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Autore: laylabinx    22/11/2016    2 recensioni
Servono solo dieci piccole parole per mandarlo in pezzi.
Studio del personaggio di Bucky Barnes, incentrato sulle parole del codice di attivazione.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: Missing Moments, Movieverse, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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cap 1 trigger

NdA

Ciao a tutti! Spero che stiate tutti bene! Questa è un'idea con la quale ho iniziato a trastullarmi fin da quando è uscito il film, volevo concentrarmi sulle parole del codice di attivazione e scrivere qualcosa a proposito di ognuna.
Il lavoro in realtà verrà diviso in due parti: la prima parte riguarderà tutto quello che ha portato agli eventi di Civil War e la seconda parte sarà a proposito di tutto quello che succede in seguito.
Nel corso della storia saranno presenti alcune situazioni abbastanza sgradevoli ma cercherò di inserire un avviso all'inizio di ogni capitolo, giusto in caso.
In più, la storia potrebbe contenere accenni Stucky e implicazioni slash ma non sarà nulla di esplicito, tutti quelli che non amano il genere possono comunque considerarla solo una bromance molto accentuata!
Spero vi piaccia!

laylabinx

 

 

Capitolo 1: Zhelaniye



Bramosia. L'unica parola che trova per descrivere l'espressione sulla faccia di Steve. Può leggere un'intera lista di altre emozioni - è triste, sconvolto, ansioso, respinto - ma l'espressione che racchiude tutto il resto è bramosia. Steve vede la sua uniforme e capisce senza bisogno di sentirselo dire, è qualcosa che sa fin dentro il midollo: Bucky sta per andarsene e lui resterà a casa.

«Sei stato assegnato?» Steve non prova neanche a nascondere la passività nella voce. Sapeva che sarebbe successo sin dall'attacco a Pearl Harbor.

Bucky esita per una frazione di secondo prima di rispondere, dondolandosi leggermente sui talloni. Riconosce quello sguardo, il fastidio che accompagna la realizzazione che ancora una volta non ce l'ha fatta. Steve non ce l'ha fatta a causa della sua salute, della sua corporatura, del suo peso e a causa di altre centinaia di motivi che l'universo ha deciso di scaricargli addosso durante tutta la sua vita.
Non è arrabbiato con Bucky, è arrabbiato con se stesso.

Steve potrebbe anche scoprirlo da solo, ormai non c'è modo di cambiare gli ordini, ma merita di sentirlo da lui.
«107esimo, Sergente James Barnes,» dice senza troppo entusiasmo, un mezzo sorriso che gli inarca un lato della bocca. «Salpo per l'Inghilterra domani all'alba.»

Stavolta tocca a Steve esitare, intrappolato in un tumulto di sensazioni che non saprebbe nemmeno iniziare a descrivere. È orgoglioso di Bucky, così dannatamente fiero da starci quasi male, eppure per lui è difficile sentirsi felice quando sa che verrà lasciato indietro. Sa che non gli verrà mai data l'occasione di difendere il proprio Paese come vorrebbe.
«Anch'io dovrei esserci,» intona calmo, scuotendo la testa e fissando il cemento coperto di rifiuti.

Bucky non ha alcun dubbio che se gliene lasciasse l'opportunità, Steve passerebbe il resto del pomeriggio in quel vicolo desolato a piangere sul proprio triste destino.
Non può permettere che succeda. Non a Steve e non stanotte.
Domani salperà per il grande ignoto1, per i butterati campi di battaglia in Europa. Vuole almeno un'ultima notte spensierata prima di andarsene.

«Forza, vieni,» dice in una risata che è solo leggermente forzata.
Passa un braccio intorno alle spalle magre e scheletriche di Steve e lo trascina via con sé lungo il vicolo.
«È la mia ultima sera. Devo darti una ripulita.»

Steve sembra mettere il broncio però passa lo stesso le dita tra i capelli che gli ricadono sulla faccia, nel tentativo di pettinarli. «Perché? Dove stiamo andando?»

