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Autore: monalisasmile    13/11/2016    0 recensioni
Il viola è conosciuto come il colore dello spirito. Rappresenta il valore medio tra terra e cielo, tra passione ed intelligenza, tra amore e razionalità. È il colore della volontà di essere diversi, della metamorfosi. È una forza legata alla vitalità del rosso e all'intimo accoglimento dell'azzurro. Ma è anche il colore degli occhi di una ragazza che entrerà a far parte della vita dei digi-prescelti.
La narrazione comincia in toni leggeri: leggerete di nuovi incontri, di battibecchi e amori adolescenziali, di amicizie e piccoli dispiaceri, emozioni che condizioneranno le giornate e si porranno al centro delle loro vite. Almeno inizialmente.
Perché come nella vita spesso accade, arriverà il momento in cui i personaggi verranno posti di fronte a problemi maggiori e difficili decisioni. D’improvviso tutto parrà sfuggirgli tra le dita. Gli eventi si faranno incalzanti e spesso imprevedibili. Più volte si sentiranno impotenti di fronte a una realtà indecifrabile e troppo crudele per essere affrontata.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 25

 

“ Ascolta…posso capire che non ti fidi di me, dato che non sai chi sono. Forse quello che sto per dirti per te non avrà alcun significato, ma mi chiamo Mimi Tachigawa e sono una digiprescelta.”

Rumiko si era irrigidita istintivamente. Aveva capito perfettamente chi fosse quella ragazza e le sue parole avevano per lei più significato di quanto immaginasse.

Serrò la mascella: il Destino sembrava averci preso gusto a giocare con lei, facendo sì che il suo unico appiglio al Mondo Reale fosse proprio colei che l’aveva mandata nel posto in cui ora si trovava. A pensarci quasi le venne da ridere: che situazione assurda!

Fu tentata di liquidarla in tono sprezzante, ma preferì non risponderle. Che se ne andasse al Diavolo quella maledetta Prescelta e tutti i suoi compagni bugiardi!

Vide sua madre scuotere il capo, ma la ignorò. Erano loro la fonte di tutti i suoi guai e della sua sofferenza, non li avrebbe perdonati tanto facilmente.

Si chiuse in un ostinato silenzio.

“ Sei sempre stata piuttosto cocciuta, come tuo padre…” le si avvicinò la madre.

“ Tu li perdoneresti tanto facilmente?!”

Emi le sorrise dolcemente e Rumiko sbuffò.

“ Che domanda idiota: ovvio che tu li perdoneresti. Ma io no. Non posso dimenticare quello che mi hanno fatto, quello che ti hanno fatto.”

“ Nessuno ha parlato di dimenticare. Ma credevo che fossero tuoi amici…”

“ Lo credevo anche io…” le rispose in tono sarcastico.

“ Rumiko…” l’ammonì gentilmente la donna.

“ Sì sì lo so, loro non hanno colpa per quanto è successo a New York…risparmiami, l’ho già sentita.”

“ Non siamo in un tribunale, non ci sono giudici che possano sentenziare chi ha colpa di cosa” la redarguì severamente Emi “ Tu vuoi bene ai tuoi amici, lo so, e loro ne vogliono a te. Ostinarti a odiarli è ingiusto nei loro confronti…e anche nei tuoi, che così facendo ti fai solo del male.”

“ Cosa ti fa credere che la cosa mi sia dannosa?”

“ La solitudine ti rende forse felice?”

Rumiko non rispose.

“ Tesoro…pensa a tuo padre, ai tuoi amici…non ti mancano? Preferisci stare in questo luogo informe e incolore piuttosto che tornare a riabbracciarli?”

Rumiko pensò a suo padre. Lo immaginò sofferente e inconsolabile seduto a tavola nella loro cucina. Era solo, in un appartamento deserto e silenzioso, il volto stanco e scavato, sul piatto una cena misera preconfezionata e riscaldata al microonde dopo una dura giornata di lavoro. Sembrava incredibilmente invecchiato. Sulle pareti gli aloni bianchi ricordavano che una volta lì vi erano appese delle fotografie, raffiguranti splendidi paesaggi, scorci di città e scatti a sorpresa della figlia ormai scomparsa.

La sua mente volò a una foto in particolare, una volta appesa nel corridoio d’ingresso. Quello scatto immortalava una parte di quella figlia, una parte oscura ai più, connessa a un profondo legame di amicizia, fratellanza e fiducia.

Ripensò a Foxmon, il suo amato digimon, la sua compagna di tante avventure, la sua migliore amica, l’altra metà della sua anima. Ne avevano passate tante insieme, eppure le aveva voltato le spalle, cacciandola malamente. Perché aveva paura e il suo cuore era pieno di rabbia e dolore. Non tanto verso Foxmon, quanto verso se stessa. Inconsciamente aveva preso a considerare il suo digimon il mezzo tramite cui aveva compiuto quel massacro, un’arma pericolosa che lei non aveva saputo utilizzare con dovuta cautela. Solo più tardi si era accorta dell’errore madornale di giudizio che aveva commesso: era stata crudele a definire il suo digimon un’arma di distruzione, sebbene l’avesse fatto perché l’amava troppo per dividere la sua terribile colpa con la sua compagna. Ma ormai il danno era stato fatto e non sapeva come porvi rimedio. La testardaggine e il timore di sbagliare nuovamente, ferendola più di quanto avesse già fatto, l’avevano frenata dal fare marcia indietro e rimangiarsi le parole.

