Anime & Manga > Binan Kōkō Chikyū Bōei-bu Love!
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Autore: MystOfTheStars    24/11/2016    3 recensioni
Si sa, l'unica cosa in grado di sconfiggere anche le più potenti e oscure tra le maledizioni è, naturalmente, il potere del vero amore.
Il neonato principe En viene maledetto da un demone malvagio e l'incantesimo oscuro potrà essere spezzato solo da un bacio. Tuttavia, sarà davvero difficile - se non impossibile - per i suoi tre spiriti guardiani riuscire a crescere il principino nel cuore della foresta, cercando anche di fargli trovare la persona giusta di cui innamorarsi. Per fortuna, il ragazzo potrebbe riuscire a trovare l'amore anche senza il loro aiuto...
[EnAtsu, IoRyuu, con la partecipazione di - quasi - tutto il cast dell'anime]
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsushi Kinugawa, En Yufuin, Kinshirou Kusatsu, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XII

Prima che il sole tramonti sul suo diciottesimo compleanno

 

 

 

 

Il dolore fu la prima cosa che provò Atsushi svegliandosi. Il braccio gli pulsava ancora sordamente ed il dito che si era punto bruciava. Lottò contro il senso di torpore che lo attanagliava per riuscire ad aprire gli occhi, spalancandoli infine su un soffitto in penombra.

Lentamente, si mise a sedere. Sotto di sé avvertiva la consistenza di un materasso, ma non riusciva a ricordare di essersi messo a letto. In verità, rammentava solamente di aver bevuto un tè in compagnia di Kinshiro.

"Ben svegliato."

Atsushi si voltò in direzione della voce, automaticamente tastando accanto a sé alla ricerca dei suoi occhiali. Li trovò e li infilò, riuscendo finalmente a mettere a fuoco l'ambiente attorno. Kinshiro, per l'appunto, era seduto su una poltrona non distante dal letto dove era disteso. Adesso, il principe riconosceva la stanza: era una delle camere riservate agli ospiti, nella villa dell'amico.

"Kin." Atsushi si strofinò gli occhi, farfugliando nella sorpresa. "Mi sono addormentato sul divano?" Era certamente quello che era accaduto: stanco per tutto ciò che gli era successo, gli erano bastati l'accoglienza dell'amico ed il calore dell'infuso per addormentarsi profondamente. "Che ore sono?"

"È mezzogiorno." Il tono dell'altro era distante. Realizzando che cosa significasse la risposta datagli, il principe si chiese vagamente se l'amico, severo come al suo solito, non lo stesse sgridando per aver dormito troppo a lungo.

Il ragazzo annaspò. Non aveva nemmeno lo forza di reagire con la dovuta agitazione alla notizia. Era tardi. Troppo tardi per troppe cose.

"Avrei dovuto mettermi in viaggio ore fa..." Atsushi si prese la testa tra le mani, ancora intontito dal sonno - ma il braccio pulsava, e fu con una smorfia che adagiò la mano dolorante sulle coperte.

"In viaggio per dove, Atsu?"

"Per la capitale di Binan, naturalmente," il principe rispose con voce improvvisamente rauca, sopraffatto dai ricordi confusi della giornata precedente. La cerimonia si sarebbe tenuta quella sera stessa; se fosse partito subito, probabilmente sarebbe riuscito ad arrivare in tempo. Non che gli dispiacesse avere una scusa per presentarsi a festeggiamenti finiti, ammise con se stesso.

"Credevo che tu non volessi presenziare alla cerimonia." Kinshiro si alzò in piedi. Atsushi strizzò gli occhi, interdetto - non ricordava di averlo detto all'amico.

"Ah, te ne avevo già parlato? Non rammentavo, scusa," si giustificò immediatamente. La sua mente era ancora ovattata, anche le sue memorie sembravano in qualche modo confuse.

"Non l'hai fatto, ma io lo so comunque, Atsushi." Kinshiro si sedette accanto a lui sul letto. C'era una strana dissonanza tra la loro vicinanza fisica ed il gelo nelle parole dell'altro.

Il principe sbatté le palpebre. Prima ancora che potesse sollevare di nuovo lo sguardo sull'amico, un brivido gli aveva già percorso la spina dorsale. Ricordava, ora, il sorriso che gli aveva fatto gelare il sangue, l'abbraccio che gli aveva tolto il fiato. La voce di Kinshiro era stata l'ultima cosa che aveva sentito prima di sprofondare nell'oscurità dell'incoscienza.

"Come?" Senza volerlo, arretrò verso la parete.

"Secondo te, Atsushi?"

Il viso di Kinshiro, a pochi centimetri dal suo, stava mutando. Erano cambiamenti sottili, impercettibili quasi, ma Atsushi si ritrovava ora a fissare iridi rosse al posto di quelle color smeraldo dell'amico. La sua pelle si era fatta diafana ed il principe non avrebbe saputo dire se era perché l'altro fosse impallidito o perché la stanza, attorno a loro, si fosse fatta improvvisamente più buia.

"Credevi davvero che non mi sarei accorto di nulla? Che avrei lasciato il Principe Yufuin libero di agire come gli pareva a tempo indefinito?"

