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Autore: EmmaStarr    20/11/2016    4 recensioni
Hareton non era un peso: cresciuto praticamente privo di ogni affetto, non si aspettava niente da nessuno. Veniva quando Heathcliff lo chiamava, e spariva quando non era desiderato. Era difficile arrabbiarsi con lui, perché faceva quello che gli veniva detto senza fiatare.
Forse era perché non conosceva altra vita che non fosse la sua, o forse perché era così simile a lei, e Heathcliff sarebbe stato la maledizione di entrambi.
* * *
«È morto?» chiese alla fine Hareton, la voce bassa ma per nulla addolorata.
Questo sorprese leggermente Heathcliff, che abbassò lo sguardo su di lui. «Credo di sì» rispose, atono. «Ti dispiace?»
Hareton sembrò rifletterci sopra. Aveva uno sguardo strano, intontito. «Non lo so» ammise alla fine.
Heathcliff allora gli scompigliò i capelli, allontanandosi verso la cucina. «Vieni, prendiamoci un tè» ordinò. «Siamo rimasti solo noi due, ora, giusto?»

* * *
Qual è il rapporto tra il feroce Heathcliff e l'ingenuo Hareton? Come mai il ragazzo è così legato all'uomo che considera a tutti gli effetti come un vero e proprio padre?
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hareton Earnshow, Heathcliff
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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With the same wind to twist it




Heathcliff si girò su un fianco, cercando di prendere sonno. Da quando era tornato a Cime Tempestose, ormai già diversi giorni prima, aveva scoperto di non essere più abituato alle tempeste improvvise e alle feroci raffiche di vento che scuotevano la casa da cima a fondo.

Improvvisamente, dalla stanza di sotto sentì un rumore assordante, come di un mobile rovesciato. Scrollò le spalle: Hindley doveva essere tornato ubriaco come di suo solito. L'odio che provava verso di lui era come fuoco che gli infiammava le vene, e per l'ennesima volta si chiese dove trovasse la forza per non strangolarlo con le sue stesse mani ogni volta che posava gli occhi su di lui. Ma la vendetta andava gustata fredda, e Heathcliff sapeva che, se lo avesse ucciso subito, non avrebbe provato neanche la metà della soddisfazione che invece avrebbe gustato vedendolo crollare pezzo dopo pezzo, senza fretta.

Al rumore seguì un grido, probabilmente Giuseppe che cercava di arginare la furia del padrone. Heathcliff aveva sempre odiato anche lui, con quei suoi modi da santone e quella sua espressione di superiorità malcelata. Se c'era davvero un Dio, cosa di cui Heathcliff dubitava, certo non poteva essere fiero di un comportamento come il suo.

Un fulmine squarciò il cielo, e pochi istanti dopo fuori dalla finestra esplose un tuono terrificante. Heathcliff sbatté le palpebre, e in quel momento la sua porta si socchiuse leggermente.

«Cosa c'è?» esclamò, pronto a balzare in piedi. Se l'ebrezza dell'alcol aveva illuso Hindley di poterlo sopraffare, sarebbe andato incontro a una brutta sorpresa.

Ma non fu il volto stralunato di Hindley ad apparire dietro la porta, né l'espressione invasata di Giuseppe. Fu invece la piccola testa di un ragazzino dagli occhi scuri, colore della brughiera, così dannatamente simili ai suoi da farlo ammutolire.

«Papà vuole picchiarmi» rispose con voce ferma, chiudendosi la porta dietro di sé. «Ma qui non verrà mai a cercarmi» aggiunse.

Heathcliff rilassò le spalle, sospirando. Era Hareton, il figlio di Hindley. Quando era partito non poteva avere più di due anni, giusto? Quindi ora doveva averne cinque, eppure ne dimostrava molti di più. Aveva un aspetto trasandato, e certo non l'aria di passarsela bene. Ma la sua voce non tremava, e gli occhi lo guardavano fisso.

«Beh, allora suppongo che tu possa restare qui mentre quel bastardo di tuo padre smaltisce la sbornia» commentò agitando una mano verso il pavimento.

Gli occhi del bambino brillarono di malizia. «Quel bastardo di mio padre?» ripeté.

Sul volto di Heathcliff affiorò un ghigno quasi demoniaco. Certo, la vendetta andava gustata fredda. E quale modo migliore per vendicarsi di Hindley che mettergli contro il suo stesso figlio?

 

* * *
 

Nelly diceva che Hareton stava crescendo come un selvaggio, e si mostrava dispiaciuta del fatto che non conoscesse l'alfabeto e non sapesse far di conto, ma a Heathcliff non importava. «Non sono io il suo tutore. Che ci pensi suo padre» aveva risposto stringendosi nelle spalle.

