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Autore: Najara    14/11/2016    2 recensioni
"Nobu è solo, ha lasciato Sayuri al Direttore ma la ama ancora; nei bordelli che frequenta per dimenticare incontra Zucca unica che forse ha passato quello che ha passato lui..." Ho scritto la storia basandomi su questo breve riassunto di milla4 e su qualche altra indicazione che troverete nel genere e nel raiting. Per chi riconoscesse i nomi dei protagonisti, sì, il fandom doveva essere "Memorie di una Geisha", ma non conoscendolo l'ho trasformata in un'originale.
Storia partecipante al contest "Oggi faccio lo scambista" di Ray Wings.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Un’ultima notte

 

“Benvenuto, Nobile Toshikazu.” L’elegante donna si inchinò profondamente, rendendo onore al rango del suo ospite, evidenziato dalle due spade al fianco.

“Grazie di accogliermi nella vostra casa, Oba.” Rispose allora lui, rispettando il cerimoniale. La tenutaria della casa del piacere di Nagoya sorrise amabilmente e, sempre inchinata, gli fece cenno di entrare nel primo cortile. Nobu Toshikazu oltrepassò l’arco d’ingresso guardandosi attorno. Non era mai stato in quella casa, malgrado ne avesse visitate molte da quando Sayuri gli era stata portata via. Il luogo era semplice, ma aggraziato. Un alberello di sakura in fiore spandeva nell’aria un dolce profumo, mentre il rumore dell’acqua, di una piccola fontana posta nell’angolo destro del cortile, rilassava la mente.

“Permettetemi di alleggerire il vostro fianco.” A quelle parole, Nobu posò la mano sulle spade, per un istante le trattenne poi rilasciò la stretta e consegnò le sue armi alla donna, sapeva che era la regola: non si entrava armati nelle case di piacere. La tenutaria prese le armi e i suoi occhi brillarono, era chiaro che aveva riconosciuto il valore di quelle spade del grande maestro Masumune.

Riposti la katana e lo wakizashi, Oba lo accompagnò all’interno della delicata struttura in legno e carta. Da una delle stanze proveniva soave della musica, ma Oba lo accompagnò verso un secondo cortile dove una donna stava dipingendo. Vestita di un kimono verde e da un obi arancione risplendeva ad arte in quel piccolo cortile di pietra e sabbia.

“Zucca, vieni, ti presento il Nobile Toshikazu.” La ragazza si voltò, sul volto apparve un sorriso, mentre si alzava per raggiungerli e poi si inchinava a lui.

“Questo è un bel giorno se il Nobile Nobu Toshikazu è ospite nella nostra casa.” Nobu sorrise a sua volta chinando un poco il capo, soddisfatto di essere riconosciuto, lui che era un samurai del Nobile Tokugawa e aveva combattuto con valore a Sekigahara.

“Di certo è un bel giorno, ora che vi conosco.” Rispose lui, gentilmente. Oba comprese che la ragazza era stata accettata e si allontanò con un inchino e un sorriso.

“Posso prendere il vostro haori?” Nel dirlo la donna si portò alle sue spalle.

“Hai.[1]” Rispose lui e allora lei, con delicatezza, gli sfilò la leggera giacca di seta grigia che portava sul kimono color panna.

La donna gli indicò di sedersi mentre una servitrice che doveva avere all’incirca dieci anni portò, in assoluto silenzio, del thè, del riso e dei gamberi cotti sulla brace. Nobu ne aveva visti di più grandi al mercato quella mattina, ma nell’assaggiarne uno fu contento di scoprire che erano molto buoni.

“Vorreste del sakè?” Chiese Zucca, compostamente seduta accanto a lui, mentre lo osservava mangiare, sorseggiando appena il suo thè.

“Più tardi, magari. Cosa stavate dipingendo?” Acconsentendo al suo interesse Zucca si alzò e, preso il dipinto, lo voltò verso l’ospite. Nobu osservò per un lungo momento le linee frastagliate e nette: dolore, mancanza, solitudine. Quello era ciò che leggeva nei colori e nel disegno. Che la giovane donna provasse i suoi stessi sentimenti? Oppure era lui che li vedeva riflessi ovunque?

“Dipingete molto bene.” Commentò e la ragazza abbassò il capo in un gesto di umiltà. “Suonate anche?”

“Cosa vi piacerebbe ascoltare?” Chiese, in risposta, la cortigiana.

“Vi prego, scegliete voi.” La donna annuì e la serva gli portò un koto, strumento che fino a pochi anni prima si poteva ascoltare solo presso la corte imperiale, ma che si stava diffondendo nel paese. Zucca sistemò con attenzione lo strumento davanti a sé, poi con delicatezza iniziò ad accarezzarne le corde con tre plettri fissati alle dita. Nobu la guardava, osservando il volto delicato e lasciando che la musica scendesse a sfiorargli l’animo. Dopo un poco chiuse gli occhi e rimase così per lungo tempo, la luce del tramonto scemò e furono accese delle lanterne, ma lui se ne rese conto solo quando Zucca smise di suonare.

“Domo arigatou gozaimasu.[2]” Disse, evidenziando con un cenno della testa il ringraziamento formale. Zucca abbassò gli occhi.

“Grazie di aver ascoltato, Nobusan.” La donna spostò di lato lo strumento a corde e prese la bottiglia di sakè chiedendogli con lo sguardo se ne desiderava.

“Prego, prima voi.” Zucca arrossì a quel complimento.

Nobusan, voi siete l’ospite.” Rispose allora lei, seguendo il cerimoniale.