Atsushi era confuso. "Che cosa stai dicendo, Kin?" tentò, "ti avrei detto di En, se solo avessi potuto, ma-"

"Certo mi avresti facilitato il compito, Atsushi, se me ne avessi parlato prima. Alla fine, comunque, è proprio grazie a te che l'ho scovato, dopo anni spesi a cercarlo."

Il principe avrebbe voluto guardare l'altro negli occhi, ma non ci riusciva. Le pupille in cui fissava le sue erano come due finestre spalancate su una notte senza stelle; minacciavano di ingoiarlo. "Non hai mai nemmeno visto En, non capisco quello che stai dicendo." Perché tutto all'improvviso la realtà attorno a lui era un dedalo di segreti, bugie e cose non dette? Perché doveva esserci proprio En al centro di quel labirinto impossibile da decifrare?

Nella stanza, la penombra si era tramutata in tenebra e tutto quello che Atsushi poteva vedere erano le braci ardenti delle iridi nel bianco ovale del viso di fronte a lui.

"Lo conosco da ben prima di te," puntualizzò l'altro, gelido. "Da quando è nato, per essere preciso."

Atsushi deglutì a vuoto. Era congelato sul posto, incapace perfino di pensare a fuggire. Quegli occhi scarlatti lo immobilizzavano dov'era e non era padrone di muovere nemmeno un muscolo. L'unica cosa di cui era certo in quel momento era che la persona di fronte a lui non poteva essere Kinshiro.

"...chi sei?" il ragazzo si sorprese di riuscire a parlare.

"Lo stesso demone che ha maledetto il tuo amato principe alla sua nascita, chi altro," rispose l'altro quasi con fastidio.

"Tu... il demone...?" Quelle poche parole gli costarono tutto il fiato che gli era rimasto in petto. Non poteva crederci - eppure, il Kinshiro che si ritrovava davanti era tutto fuorché umano. "Che cosa hai fatto al mio amico?"

Solo allora, le labbra violacee dell'essere che si ritrovava di fronte si incurvarono appena verso l'alto, nella pallida imitazione di un sorriso.

"Non capisci, Atsushi? Sono sempre stato io. L'ho aspettato per anni, confidando nel fatto che certamente dei giovani, semplici umani avrebbero potuto condurmi a lui, quando fosse venuto il momento. Tu e tua sorella non mi avete deluso, alla fine." Nonostante il sorriso che ostentava, ad Atsushi sembrò che l'essere che aveva di fronte non fosse poi così soddisfatto come affermava.

"Sei spaventato?"

Atsushi fece l'errore di sollevare lo sguardo su di lui e qualsiasi risposta gli morì in gola. Le tenebre che li circondavano sembrarono assorbire tutta la volontà che ancora gli era rimasta.

"Tra poche ore, prima che il sole finisca di tramontare, il tuo principe si pungerà il dito e cadrà in un sonno profondo, che solo un bacio di vero amore potrà spezzare. Ma tu sarai chiuso qui, lontano da lui, per sempre," il demone ebbe cura di spiegargli. Poi, come se avesse avuto un piccolo ripensamento, aggiunse, "Del resto, anche se potessi raggiungerlo, ciò che vi unisce dovrebbe essere un sentimento sufficientemente forte da sconfiggere la maledizione." Kinshiro si alzò, lisciandosi le vesti scure, i cui bordi si confondevano con le ombre della stanza. "In fondo, ti faccio un piacere trattenendoti qui, così che tu non possa mai scoprire che non è così e rimanerne deluso," commentò, senza più guardarlo ed uscendo dalla stanza.

La porta si chiuse alle sue spalle ed Atsushi si accasciò contro la parete dietro di lui, mentre tornava a respirare con un gemito strozzato, il corpo scosso da brividi di terrore.