Ma la verità era che suo padre poteva ben poco, ormai, nei confronti del bambino. A onor del vero, Heathcliff non aveva dovuto fare quasi nulla: era Hindley che, con la sua condotta scellerata, allontanava da sé ogni contatto umano.

Adesso, quando beveva troppo e alzava le mani, Hareton si difendeva. Rispondeva. E se Hindley metteva mano al coltello, Hareton si nascondeva dietro Heathcliff, aggrappandosi al suo cappotto. E in quei momenti, oh, in quei momenti Hindley non poteva fare altro che lanciare sguardi carichi d'odio, e di impotenza, nei confronti dell'uomo che una volta trattava peggio di un servo.

Hai visto? Ti ho rubato persino questo. Avrebbe voluto dirgli Heathcliff, trionfante. Lui non cerca te, non cercherà mai te. Vuole me. pensava, godendo nel sentire le manine del bambino aggrapparsi a lui. In qualche modo si era conquistato l'affetto incondizionato di Hareton, e vedere Hindley impotente davanti a questo fatto era per lui fonte di una gioia selvaggia, di una soddisfazione senza pari.

Hareton non era un peso: cresciuto praticamente privo di ogni affetto, non si aspettava niente da nessuno. Veniva quando Heathcliff lo chiamava, e spariva quando non era desiderato. Era difficile arrabbiarsi con lui, perché faceva quello che gli veniva detto senza fiatare.

Forse era perché non conosceva altra vita che non fosse la sua, o forse perché era così simile a lei, e Heathcliff sarebbe stato la maledizione di entrambi.

 

* * *

 

Lei era morta.

Morta.

Heathcliff aveva visto i suoi occhi spiritati e aveva assaggiato le sue labbra -desiderate, desiderate, desiderate fino alla morte-, ma era stato come se Dio avesse voluto prendersi gioco di lui fino all'ultimo. Una goccia d'acqua all'uomo che sta morendo di sete, una briciola di pane a chi sta morendo di fame. Abbastanza per bruciare la lingua e torcere lo stomaco, abbastanza per illudere, non abbastanza per salvare.

I suoi occhi, Heathcliff non avrebbe mai potuto dimenticare i suoi occhi in quel momento. Così vibranti, così addolorati, così vivi. Così diversi da quelli vacui e scialbi di Isabella, quella donna che Heathcliff odiava con tutto il cuore. Dovevano soffrire tutti: Edgar, che gliel'aveva rubata. Isabella, così sciocca e vanitosa, così non lei. Hindley, Hindley, che prima di tutti gli altri aveva reso impossibile la loro relazione. Giuseppe, con quella sua aria di trionfo. Nelly, con le sue stupide lacrime. Hareton...

Con i suoi occhi.

Heathcliff si trovava nella brughiera, camminando come un disperato avanti e indietro e lasciandosi guidare dai suoi piedi, senza curarsi dell'orario né del freddo che si insinuava nei suoi vestiti con dita gelate.

A chi importava della neve? A chi importava della vita? Che morisse pure! Che la facesse finita! Senza Catherine, cosa ne era rimasto del suo mondo? Cosa ne era rimasto del cielo, della terra, dell'acqua, della neve? Eppure, eppure la vedeva in ogni dove. La vedeva nell'aria, nell'erba, nel vento. La sentiva, dannazione, come se non fosse abbastanza doloroso ricordarla.

Ormai albeggiava, e i piedi gli erano diventati insensibili dal freddo. Heathcliff sospirò e prese la strada di casa, covando nel cuore il desiderio di vendetta. Era questione di giorni prima che Isabella decidesse di fuggire, questo era evidente a tutti. Che se ne andasse, pensò Heathcliff con fastidio. Che se ne andasse, se le faceva comodo. Il suo compito l'aveva già svolto nel rendere peggiore la vita di Edgar Linton: mancava ancora Hindley. Cime Tempestose apparteneva ormai totalmente a lui, considerando quanti debiti Hindley ormai aveva accumulato. E Hareton... con Hareton non c'era mai stata partita, rifletté con uno strano orgoglio.

Varcò la soglia di casa con passo pesante, e si sorprese di trovare il camino ancora acceso. Sulla poltrona, la testa che ciondolava, sedeva Hareton, profondamente addormentato. Tra le mani reggeva una ciotola di zuppa ormai fredda.

Heathcliff corrugò la fronte, poi scosse la testa e si allontanò, salendo le scale verso la sua stanza.