Bucky sorride e lo stringe un po' più forte nel proprio abbraccio. «Nel futuro,» risponde, schiaffandogli sul petto un giornale piegato a metà e guidandolo fino alla strada.

OOOOO

Il futuro si rivela essere un'esposizione mondiale, piena di luci brillanti e dimostrazioni e un sacco di gente curiosa. Bucky indossa ancora l'uniforme e Steve si è ripulito per quanto gli è stato possibile, considerato il poco tempo a disposizione. I suoi vestiti sono ancora sgualciti e un livido sta spuntando sotto un occhio per accompagnarsi al taglio sul labbro, ma se non altro cerca di fare bella figura.

«Che cosa hai raccontato di me?» chiede, sistemandosi di nuovo i capelli da un lato.

Bucky vorrebbe dargli uno schiaffo sulla mano e dirgli di rilassarsi, non esiste possibilità al mondo che si metta mai a parlare male di lui. Si limita a sogghignare e fa un cenno di saluto alle due ragazze dirette verso di loro. 

«Solo le cose buone,» lo rassicura mentre porge il braccio ad una brunetta molto carina. La sua amica, una bionda altrettanto carina, si ferma di fianco a loro e il suo sorriso vacilla un istante quando vede Steve. A quanto pare non era quello che si aspettava.

Steve cerca di non pensarci troppo mentre la bruna si allontana insieme a Bucky, la sua amica al seguito che cammina accanto a loro. In tutta onestà non può biasimarla: è consapevole di non avere un aspetto attraente quanto Bucky e se la ragazza aveva immaginato di incontrare qualcuno simile all'amico dev'essere rimasta penosamente delusa. Qualsiasi appuntamento a quattro alla fine va sempre così e per Steve non è una grossa sorpresa quando Bucky si ritrova con entrambe le ragazze a braccetto.

Una dimostrazione inizia su di un palco a poca distanza e le ragazze si precipitano euforiche in quella direzione, portando Bucky insieme a loro. Steve li segue senza troppa fretta. L'uomo sul palco, un eccentrico inventore di nome Howard Stark, sta parlando di argomenti bizzarri quali l'energia rinnovabile e automobili volanti. Suona abbastanza assurdo anche se Stark ha perfino creato un prototipo (sebbene riesca a restare sospeso solo per dieci secondi, circa) e a tutti sembra di aver appena assistito a qualcosa di incredibile.

Bucky sorride e si gira verso Steve, ma lo spazio in cui l'amico si trovava alcuni momenti prima è vuoto. Con espressione preoccupata passa in rassegna la folla senza trovare traccia del piccoletto. I suoi occhi si fermano sull'insegna di un centro di reclutamento al di là del parco e capisce al volo dove Steve potrebbe esserci cacciato.

Quasi a colpo sicuro, lo trova a pochi passi dall'entrata - deciso a cercare di nuovo una qualsiasi falla nel sistema, qualche scappatoia da sfruttare per ottenere l'idoneità. E Dio solo sa quanto Steve sia un ostinato figlio di buona donna: se c'è un modo per riuscire a farsi arruolare, prima o poi finirà per trovarlo.

«Vuoi veramente provarci di nuovo?» domanda Bucky, rassegnato e stanco perché sa già quale sarà la risposta.

Steve si stringe nelle spalle e affonda le mani nelle tasche. «Beh, è una fiera. Tento la fortuna.»

«Nei panni di chi?» ribatte Bucky, improvvisamente irritato dalla situazione. «Steve dall'Ohio? Ti scopriranno. O peggio, ti arruoleranno.»

Questo sembra provocare in Steve un lampo di fastidio che gli attraversa il viso e raddrizza la schiena per sembrare più alto.
Non funziona. 

«Senti, so che tu pensi che io non sia all'altezza…»

Il commento in sé è peggio della sua eterna testardaggine. Steve pensa davvero una cosa del genere, è convinto che Bucky pensi che lui non sia in grado ma in verità è esattamente il contrario: Bucky sa che Steve può farcela, ecco il problema. Steve non sa quando rinunciare, non si tira mai indietro di fronte ad uno scontro anche se potrebbe restarci secco, e per Bucky è una verità assoluta. Sa che Steve può farcela ed è per questo motivo che non vuole neanche vederlo provare.