 

~~~

 

Nonostante il calore del tardo pomeriggio estivo, la torre era fredda, estranea.

Al suo interno, tutto era perfetto: arredi lussuosi, arazzi che ricoprivano le pareti nascondendo allo sguardo la nuda pietra sottostante, un imponente letto a baldacchino dalle coperte e tende sontuose, degno del principe che doveva ospitare. Tuttavia, per quanto riguardava En, avrebbe potuto essere anche di paglia e stracci: vi si era buttato sopra a peso morto, affondando il viso nel materasso, senza degnare di uno sguardo i decori del copriletto o le nappe dorate dei cuscini.

Era esausto.

Le celebrazioni per il suo compleanno e per il suo ritorno a casa (nonché, a quanto sembrava, per il fidanzamento con la Principessa Kinugawa) sarebbero iniziate subito dopo il tramonto del sole. Fino a quel momento, gli era proibito lasciare la torre. Non che En avesse alcuna intenzione di allontanarsene: se fosse stato per la voglia che aveva di partecipare alla festa, non si sarebbe mai più alzato da quel letto.

Il tragitto dalla foresta alla capitale era stato stancante - non che lui avesse fatto granché, in realtà, visto che erano stati gli spiriti a trasportarli fino al castello grazie ad un qualche bizzarro incantesimo di viaggio, che aveva permesso loro di arrivare velocemente ed in tutta sicurezza. Del resto, dopo le disavventure della notte precedente, il ragazzo non sarebbe riuscito a muovere un solo muscolo in più del necessario.

"È andato tutto liscio finora, no?" la voce di Ryuu suonava gioviale, ma En non si prese nemmeno la briga di annuire.

"Anche l'incontro con i tuoi genitori..." lo spirito gesticolò nell'aria, alludendo al fatto che anche quello era andato bene, nei limiti del possibile, almeno. Nemmeno così riuscì a far reagire En.

I tre si guardarono e si strinsero nelle spalle. Non c'era molto altro che potessero fare al momento: lo avevano portato fino al castello, gli avevano garantito tutta la protezione che potevano, gli avevano donato abiti ed accessori degni del principe che era.

"Atsushi sta sicuramente per arrivare," disse allora Yumoto, in un tono che voleva suonare rassicurante. "È una cerimonia importante, non può certo mancare."

"C'è ancora tempo fino al tramonto," concordò Ryuu, "sarà qui a momenti."

En mosse appena la testa. "Non verrà, ormai."

Di nuovo, i tre si scambiarono uno sguardo apprensivo.

"Non essere così pessimista, vedrai che..." Prima che Ryuu potesse terminare la frase, En nascose il viso nell'incavo del braccio, sordo ad ogni parola.

Ryuu strinse i pugni in un momentaneo impeto di rabbia. Il principe aveva trascorso l'intero pomeriggio ad aggirarsi inquieto per le stanze della torre, guardando fuori dalle finestre nella speranza di veder comparire Atsushi. Lui e gli altri due spiriti si erano dati i turni per attendere il giovane all'ingresso del castello, ma senza risultato: nonostante il resto della sua famiglia fosse arrivato, di Atsushi ancora nessuna traccia. Lo spirito del fuoco comprendeva bene quanto la situazione si fosse fatta insopportabile per En, ma vederlo arrendersi così era fuori discussione. Avrebbe preferito di gran lunga che il ragazzo fosse adirato con lui per la faccenda delle lettere.

Prima che potesse aggiungere qualsiasi cosa, però, venne fermato dalla mano di Io sul suo braccio. "Lasciamolo da solo per un po', ha bisogno di riposare prima che inizi la cerimonia," suggerì lo spirito della terra in un sussurro.

"E poi, dobbiamo intercettare Atsushi non appena arriva, per portarlo qui," aggiunse Yumoto a voce appena più alta, ma En non diede segno di intendere. "E magari aiutare Gora a prepararsi per la cerimonia..." aggiunse quindi mestamente, seguendo gli altri due fuori dalla porta.

Riverso sul letto, il principe li sentì lasciare la stanza. Non c'era nulla che desiderasse di più in quel momento che diventare tutt'uno con coperte e materasso, a tempo indeterminato. Per quanto fosse stanco, tuttavia, non c'era modo per lui di addormentarsi, si rese conto dopo un po' che giaceva immobile nel silenzio della torre. Era come se il suo corpo fosse una cosa a parte, staccato dal suo spirito come tutto ciò che lo circondava.

Lentamente, si alzò a sedere. I suoi occhi scivolarono sull'arredamento della stanza senza vederlo davvero. Che cosa doveva fare, adesso?

Trascinando i piedi, uscì nell'anticamera. Lì, c'era una finestra da cui si aveva la visuale del cortile interno del castello, dove per tutto il pomeriggio avevano sfilato i nobili invitati ai festeggiamenti in suo onore. Tornò ad osservare l'andirivieni delle persone: servi che si affaccendavano in ogni direzione, qualche sporadica coppia di invitati che faceva la sua comparsa, guardie - un gran numero di guardie. Ma se si aspettava ancora di veder comparire Atsushi in sella al suo cavallo, rimase deluso.

A fatica, distolse gli occhi da quella vista. Se avesse davvero voluto essere presente, Atsushi sarebbe già arrivato, ed invece non c'era alcun segno di lui. Non sarebbe venuto, si ripeté En, tornando in camera.

Ad accoglierlo gli venne incontro il suo riflesso in uno specchio, vestito di tutto punto se non per la corona, che lo attendeva pacifica su un tavolino lì accanto, e che En non degnò di uno sguardo. Sapeva che avrebbe dovuto indossarla tra poco - il re e la regina erano stati chiari nello spiegargli che cosa avrebbe dovuto fare quando lo avessero introdotto nel grande salone delle cerimonie.

A parole, non suonava difficile: avrebbe solo dovuto camminare fino al trono dei sovrani e poi rimanere al loro fianco, accettando gli omaggi dei nobili. Poi, sarebbero iniziate le celebrazioni vere e proprie: il banchetto, le danze - naturalmente, avrebbe dovuto ballare con la sorella di Atsushi. Chissà se la ragazza sarebbe stata paziente come il fratello. O forse, anche lei credeva alla stessa versione dei fatti del principe e lo odiava, ritenendolo un traditore.

Si ritrovò a chiedersi se, in tutta la folla che lo avrebbe aspettato nella sala delle cerimonie, ci sarebbe stato qualcuno davvero felice di vederlo - eccezion fatta per Gora, il wombato ed i tre spiriti.

Anche i suoi genitori, se non erano sul punto di cambiare idea, naturalmente. En provava sensazioni contrastanti, in proposito. Forse si era aspettato che succedesse qualcosa di ben specifico, al momento dell'incontro, una sorta di epifania, magari, o un improvviso emergere di memorie della sua infanzia. Ma no, non era accaduto niente del genere. Il re e la regina lo avevano salutato, gli avevano sorriso. Le loro voci erano suonate del tutto differenti da come le aveva immaginate. Forse, si disse mentre vagava senza pace per la stanza, avrebbe dovuto abbracciarli. Invece, non era riuscito nemmeno a ricambiare il sorriso.