Le aveva quindi manifestato il suo disprezzo, sebbene le volesse molto bene. Così come aveva fatto coi Prescelti, sebbene non conoscesse la dinamica esatta degli eventi. Ma era più semplice così: l’odio poteva essere un’utile valvola di sfogo per la sofferenza. Probabilmente Angstmon si era trovato piuttosto a suo agio in un corpo tanto ribollente di rancore.

Poi però il Destino aveva voluto beffarsi di lei e Rumiko si era affezionata, senza saperlo, proprio a quelle persone che tanto s’era ostinata a odiare per tutto quel tempo.

Ripensò a Sora, Taichi, Daisuke e tutti gli altri. Da quando li aveva incontrati ne avevano passate di tutti i colori, tra risate, litigi, incomprensioni, abbracci e lacrime. Lei li aveva aiutati quando poteva e loro l’avevano sostenuta nei momenti di sconforto, con preoccupazione e affetto sincero. Yamato le aveva persino dedicato una splendida canzone…

Già, Yamato…

Ripensò ai suoi occhi azzurri e penetranti come lame, ma capaci di scioglierla come neve al sole. Qualche volta l’aveva scoperto a guardarla di nascosto, ma senza malizia, e aveva finto di non accorgersene. Le piaceva il modo in cui la guardava, come se la volesse accarezzare con lo sguardo. Ricordava il brivido lungo la schiena quando le sue mani la sfioravano gentili, a volte del tutto casualmente. Erano grandi, le dita lunghe e il tocco incredibilmente delicato. Ripensò alla sua voce vellutata mentre cantava la canzone che le aveva dedicato, il trasporto e la delicata passione che imprimeva in quelle parole. Ricordò i suoi sorrisi: ne aveva tanti, uno per ogni occasione, alcuni riservati solo a poche persone. Prediligeva quello ironico, ma mai maligno. Poi c’era quello divertito, che spesso si apriva in presenza di Taichi o Daisuke. C’era quello gentile, che tanto spesso aveva rivolto a Sora. C’era quello comprensivo e compassionevole che gli aveva visto indirizzare al padre mentre tentava inutilmente di districare la matassa dei lumini per l’albero di Natale.

E poi ce n’era un altro, uno che non aveva mai visto rivolgere ad altri, nemmeno a Takeru. Un sorriso tutto per lei, che esprimeva il meglio di lui: la dolcezza, il riguardo nei suoi confronti, la preoccupazione per quando stava male, la felicità per quando la vedeva serena, la pace di quando stavano insieme. Rumiko aveva imparato ad apprezzare e a voler bene a quel ragazzo all’apparenza tanto distaccato e pungente, ma dallo sguardo attento a tutto ciò che lo circondava e sempre pronto a farsi in quattro per coloro cui teneva. Certo, non lo avrebbe mai ammesso, cocciuto e orgoglioso com’era! Ma ciò dimostrava quanto il suo animo fosse in realtà semplice e generoso.

E prima che se ne rendesse conto, i suoi sentimenti erano mutati ancora, diventando qualcosa di più profondo e intimo, qualcosa cui non sapeva o forse non osava dare un nome. Ma una cosa era innegabile: quando lui l’aveva baciata, la notte di Natale, il cuore aveva preso a batterle furiosamente nel petto e, per la prima volta da tanto tempo, si era lasciata completamente andare a sensazioni fortissime e sconosciute.

Con la mente tornò a quei brevi attimi di intimità, ricordando la sensazione delle sue labbra sulle sue, del suo odore tranquillizzante, delle sue braccia forti che la stringevano contro il suo petto caldo. Ricordò la sua schiena spaziosa e le sue ampie spalle. Ricordò la sua voce roca mentre le sussurrava all’orecchio.

Però tutto ciò cominciava già ad apparirle lontano e sfocato. Possibile che il tempo stesse già sbiadendo i suoi ricordi?

Ripensò ai momenti passati insieme. Quante volte avevano litigato? Tante, troppe… eppure lei non aveva mai smesso di pensare a lui.

Strinse i pugni, desiderando improvvisamente di esser stata meno orgogliosa. Se fosse stata solo un po’ più comprensiva e accondiscendente, se gli avesse dato modo di spiegarsi, anziché voltargli le spalle, lui in quel momento non la odierebbe…

Quel pensiero la fece tremare. Era la prima volta, da quando era relegata in quel posto sconosciuto, che pensava a lui e a quello che era accaduto poco prima della sua dipartita. Era stata crudele nei suoi confronti, l’aveva attaccato senza pietà, indifferente a ciò che lui avrebbe potuto dirle. L’aveva aggredito e poi era fuggita. Naturale che lui ora la detestasse… avrebbe dovuto farsene una ragione…

Ma per quanto se lo ripetesse, il suo cuore si dimenava furiosamente, incapace di accettarlo. Yamato era importante per lei. Non sapeva quando lo era diventato, ma ora sentiva che la sua vita non sarebbe stata la stessa senza di lui. Senza i suoi sorrisi, i suoi profondi occhi blu, le sue mani gentili, i suoi baci, le sue battutine sarcastiche e i suoi silenzi pieni di comprensione le sue giornate sarebbero state…

“ Vuote…”

Una volta tornata nel Mondo Reale gli avrebbe rivelato tutto, finalmente, senza giri di parole o omissioni. A partire dall’inizio, gli avrebbe raccontato la sua storia e gli avrebbe chiesto di fare lo stesso. Lui l’avrebbe capita, l’avrebbe stretta dolcemente tra le sue braccia e le avrebbe regalato uno dei suoi sorrisi più belli.