Non ce la faceva proprio, in quel momento, a sostenere il suo sguardo.

 

* * *
 

Si svegliò con Hareton che lo tirava per la manica. «Papà sta male» lo informò, atono.

Heathcliff stava per gridargli addosso (e valeva la pena svegliarmi per questo?), ma Hareton continuò senza fissarlo. «Giuseppe dice che muore.»

Heathcliff esitò un attimo, poi si tirò a sedere. «Di' a Giuseppe di andare a chiamare il dottore» disse poi di malavoglia. «E il parroco» aggiunse poi, come ripensandoci.

Hareton annuì, e corse via. Quando Heathciff scese, trovò Hindley steso sul divano che farfugliava qualcosa a voce bassissima, la pelle gialla e il corpo scosso dalle convulsioni, mentre Hareton si teneva a debita distanza da lui.

«V-vieni» ansimò ad un certo punto Hindley, allungando il braccio verso il figlio.

Hareton sollevò lo sguardo verso Heathcliff, terrorizzato. «Resta dove sei» ordinò lui, avvicinandoglisi e posandogli una mano sulla spalla. Si guardava bene dal concedere a Hindley quell'ultimo conforto, e il bambino comunque non sembrava intenzionato a muovere un muscolo. Heathcliff stava facendo molta fatica a trattenere una piena risata: eccolo là, il grande Hindley. Era stato tanto bravo a batterlo, quando erano ragazzi. Come si era creduto forte, quando aveva il coltello dalla parte del manico! E invece eccolo qui, ora: a morire da solo, ubriaco, abbandonato da tutti. Persino dal suo stesso figlio. Quel figlio che lo fissava senza muoversi di un millimetro, gli occhi strabuzzati e il corpo caldo e tremante che premeva contro il suo.

«È morto?» chiese alla fine Hareton, la voce bassa ma per nulla addolorata.

Questo sorprese leggermente Heathcliff, che abbassò lo sguardo su di lui. «Credo di sì» rispose, atono. «Ti dispiace?»

Hareton sembrò rifletterci sopra. Aveva uno sguardo strano, intontito. «Non lo so» ammise alla fine.

Heathcliff allora gli scompigliò i capelli, allontanandosi verso la cucina. «Vieni, prendiamoci un tè» ordinò. «Siamo rimasti solo noi due, ora, giusto?»

Il ragazzino a quelle parole sgranò leggermente gli occhi, poi sorrise e lo seguì, senza dedicare più un pensiero al corpo sdraiato sul divano.

 

* * *

 

Hareton cresceva come un selvaggio, e questo era evidente sempre di più ogni giorno che passava. Heathcliff soleva passare lunghe giornate in solitudine a passeggiare nella brughiera, e nel frattempo il bambino cresceva, trasformandosi poco a poco in un giovane fanciullo sprizzante di energia.

Ormai era lui a svolgere il grosso del lavoro nei campi, ma non se ne lamentava. Heathcliff aveva parlato col legale di Hindley per il trasferimento della proprietà, e in quella circostanza l'uomo gli aveva accennato alla situazione di Hareton. «Ormai è un orfano, e il padre non gli ha lasciato nemmeno un centesimo in eredità, né un lembo di terra» aveva commentato scuotendo la testa. «Se lo ritiene opportuno, posso contattare un orfanotrofio qua vicino, o posso domandare al signor Linton se desidera prendersene cura, considerata la sua parentela con la defunta signora Linton...»

A quel pensiero il cuore di Heathcliff aveva scalpitato. «Il ragazzo vuole stare con me» aveva risposto, piccato. «Cime Tempestose è la sua casa, e non intendo strapparvelo contro la sua volontà» aveva chiarito poi, lo sguardo duro come il ghiaccio.

Non che gli importasse più di tanto avere Hareton con sé, beninteso. C'erano giorni in cui tollerava a stento la sua presenza, il suo ciondolare inattivo per casa, il suo parlare incespicando mille volte. Eppure, sul momento, l'idea di separarsene gli era sembrata improponibile.

Era ormai sera quando raggiunse Cime Tempestose, e spalancò la porta senza curarsi del freddo pungente che entrava nella stanza poco illuminata.

«Ah, sei qui» commentò osservando la figura di Hareton alzarsi di scatto dalla poltrona.

«Giuseppe è andato in paese, signore» lo informò il ragazzino. «È a Messa.»

«E non ha provato a trascinarci anche te?» domandò allora Heathcliff, divertito.

«Sì, ci ha provato» borbottò Hareton con sguardo truce. «Ma gli ho detto di andare al diavolo» proseguì guardandolo di sottecchi, come aspettandosi un rimprovero.