Si sedette pesantemente sulla sedia di fronte al piccolo tavolo dove era posata la corona: un così bel gioiello, che lo faceva sentire completamente prigioniero. Le mura di quella torre lo facevano sentire prigioniero.

Si guardò intorno nervosamente. Sapeva bene che il divieto di abbandonare quelle stanze era per la sua sicurezza, ed aveva già sperimentato in prima persona - nonché sulla pelle di Yumoto - che cosa significasse cadere vittima di un attacco dei demoni. Ciò, però, non gli rendeva più accettabile la prigionia: a ripensarci adesso, realizzava che tutta la sua vita fino a quel momento era stata trascorsa in gabbia. Che fosse la foresta in cui era cresciuto o il palazzo in cui era arrivato da poco, la sostanza non cambiava: non sarebbe mai stato libero di andarsene.

Se solo avesse avuto Atsushi al suo fianco, avrebbe potuto accettarlo.

Si alzò di scatto dalla sedia, spingendola via con forza. Aveva bisogno di aria, di avvertire il vento sul viso prima di rinchiudersi nella sala delle cerimonie. Sentiva un peso sul petto, opprimente e doloroso.

Si guardò intorno, cercando una via di fuga. La scala, che da sotto portava all'anticamera della sua stanza da letto, proseguiva poi al piano superiore. Doveva per forza condurre al tetto, pensò il principe iniziando a salire i gradini. Un'ultima occhiata al cielo, prima di rimettersi la corona in testa; un'ultima boccata di ossigeno.

Iniziò a salire più in fretta, obbedendo ad un richiamo non identificato. Per un breve attimo, gli parve quasi di sentir chiamare il suo nome, ma i suoi passi erano gli unici a riecheggiare lungo la scala di pietra.

Eppure, man mano che saliva i gradini, aveva la sempre più pressante sensazione di non essere solo. Qualcosa lo perseguitava, celando i suoi movimenti nel fruscio del mantello di En e nascondendosi nelle ombre della scala e delle stanze che attraversava, che diventavano più fitte man mano che il sole affondava verso l'orizzonte.

Sapeva che doveva essere una sua impressione, perché era solo in quella torre - gli spiriti avevano controllato al loro arrivo e, con tutti gli incantesimi di protezione che i tre vi avevano lanciato, non c'era modo per niente e nessuno di infiltrarsi al suo interno, comunque.

Nonostante questo, En sentiva il suo nome sussurrato dalle pareti - ma era certamente il vento nelle fessure degli infissi - e ciò lo indusse ad accelerare il passo - se per scappare o per seguire la voce, non avrebbe saputo dire.

Il suo impeto lo portò fino all'ultimo piano della torre. Era una stanza circolare, senza alcun tappeto a decorare le assi di legno del pavimento. Alle pareti erano ammassate una serie di casse e cianfrusaglie ricoperte di polvere. La scala si fermava lì, il soffitto era chiuso, ed En soffocò in gola un gemito di frustrazione.

Si affacciò ad una delle finestre, stringendo la presa sulle grate di ferro. I tetti del castello tutt'attorno erano rossi sotto il cielo del tramonto. Ancora poco, e sarebbero venuti a chiamarlo. Anzi, pensò osservando il sole appiattirsi contro le colline in lontananza, forse i tre spiriti erano già ai piedi della torre e stavano salendo a cercarlo.

Non voleva, pensò appoggiando la fronte al metallo freddo delle sbarre. Sarebbe stato quasi un bene se la maledizione lo avesse colpito, in fondo: En desiderava solo addormentarsi e dormire fino al ritorno di Atsushi - se mai fosse arrivato, si disse chiudendo gli occhi.

In quella, si rese conto di avere il fiato corto. Il petto gli doleva e si sentiva soffocare. Se Atsushi non fosse mai tornato, forse non avrebbe nemmeno avuto senso svegliarsi, pensò scuotendo la testa e cercando di combattere il nodo alla gola che gli impediva di respirare.

Si voltò verso l'interno della stanza - era stato così buio, prima? Gli ultimi raggi di sole avevano assunto una sfumatura verdastra, sinistra. Si strofinò gli occhi, una mano ancora sulle inferiate per aiutarsi a stare in piedi. Il suo nome risuonava ancora attorno a lui, lo sentiva nei rantoli del suo respiro convulso, echeggiava negli angoli della stanza.

"Smettila..." ordinò flebilmente alla voce che continuava a ripeterlo, ma era come cercare di far tacere i propri pensieri. Si tappò le orecchie, allora, ma il richiamo continuò a rimbombargli in testa - non era più solo il suo nome che sussurrava, adesso, erano una serie di parole indecifrabili e suadenti. Un piccolo tocco, e tutto sarebbe cessato: il dolore, la paura, il senso di abbandono. Non avrebbe più sofferto la mancanza di Atsushi; il ricordo dei suoi occhi, delle sue mani, della sua voce adirata non avrebbero potuto seguirlo dove andava. Avrebbe potuto riposare, dormire senza mai più essere disturbato - non era forse questo ciò che più voleva in quel momento?

En alzò gli occhi. Davanti a lui, la luce verdastra aveva scolpito le ombre della stanza creando una forma bizzarra, spigolosa: su quattro gambe sottili e diritte riposava una sagoma scura, sovrastata da una ruota - qualcosa che En non aveva mai visto. Ad attirare la sua attenzione, più della strana accozzaglia di forme, fu però la sagoma cilindrica appuntita alla sua estremità.

Il principe provò l'irresistibile impulso di toccarlo. Il dolore al petto si era placato, ora, non sentiva più nulla - stava ancora respirando? Non avrebbe saputo dirlo. Tutto ciò che importava, adesso, era sfiorare quella punta e lasciarsi il resto alle spalle.

Gli dispiaceva essersi arrabbiato con Atsushi - avrebbe dovuto capire che c'era lo zampino della magia nella vicenda delle lettere. Era stato accecato dalla paura e dalla delusione, ed ora non c'era più alcun modo di rimediare, pensò mentre allungava la mano verso l'arcolaio. Gli dispiaceva di non aver abbracciato i suoi genitori. Gli dispiaceva...

Dal fondo delle scale, qualcuno chiamò il suo nome. Era la voce di Yumoto, che per un attimo risultò udibile al di sopra di quella che ancora sussurrava nella sua testa. En sbatté le palpebre. Di fronte a lui, la sagoma nera dell'arcolaio tremò, progressivamente inghiottita dall'oscurità che stava prendendo il posto del tramonto. Il principe scosse la testa, cercando di riprendere il controllo sul suo corpo, e si voltò per rispondere allo spirito.

Nel compiere il movimento, però, venne colto da un capogiro e perse l'equilibrio. Vacillò ed istintivamente mosse le mani alla ricerca di qualcosa a cui appoggiarsi, ma non trovò che ombre, finché la sua mano non colpì qualcosa di duro e sentì un'improvvisa puntura, dopodiché il buio in cui era precipitata la stanza inghiottì anche lui.

Cadde sul pavimento con un tonfo sordo, mentre all'orizzonte l'ultima striscia di luce del sole sprofondava tra le colline.

 