Ma se non avesse funzionato? Se il risentimento nei suoi confronti fosse troppo grande e questa volta non fosse disposto ad ascoltarla e a permetterle di rimediare?

“ Ancora non ci capisco nulla in questa storia, lo ammetto, ma se me lo concederai farò di tutto per aiutarti. Fidati di me!”

Sì, si sarebbe fidata di lei, della ragazza che in passato l’aveva abbandonata al suo Destino. E se lei fosse stata in grado di perdonare quella Prescelta, allora anche Yamato l’avrebbe perdonata, ne era sicura.

L’avrebbe ascoltata, le avrebbe concesso la sua comprensione e lei avrebbe dimenticato ogni sconforto. Le loro vite sarebbero tornate a scorrere serenamente, come prima, tra battibecchi e piacevoli momenti passati insieme.

Suo padre l’avrebbe riaccolta con gioia, così come i suoi amici, ne era certa. Ma se lui, anche solamente lui, le avesse voltato le spalle, allora lei si sarebbe sentita perduta. Aveva bisogno del perdono di quel ragazzo freddo ma sincero, aveva bisogno della benedizione di quegli occhi color del cielo, aveva bisogno dell’assoluzione da tutte le sue colpe e i suoi errori da parte di quella voce vellutata. Ma se non l’avesse avuta, se non avesse riavuto lui accanto a sé, allora…

“…mi chiamo Rumiko Kitamura…”

 

Yamato s’abbandonò sconfortato allo schienale della sedia, chiudendo con un gesto secco l’ennesimo libro. Non era mai stato un topo di biblioteca, preferiva gli spazi aperti all’aria stantia di quei luoghi chiusi e pieni di volumi impolverati. Ma aveva deciso che se voleva capirci qualcosa in quella storia sarebbe stato opportuno informarsi.

Tuttavia dopo diverse ore di ricerche non era ancora riuscito a trovare una risposta alla domanda che lo assillava.

Si portò un braccio sul volto stanco, reclinando il capo all’indietro.

-      Dove sei, Rumiko? – chiese al soffitto senza guardarlo.

-      Yamato? –

Il biondo quasi cadde dalla sedia per la sorpresa.

-      Koushiro?! –

Per un attimo credette di essersi addormentato: che ci faceva lui là?

Da canto suo, il rosso sembrava più che altro turbato.

-      Il Sacerdote mi ha detto che avrei trovato uno dei suoi due ospiti qua… -

Yamato si ricompose, studiando l’espressione lugubre del ragazzo.

-      Tutto bene, Koushiro? Hai avuto difficoltà a raggiungere il Tempio? –

-      Io no… - rispose, chinando il capo.

Il biondo lo studiò un attimo. Il suo fisico era emaciato e il volto un po’ più scavato dall’ultima volta che l’aveva visto all’ospedale degli Svegli. Ma intuiva vi fosse dell’altro, che quegli occhi scuri non fossero solo stanchi, ma anche preoccupati. Capì.

Si alzò per prendere un libro su uno scaffale accanto a Koushiro.

-      Mimi sta bene. – gli disse, senza guardarlo.

Avvertì la tensione abbandonare in parte il rosso e le sue spalle rilassarsi.

-      Non capisco perché sia dovuta venire fin qua, correndo tanti rischi… senza dirmi nulla… - lo sentì bisbigliare.

Capì che Koushiro non sapeva nulla del nuovo potere della castana. Forse avrebbe dovuto dirglielo. Ma intuì che se Hisashi non l’aveva fatto era stato per non dare altre preoccupazioni al ragazzo, che senza dubbio avrebbe fatto di tutto per aiutarla. Dopotutto era giusto che Mimi se la cavasse da sola e che glielo dicesse quando e come ritenesse più opportuno.

-      Per lo stesso motivo per cui sono venuto io… e presumo anche tu: trovare delle risposte. –

Koushiro annuì tetro: aveva capito che per il momento nessuno gli avrebbe rivelato nulla di più. E, conoscendolo, Yamato intuì che questo era uno dei motivi del suo cattivo umore: il Prescelto della Conoscenza non poteva sopportare di non sapere.

Sorrise dell’ironia di quella situazione e gli mise un braccio attorno alle spalle.

-      Tu a quali domande sei venuto a cercare risposta, amico mio? – gli fece l’occhiolino.

Il rosso gli sorrise un poco imbarazzato: non aveva mai passato molto tempo con Yamato e quel improvviso cameratismo era una novità per lui.

-      Voglio scoprire quanto più possibile su Alptraumon. –

Il cantante notò il debole sfavillio che accese quegli occhi scuri: sete di conoscenza.