Heathcliff, invece, si limitò a ridacchiare. «Ben gli sta» commentò, passandogli una mano fra i folti capelli scuri. Più cercava Hindley nei suoi tratti, più invece trovava la sua Catherine. Molto più in lui che in quella bambina, l'aveva vista una volta in paese. Quella bambolina bionda e falsa come i giocattoli di Isabella, che rideva senza sapere quale prezzo orribile fosse costata la sua vita. Hareton, invece, aveva la stessa indole ribelle e selvaggia come una bufera invernale, lo stesso sguardo tagliente e la stessa forza di volontà.

Sorrise. «Andiamo a mangiare.» No, decise, non avrebbe ceduto Hareton a tutti gli Edgar Linton del mondo.

 

* * *

 

«Se lo ripeti un'altra volta ti spacco la faccia! Hai capito?»

Heathcliff, attirato dalle grida, girò l'angolo e si trovò davanti una scena decisamente singolare: Hareton, che non aveva mai visto alzare le mani neanche su una mosca, aveva ingaggiato una lotta furibonda col figlio del lattaio, un ragazzotto poco più grande di lui.

Heathcliff li osservò per qualche istante darsele di santa ragione, notando con un certo orgoglio che Hareton era decisamente di un livello superiore. A un certo punto, però, dal portone di casa apparve Giuseppe, agitando un mestolo con aria infuriata. «Cosa sono questi schiamazzi infernali? Cosa mi tocca sentire? Possano i cani mangiarsi le vostre ossa! Attaccare briga come se foste bestie, e non carne battezzata!»

Il figlio del lattaio colse l'occasione per sfuggire alla presa di Hareton e per scappare via. «Demonio!» gridò quando fu a distanza di sicurezza, poi schizzò via finché non fu solo un puntino all'orizzonte.

Giuseppe borbottò ancora qualche improperio, poi rientrò in casa. Heathcliff, invece, non si mosse di un millimetro e osservò il ragazzo rialzarsi da terra e spolverarsi i vestiti, rosso in viso e col fiatone. «Deve proprio averti fatto arrabbiare, quel ragazzo» commentò alla fine con aria quasi divertita.

Hareton sembrò accorgersi solo in quel momento della sua presenza, e arrossì furiosamente. «N-no, cioè, io...» balbettò, incerto su dove posare lo sguardo.

Heathcliff si strinse nelle spalle: non aveva davvero interesse nel sapere perché Hareton avesse deciso di menare un po' le mani. La vita era sua, in fondo. Si allontanò, ma la sua tranquillità fu presto interrotta dalla voce di Zilla, la sua domestica, che parlava con Giuseppe poco lontano. «Da non crederci! E con che faccia gli è saltato addosso!»

«Cosa mai gli avrà detto quel ragazzo per scatenare una reazione simile?» domandò la voce di Giuseppe, pensierosa.

«Io ho sentito tutto! Quel tipo, credo sia il figlio del lattaio, stava insultando il padron Heathcliff. Diceva che è un mostro, un demonio sceso in terra» raccontò la donna con fare cospiratorio.

Giuseppe trattenne bruscamente il fiato. «E ne aveva ogni diritto! Il padron Heathcliff è quanto di più demoniaco sia mai sceso sulla faccia della Terra, e niente riuscirà a convincermi del contrario! E con che coraggio Hareton, nelle cui vene scorre il sangue degli Earnshaw, si è battuto per difendere l'onore di un tale essere?»

Ma Heathcliff non aveva tempo di stare a sentire gli sproloqui di Giuseppe: si voltò e gettò un'occhiata a Hareton, che si era risistemato e stava camminando con le mani in tasca, diretto al suo lavoro nei campi.

E per un istante, in quelle spalle ciondolanti e in quella sorta di furioso coraggio che mischiava insieme amore e stupidità, non rivide più Catherine, ma se stesso.

 

* * *

 

«Tu preferiresti che fosse Hareton tuo figlio, non è vero?» gridò Linton, la fronte imperlata di sudore e gli occhi lampeggianti di rabbia e di paura.

«Ovviamente» ribatté subito Heathcliff, voltando la pagina del libro che stava leggendo senza nemmeno alzare lo sguardo.

Suo figlio si stava lamentando per chissà quale male che sentiva da – saranno stati venti minuti?, e alla fine se ne usciva con frasi tanto scontate?
Evidentemente però la sua risposta doveva averlo scosso più di quanto Heathcliff avesse immaginato, perché Linton annaspò e lo guardò come se fosse stato appena colpito. «E allora?» aggiunse quindi Heathcliff, vagamente infastidito. «La cosa ti sorprende molto?»

