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Autore: pi8f    20/11/2016    1 recensioni
Dialogo pseudo-filosofico sulla vita, di un adolescente a un passo dal suicidio e un suo saggio coetaneo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Bozza

Ex omnibus rebus quas esse vobis necessarias volui nihil feci facilius quam mori.
Tra tutte le cose che ho voluto fossero per voi inevitabili, non ho reso nulla più facile che morire.

Il proiettore si era spento, ma non aveva alcuna importanza. Vi era una sola persona in quel cinema di quart'ordine, nella periferia della città. Un ragazzo, di quell'età in cui, per quanto il corpo si stia trasformando, sembra non crescerà mai abbastanza per contenere l'universo che si agita al suo interno. Lui era particolarmente minuto. Lo era la linea delle spalle. La testa, che scompariva sotto la mole dei capelli, incredibilmente voluminosi, ma sicuramente meno pesanti sul capo del ragazzo delle idee all'interno. Ma facendo scivolare poco più in basso l'inquadratura, si incontravano due occhi dal taglio sottile, eppure sconfinati. Quel ragazzetto che si sarebbe potuto stendere con un soffio, aveva uno sguardo che ti inchiodava al muro.
In quel momento, quest'ultimo indugiava sugli schienali delle poltroncine vuote, posto dopo posto, fila dopo fila. Il ragazzo veniva spesso ad annegare i pensieri nel velluto rosso consunto dal tempo di quella sala, sicuro di non trovarvi nessuno.

Avrebbe voluto poter riempire il mondo con le persone create dalla sua mente, come faceva con i sedili del suo rifugio preferito. Lui non guardava i film. Guardava le persone.
Le persone che non c'erano, troppo spaventato per osservare le persone in carne e ossa, le cui vite scorrevano frenetiche dietro  il sottile schermo delle pareti del cinema.
Immaginava soprattutto coppie. Madri e figli adolescenti che sussurravano, ridendo, mentre guardavano lo schermo. Erano sempre l'una molto diversa dall'altra, non sapeva bene perchè. Forse perché lui e sua madre erano fisicamente antitetici (non poteva vedersi, lui, quando parlando il suo viso, i suoi occhi, le sue mani, persino la sua voce quasi, diventavano la copia di quelli della donna; ne sarebbe stato contento, forse, di trovare finalmente un filo che lo legasse un po' più stretto a lei.) Innamorati che si tenevano la mano; senza bisogno di parole se stavano insieme da un po'; con un sorriso un po' ebete in volto, gli occhi che brillavano di una gioia sfacciata per aver rotto quel primo confine, sguardi che si cercavano e si sfuggivano al tempo stesso, se erano adolescenti alla prima uscita.

Nessuno nella sua testa era più triste di lui. Erano tutti felici, schifosamente felici. Nessuno era solo in quel cinema della sua  fantasia, erano tutti venuti con qualcuno, e non per passare un paio d'ore senza la necessità di sforzarsi di rivolgersi la parola. Perché riteneva che nessuno meritasse la solitudine e l'infelicità. Nessuno degli altri. Lui non meritava nient'altro. Cosa può meritarsi uno che a neanche un giorno di vita ha già gettato sua madre nella depressione più nera? E lei non meritava certo di provare tutto questo, né certo se lo aspettava mentre attendeva suo figlio, il suo bambino, quella che è una delle gioie più grandi della vita. Doveva essere sbagliato, per far soffrire così chi lo aveva messo al mondo. Non all'altezza delle aspettative. Altrimenti, come spiegarsi il fatto che alla nascita del secondogenito la madre non era stata affatto male? Avrebbe voluto odiare il fratellino, ma non ne era capace, non riusciva neppure a invidiarlo, era solo felice che lui fosse il figlio giusto, quello che la mamma voleva, perché significava che era giusto, come si deve, e non avrebbe mai dovuto passare quello che viveva lui ogni giorno, senza un attimo di tregua.

Una voce lo riportò prepotentemente alla realtà, era la maschera del cinema che inveiva contro di lui, perché non poteva stare lì per il film successivo senza pagare un altro biglietto, "mi hai capito, mocciosetto? Sai anche parlare, o te ne stai sempre zitto con quella faccia da idiota?". Era fuggito, come sempre quando qualcuno gli rivolgeva le parole, incapace all'improvviso di esprimersi in qualunque lingua, compresa la sua natìa. Le sue gambe erano inarrestabili, fuggivano da qualcosa di indefinito, avesse potuto il ragazzo sarebbe scappato da se stesso, da quel mondo, da quella vita sbagliata. Sentiva le guance bagnate, e non era sicuro fosse la pioggia che minacciava di cadere a breve. Qualunque cosa fosse, mentre le gambe non smettevano di correre, non smetteva di scorrere, scorrere, scorrere...

