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Autore: Vulpes Fennec    16/11/2016    3 recensioni
Ispirata dalle parole della vecchia canzone di Claudio Villa " La capinera" e la serie animata "Miraculous Ladybug & ChatNoir".
Tratto dal testo:
"... I monelli giocavano per strada, e tra di loro una bambina dalla chioma corvina cercava di riprendere un nastro cremisi, che faceva coppia con uno che le teneva metà dei capelli raccolti in un codino.
La bambina mi osservò sorridendomi, ..."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Cap•1

 

 

Appena vent'anni e già ero nel giro della ricca borghesia Parigina, il periodo era sfarzoso e ricordato per sempre nel libri come Belle époque. Si potrebbero raccontare storie dai mille colori su quest'epoca, ma io ve ne racconterò una semplice che mi ha cambiato profondamente, sono Adrien Agreste e vi racconterò la storia del più bell'uccellino che io abbia mai visto, la Capinera.

Ero appena diventato il proprietario di una graziosa villetta in un quartiere calmo, aperto e, cosa più importante, lontano dalla confusione centrale di Parigi concentrata sotto l'ombra dell'arrogante ricchezza del patriarca della mia famiglia, Gabriel Agreste.

Mio padre era un uomo d'affari, sorto delle ceneri dei quartieri poveri, grazie ad un occhio per la moda che faceva acquolina a tutte le dame di Francia.

Io, nato tra i balocchi più pregiati, non feci fatica ad entrare a far parte degli investitori sulle nuove scoperte per poi far fortuna i breve tempo.

Parigi si crogiolava nel piacere del sapere nei salotto da caffè, ma comunque non molto lontano dalle luci delle vertine di profumi c'erano gli affamati alla ricerca di un soldo.

 

 

Mi ricordo che passeggiavo in una via di Parigi, quale non lo so, dopo un'accesa discussione con mio padre sul mio isolazionismo, avendo comprato una casa lontana dalla sua rigida ombra .

I monelli giocavano per strada, e tra di loro una bambina  dalla chioma corvina cercava di riprendere un nastro cremisi, che faceva coppia con uno che le teneva metà dei capelli raccolti in un codino.

La bambina mi osservò sorridendomi, dimostrava si e no dodici anni, coperta con un vestitino logoro e a piedi nudi.

Mi si avvicinò, il viso era scarno e ceruleo.

«Signore mi scusi! Avrebbe un soldo da darmi? La prego, ho fame» disse tendendomi una mano.

Davanti a quelle parole dolci, ma disperate, vidi una parte della vita che non mi era mai toccata e che mi incuriosiva stringendomi il cuore.

Non potevo però abbassarmi dal mio rango, perciò in maniera ferma ma gentile cercai di allontanarla.

«Guarda che i tuoi amici se ne stanno andando via con il tuo nastrino

«Ma a me non interessa il nastrino, io ho bisogno di un soldo per prendermi del cibo» disse lei sorridendomi.

Un nodo mi serrò lo stomaco davanti a quella richiesta.

«Non hai dei genitori che provvedono a te?»

Lei chinò lo sguardo scuotendo la testa.

«Una casa?»

Lei alzò lo sguardo, e trattenendo una lacrima disse «No. Sono sola a questo mondo. Mio padre non l'ho mai conosciuto, morto quando ero piccola e mia madre...»

In quel momento la lacrima trattenuta scese, ma lei sorrise «...sta meglio ora che non c'è più neanche lei su questo modo. Io ora sono libera, ma la libertà richiede almeno un soldo per mangiare»

La piccola iniziò a giocherellare con un lembo del vestito che si era strappato, cercando di scacciare i dolorosi ricordi.

Mi attaccò una stretta al cuore alla visione di quella piccina smunta ma con una forza immane.

Mi abbassai leggermente, così da guardala meglio occhi.

«Non hai più nessuno da cui tornare? Una zia?Un nonno? Un parente alla lontana? L'orfanotrofio?» lei a ogni mia domanda scosse la testa guardandomi dritto negli occhi.