Linton sollevò il mento, gli occhi così simili a quelli di Edgar da fargli venir voglia di vomitare. «No! Ho sempre saputo che mi odiavi!» strillò, alzandosi poi con aria impettita e dirigendosi verso la sua stanza. Heathcliff scrollò le spalle e continuò a leggere. Poco dopo, sentendo voglia di un bicchiere d'acqua, si alzò e si diresse verso la cucina. Là, con suo gran disappunto, trovò di nuovo Linton, intento a sfogarsi con Zilla: la donna stava cucinando e sembrava non prestargli particolare attenzione, ma Linton non se ne curava. «E avresti dovuto vedere con che faccia mi ha guardato!» stava recriminando sottolineando il tutto con ampi gesti delle mani.

«Qualcosa non va?» lo interruppe con voce gelida. Il ragazzino ammutolì, gli occhi strabuzzati dalla paura. Heathcliff lo odiava, lo odiava con tutto il cuore. Se soltanto lui e Hareton fossero invertiti, se Linton fosse stato il figlio di Hindley, oh, allora cosa non gli avrebbe fatto Heathcliff…

Perché era vero, Heathcliff non vedeva nessun motivo di negarlo: avrebbe preferito avere chiunque al posto di Linton come figlio, in particolare Hareton. E se quest'affermazione infastidiva Linton, beh, tanto meglio.

Godendo dell'effetto che le sue parole avevano provocato sul ragazzino, Heathcliff si voltò e tornò alla sua postazione davanti al camino. Aveva appena aperto il libro, però, che si accorse della figura di Hareton in piedi di fianco a lui. Sembrava in conflitto con sé stesso, come se non trovasse le parole per esprimersi. «Qualcosa non va?» domandò Heathcliff scrutandolo con attenzione.

«No, solo... dicevate sul serio, prima?» balbettò quello, gli occhi sgranati.

Heathcliff corrugò la fronte, poi realizzò che il ragazzo doveva averlo sentito nel suo diverbio con Linton. Si strinse nelle spalle. «Sì» disse solo, prima di posare lo sguardo sul suo libro.

Ma gli parve di vedere un leggero sorriso affiorare alle labbra di Hareton, poco prima che si voltasse.

 

* * *

 

«È un vero peccato che sia cresciuto così» commentò Nelly scuotendo la testa.

Heathcliff inarcò la fronte. «Chi, Linton?»

«Sapete bene a chi mi sto riferendo!» lo riprese la donna con aria accigliata. «Parlavo di Hareton.»

Heathcliff allora sospirò. Il ragazzo era appena uscito per andare a lavorare nei campi, e non sarebbe tornato prima di sera. «A me invece sembra di essere stato fin troppo buono, con lui» ribatté, piccato. «Ricorda che per colpa di suo padre non ha una casa, né un soldo in tasca. È merito del mio buon cuore se non si trova in un orfanotrofio, o in mezzo alla strada.»

«Il vostro buon cuore!» ripeté Nelly, indignata. «Ma se siete stato voi la causa del tracollo finanziario del signor Hindley!»

Heathcliff scosse la testa. «Puoi accusarmi di molte cose, Nelly, ma non di questa. Hindley, il diavolo trascini la sua anima nell'abisso più profondo, si dava all'alcol e al gioco d'azzardo già ben prima che io tornassi a Cime Tempestose.»

«Ciò non toglie,» aggiunse Nelly con aria dispiaciuta, «che avrebbe potuto ricevere un'istruzione degna di questo nome, se voi non l'aveste impedito.»

«La stessa che Hindley ha dato a me?» la derise Heathcliff con tono sprezzante. La donna fece per ribattere, ma Heathcliff sollevò una mano per interromperla. «Che ti piaccia o no, ho fatto per il ragazzo molto più di quanto Hindley avrebbe fatto per il mio» stabilì, categorico. «Chi se n'è preso cura da quando aveva sei anni? Chi l'ha tirato su mentre la vostra Catherine cresceva sana e viziata da suo padre? Credi forse che Hindley sarebbe stato altrettanto misericordioso, a ruoli invertiti?» Nelly si morse un labbro, ma non disse nulla. «Sai, ho fatto un sogno, stanotte» attaccò allora Heathcliff, lo sguardo perso nel vuoto.

«Ah, no! Non intendo ascoltare i vostri sogni, signore!» protestò Nelly facendo per alzarsi, ma Heathcliff la trattenne.