~~~

 

L'unico aspetto positivo era che l'avevano lasciato libero di muoversi, anche se Atsushi non aveva ancora approfittato di questa cortesia. Il cibo che il signor Ibushi gli aveva portato prima era rimasto intatto sul tavolo di fianco al letto, che il principe non aveva abbandonato. Ibushi gli aveva consigliato di mangiare qualcosa e poi se n'era andato, silenzioso come era venuto. Non aveva chiuso la porta a chiave.

Atsushi ora sedeva sul bordo del materasso. Da oltre la porta non provenivano rumori, mentre dalle imposte ermeticamente chiuse della finestra non filtrava nemmeno un raggio di sole. Forse era già notte fonda. Forse era già successo l'irreparabile.

Camminò quatto quatto fino alla finestra e tentò di aprirne le imposte, ma non riuscì a smuoverle di un millimetro. Era come se legno, metallo e pietra fossero un blocco unico. Frustrato, si voltò verso l'interno della stanza. Alla cintura aveva, come sempre, il suo pugnale - il demone non si era nemmeno curato di levarglielo.

Forse, dopotutto, non era davvero prigioniero di Kinshiro.

In punta di piedi, avanzò fino alla porta. La maniglia girava, appurò con sollievo misto a paura - la ruotò ed il battente si aprì, e fu con il cuore in gola che il principe sbirciò sul corridoio. Non se lo ricordava così lungo, ma forse, si disse, era colpa delle ombre che si ammassavano tra gli stipiti ed i battenti delle porte.

Cautamente, mosse i primi passi fuori dalla camera. Il sangue gli pulsava così forte nelle orecchie che, se si fosse avvicinato qualcuno, dubitava che sarebbe riuscito a sentirne i passi.

Procedendo quasi timidamente, iniziò a cercare le scale. Le ricordava bene, un'ampia rampa di marmo dai corrimani in legno scuro. Dovevano essere a metà del corridoio, ma gli era difficile dire a che punto di esso si trovasse, perché accanto a lui sfilavano porte tutte uguali, una dopo l'altra, senza soluzione di continuità.

Atsushi non avrebbe saputo valutare quanto aveva camminato, né quanto fosse andato veloce - aveva il fiato corto, anche se non aveva corso, per evitare di far rumore. Eppure non riusciva più a vedere la stanza da cui era uscito - doveva essere sparita nell'oscurità che si ammassava alle estremità del corridoio. Si fermò, strofinandosi nervosamente il braccio dolorante. Forse ricordava male, forse le scale erano dietro una di quelle porte.