Sorrise al ragazzo, ammirando la sua risolutezza.

-      Conosci il tuo nemico… - citò il Prescelto dell’Amicizia.

-      Esattamente. E tu, Yamato? Non sei mai stato un frequentatore di biblioteche. Posso aiutarti? –

-      Non saprei, Koushiro… - si grattò il capo imbarazzato – Il tuo aiuto potrebbe essermi davvero utilissimo, visto che questo non è esattamente il mio ambiente naturale… ma se ti dicessi l’argomento delle mie ricerche mi prenderesti per matto. –

-      Prova. – lo esortò l’amico.

Il biondo fece una pausa, soppesando mentalmente le parole.

-      Devo scoprire dove vanno le anime di persone non completamente morte… e come riportarle in vita. –

 

Koushiro spalancò gli occhi.

Si era ripromesso di non manifestare meraviglia per qualsiasi cosa gli avesse rivelato Yamato. Ma una volta udite le sue parole, la mente razionale del rosso aveva avuto la meglio.

Ovviamente non aveva dubbi su quale anima interessasse a Yamato. Da quando si era risvegliato in ospedale gli altri Prescelti gli avevano raccontato dei vagheggiamenti del cantante. Voci di corridoio dicevano che il ragazzo avesse perso il lume della ragione, ma Koushiro non era mai stato un amante dei pettegolezzi, quindi non vi aveva dato retta, preferendo occuparsi del soggetto della sua ricerca.

Ora però si chiedeva se non fossero state fondate.

Un’occhiata al volto di Yamato mise a tacere i suoi pensieri.

Scosse il capo, sconfitto.

-      Tu sai bene che questo va contro le mie idee razionali. – gli disse con onestà – Credo nella scienza e nella verità dimostrabile, non alle superstizioni… -

-      A chi lo dici! – sbuffò il biondo, sorprendendo Koushiro – Mi conosci, ho sempre considerato queste cose nulla più di fandonie ideate da religiosi troppo fantasiosi! –

-      Yamato… - lo ammonì gentilmente l’altro.

-      Lo so, lo so, non sono discorsi da fare in un Tempio. E, credimi, non ci sarei mai venuto in questo posto polveroso e pieno di muffa se avessi avuto scelta! –

Koushiro sorrise, riconoscendo in lui il ragazzo cinico e sospettoso che era sempre stato.

-      Ma questa volta non ho alternativa… - abbassò il tono, perforando il rosso con lo sguardo – Non sono pazzo, al contrario di quello che si dice in giro, e la prova di quello che pensavo l’ho avuta proprio quando siamo arrivati in questo Tempio. Lei c’è ancora, ha comunicato con noi. Non posso dirti come, non ancora, ma non mi riferisco a stupide sedute spiritiche, bensì qualcosa di decisamente reale. Ha detto che non sa dove si trova. Ha chiesto aiuto. E io intendo dargliene quanto più possibile. –

Fece una pausa, senza scostare gli occhi dall’amico.

Koushiro non fiatò, guardandolo rapito e attento: per qualche strana ragione non riusciva a dubitare delle sue parole.

-      Per quanto mi scocci ammetterlo, questo credo che sia l’unico luogo in cui possa trovare delle risposte. E non solo perché è la biblioteca di un Tempio, ma perché si tratta del Tempio che più la può riguardare. –

-      Che vuoi dire? -

-      Questo Tempio è dedicato al dio Inari, cui sono sacre le kitsune. E indovina quali sembianze ha il digimon di Rumiko? Ma non si tratta solo dell’aspetto esteriore: così come le volpi leggendarie, anche Kitsunemon può piegare lo spazio, viaggiando attraverso i mondi… -

Koushiro annuì pensieroso, mentre la sua mente elaborava.

 

-      I miti e le leggende hanno spesso un fondo di verità – ragionò ad alta voce, ripensando all’oggetto della ricerca che era venuto a condurre – Il fatto che si tratti di creature digitali non deve trarci in inganno: è possibile che la loro origine sia antecedente all’avvento dell’informatica nel nostro mondo. Con le nuove tecnologie siamo in grado di trasportarci nel loro mondo, convertendo i nostri corpi in dati, ma ciò non significa che loro non fossero in grado di farlo già tempo fa, forse addirittura secoli prima. –

Yamato non distolse lo sguardo dal Prescelto della Conoscenza.

-      Se così fosse, può darsi che le kitsune dei miti siano molto meno leggendarie di quello che si è portati a pensare. Allora questo Tempio sarebbe stato dedicato proprio al digimon Kitsunemon. –

Aggrottò le sopracciglia.

-      Il Sacerdote Hisashi – riprese il rosso – mi ha riferito che in passato le kitsune hanno protetto questo luogo dalla guerra. Non è da escludere che quei digimon abbiano preso a cuore le sorti del Tempio a loro dedicato: il rischio di esser visti materializzarsi in un luogo in cui la loro presenza era considerata quasi normale lo rendeva un porto sicuro. E può darsi che abbiano lasciato una traccia del loro passaggio… o forse anche di più… –

Prese a passeggiare avanti e indietro, sotto lo sguardo del biondo.

