male…
-
Illuso!
– gracchiò una voce a lui ormai ben nota.
Alzò
il capo: appeso come un pipistrello pochi metri sopra la sua testa
c’era
Sandmannmon.
Taichi
sospirò, stanco. Sapeva che era inutile tentare di
afferrarlo, avrebbe solo
sprecato energie.
Il
digimon rise, probabilmente leggendo i suoi pensieri. Nessuna
meraviglia che i
Prescelti non riuscissero a catturarlo, dato che la telepatia
permetteva al
mostro di anticipare le loro mosse. L’unico momento in cui la
sua attenzione
veniva meno era quando banchettava dei sogni dei Dormienti.
La
creatura color sabbia rise più forte, leccandosi i baffi.
-
Sei
perspicace, ragazzo! Voglio farti un regalo: ti mostrerò che
fine hanno fatto i
tuoi amici! –
-
Non
m’interessa, tieniti lontano da me, Sandmannmon. –
-
Sicuro
di non volerlo sapere? Eppure uno di loro era il tuo migliore
amico… povero
ragazzo! Ma si sapeva che aveva perso qualche rotella! –
gracchiò, roteando un
dito accanto alla tempia e incrociando gli occhi in
un’espressione demente.
-
Puoi
dire quello che vuoi, ma non ti crederò, bestia maledetta!
–
-
E
invece dovresti, ragazzo, dovresti! Io non dico bugie, mai! –
-
Sì,
certo… - alzò un sopracciglio il Prescelto
– e io porto la gonna. –
Il
mostro di sabbia rise.
-
Divertente!
Sei divertente, ragazzo! –
-
E
tu per niente! Vattene! –
-
…altrimenti?
– gli sorrise bieco.
-
Altrimenti
troverò il modo di farti ringoiare tutte le fandonie che
racconti. –
-
Sei
sordo o cocciuto, ragazzo? Te l’ho già detto, io
non mento mai… dico sempre la
verità. Anche alla tua amica Mimi ho sempre detto la
verità, lei te lo
confermerebbe… -
Taichi
esitò un attimo: effettivamente non gli risultava che Mimi
avesse detto che
Sandmannmon le aveva riempito la testa di bugie. Sicuramente
l’aveva ingannata,
ma poteva anche aver giocato d’astuzia, senza il bisogno di
mentirle.
Ma
se così fosse, se davvero il digimon non fosse stato in
grado di dire il falso
per natura… allora a Yamato e gli altri era davvero capitato
qualcosa?
-
Taichi…
-
Si
voltò, trovandosi faccia a faccia col dolce sorriso di Sora.
-
Ascolta,
Sora, Sandmannmon… -
-
Non
ha importanza. – gli tappò gentilmente la bocca
con una mano – Sei solo stanco
e preoccupato. Lo sono anch’io. – gli sorrise
tristemente – Ma dobbiamo avere
fiducia in noi stessi e nelle persone a noi care. Hai fiducia in
Yamato? –
Taichi
annuì convinto. Lei sorrise.
-
E
hai fiducia in me? – gli chiese dolcemente, togliendo la mano
dalla sua bocca.
-
Sì,
certo… - arrossì lievemente il Prescelto del
Coraggio.
-
Allora
ascoltami: non dar retta a questa creatura. Ascolta solo il tuo cuore e
le
persone che ti vogliono bene e non ti farebbero mai del
male… -
Sandmannmon
rise di gusto.
-
Tipo
chi? Tu? –
sibilò velenoso.
Sora
lo ignorò deliberatamente, accostando la bocca
all’orecchio del ragazzo.
-
Ti
amo, Taichi. –
Il
mostro mandò un grido di rabbia, conscio di aver perso
quella partita e la sua
preda. Fece leva sulle gambe tozze e spiccò un balzo verso
la finestra,
mandandola in frantumi e catapultandosi di fuori come un razzo.
Daisuke
e Mei furono là pochi secondi dopo, il fiato corto e lo
sguardo allarmato.
-
È
successo qualcosa?! State bene?! –
s’informò subito lui.