Qualcosa gli sfiorò la nuca, facendolo quasi urlare dallo spavento, ma era solo un refolo d'aria che gli aveva scostato i capelli, solleticandogli il collo. Atsushi si voltò, per trovare tutto identico a prima - una simmetrica fila di porte in ombra, nessun segno di finestre aperte né di nulla che potesse turbare la staticità del corridoio.

Con urgenza, il principe mise la mano sulla prima maniglia che trovò e spinse il battente. Davanti a lui si aprì un altro corridoio, perfettamente identico a quello da cui proveniva. Nonostante il battente alle sue spalle fosse chiuso, ora, continuava a sentire il lieve soffio d'aria scompigliargli i capelli. Atsushi iniziò a correre.

Nella fretta, provò una porta tra le tante - che differenza faceva, l'una o l'altra, tanto erano tutte uguali - che si aprì su di un altro corridoio. Il ragazzo si appoggiò alla parete per un momento, colto da un improvviso giramento di testa, ma poi riprese a correre, nel terrore che una di quelle infinite porte si aprisse e da essa uscisse qualcosa - qualcosa di non meglio definito, ma che Atsushi era certo di non voler incontrare.

Il vento era gelido sulla sua schiena sudata, ora, e lo spingeva avanti mentre il principe correva a perdifiato, superando porte su porte, inciampando quasi nelle soglie che sembravano venirgli incontro di loro spontanea volontà. Sapeva che sarebbe finita come quella volta, quando le pareti di spine e foglie si erano strette attorno a lui per ingoiarlo.

Ormai, non faceva nemmeno più attenzione a dove andava: una scelta valeva l'altra, perché non c'era fine a quel labirinto architettonico. Era condannato a correre per l'eternità? Che cosa sarebbe successo se si fosse fermato?

Il vento era sempre più forte attorno a lui, soffiava impetuoso come a preannunciare un temporale. Porte, ombre, pavimenti - davanti ai suoi occhi, tutto si era trasformato in un caleidoscopio dalle forme squadrate e dai toni del grigio, e rimbombava dei suoi passi pesanti e del suo ansimare affrettato.

Il dolore al braccio si confondeva con quello che ora gli aveva preso le gambe ed il petto. Stava per crollare al suolo, esausto, ma l'istinto era ancora più forte della stanchezza - se si fosse fermato, il labirinto lo avrebbe ingoiato, come non aveva potuto fare tanti anni prima. Il principe si appoggiò di peso all'ennesima maniglia - questa volta, però, davanti a lui si aprì una spoglia anticamera. La porta all'altra estremità era socchiusa.

Atsushi indugiò per un istante ed allora il vento lo strattonò, spalancando il battente per lui: oltre la soglia, comparve la stanza che aveva lasciato.

Con le ultime forze, Atsushi vi si lanciò dentro, chiudendosi la porta alle spalle e collassando a terra, con le gambe diventate ormai una sorta di ammasso tremebondo e debole. Si rannicchiò sul pavimento, le testa fra le mani. Anche ad occhi chiusi, vedeva davanti a sé la fila ininterrotta di porte chiuse che continuavano a scorrergli accanto.

Il vento aveva smesso di soffiare e da fuori, dal dedalo di corridoi, non proveniva che silenzio.