«Questa non è una scazzottata in un vicolo,» gli spiega in tono più paziente possibile. «È una guerra. Perché ci tieni a combattere? Puoi fare tanti lavori…»

Ma Steve non ha alcuna intenzione di accettarlo. Sedersi ai margini e restare a guardare mentre altri occupano un posto in prima linea al fronte non lo rende soddisfatto. Non è felice di non essere abbastanza forte, di non essere mai abbastanza, per questo non è felice di essere lasciato a casa. E di nuovo spunta la bramosia nei suoi occhi. Il desiderio di farsi valere, di dimostrare al mondo che può realizzare qualsiasi progetto si metta in testa, nonostante tutti gli ostacoli.

«Ci sono uomini che sacrificano le loro vite,» insiste Steve, altrettanto esasperato dalla discussione. «Io non ho nessun diritto di fare meno di quegli uomini. È questo che non vuoi capire. Non si tratta di me.»

Bucky si lascia scappare un sospiro profondo. «Appunto. Tu non devi dimostrare niente.»

Steve non risponde ma continua a sostenere lo sguardo. Se è una sfida, come tante altre cose nella sua vita, non ha intenzione di cedere.

Le ragazze arrivano dietro di loro, richiamando l'attenzione di Bucky. È lui a distogliere per primo lo sguardo da Steve, per girarsi e rassicurarle con un sorriso e la promessa di portarle a ballare.

Torna a fissare Steve con un nuovo sospiro e scuotendo la testa. «Non fare nulla di stupido finché non torno.»

«Come potrei?» ribatte Steve con prontezza. «La stupidità te la porti tutta con te.»

Bucky ridacchia a fior di labbra e poi stringe Steve in un veloce abbraccio. «Sei un imbecille.»

«Cretino,» borbotta Steve, rispondendo all'abbraccio e osservando Bucky allontanarsi mentre sul viso gli rimane dipinta la stessa espressione di bramosia. «Non vincere la guerra finché non arrivo io,» aggiunge, guadagnandosi un saluto militare dall'amico prima che scompaia in mezzo alla gente per cercare le loro (sue?) accompagnatrici.
Steve indugia per un istante, le mani infilate in fondo alle tasche, desideroso di partire ma costretto a restare.

OOOOO

La notte passa in una macchia sfocata di balli e whisky. Le ragazze sono bellissime, il liquore è forte e Bucky fa tutto il possibile per placare il devastante senso di fatalità che gli sta montando nel petto da quando ha ricevuto l'assegnazione. Si maschera dietro una facciata di coraggio, sorride fin troppo e ride al momento giusto e si sforza di comportarsi come se domani non dovesse mai arrivare. Domani rappresenta l'ignoto, un terreno sul quale non si è mai avventurato prima. Domani potrebbe essere l'ultima volta che vedrà Brooklyn. Domani, a essere franchi, è terrificante.

Non lo ammetterebbe mai, non lo confesserebbe mai a nessuno (soprattutto non a Steve) ma non si è presentato di propria volontà. È stato arruolato come ogni altro giovane sano e robusto in tutto il Paese. Ha ricevuto la chiamata di leva per posta, ancora prima di poter considerare l'arruolamento volontario. Non è nemmeno sicuro che si sarebbe unito all'esercito se non fosse stato obbligato.

Non che non voglia fare la propria parte e difendere il Paese - non è un codardo né uno scansafatiche - però ha sempre esitato perché arruolarsi significa lasciare Steve.
Steve, che cerca ogni volta di fare la cosa giusta anche se significa ritrovarsi con un occhio nero. Steve, che immancabilmente si ammala di polmonite una volta l'anno e rifiuta di andare in ospedale anche quando tossisce così tanto da non riuscire a reggersi in piedi. Steve, che ormai non ha più nessuno al mondo e dopo la partenza di Bucky resterà completamente da solo.