«Ascolterai questo. Ero qui a Cime Tempestose, ma l'atmosfera era diversa. C'era anche Catherine con me, la mia Catherine» precisò con uno strano lampo negli occhi. Qualcosa nel suo petto si strinse nel pronunciare quelle parole, ma per più di quindici anni se le era ripetute e non potevano quasi più ferirlo. «E c'era anche Hareton, e forse persino tu, Nelly, ma non ricordo bene.» Fece una pausa, poi continuò. «Tra me e lei era tutto come una volta, ma Hareton... lui era diverso. Era tutto bello ordinato come piacerebbe a te» sghignazzò. «Leggeva che era una meraviglia, e io lo portavo in giro per la brughiera mentre Cathy gli preparava da mangiare e cantava per noi.» Le si avvicinò come per confidarle un segreto. «Era nostro, Nelly.»

La donna sgranò gli occhi, poi sospirò e si alzò in piedi. «Spesso la famiglia non finisce col sangue, signor Heathcliff» si limitò a dire. «E sono certa che anche il signor Hareton è del mio stesso avviso.»

 

* * *

 

Il dottor Kenneth richiuse la sua borsa, sospirando. «Allora? Come sta?» domandò Cathy, ansiosa.

«Si riprenderà» rispose il medico con aria stanca. «Ma onestamente non so quanto potrà durare prima della prossima ricaduta.»

Heathcliff sbuffò, chiaramente impaziente. «Se deve morire me lo dica chiaro e tondo, dottore» sbottò. «Prima che la sua mogliettina qui si faccia troppe speranze.»

Cathy sollevò lo sguardo verso di lui, indignata. «Come ti permetti, brutto...»

«Taci! Quel buono a nulla mi ha costretto a spendere per le sue cure mediche in due anni più di quanto abbia fatto Hareton in venti!» abbaiò Heathcliff fissandola truce.

Kenneth annuì quasi sovrappensiero. «Una vera roccia, quel ragazzo. Non ha dato preoccupazioni da quando non si è preso quella brutta influenza otto o nove anni fa, giusto?»

Heathcliff annuì con un certo orgoglio. «Dieci, in realtà. Aveva tredici anni» ricordò.

Cathy lo guardò, sorpresa. «Non riesco a credere che un mostro come voi si sia preso cura di Hareton» lo accusò. «Sicuramente avrai fatto fare tutto a Giuseppe, e se fosse morto non te ne sarebbe importato nulla!»

Heathcliff, per l'ennesima volta da che quella ragazza si trovava in casa sua, dovette resistere all'impulso di prenderla a schiaffi. Come si permetteva? Cosa ne sapeva, lei, di quei giorni?

In quel momento apparve Hareton da dietro la porta, e il dottor Kenneth gli fece un cenno con la testa. «Parlavamo giusto di te! Te la ricordi, vero, quella brutta influenza?»

Hareton aggrottò la fronte, perplesso, poi fu come colto da un'illuminazione. «Ah, sì!» sorrise. «Ricordo che non riuscivo nemmeno ad alzarmi dal letto» raccontò con un gli angoli delle labbra piegati all'insù.

Il dottor Kenneth si accigliò. «Di certo non dev'essere un bel ricordo, per te» osservò. «Hai combattuto tra la vita e la morte, caro ragazzo.»

«Solo un selvaggio come te potrebbe non rendersi conto del rischio che ha corso!» bofonchiò Cathy lanciandogli uno sguardo di sdegnosa superiorità.

«No, non è per quello!» cercò di spiegarsi Hareton. «Ma non ho dovuto lavorare per quasi un mese, e Giuseppe mi portava da mangiare a letto. E il signor Heathcliff veniva a trovarmi tutti i giorni e mi raccontava le ultime novità, e se stavo troppo male...»

«Basta così, Hareton» lo interruppe Heathcliff, godendo dell'espressione incredula sul volto di Cathy. «Tanto alla signora non interessa» aggiunse con aria sprezzante. «Noi siamo solo dei selvaggi, giusto?»

Era difficile non riconoscersi in Hareton, quando quell'aggettivo che così spesso gli veniva affibbiato da piccolo ricadeva ora sulle larghe spalle del ragazzo. Hareton si scusò a bassa voce, arrossendo, e in quel momento la voce lamentosa di Linton li raggiunse dalla sua stanza. Cathy colse l'occasione per correre da lui, e Heathcliff sospirò. «Parola mia, questa è l'ultima volta che quel medico mette piede in questa casa. Non ho intenzione di sprecare altri soldi.»