-      Secondo le leggende, tra le capacità delle kitsune vi era quella di potersi trasformare in esseri umani, di solito delle bellissime donne. E se anche in questo vi fosse un pizzico di verità, avrebbero potuto sostare in questo Tempio in veste di sacerdotesse e lasciare una traccia scritta del loro passaggio, magari delle descrizioni dei luoghi che avevano visitato, delle illustrazioni… -

Yamato si tirò uno schiaffo alla fronte e Koushiro sobbalzò per la sorpresa.

-      La fotografia! –

-      Quale fotografia? –

-      Rumiko teneva in casa una fotografia scattata da suo padre. Ritraeva uno scorcio della New York notturna e, in cima a un palazzo, c’era una sagoma femminile: aveva i capelli lunghi, delle orecchie a punta sul capo e teneva una specie di lungo bastone in mano… -

-      Le superdigievoluzioni di alcuni dei nostri digimon hanno sembianze umane, non è da escludere che valga lo stesso anche per Kitsunemon…e se quelle orecchie fossero solo un copricapo o potesse celarle, potrebbe forse mimetizzarsi nel nostro mondo quanto basta… -

Yamato avrebbe voluto mangiarsi le mani per non avere quella fotografia lì con lui in quel momento. Ma se non altro, grazie a Koushiro ora aveva un’ipotesi cui aggrapparsi.

-      Grazie, amico mio… Non vorrei però distoglierti dal motivo per cui sei venuto fin qua… -

-      Non hai nulla da farti perdonare, Yamato, anzi: ho idea che un diario di viaggio di una di queste kitsune potrebbe essere parecchio utile anche a me. D’altronde Rumiko e il suo digimon hanno già affrontato Alptraumon in passato, con un discreto successo, direi. Sono sicuro che fossero molto più preparate di noi sull’argomento. Quindi le cose sono due: o trovo qualcosa in uno scritto lasciato ai posteri, oppure dovrò rivolgermi direttamente a Kitsunemon e Rumiko. –

Yamato gli sorrise, colmo di gratitudine.

 

Taichi avrebbe voluto avere accanto a sé Takeru, il Prescelto della Speranza: forse lui avrebbe saputo infondergli un po’ di fiducia. Ma, ironia della Sorte, la Speranza si era assopita nel momento in cui l’oscurità era scesa sulla città, senza accennare a risvegliarsi.

La situazione all’ospedale degli Svegli stava degenerando sempre più. Poche decine di persone riuscivano ancora a tenere le palpebre aperte, ma a caro prezzo: molti praticavano l’autolesionismo, altri attaccavano rissa perché l’adrenalina della sfida permetteva loro di non assopirsi. Ma non era solo la paura del Sonno a muoverli: i corridoi puzzavano di diffidenza, rancore e morte. Il silenzio era spesso spezzato da pianti e lamenti, grida di rabbia e di terrore. Alcune persone avevano tentato di togliersi la vita, soccorse appena in tempo dai Prescelti e i loro digimon.

Diverse volte al giorno l’aria veniva spezzata dalle urla infernali di Angstmon e di tanto in tanto potevano scorgerlo volare sulle loro teste. Avevano tentato un paio di attacchi, ma il cavallo infernale aveva riso crudelmente dei loro sforzi, scomparendo tra le nubi indenne.

Sandmannmon aveva un’indole altrettanto sadica, ma più dispettosa. Spesso s’intrufolava all’interno dell’ospedale per mettere a soqquadro le cucine o appollaiarsi sul ventre dei Dormienti distesi nei loro letti. Aveva anche fatto incetta delle provviste, ma i Prescelti sospettavano che lo facesse per prendersi gioco di loro, non per cibarsene.

Era stata Sora a suggerire l’ipotesi che il digimon avesse una dieta particolare, dopo che aveva sorpreso Sandmannmon accucciato sul corpo di una ragazza addormentata. Ne aveva fatto parola solo con Taichi, Daisuke, Mei e i digimon, per evitare di diffondere il panico tra gli Svegli già terrorizzati.

Taichi rabbrivì, al ricordo delle parole della rossa.

-      Credo – aveva detto – che Sandmannmon si nutra dei sogni delle persone. –

Inorridì, come due giorni prima nell’udire quella rivelazione. Che essere disgustoso.

Da allora avevano fatto il possibile per tenerlo lontano dai Dormienti, soprattutto dalle donne, per cui pareva avere una certa predilezione. Ma l’orrenda creatura era astuta e spesso riusciva a giocarli, comparendo e dileguandosi come nulla fosse.

Taichi pensò a Hikari e ai suoi genitori, a tutti gli abitanti della città che giacevano ignari nei loro letti. Se la dieta di Sandmannmon era costituita di sogni, sicuramente aveva già fatto loro visita. Ma con quali risultati? Cosa accadeva ai Dormienti quando quel digimon divorava i loro sogni? Un anno prima quella creatura si era insinuata nella mente di Mimi, dapprima controllandola dall’esterno, poi insinuandosi dentro di lei e possedendola. Se solo la Prescelta fosse stata lì avrebbe potuto interrogarla meglio…

-      Maledizione! – afferrando con rabbia la balaustra del parapetto della tromba delle scale.

Aveva bisogno dell’esperienza diretta avuta da Mimi, della razionalità di Koushiro per analizzare le informazioni e della determinazione di Yamato, che l’avrebbe rassicurato e aiutato a tenere i nervi saldi.