 

~~~

 

Attorno al letto di En si era radunata una piccola folla, mentre i tre spiriti si erano ritirati in un angolo, osservando la situazione tra il perplesso e lo scoraggiato.

"Davvero, non è stata una grande idea avvertire i sovrani," commentò Ryuu per l'ennesima volta. Non che avessero avuto molta scelta, purtroppo: era stato mandato un piccolo drappello di servitori e guardie per accompagnare En dalla torre alla sala delle cerimonie. Quando il tempo impiegato dal principe a scendere dalle sue stanze era diventato troppo, erano saliti ad indagare ed avevano trovato i tre spiriti disperati, inginocchiati accanto al corpo riverso a terra del ragazzo.

"Non c'è nulla che possano fare." Ryuu osservò il re e la regina, che non trovavano pace. L'avevano scosso, avevano chiamato il suo nome, avevano provato con i sali e con l'acqua gelida, ma senza risultato. Erano passati dall'incredulità, alla rabbia, alla disperazione. Se non altro, non sembravano decisi a darsi per vinti.

La prima cosa che avevano fatto era stato richiamare i servitori e le guardie per far loro mantenere il silenzio - meglio non far trapelare la notizia, per il momento. Poi, avevano mandato a chiamare con discrezione i medici di corte più fidati. C'era ben poco che questi potessero fare, però: il principe non era malato o ferito, era solo profondamente addormentato, e non c'era stato modo alcuno di riscuoterlo dal sonno.

"Non mi capacito di come sia potuto succedere." Il volto di Io era funereo. Si stava maledicendo per aver suggerito di lasciare En da solo prima del tramonto. E dire che era stato così sicuro di sé, così certo del fatto che i demoni fossero distanti, che non lo potessero toccare.

Yumoto scosse la testa, incapace di parlare. Lo spirito della luce stava faticando a trattenere le lacrime alla vista di così tanta tristezza.

Ryuu si mosse e cambiò posizione, a disagio. Era ovvio che i due sovrani avrebbero tentato qualsiasi cosa pur di riuscire a far risvegliare il figlio che avevano appena ritrovato, ma a lui non andava eccessivamente a genio la carta che avevano deciso di giocare ora.

"Non sarebbe meglio non mettere altri al corrente della situazione, forse?" provò ad indagare con tono casuale, avvicinandosi alla regina. "Insomma, la principessa potrebbe impressionarsi..."

La madre di En gli rivolse uno sguardo esasperato. "Siete stati voi a dire che questo è il solo modo di svegliare mio figlio, ed ora mi suggerite di non tentare nemmeno?"

Ryuu chinò la testa, remissivo. Aveva solo sperato di poter spiegare il tutto in circostanze un po' più tranquille. "Certo, è così, però, vedete..."

L'arrivo della Principessa Kinugawa nella stanza troncò sul nascere la sua spiegazione e lo spirito del fuoco si ritirò in buon ordine, rifugiandosi a fianco di Io e nascondendo la faccia contro la sua spalla. Non era ansioso di assistere alla scena che sarebbe seguita di lì a poco.

Udì alcune frasi confuse - la voce della ragazza suonava incerta, come se non potesse davvero credere a quello che le stavano chiedendo di fare - dopodiché seguirono alcuni lunghi attimi di silenzio. Non era difficile immaginare che cosa stesse avvenendo nel frattempo e, dopo un po', Ryuu si voltò a sbirciare. La principessa era ancora china su En, le guance arrossate per l'imbarazzo, e tratteneva il respiro proprio come chiunque altro nella stanza. Ma il tempo passava, ed il ragazzo non accennava a riaprire gli occhi.

Quando fu chiaro che il bacio non aveva sortito alcun effetto, la principessa di raddrizzò, abbassando il capo con aria mortificata. Il re, invece, si voltò verso i tre spiriti con l'espressione di chi esigeva immediatamente una spiegazione convincente.

"Avevate detto che questo sarebbe stato l'unico modo per salvarlo, ma non è accaduto nulla."

Ryuu si schiarì la voce - forse non era pronto ad ammettere quello che doveva ammettere, ma non poteva più far finta di nulla. Con sua sorpresa, però, fu Io a fare un passo avanti e parlare.

"Non basta un bacio qualunque, mio Re," spiegò tranquillamente. "Per contrastare una maledizione così potente occorre un gesto d'amore che sia più forte dell'incantesimo. La principessa qui presente non ama En, né En è innamorato di lei. Come potrebbero, in fondo? Si sono incontrati oggi per la prima volta."

La ragazza, ancora chiaramente imbarazzata, non si scompose minimamente alla rivelazione, ma i due sovrani, invece, trasecolarono.

"Stai dicendo che non c'è niente da fare, allora?" La regina stava stringendo così forte la stoffa della sua gonna che le nocche delle mani erano biancastre, traslucide.

"No, sto dicendo che la principessa non ha il potere di fare nulla," rispose Io.

"E chi lo avrebbe, allora?"

"Solo la persona di cui En è innamorato," si intromise allora Yumoto. "E che lo ricambia." Lo spirito della luce fece un bel respiro prima di proseguire. "Quella persona è vostro fratello, Principessa."

Questa volta, tutti e tre i reali fecero tanto d'occhi. Un momento dopo, sui due spiriti iniziarono a piovere una serie di "ma come è potuto accadere" e "perché non ne siamo stati informati prima", oltre ad altre domande a cui era obiettivamente difficile riuscire a dare una risposta.

Approfittando della confusione, Ryuu scivolò vicino alla principessa, che era rimasta in disparte, forse troppo allibita per dire qualcosa. Lo spirito le rivolse un sorriso tra il gentile e l'accattivante. "Mi dispiace che le cose siano andate così e che voi siate rimasta delusa, altezza," si scusò. "A dire il vero, speravo che la questione potesse essere chiarita in circostanze meno drammatiche. Perdonatemi."