Comunque non gli direbbe mai niente, per non rinforzare l'idea che Steve abbia bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui. Ne ha bisogno (ostinato bastardo) eppure Bucky non glielo direbbe mai. Non sa se questo possa renderlo in qualche modo meno virile, non cogliere l'opportunità quando si presenta - non ci ha mai neanche pensato.

Ha esitato ad arruolarsi e forse non l'avrebbe mai fatto se avesse potuto scegliere. Alla fine per lui non c'è stata una scelta, è stato reclutato obbligatoriamente, gli è stato assegnato il grado di Sergente e il compito di difendere l'America e dare appoggio agli Alleati. A volte gli piacerebbe essere così coraggioso e spavaldo come cerca di apparire. Come l’uomo che Steve vede in lui.

Le ragazze sono una buona compagnia per la serata e per qualche tempo riesce a dimenticare che l'indomani mattina verrà imbarcato. Balla con loro, le tiene strette e lascia che si stringano a lui. Quando le accompagna a casa, più tardi, gli rimangono sul colletto tracce di due diverse sfumature di rossetto e la sua uniforme è impregnata di profumo dai toni floreali.

Sorride mentre le osserva scomparire all'interno e continua a salutarle con una mano finché la porta si richiude dietro di loro. Il suo appartamento è solo a qualche isolato di distanza, non ci metterà molto a raggiungerlo a piedi. L'unico problema è che adesso è da solo e non c'è nulla ad aiutarlo a tenere sotto controllo l'apprensione per il giorno dopo. Diamine, il giorno dopo in realtà è già oggi e nel giro di poche ore dovrà essere diretto alla stazione.

Una fiammata di energia nervosa gli fa rivoltare lo stomaco (oppure è colpa del whisky) e sistema le spalle per rimettersi dritto in piedi. Infila le mani nelle tasche e comincia a camminare verso casa, ignorando i palpiti d'ansia che accompagnano ogni passo.

Pesca le chiavi dal taschino quando è quasi arrivato e si lancia su per le scale due alla volta per poi fermarsi di fronte alla porta d'ingresso. Si ferma, le dita esitano di fronte alla serratura. All'improvviso gli torna in mente che si tratta dell'ultima notte che passerà in questo appartamento, in questa città, forse in assoluto. Non dovrebbe stupirsi più di tanto, sapeva da mesi che sarebbe successo, ma realizzare che il momento è davvero arrivato lo lascia di sasso.

Scuote la testa, inspirando lentamente per riprendere il controllo. Finisce per dare al whisky gran parte della colpa per quest'ansia e apprensione. Andrà tutto bene: in fondo qual è la cosa peggiore che potrebbe succedere?
Infila la chiave nella toppa e spalanca la porta.

Le luci sono già spente, Steve è addormentato sul logoro e consunto materasso che dividono. Il loro appartamento è minuscolo, non molto diverso da una baracca con soltanto quattro spesse mura, ma da quasi quattro anni per entrambi è diventata casa. È tornato a casa per la sua ultima notte. Bucky sospira sottovoce e chiude la porta, lasciando le luci spente.

Si spoglia fino a restare con la sola biancheria indosso e appende l'uniforme sul retro della porta, in ordine. Sono da poco passate le due del mattino e sa che dovrà alzarsi e prepararsi non più tardi delle cinque e mezza se vuole arrivare in tempo alla stazione. L'idea comunque non lo preoccupa, al momento l'unica cosa che vuole è dormire e passare un'ultima notte nel proprio appartamento.

Attraversa la stanza in direzione del materasso schiacciato contro il muro e si siede mollemente lungo il bordo. Steve è rannicchiato sul proprio lato del letto, la faccia rivolta al muro e il respiro regolare. Bucky rimane a fissargli la schiena per alcuni istanti, osservandolo respirare e imprimendosi nella memoria ogni particolare possibile. Si domanda se si dimenticherà di lui una volta che sarà partito, se i minuscoli dettagli che hanno sempre tenuto insieme le loro vite scompariranno in una nuvola di fumo e polvere da sparo.