Mei
alzò gli occhi al cielo: quel posto stava diventando una
gabbia di matti.
Avevano sentito le risate di Sandmannmon e la voce nervosa di Taichi.
Tuttavia
era stato il ringhio furioso del mostro ad allarmarli e poco prima che
arrivassero sul parapetto avevano udito l’infrangersi di un
vetro.
Quando
erano arrivati ai loro occhi si era presentata una scena inattesa:
Taichi e
Sora si tenevano abbracciati stretti, apparentemente incuranti di tutto
il
resto.
La
riccia sbuffò: in quel momento condivideva la frustrazione
di Sandmannmon.
-
Yamato,
vieni a vedere, forse ho trovato qualcosa! –
Il
biondo stava giusto considerando quanto
quell’attività si stesse rivelando non
solo inutile ma anche controproducente: nulla di meglio di qualche
vecchio tomo
ammuffito pieno di dati noiosi per addormentarsi.
Ma
le parole di Koushiro lo riscossero e si precipitò al suo
fianco.
Il
rosso gli sorrise incoraggiante e puntò il dito a
metà di una pagina
ingiallita.
-
Credo
di aver trovato qualche annotazione lasciata da una kitsune.
– gli ammiccò
soddisfatto della sua scoperta.
-
E
cosa scrive la nostra volpe? – scherzò Yamato,
appoggiando la schiena allo
scaffale mentre Koushiro avvicinava una torcia elettrica alle pagine
del
volume.
Per
un attimo Yamato pensò a quanto fossero fortunati a trovarsi
in quel Tempio,
sufficientemente svegli, provvisti di tutto quanto potesse loro servire
e
soprattutto, al sicuro dall’influenza negativa di Alptraumon.
Lui
e Koushiro ne avevano discusso ed entrambi avevano concordato che quel
luogo
doveva esser stato rivestito da qualche tipo di protezione,
probabilmente opera
delle kitsune.
Ripensò
a Taichi, Sora, Daisuke e tutti coloro che si trovavano barricati
nell’ospedale. Temeva per loro e non essere al corrente di
quello che accadeva
là gli faceva montare una gran frustrazione. Ma,
razionalmente, sapeva che la
cosa migliore che lui e gli altri potessero fare era portare a termine
quanto
avevano iniziato: coloro che erano rimasti dovevano proteggere gli
Svegli,
mentre chi era andato in cerca di risposte doveva trovarle al
più presto, per
il bene di tutti. E questo valeva per lui e Koushiro, quanto per Mimi.
La
Prescelta della Purezza aveva avuto un ruolo centrale in quella vicenda
fin
dall’inizio e Yamato era sicuro che non fosse ancora
concluso. Il solo fatto
che avesse ereditato parte delle capacità del loro nemico la
rendeva una carta
decisamente utile, sebbene pericolosa. Il biondo pregò che
in quei giorni in
cui non l’aveva più vista avesse sviluppato il suo
potere, imparando a
controllarlo.
Lanciò
uno sguardo fugace a Koushiro: lui non l’aveva ancora
incontrata, ma non aveva
fatto altre domande sul suo conto. Yamato ammirò la sua
pazienza.
Il
rosso si schiarì la voce.
-
Quello
che ti leggo è un frammento di una nota risalente a due
secoli fa, scritta da
una sacerdotessa di questo Tempio. Riguarda il caso di una giovane
donna che venne
portata al Tempio dopo che, in seguito alla perdita del figlio, ebbe
una specie
di… - aggrottò la fronte cercando la parola
giusta – collasso. –
Fece
scorrere le dita sulle scritte sbiadite dal tempo e cominciò
a leggere.
-
…
La donna è stata distesa di fronte
a me e, sotto lo sguardo speranzoso dei compaesani, mi avvicino per
guardarla
meglio. È bella nella sua immobilità, rilassata
come fosse addormentata, fredda
come solo la Morte la può rendere.
Dicono
che sia deceduta all’improvviso, che il dolore le abbia
trafitto il cuore e che
si sia afflosciata a terra come un sacco vuoto. Che quando le avevano
toccato
il collo, il suo cuore aveva già smesso di battere.