Ma Koushiro era partito alla volta del Tempio e Mimi e Yamato erano scomparsi nel nulla coi loro digimon.

Avrebbe voluto andare a cercarli, ma sapeva di non poter abbandonare l’ospedale. Tutto ciò che poteva fare, dunque, era pregare che non fosse successo loro nulla di male…

-      Illuso! – gracchiò una voce a lui ormai ben nota.

Alzò il capo: appeso come un pipistrello pochi metri sopra la sua testa c’era Sandmannmon.

Taichi sospirò, stanco. Sapeva che era inutile tentare di afferrarlo, avrebbe solo sprecato energie.

Il digimon rise, probabilmente leggendo i suoi pensieri. Nessuna meraviglia che i Prescelti non riuscissero a catturarlo, dato che la telepatia permetteva al mostro di anticipare le loro mosse. L’unico momento in cui la sua attenzione veniva meno era quando banchettava dei sogni dei Dormienti.

La creatura color sabbia rise più forte, leccandosi i baffi.

-      Sei perspicace, ragazzo! Voglio farti un regalo: ti mostrerò che fine hanno fatto i tuoi amici! –

-      Non m’interessa, tieniti lontano da me, Sandmannmon. –

-      Sicuro di non volerlo sapere? Eppure uno di loro era il tuo migliore amico… povero ragazzo! Ma si sapeva che aveva perso qualche rotella! – gracchiò, roteando un dito accanto alla tempia e incrociando gli occhi in un’espressione demente.

-      Puoi dire quello che vuoi, ma non ti crederò, bestia maledetta! –

-      E invece dovresti, ragazzo, dovresti! Io non dico bugie, mai! –

-      Sì, certo… - alzò un sopracciglio il Prescelto – e io porto la gonna. –

Il mostro di sabbia rise.

-      Divertente! Sei divertente, ragazzo! –

-      E tu per niente! Vattene! –

-      …altrimenti? – gli sorrise bieco.

-      Altrimenti troverò il modo di farti ringoiare tutte le fandonie che racconti. –

-      Sei sordo o cocciuto, ragazzo? Te l’ho già detto, io non mento mai… dico sempre la verità. Anche alla tua amica Mimi ho sempre detto la verità, lei te lo confermerebbe… -

Taichi esitò un attimo: effettivamente non gli risultava che Mimi avesse detto che Sandmannmon le aveva riempito la testa di bugie. Sicuramente l’aveva ingannata, ma poteva anche aver giocato d’astuzia, senza il bisogno di mentirle.

Ma se così fosse, se davvero il digimon non fosse stato in grado di dire il falso per natura… allora a Yamato e gli altri era davvero capitato qualcosa?

-      Taichi… -

Si voltò, trovandosi faccia a faccia col dolce sorriso di Sora.

-      Ascolta, Sora, Sandmannmon… -

-      Non ha importanza. – gli tappò gentilmente la bocca con una mano – Sei solo stanco e preoccupato. Lo sono anch’io. – gli sorrise tristemente – Ma dobbiamo avere fiducia in noi stessi e nelle persone a noi care. Hai fiducia in Yamato? –

Taichi annuì convinto. Lei sorrise.

-      E hai fiducia in me? – gli chiese dolcemente, togliendo la mano dalla sua bocca.

-      Sì, certo… - arrossì lievemente il Prescelto del Coraggio.

-      Allora ascoltami: non dar retta a questa creatura. Ascolta solo il tuo cuore e le persone che ti vogliono bene e non ti farebbero mai del male… -

Sandmannmon rise di gusto.

-      Tipo chi? Tu? – sibilò velenoso.

Sora lo ignorò deliberatamente, accostando la bocca all’orecchio del ragazzo.

-      Ti amo, Taichi. –

Il mostro mandò un grido di rabbia, conscio di aver perso quella partita e la sua preda. Fece leva sulle gambe tozze e spiccò un balzo verso la finestra, mandandola in frantumi e catapultandosi di fuori come un razzo.

Daisuke e Mei furono là pochi secondi dopo, il fiato corto e lo sguardo allarmato.

-      È successo qualcosa?! State bene?! – s’informò subito lui.

Mei alzò gli occhi al cielo: quel posto stava diventando una gabbia di matti. Avevano sentito le risate di Sandmannmon e la voce nervosa di Taichi. Tuttavia era stato il ringhio furioso del mostro ad allarmarli e poco prima che arrivassero sul parapetto avevano udito l’infrangersi di un vetro.

Quando erano arrivati ai loro occhi si era presentata una scena inattesa: Taichi e Sora si tenevano abbracciati stretti, apparentemente incuranti di tutto il resto.

La riccia sbuffò: in quel momento condivideva la frustrazione di Sandmannmon.

 

-      Yamato, vieni a vedere, forse ho trovato qualcosa! –

Il biondo stava giusto considerando quanto quell’attività si stesse rivelando non solo inutile ma anche controproducente: nulla di meglio di qualche vecchio tomo ammuffito pieno di dati noiosi per addormentarsi.

Ma le parole di Koushiro lo riscossero e si precipitò al suo fianco.