Non so cosa mi passò per la testa quel giorno, ma non me ne pento affatto.

Una scelta azzardata e su due piedi, ma sicura e piena di bontà per una bambina senza possibilità.

«Ti piacerebbe vivere in una bella casa, con bei vestiti, una camera per te e cibo sempre pronto in tavola?»

Era davvero una scelta presa su due piedi, ma a ripensarci il secondo dopo era perfetta. La mia casa nuova era vuota e piena di stanze, e abbastanza isolata da far comparire la bambina nella mia vita senza troppi giudizi.

La bambina scoppiò in lacrime, singhiozzando.

«Perché mi prendete in giro? Perché mi offrite a parole una cosa che in realtà non mi dareste?»

Tirai fuori il fazzoletto dalla tasca.

«Come mai potrei prendere in giro una così bella fanciulla?» chiesi porgendogli il fazzoletto ricamato.

«Dice sul serio? Oh, sarebbe così meraviglioso. La prego non mi prenda in giro, perché accetterei volentieri la sua proposta» disse tirando su con il naso.

Le misi la mia giacca sulle spalle, dovevo portarla a casa mia senza inciampare in conoscenze troppo giudiziose perciò mi allontanai piano, senza perderla di vista, chiamando una carrozza poco lontana.

Gli aprii la porta.

«Principessa la carrozza l'attende» dissi   sorridendogli e accennando un inchino.

Salii sulla carrozza e dopo aver dato indicazioni al cocchiere partimmo.

«Marinette» disse lei guardando fuori dalla finestra della carrozza.

«Cosa?» le chiesi non avendo capito bene cosa aveva detto.

«Mi chiamo Marinette signore..»

«Ti prego chiamami solo Adrien, il "signore" mi fa sentire simile a mio padre» dissi concentrandomi sui particolari del viso della bimba.

Aveva due occhi come zaffiri e i capelli corvini le incorniciavano il viso di origini orientali.

«Suo padre?» disse riportandomi al discorso

«Gabriel Agreste, indosserai i vestiti del suo marchio appena arrivati»

La bambina rimase zitta, con gli angoli della bocca inclinati in un sorriso leggero, era luminosa.

Scendemmo dalla carrozza fermatasi davanti alla villetta.

I colori della primavera avevano iniziato a farsi largo nel prato verde che la circondava, un'edera aveva iniziato la sua arrampicata sulla facciata della casa colorata di rosso e giallo , con grandi finestre,  circondata da un cancello di ferro semplice.

Lo sguardo della ragazzina era indescrivibile, illuminato da una felicità e da uno stupore mai visto.

«Ti piace?» le chiesi sorridendogli facendogli cenno, aprendo il braccio, di andare avanti.

«É...É una reggia» disse sottovoce, come se il pensiero fosse uscito dalla bocca direttamente dalla memte.

Le sue labbra avevano una forma morbida precisa, delicate come boccioli di rosa, leggermente rovinate dalla povertà che le aveva sottigliate dalla fame.

Le aprii la porta, ma lei non entrò.

«Non so quali sono le sue intenzioni, se realmente é dolce con me offrendomi una  possibilità, o mi vuole solo sfruttare a suo indicibile scopo. Ma tanto non ho più niente da perdere, perciò mi sto fidando di lei, qualsiasi cosa mi riservi il futuro lo scoprirò solo varcando questa soglia.» disse guardandomi negli occhi facendosi seria.

«Non potrei mai. Ho sempre vissuto in un mondo sfarzoso e ricco, e ora che mi sostengo sulla mia fortuna e non più su quella di mio padre ho deciso di dare questa possibilità a qualcuno, te, che al contrario non l'hai avuta.» dissi ricambiando lo sguardo.

Feci un passo avanti, varcando la soglia.

«Vuoi entrare quindi?»  mi girai leggermente porgendogli una mano, che lei afferrò senza indugi.

 

 

 

   
 
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