Quando Hareton, pochi mesi dopo, rimase ferito al braccio e perse tutto quel sangue, Heathcliff ci impiegò quasi dieci minuti per convincerlo a farsi visitare dal dottore.

 

* * *

 

«Quando morirò,» scandì bene Heathcliff, «lascio tutto quello che ho a Hareton.»

Il legale annuì, prendendo nota. «È sicuro?» domandò. «Sua nuora...»

Heathcliff lo interruppe sollevando una mano, l'espressione infastidita. «Non mi parli di quella donna» ordinò. «Ho preso la mia decisione. Ogni lembo di terra andrà a lui, lei deve rimanere povera come quando è arrivata.»

L'uomo annuì di nuovo. «E per quanto riguarda i suoi soldi?»

«Anche quelli al ragazzo» ribadì Heathcliff. «Che io sia dannato prima che la figlia di Edgar possa avanzare pretese su una sola moneta d'oro.»

«Non credo le le sia mistero il fatto che i due abbiano intenzione di sposarsi» fece notare il legale, sistemandosi gli occhiali sul naso. «In quel caso...»

«Sono a conoscenza delle loro intenzioni» lo interruppe Heathcliff con una smorfia. «Faccia come gli pare: se vuole sposarla, la sposi. Basta che da parte mia quella non abbia nulla.»

L'uomo finì di scrivere, poi appose un timbro e gli porse una penna. «Ci vuole una firma.»

Heathcliff sollevò il busto quanto bastava per scrivere, poi si riadagiò sui cuscini. Ormai erano settimane che si sentiva sempre più vicino a Catherine: lo ossessionava, lo stava facendo diventare pazzo. Sentiva che mancava poco, ma prima doveva sistemare almeno questa faccenda. Ringraziò l'uomo e si scusò per la sua impossibilità di accompagnarlo alla porta. «Si figuri» rispose l'uomo, alzandosi e facendo per uscire. «Sa, il signor Hareton è davvero fortunato» aggiunse prima di uscire. «Vuole che lo informi della sua decisione?»

«No!» esclamò Heathcliff. «Non ci provi nemmeno» aggiunse poi con più ferma.

Quello si limitò ad annuire e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.

Ho fatto bene, Catherine? Non dirmi che avresti amato questa figlia, così simile a lui e così diversa da te. Non posso credere che lo avresti fatto. No, quella ragazzina non era altro che una pallida imitazione della Catherine che aveva conosciuto. Il modo orribile con cui aveva trattato Hareton, dalla prima volta che si erano visti! La sua Catherine non si era mai vergognata di camminare affianco a lui, uno zingaro figlio di nessuno. Questa, invece, si era divertita con Linton a prendersi gioco di un giovane come Hareton, la cui unica colpa era quella di essere stato cresciuto da lui. Poco cambiava il fatto che ora, morto il marito, si fosse accorta di Hareton e lo avesse sedotto. Heathcliff non aveva dimenticato.

Immerso com'era nei propri pensieri, quasi non si accorse che la porta si era riaperta con un leggero scricchiolio. «Chi è?»

«Sono io» disse Hareton, parlando piano per non disturbarlo. «Ho la vostra zuppa. Nelly ha detto di finirla tutta finché è calda.»

«Ah, Nelly ha detto così» mormorò Heathcliff, agitando la mano in direzione del comodino. Hareton vi appoggiò la ciotola, dopodiché rimase immobile, imbambolato davanti a lui. «Allora?» domandò Heathcliff, vagamente irritato. «C'è altro?»

«Dovreste mangiare» disse Hareton, testardo.

Heathcliff sospirò. «Ora non ho voglia. Lasciala lì, e quando vorrò mangerò» affermò.

«Chi era l'uomo di prima?» domandò allora Hareton, sempre deciso a non lasciare la stanza.

Heathcliff era troppo stanco per discutere. «Il mio legale. Dovevo sistemare alcune faccende.»

Heathcliff dubitava che Hareton sapesse il significato del termine “legale”, ma non si curò di dare spiegazioni e l'altro non ne richiese. «Ora desidero riposare» disse allora Heathcliff, voltandosi su un fianco.

«Voi non morirete.»

Heathcliff spalancò gli occhi, improvvisamente grato per essersi voltato in modo da nascondere la sua espressione. «Desidero riposare» ripeté, e non si mosse finché non sentì la porta richiudersi.

Lui, però, l'avresti amato. Vero, Cathy? Prima in lui vedevo te, e mi faceva soffrire. Ora vedo anche me, e la cosa mi turba più di quanto mi piaccia ammettere. Dimmi che l'avresti amato. L'avrei amato anche io, se non fosse chi è. Ma non posso. Lo capisci perché non posso?