Il rosso gli sorrise incoraggiante e puntò il dito a metà di una pagina ingiallita.

-      Credo di aver trovato qualche annotazione lasciata da una kitsune. – gli ammiccò soddisfatto della sua scoperta.

-      E cosa scrive la nostra volpe? – scherzò Yamato, appoggiando la schiena allo scaffale mentre Koushiro avvicinava una torcia elettrica alle pagine del volume.

Per un attimo Yamato pensò a quanto fossero fortunati a trovarsi in quel Tempio, sufficientemente svegli, provvisti di tutto quanto potesse loro servire e soprattutto, al sicuro dall’influenza negativa di Alptraumon.

Lui e Koushiro ne avevano discusso ed entrambi avevano concordato che quel luogo doveva esser stato rivestito da qualche tipo di protezione, probabilmente opera delle kitsune.

Ripensò a Taichi, Sora, Daisuke e tutti coloro che si trovavano barricati nell’ospedale. Temeva per loro e non essere al corrente di quello che accadeva là gli faceva montare una gran frustrazione. Ma, razionalmente, sapeva che la cosa migliore che lui e gli altri potessero fare era portare a termine quanto avevano iniziato: coloro che erano rimasti dovevano proteggere gli Svegli, mentre chi era andato in cerca di risposte doveva trovarle al più presto, per il bene di tutti. E questo valeva per lui e Koushiro, quanto per Mimi.

La Prescelta della Purezza aveva avuto un ruolo centrale in quella vicenda fin dall’inizio e Yamato era sicuro che non fosse ancora concluso. Il solo fatto che avesse ereditato parte delle capacità del loro nemico la rendeva una carta decisamente utile, sebbene pericolosa. Il biondo pregò che in quei giorni in cui non l’aveva più vista avesse sviluppato il suo potere, imparando a controllarlo.

Lanciò uno sguardo fugace a Koushiro: lui non l’aveva ancora incontrata, ma non aveva fatto altre domande sul suo conto. Yamato ammirò la sua pazienza.

Il rosso si schiarì la voce.

-      Quello che ti leggo è un frammento di una nota risalente a due secoli fa, scritta da una sacerdotessa di questo Tempio. Riguarda il caso di una giovane donna che venne portata al Tempio dopo che, in seguito alla perdita del figlio, ebbe una specie di… - aggrottò la fronte cercando la parola giusta – collasso. –

Fece scorrere le dita sulle scritte sbiadite dal tempo e cominciò a leggere.

-      … La donna è stata distesa di fronte a me e, sotto lo sguardo speranzoso dei compaesani, mi avvicino per guardarla meglio. È bella nella sua immobilità, rilassata come fosse addormentata, fredda come solo la Morte la può rendere.

Dicono che sia deceduta all’improvviso, che il dolore le abbia trafitto il cuore e che si sia afflosciata a terra come un sacco vuoto. Che quando le avevano toccato il collo, il suo cuore aveva già smesso di battere.

Eppure tutto il mio essere freme di gioia e meraviglia nel guardala, con la certezza che la sua anima non sia già partita per il Viaggio Eterno.  

Le sfioro il viso, faccio scorrere le mie dita leggere sul suo collo bianco fino al petto. Percepisco il suo cuore: è fermo e sanguina di dolore. Riesco a fiutare l’odore acre del rimorso.

L’Equilibrio Vitale è stato spezzato e il suo spirito è andato in frantumi. Ora so dov’è andata l’anima di questa donna.

Socchiudo gli occhi e innalzo il mio Canto in una melodia di speranza e di vita. Spero che giunga fino a lei e che le infonda fiducia e coraggio. Poiché non vi è altra forza che possa salvarla se non la sua.

Gli abitanti mi guardano speranzosi e perplessi. Io spiego loro che nulla si può più fare per questa donna, ma che mi occuperò personalmente di seppellirla accanto al figlioletto, affinché la sua anima possa riposare in pace.

È una menzogna, ma non ho altra scelta: l’unica possibilità che il corpo si ricongiunga alla sua anima è che questo le si avvicini quanto più possibile, altrimenti l’anima liberata potrebbe vagare in eterno.

La deporrò dunque accanto allo Specchio.

Più di questo non mi è concesso…

Koushiro si fermò, alzando lo sguardo sull’amico, che sedeva immobile di fronte a lui.

-      Corrisponde a quanto accaduto nel suo appartamento, giusto? – gli chiese il rosso.

L’altro annuì frustrato: le parole della sacerdotessa non avevano rivelato nulla di più di quanto già sapesse, se non che il corpo di Rumiko probabilmente di trovava vicino a uno Specchio e che poteva far affidamento solo su se stessa per rientrarvi. Sempre che ci riuscisse, altrimenti avrebbe vagato per sempre come un fantasma.

In ogni caso in quelle pagine non vi era nulla che potesse suggerirgli dove si trovasse e come aiutarla.

-      C’è dell’altro… - parve leggergli nella mente il rosso.

Il suo tono era esitante e Yamato tornò a rivolgergli la sua attenzione.

-      Quest’altro scritto – esordì Koushiro afferrando un volumetto rilegato in pelle – sembra piuttosto un diario di viaggio, scritto in tedesco. –

Il biondo alzò un sopracciglio.