La giovane sbatté le palpebre un paio di volte, come per riaversi, ma poi tornò in sé. "Oh? E perché mai, non è certo colpa vostra. E poi, il vostro amico ha ragione, io non amo il principe."

Questa volta, fu Ryuu a dover ripensare alle parole della ragazza prima di poter rispondere. "Davvero? Ma tutte le lettere che vi siete scritti..." gli scappò, prima di riuscire a frenare la lingua. Be', in fondo, la questione dei messaggi segreti era irrilevante, a quel punto, e poteva essere senz'altro chiarita dopo.

"Messaggi gentili e romantici, senz'altro," rispose cortesemente la principessa, che aveva l'aria di volersi trovare in qualsiasi luogo fuorché in quella torre. "Ma era abbastanza evidente che stesse giocando con me. E poi," disse schiettamente, "non era davvero il mio tipo."

Ryuu fece per replicare, piccato, ma poi si fermò. I chiarimenti a dopo, si era detto. "Il problema, altezza, è che il Principe Atsushi non sembra ancora essere arrivato a corte," proseguì schiarendosi la voce. "Voi sapete dove si trova? Lui senz'altro potrebbe risvegliare En."

La principessa annuì, ma poi assunse un'espressione contrita. "Purtroppo mio fratello questa sera non verrà. Sembra si sia sentito poco bene prima della partenza e ci ha mandato un biglietto per comunicare che sarebbe rimasto a casa di un suo caro amico, Kinshiro, fino a che avesse ripreso le forze. Però, viste le circostanze, se gli mandiamo subito un messaggio, farà tutto il possibile per- c'è qualcosa che non va?"

Ryuu aveva strabuzzato gli occhi. "Il nome del vostro amico - avete detto che si chiama Kinshiro?"

La ragazza lo guardò, sempre più confusa e desiderosa di trovarsi da qualche altra parte. "Sì, esatto."

Soffocando una serie di imprecazioni poco adatte alla piccola folla lì riunita, Ryuu balzò con malagrazia sopra il letto di En (tanto non si sarebbe svegliato comunque) per afferrare Io e Yumoto, entrambi ancora oggetto del serrato interrogatorio da parte dei sovrani.

"Dobbiamo agire in fretta! Credo che Atsushi sia stato catturato dai demoni!"

Io si voltò verso di lui con espressione esasperata. "E come facciamo con i sovrani?"

Ryuu alzò gli occhi al cielo, finché non fu colpito da un'idea. "Be', possono far compagnia a loro figlio nel mondo dei sogni, no? Sempre meglio che stare svegli ad angustiarsi per cose a cui non possono rimediare," decise, tirando fuori la bacchetta, imitato subito dagli altri due.

Non servirono che pochi tocchi per far cadere la stanza nel silenzio. Nessuno dei presenti ebbe davvero il tempo di capire che cosa stesse accadendo, prima di chiudere gli occhi e venir adagiato sul pavimento dagli spiriti.

Quando ebbero finito con gli occupanti della torre, i tre diressero la loro magia sul resto del castello. Sui corridoi, sui cortili bui, nella sala delle cerimonie gremita di gente in attesa dell'aprirsi dei festeggiamenti calò pian piano il silenzio - le chiacchiere e le risate lasciarono le labbra di nobili e cortigiane, i bicchieri smisero di tintinnare, i fuochi si spensero nelle cucine e le guardie allentarono la presa sulle loro armi.

"Spero che non debbano arrivare altri invitati, per questa sera," commentò Yumoto, quando ebbero finito e si ritrovarono nuovamente accanto al letto di En.

"Quello che importa è riuscire a recuperare l'unico ospite davvero necessario," gli ricordò Ryuu. Sembrava nuovamente arrabbiato. "Avremmo dovuto capirlo prima," disse, "che stavano addosso sia alla principessa che al principe."

Yumoto sedeva accanto ad En, accarezzandogli delicatamente i capelli. Ora che c'era silenzio e che era passata la commozione iniziale, i tre spiriti comprendevano appieno quanto accaduto. Il ragazzo giaceva immobile sul suo letto, sotto le coperte, ancora vestito di tutto punto per la cerimonia, ora sospesa a tempo indefinito. Dormiva pacifico, sereno, quasi - non era certo la prima volta che lo vedevano addormentato, eppure, quella sera sapevano che avrebbe potuto non svegliarsi mai più.

Yumoto gli posò una mano sul petto, e per un momento da sotto il palmo si irradiò un tenue bagliore di luce.

"La maledizione," disse lo spirito a quel punto, "è sempre stata qui. Nonostante tutti gli incantesimi a difesa della foresta e di questa torre, non siamo comunque riusciti a proteggerlo da quello che portava dentro di sé." La voce di Yumoto era mesta. "Ora qui c'è solo vuoto - e per quanto io possa provare, non posso riempirlo." A malincuore, ritrasse la mano, premurandosi invece di rimboccare la coperta sopra le spalle del ragazzo addormentato.

Ryuu strinse i pugni. "Abbiamo fallito. Avremmo dovuto proteggerlo, ma siamo solo riusciti a dare lui ed Atsushi in pasto ai demoni." La sua voce irradiava frustrazione. "Se non riusciremo a riportare indietro entrambi i principi, sarà solo colpa mia," aggiunse amaramente. Io gli circondò i fianchi con un braccio.

"Libereremo il principe e lo riporteremo qui. Se è vero quel che dice Yumoto, nemmeno il mio incantesimo si sbaglia, allora, ed i demoni sono dove posso sentirli. E soprattutto, non sono tanto lontani."

I tre si scambiarono uno sguardo d'intesa e, tornati alle loro dimensioni naturali, spiccarono il volo nella notte.



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NOTE: un grazie, come sempre, alla mia beta Yuki che è velocissima <3
Ormai siamo giunti alla parte finale della storia. In quattro, massimo cinque capitoli sarà finita. Spero di riuscire a terminarla velocemente! Intanto ringrazio chi la segue e trova il tempo di commentare, ogni recensione è preziosa.
  
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