Scaccia tutte queste idee dalla testa e si sdraia sul materasso, troppo stanco per continuare a pensarci. Steve si muove per un attimo ma torna subito a giacere immobile. Bucky non si lascia ingannare.

«Hey Stevie,» sussurra piano nell'umida, stantia oscurità del loro appartamento. «Sei sveglio?»

Steve non risponde per diversi istanti, poi alla fine cede con uno sbuffo sommesso. «È difficile dormire se mi blateri nelle orecchie,» risponde in tono mesto. «Come è andata?»

«Faceva caldo,» ammette Bucky, allungandosi nel letto mentre fissa il buio del soffitto. «Non so perché non accendano i ventilatori in quelle sale da ballo. Vedere che la gente in pista gronda di sudore dovrebbe suggerire qualcosa.»

Steve ride sommessamente e continua a rivolgergli le spalle.

«È strano pensare che questa sia la mia ultima notte qui,» mormora Bucky, più tra sé che davvero diretto a Steve. Sta riflettendo ad alta voce, dando sfogo alle preoccupazioni piuttosto che tenerle dentro.

Steve sbuffa di nuovo, brusco e perfino un po' irritato, poi si gira nel letto verso di lui.
Borbotta tra i denti qualcosa che suona parecchio come
"stupido cretino" prima di chiudere nei pugni la canotta di Bucky. In meno di un secondo gli preme il viso sul petto, serrando forte la presa mentre il respiro si accorcia e diventa affannato. Bucky lo prende fra le braccia per stringerlo con gentilezza, posandogli la guancia sui capelli.

«Promettimi che non finirai per farti ammazzare laggiù, Barnes,» bisbiglia Steve, le sue dita ancora attorcigliate attorno alla stoffa della canottiera. «Devi promettermelo.»

Bucky annuisce ma sa che si tratta di una promessa che non è certo di poter rispettare. «Solo se tu prometti di scrivermi,» ribatte, mentre segue il contorno delle ossa lungo la schiena scheletrica di Steve. «A quanto pare i soldati al fronte sentono parecchio la nostalgia di casa, Stevie. Rischiano di prendere decisioni avventate. Tu scrivimi, continua a raccontarmi di tutti i guai in cui ti stai cacciando ed io eviterò di comportarmi da idiota.»

Steve ride (o si tratta di un singhiozzo soffocato) e torna a nascondere il viso contro il petto di Bucky. «Sei davvero un cretino, lo sai?» domanda. È la confessione timida e profonda di qualcosa molto più importante che nessuno dei due ha il coraggio di ammettere.

Bucky sorride debolmente e lo stringe ancora più a sé; anche per lui è lo stesso ma stanotte non è il momento adatto per parlarne. Sarebbe scontato, scadente, e aspettare il momento giusto è essenziale. Peccato che il tempo non giochi a loro favore.
«Lo so, imbecille,» sussurra in risposta mentre ancora tiene Steve abbracciato. «Lo so.»

Passano così il resto della notte, abbracciati uno all'altro come se fosse l'ultima volta. Forse lo è davvero.
Steve desidera partire tanto quanto Bucky desidera rimanere. Il mattino arriverà, come sempre, e Bucky sarà costretto ad andarsene mentre Steve sarà costretto a restare indietro. Quasi si trattasse delle parole di una crudele canzoncina in rima: brama di andare, brama di rimanere, nessuno dei due ciò che vuole potrà avere.

 

 

 

1. The great unknown

Generalmente descrive situazioni nuove e sconosciute ma può anche riferirsi alla consapevolezza di essere destinati a morte certa. [NdT]

 

 
Capitolo originale dell'autrice

Show her some love!

 

 
Salve a tutti voi che leggete!
Non volevo irrompere per la prima volta nel fandom senza neanche fare un saluto, quindi vi lascio giusto due righe per dire che tradurre questa storia è stato un piacere e spero che il risultato riesca ad appassionarvi.

Your Humble Translator

   
 
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