-      È molto più recente, credo risalga alla fine del 800… -

-      Sai tradurre il tedesco, Koushiro? –

-      No, ma qualcuno ci ha pensato prima di me e ha preso delle note a margine. Con l’aiuto di un dizionario sono riuscito a decifrare il contenuto della parte che credo ci riguardi di più… -

-      Non ti vedo convinto – commentò Yamato, visto che il ragazzo era ancora dubbioso.

-      Sulla prima pagina di questo libro c’è il timbro di una biblioteca. –

-      Pensi sia stato rubato da un sacerdote? –

-      Stento a crederlo. Ma il punto è la biblioteca: l’indirizzo è di New York. –

Yamato aggrottò le sopracciglia.

-      Sono quasi sicuro che un anno fa Hisashi si trovasse a New York. Quindi è probabile sia stato lui a portare qui il manoscritto. –

-      Già, ma non credo sia stato lui a scrivere questi appunti. La calligrafia è semplice e femminile, la trasposizione essenziale, come se si fosse trattato di una seccante incombenza anziché di un genuino interesse… Nulla a che vedere con la preparazione e la dedizione di un sacerdote appassionato dell’argomento. –

Koushiro incrociò lo sguardo del biondo.

-      Credo che sia stata Rumiko a rubarlo e ad apportare questi appunti. –

Yamato sorrise: decisamente molto più verosimile.

-      Probabilmente stava cercando anche lei qualche indizio riguardo il suo nemico. – continuò il rosso, la fronte corrugata.

-      Continui a sembrarmi dubbioso. Rumiko ha scritto qualche strafalcione? –

-      Non è la traduzione a lasciarmi perplesso, bensì il contenuto… ma proprio per questo ho la sensazione che potrebbe esserci utile. –

-      Ti ascolto. –

Koushiro affiancò al libricino dei fogli su cui aveva preso degli appunti personali.

-      Quest’uomo ha viaggiato parecchio, un po’ in tutto il mondo. Una cosa tutt’altro che comune per quegli anni, in cui una tale impresa sarebbe stata non solo molto costosa, ma anche pericolosissima. Alcuni dei luoghi da lui descritti sono decisamente fantasiosi, ai limiti del sovrannaturale. Ma non viaggiava da solo, aveva una compagna inseparabile: Miss Fox. –

Yamato sorrise divertito.

-      Non fa mai riferimento a se stesso come a un Prescelto o qualcosa del genere, il che mi fa supporre che forse erano semplicemente amici, senza avere un rapporto come quello che noi abbiamo coi nostri digimon.

Quest’uomo era uno studioso, interessato soprattutto al rapporto tra i miti e i fatti reali.

Una delle parti più interessanti del suo taccuino riguarda un suo viaggio in Africa, dove è stato ospite di una tribù indigena per alcune settimane. Qui ha appreso molte cose sui loro riti e le loro credenze.

Una di queste riguarda il trapasso: secondo questa tribù, se il decesso avviene in maniera innaturale e infelice, l’anima non può raggiungere l’Aldilà, poiché troppo frammentata e inquieta per staccarsi completamente dal Mondo Reale. In questo caso finisce in quello che loro chiamano il Regno delle Nebbie, in cui si deciderà la sua sorte: se la sua forza vitale è ancora abbastanza forte e riesce a ritrovare l’equilibrio interiore potrà tornare in vita. Altrimenti, se incapace di liberarsi degli affanni, l’anima resterà nel Regno delle Nebbie per l’eternità, macerandosi nel proprio rancore. –

Yamato fece per dire qualcosa, ma Koushiro lo zittì.

-      Fin qua nulla di nuovo, giusto? Solo una delle tante favole che ogni popolo racconta, con lievi varianti. Anche la teoria della resurrezione dell’anima non è una novità. – dette voce alle sue proteste – Ma subito dopo l’esploratore riferisce a Miss Fox di quanto ha udito e la sua misteriosa compagna gli rivela che quel luogo esiste realmente. –

-      Il Regno delle Nebbie?! –

-      Lei lo chiama il Mondo dell’Oblio e lo descrive come un luogo sospeso tra il Mondo dei Vivi e quello dei Morti, in cui nulla cresce e nulla si muove, in cui nulla scandisce il Tempo poiché non vi sono astri nel cielo e in cui regna una nebbia fitta. L’uomo mostra interesse per quella dimensione ignota e chiede alla sua compagna di mostrargli il modo per raggiungerla.

Ma lei si rifiuta fermamente, con grande rammarico dell’uomo.

Le chiede allora se è vero che un’anima non del tutto morta può tornare in vita semplicemente grazie alla sua forza di volontà… -

-      E…? - lo spronò Yamato.

-      Miss Fox dice che – avvicinò il foglio dei suoi appunti per leggere la traduzione letterale da lui fatta – “la Morte non fa concessioni: nulla concede senza ricevere in cambio qualcosa di pari valore”. –

Yamato aggrottò le sopracciglia, lanciando un’occhiata interrogativa all’amico. Ma questi scosse il capo impotente: non aveva idea di cosa potesse bilanciare il peso di una vita…

“ Se non un’altra vita.”

Ma preferì tenere questo pensiero per sé.

 

 

 

Continua…

 

  
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