“Insisto, prego.” Con un gesto indicò la tazzina posta davanti alla donna e allora lei, sorridendo, se ne versò un poco per poi riempiere quella di Nobu. Bevvero il sakè caldo e Zucca riempì di nuovo le tazze.

“Perché siete triste?” Chiese l’uomo.

“Non sono triste, perché lo credete? Non vedete il sorriso nei miei occhi?”

“Vedo il vostro sorriso, ma il vostro cuore è triste, lo leggo nel dipinto, l’ho ascoltato nella vostra musica.”

“Mi dispiace avervi recato…” Nobu alzò la mano fermandola.

“La vostra tristezza si è specchiata nella mia, sentirla condivisa ha lenito la mia sofferenza.” Zucca rimase in silenzio a lungo, mentre lui sorseggiava il sakè pensoso.

“Ho perso colui che il mio cuore prediligeva.” Ammise allora la ragazza in un mormorio. Nobu osservò il volto della donna, sulle sue labbra non si spegneva il sorriso, eppure nei suoi occhi poteva vedere un'eco del suo stesso dolore. “Era un samurai, ma si è coperto di vergogna.” Nobu abbassò la tazzina irrigidendosi. “Il suo onore è stato recuperato, ha compiuto seppuku e il suo secondo ne ha testimoniato la degna morte.” L’uomo si rilassò, annuendo. Un samurai che si disonorava aveva un solo modo per salvarsi dalla vergogna ed era attraverso una morte onorevole autoinflittasi con la propria lama.

“Non dovresti piangere la sua morte. Così lo disonori.” Non c’era accusa nella sua voce solo la volontà di ricordarle il bushido: la via del samurai.

“Non piango la sua morte, piango la sua mancanza.” Nobu sospirò, poi annuì.

“Anche il mio cuore aveva scelto.” Questa volta fu il turno di Zucca di rimanere in rispettoso ascolto. “Si chiama Sayuri.” Nobu aveva uno sguardo fiero e fermo, da vero samurai, ma Zucca conosceva la sofferenza che tentava di nascondere e la percepì nella tensione del suo corpo. “Il mio daimyō ha deciso di darla in sposa al direkutā del suo castello a Edo.” Zucca non chiese perché non avesse chiesto al suo signore di concedere a lui la mano della donna, un samurai accettava sempre il volere del daimyō, ne andava del suo onore.

Il silenzio cadde tra loro due, Zucca versò altro sakè a Nobu, evitando di riempire la propria tazza, sapeva che era il cliente a dover inebriare i sensi e non la cortigiana che, invece, doveva mantenere il controllo, sempre.

“Vorrei poterlo avere ancora per una notte, un’ultima notte.” Confessò Zucca.

“Una prima e ultima notte per poterle dire addio.” Concordò Nobu.

L’aria era tiepida e la luce delle lanterne baluginava sui muri creando ombre semoventi che rendevano il piccolo cortile un luogo incantato e misterioso.

“Come si chiamava?” Chiese il samurai.

Kazuki.” Non aggiunse il nome della famiglia e Nobu non chiese, non ce n’era bisogno.

Zucca osservò i suoi occhi verdi fissi su di lei e si alzò tendendogli la mano. La sua pelle era morbida e setosa, come immaginava fosse quella di Sayuri. Lo accompagnò all’interno di una stanza, il letto era circondato da numerose piccole lanterne, la cui fiamma era controllata affinché non rischiasse di appiccare un pericoloso incendio.

“Spegnile, prego.” Chiese Nobu e Zucca obbedì, senza esitare. In pochi istanti furono ombre nel buio.

Le loro mani si trovarono intrecciandosi, Nobu abbassò il volto verso quello della donna, le loro labbra erano vicine, ma si trattenne dal baciarla.

“Lasciami essere il tuo Kazuki. Lascia che stasera le nostre sofferenze si spengano, lascia che sia, per i nostri cuori, l’ultima notte, così che poi possiamo ricominciare a vivere in pace.”

“Hai.” Mormorò la donna, il suo respiro sfiorò le labbra di Nobu, la cui mente percepì la voce di Zucca, ma il cui cuore sentì quella di Sayuri.

Nel buio della notte i loro corpi si trovarono, si accarezzarono e si amarono, con passione e con tenerezza, con foga e con pazienza, ma senza sofferenza o dolore. Per la prima volta Nobu non tentò di dimenticare la donna che amava tra le braccia di un’altra, ma strinse la sua Sayuri e l’amò come non aveva mai potuto fare. Per la prima volta raggiunse il piacere senza senso di colpa, ma con gioia.

Il mattino dopo si rimise in viaggio, sulla porta della casa del piacere aveva salutato Zucca, nel cui occhi aveva letto la gratitudine per quel dono che si erano fatti l’un l’altro, e ora cavalcava, la schiena dritta, le spade al fianco, simbolo del suo rango e del suo onore. Aveva avuto la sua prima e ultima notte, il suo cuore soffriva ancora, ma per la prima volta Nobu seppe che sarebbe guarito. Non avrebbe più dimenticato quella giovane cortigiana di Nagoya.

 

 

Note: La storia è un omaggio al Giappone del 1600 e a James Clavell che con il suo Shōgun me l’ha fatto scoprire. Ho tentato di essere il più accurata possibile, ma non essendone una studiosa potrei aver fatto degli errori, vi chiedo di perdonarli e di accogliere lo spirito della storia. Grazie.

 

 



[1] “Sì” in giapponese.

[2] “Grazie mille” in giapponese, si usa nei contesti formali e per esprimere ringraziamenti sinceri ad una persona familiare.

  
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