Come faceva ormai da qualche tempo, Cathy gli rispose. Sciocco di un Heathcliff. Se si potesse scegliere chi amare, credi che avrei scelto te?

Non cambiava mai, Cathy: sempre così crudele, sempre così sincera.

 

* * *

 

Hindley urlava, Nelly urlava, il bambino urlava. Heathcliff, abituato a scene del genere, ci prestò poca attenzione: era appena tornato dal lavoro nei campi, e non desiderava altro che andarsene a dormire.

Era quasi sotto la tromba delle scale quando sentì Hindley gridare: «Chi è là?» Dopodiché, fu un attimo: un qualcosa di grosso e pesante precipitò dall'alto, e Heathcliff si mosse istintivamente per prenderlo al volo. Sbatté le palpebre un paio di volte e sgranò gli occhi: cosa ci faceva il piccolo Hareton tra le sue braccia?

Confuso, sollevò lo sguardo: quando vide Hindley con le braccia tese, come ad afferrare l'aria, e Nelly dietro di lui con le mani davanti alla bocca tutto gli fu chiaro. Che terribile errore! Gli sarebbe bastato non muovere un muscolo e Hindley sarebbe senza dubbio crepato di sensi di colpa per aver ammazzato il suo stesso figlio! Cosa gli era preso? Come gli era venuto in mente di allungare le braccia?

E perché quel coso aveva smesso anche di piangere?

Abbassò lo sguardo: il volto del bambino, deformato dal terrore fino a qualche istante prima, ora si era fatto interrogativo. Quella doveva essere la prima volta che Heathcliff lo guardava da così vicino. Sicuramente era la prima volta che lo teneva in braccio. Era bruttino, proprio come il padre: solo negli occhi, doveva ammettere, c'era qualcosa che gli ricordava Catherine.

In quel momento, un istante prima che Nelly glielo strappasse di mano gemendo come una disperata, Hareton lo fissò e sorrise.

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice:
Ho scoperto questo capolavoro che è Cime Tempestose per un progetto scolastico, e me ne sono immediatamente innamorata. Non tanto per la storia d'amore in sé -da me non c'era proprio da aspettarselo-, ma da questo: questo legame tra Heathcliff, il crudele, spietato, vendicativo Heathcliff e il giovane, ingenuo, inesperto Hareton.
Perché, checché ne dicano Nelly, Cathy e tutti gli altri, Heathcliff ha davvero trattato hareton meglio di quanto ci si potesse aspettare. Meglio di come stava in generale la gente che non aveva un soldo in quel periodo storico, se non altro. E mi ha affascinata subito il fatto che Hareton sia così genuinamente legato a Heathcliff, tanto da spendere lacrime sul suo corpo. E da qui, questa storia. Spero di essere rimasta abbastanza IC fino alla fine: con questa storia volevo sottolineare come Heathcliff non riesca proprio ad odiare Hareton, anzi, finisca con l'affezionarsi seriamente a lui (senza contare il fatto che, a parte Giuseppe, Heathcliff e Hareton sono vissuti soli insieme per più di dodici anni: dopo tutto questo tempo è impossibile non provare assolutamente nulla, no?).
Sembra quasi una presa in giro: il vendicativo Heathcliff, che pur di portare a termine i suoi propositi malvagi sposa una donna che non ama, porta al crollo finanziario il suo vecchio oppressore e vieta addirittura alla figlia del suo nemico di salutarlo un'ultima volta prima di morire... un uomo del genere, che finisce per affezionarsi al figlio dell'uomo che più odiava al mondo? Ma, come gli dice Catherine alla fine di questa storia, non si può scegliere chi amare. E quindi Heathcliff ama Hareton, a modo suo, lo ama come un figlio. Per me questa cosa è davvero importante.
E quindi niente. La frase del titolo è una citazione dal libro: Heathcliff, dopo la morte di Hindley, dice qualcosa come "e vedremo se l'albero non crescerà uguale a quest'altro, con lo stesso vento che ci soffia addosso" o cose del genere, a simboleggiare che tratterà Hareton così come Hindley aveva trattato lui. Ma Heathcliff si sta contraddicendo, perché a parte per la questione dell'educazione il suo comportamento non potrebbe essere più opposto rispetto a quello di Hindley.
Beh, meglio smettere perché sta venendo fuori un angolo autrice più lungo della fanfiction. Spero che questa storia vi sia piaciuta, e se così fosse che vi andrà di lasciarmi un commento e farmi sapere cosa ne pensate!
Un bacio, vostra
Emma
  
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