Eppure
tutto il mio essere freme di gioia e meraviglia nel guardala, con la
certezza
che la sua anima non sia già partita per il Viaggio Eterno.
Le
sfioro il viso, faccio scorrere le mie dita leggere sul suo collo
bianco fino
al petto. Percepisco il suo cuore: è fermo e sanguina di
dolore. Riesco a
fiutare l’odore acre del rimorso.
L’Equilibrio
Vitale è stato spezzato e il suo spirito è andato
in frantumi. Ora so dov’è
andata l’anima di questa donna.
Socchiudo
gli occhi e innalzo il mio Canto in una melodia di speranza e di vita.
Spero
che giunga fino a lei e che le infonda fiducia e coraggio.
Poiché non vi è
altra forza che possa salvarla se non la sua.
Gli
abitanti mi guardano speranzosi e perplessi. Io spiego loro che nulla
si può
più fare per questa donna, ma che mi occuperò
personalmente di seppellirla
accanto al figlioletto, affinché la sua anima possa riposare
in pace.
È
una menzogna, ma non ho altra scelta: l’unica
possibilità che il corpo si
ricongiunga alla sua anima è che questo le si avvicini
quanto più possibile,
altrimenti l’anima liberata potrebbe vagare in eterno.
La
deporrò dunque accanto allo Specchio.
Più
di questo non mi è concesso… –
Koushiro
si fermò, alzando lo sguardo sull’amico, che
sedeva immobile di fronte a lui.
-
Corrisponde
a quanto accaduto nel suo appartamento, giusto? – gli chiese
il rosso.
L’altro
annuì frustrato: le parole della sacerdotessa non avevano
rivelato nulla di più
di quanto già sapesse, se non che il corpo di Rumiko
probabilmente di trovava
vicino a uno Specchio e che poteva far affidamento solo su se stessa
per
rientrarvi. Sempre che ci riuscisse, altrimenti avrebbe vagato per
sempre come
un fantasma.
In
ogni caso in quelle pagine non vi era nulla che potesse suggerirgli
dove si
trovasse e come aiutarla.
-
C’è
dell’altro… - parve leggergli nella mente il rosso.
Il
suo tono era esitante e Yamato tornò a rivolgergli la sua
attenzione.
-
Quest’altro
scritto – esordì Koushiro afferrando un volumetto
rilegato in pelle – sembra
piuttosto un diario di viaggio, scritto in tedesco. –
Il
biondo alzò un sopracciglio.
-
È
molto più recente, credo risalga alla fine del
800… -
-
Sai
tradurre il tedesco, Koushiro? –
-
No,
ma qualcuno ci ha pensato prima di me e ha preso delle note a margine.
Con
l’aiuto di un dizionario sono riuscito a decifrare il
contenuto della parte che
credo ci riguardi di più… -
-
Non
ti vedo convinto – commentò Yamato, visto che il
ragazzo era ancora dubbioso.
-
Sulla
prima pagina di questo libro c’è il timbro di una
biblioteca. –
-
Pensi
sia stato rubato da un sacerdote? –
-
Stento
a crederlo. Ma il punto è la biblioteca:
l’indirizzo è di New York. –
Yamato
aggrottò le sopracciglia.
-
Sono
quasi sicuro che un anno fa Hisashi si trovasse a New York. Quindi
è probabile
sia stato lui a portare qui il manoscritto. –
-
Già,
ma non credo sia stato lui a scrivere questi appunti. La calligrafia
è semplice
e femminile, la trasposizione essenziale, come se si fosse trattato di
una
seccante incombenza anziché di un genuino
interesse… Nulla a che vedere con la
preparazione e la dedizione di un sacerdote appassionato
dell’argomento. –
Koushiro
incrociò lo sguardo del biondo.
-
Credo
che sia stata Rumiko a rubarlo e ad apportare questi appunti.
–
Yamato
sorrise: decisamente molto più verosimile.