Scorreva impetuosa l'acqua del fiume sotto i suoi piedi, separati da quella corrente dal lastricato un tempo elegante del ponte su cui si era infine fermato. Avrebbe voluto che la sua vita fosse come quella di quel corso d'acqua, chiara e senza possibilità d'errore. Sorgente, attraversa la valle, raggiungi il mare. Nessuna possibilità di errore, il letto era già disegnato, e anche dove deviava, poi ritornava sui suoi passi.
"Forse posso diventare anche io parte del fiume". Quel pensiero lo trafisse all'improvviso. Cosa si fa con un errore? Si cerca di dimenticarlo, di cancellarlo, lo si annega nel bianchetto.
Annega. Forse quell'acqua sarebbe bastata a lavarlo via, macchia sull'esistenza di chiunque lo avesse conosciuto. Salì in piedi sulla balaustra di marmo, di un bianco accecante nel grigio del cielo e sopra il colore torbido dell'acqua del fiume. "Un passo e sei libero, un passo e volerai via da tutto questo, un passo e il mondo avrà un errore in meno".
Chiuse gli occhi, e rivedeva tutte le persone che aveva collocato lui stesso all'interno del cinema. Lo fissavano tutte, attendendo di vedere se avrebbe avuto il fegato di buttarsi.
"Non lo farai, non lo farai, hai sbagliato a nascere e non sei neanche capace di morire" dicevano i loro sguardi vitrei.
"Si che lo faccio!" urlò con quanto fiato aveva in corpo, rivolto al cielo, a nessuno in particolare, a se stesso, al mondo intero. Alzò un piede.

"L'errore più grande della tua vita?". La voce che aveva pronunciato queste parole era bassa, ma il tono fermo. Il ragazzo trasalì e si girò, trovando due occhi cerulei e indecifrabili. Appartenevano a un ragazzo molto magro, dall'aspetto malinconico, ma dai tratti delicati, sembrava che nel disegnarli qualcuno avesse tenuto la mano morbida. Tutto in lui evocava tranquillità e gentilezza. Il ragazzo in piedi sulla balaustra si chiese se avesse mai visto qualcuno di una bellezza così pura prima d'allora.
Non si sa in quale meandro del suo animo, trovò il coraggio di rispondere.

"L'errore più grande della mia vita è stato nascere, anzi io sono un errore."
"E quale sarebbe la cosa giusta? Ucciderti?"
"Sì, visto che non ho la possibilità di evitare di nascere, non mi resta che morire."
"Morire, appunto. Non è la stessa cosa che ucciderti."
"Che differenza fa?"
"Ne fa molta. Ti risulta che si possa non morire? L'unica certezza che abbiamo su qualunque cosa esistente, è che un giorno cesserà di farlo. Una manciata di atomi da rimescolare. Non puoi affermare di non sapere nulla per certo, la morte è il punto fermo della vita nell'universo. Qualcuno lassù ha voluto così"
"Ma allora perché ha voluto anche che a morire ci si impieghi così tanto?"
"Sbagli nuovamente. Morire è la cosa più rapida del mondo. Un momento sei, quello dopo non sei più, senza vie di mezzo. Tutt'altra faccenda è nascere. Intanto, richiede tempi lunghissimi, in più non sono fissi, variano da animale a animale, e non solo come razza, anche come singoli, e in un singolo variano da gestazione a gestazione. Per non parlare del fatto che non nasciamo certo tutti allo stesso modo. Sia reso onore alla morte, unica certezza nel caos della vita!"
"Allora perché ci tieni tanto che io viva?"
"Perché vivere è incerto, eppure noi ci riusciamo. C'è chi ruba all'universo ottant'anni, chi trenta, ma ogni singolo istante in cui siamo ancora vivi possiamo dire di essere un eccezione a una regola, una minoranza privilegiata. Hai mai pensato che al mondo più si va avanti, più il numero di morti è infinitamente grande rispetto a chi è ancora in vita? Questo non ti fa sentire incredibilmente fortunato? Non pensi che questa occasione meriti di essere usata per qualcosa che valga?"
"Sarò anche fortunato, ma l'universo si è sbagliato di grosso a dare una possibilità a uno come me"
"Meglio ancora! Ridigli in faccia! Ripetiti ogni attimo che non dovresti vivere, eppure lo fai e continui a farlo. Sei più grande dell'universo, perché lo hai fottuto riuscendo a portare a termine tutto il processo della nascita, e anche se alla fine vincerà lui, perderà tante battaglie quanti sono gli istanti in cui il tuo cuore batterà ancora."
"Sta già vincendo invece, è davvero una vita la mia? Non conosco il mio scopo, non ho un letto dentro il quale scorrere sicuro di fare la cosa giusta."
"Neanche questo fiume lo ha sempre avuto.Se l'è scavato lui, forse senza neanche essere sicuro che alla fine sarebbe arrivato al mare, però non ha smesso di erodere la roccia, certo che da qualche parte sarebbe giunto, senza fretta. Noi invece abbiamo tutti la stessa meta sicura; perché oltre a questo vuoi accorciare il viaggio?"
Non sapeva più cosa controbattere. Quel ragazzo aveva una sorta di magnetismo, non sembrava completamente umano. "Ma tu , chi sei?"
"Adam" disse semplicemente, tendendogli la mano..
"Matty" disse l'altro, mentre la afferrava e saltava giù dal parapetto.
Ora che aveva trovato un compagno di viaggio, voleva allontanare il più possibile la meta. Perché per morire basta un attimo, per imparare a vivere non basta un'esistenza.

F's spot

Ehilà! La frase a inizio pagina mi ha fatto venire troppa voglia di scrivere qualcosa a riguardo, ed ecco il risultato che non è esattamente come mi aspettavo ma amen ahahah Fatemi sapere cosa ne pensate voi, se avete un minuto per lasciarmi una piccola recensione.







   
 
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