-
Probabilmente
stava cercando anche lei qualche indizio riguardo il suo nemico.
– continuò il
rosso, la fronte corrugata.
-
Continui
a sembrarmi dubbioso. Rumiko ha scritto qualche strafalcione?
–
-
Non
è la traduzione a lasciarmi perplesso, bensì il
contenuto… ma proprio per
questo ho la sensazione che potrebbe esserci utile. –
-
Ti
ascolto. –
Koushiro
affiancò al libricino dei fogli su cui aveva preso degli
appunti personali.
-
Quest’uomo
ha viaggiato parecchio, un po’ in tutto il mondo. Una cosa
tutt’altro che
comune per quegli anni, in cui una tale impresa sarebbe stata non solo
molto
costosa, ma anche pericolosissima. Alcuni dei luoghi da lui descritti
sono
decisamente fantasiosi, ai limiti del sovrannaturale. Ma non viaggiava
da solo,
aveva una compagna inseparabile: Miss Fox. –
Yamato
sorrise divertito.
-
Non
fa mai riferimento a se stesso come a un Prescelto o qualcosa del
genere, il
che mi fa supporre che forse erano semplicemente amici, senza avere un
rapporto
come quello che noi abbiamo coi nostri digimon.
Quest’uomo
era uno studioso,
interessato soprattutto al rapporto tra i miti e i fatti reali.
Una delle parti
più interessanti del
suo taccuino riguarda un suo viaggio in Africa, dove è stato
ospite di una
tribù indigena per alcune settimane. Qui ha appreso molte
cose sui loro riti e
le loro credenze.
Una di queste
riguarda il trapasso:
secondo questa tribù, se il decesso avviene in maniera
innaturale e infelice,
l’anima non può raggiungere
l’Aldilà, poiché troppo frammentata e
inquieta per
staccarsi completamente dal Mondo Reale. In questo caso finisce in
quello che
loro chiamano il Regno delle Nebbie, in cui si deciderà la
sua sorte: se la sua
forza vitale è ancora abbastanza forte e riesce a ritrovare
l’equilibrio
interiore potrà tornare in vita. Altrimenti, se incapace di
liberarsi degli
affanni, l’anima resterà nel Regno delle Nebbie
per l’eternità, macerandosi nel
proprio rancore. –
Yamato
fece per dire qualcosa, ma Koushiro lo zittì.
-
Fin
qua nulla di nuovo, giusto? Solo una delle tante favole che ogni popolo
racconta, con lievi varianti. Anche la teoria della resurrezione
dell’anima non
è una novità. – dette voce alle sue
proteste – Ma subito dopo l’esploratore
riferisce a Miss Fox di quanto ha udito e la sua misteriosa compagna
gli rivela
che quel luogo esiste realmente. –
-
Il
Regno delle Nebbie?! –
-
Lei
lo chiama il Mondo dell’Oblio e lo descrive come un luogo
sospeso tra il Mondo
dei Vivi e quello dei Morti, in cui nulla cresce e nulla si muove, in
cui nulla
scandisce il Tempo poiché non vi sono astri nel cielo e in
cui regna una nebbia
fitta. L’uomo mostra interesse per quella dimensione ignota e
chiede alla sua
compagna di mostrargli il modo per raggiungerla.
Ma lei si
rifiuta fermamente, con
grande rammarico dell’uomo.
Le chiede allora
se è vero che
un’anima non del tutto morta può tornare in vita
semplicemente grazie alla sua
forza di volontà… -
-
E…?
- lo spronò Yamato.
-
Miss
Fox dice che – avvicinò il foglio dei suoi appunti
per leggere la traduzione
letterale da lui fatta – “la
Morte non fa
concessioni: nulla concede senza ricevere in cambio qualcosa di pari
valore”.
–
Yamato
aggrottò le sopracciglia, lanciando un’occhiata
interrogativa all’amico. Ma
questi scosse il capo impotente: non aveva idea di cosa potesse
bilanciare il
peso di una vita…
“
Se non un’altra vita.”
Ma
preferì tenere questo pensiero per sé.
Continua…